Solo che lo dedico a me stessa.
Alla parte che amo e che mi manca.
E che in questo momento dovrebbe essere all'incirca dall'altra parte del mondo.
Per ricordarci dei bei tempi, quando eravamo ancora una cosa sola.
Maledizione, sto diventando monotematica.
Invenzione a due voci
Allo stesso
modo con cui questo cielo si bagna di rosso, sento dentro le palpebre
esplodere il fuoco, rosso lancinante di dolore che non posso
raccontarti, perché non mi vengono le parole ora, ce le ho
chiuse in gola, ed è come se non volessero uscire.
Però ti vorrei
toccare, per darti qualcosa di concreto, la certezza che non mi sto
perdendo dentro questo mondo liquido, che quando il sole sarà
alto non mi sarò disfatta, non vedrai i miei colori sparsi sul
pavimento, i miei sentimenti colare da queste mura.
Esploderò,
esploderò e andrò in mille pezzi.
Oppure avrò la
forza di rimanere qui, seduta dove sto ora, e ascoltare ancora le
stesse litanie, le solite battute che mi hai lasciate scritte sullo
specchio del bagno; non mi ricordavo che fosse così sporco lì
dentro, e non mi ricordavo nemmeno di quel buco al centro del
soffitto, dove doveva stare la lampadina.
Le ossa che si frantumano
fanno sempre un rumore strano, come di dadi tirati, di bracciali che
cadono per terra, di sassolini sotto i tacchi; e quando le schiacci
sotto il peso del tuo ego, si, il suono è quello di un urlo,
di quelli che mettono paura ai bambini, quelli che si sentono nei
manicomi femminili e che non fanno dormire la notte, come se stessero
facendo a pezzetti qualcuno senza chiedergli come si sente.
La gente di solito urla
per motivi stupidi, però urla spesso, anche quando non apre la
bocca, anche quando non senti veramente il rumore, ma il suono ti si
conficca nelle vene lo stesso, lo senti che ti graffia da dentro i
nervi, che continua a spezzarti la pelle, perché ti è
entrato dai pori, dagli occhi, dalla bocca, e adesso vuole uscire, ma
non sa come fare, e allora tenta di ucciderti e aggrapparsi alla tua
anima mentre esce da quel che rimane di te.
E di me sta rimanendo
poco, davvero poco.
Li vedi i miei capelli?
Una volta erano neri.
Perdono con lentezza il
loro colore.
Mi sembra che stia
scivolando dalla radice dei capelli, e ho paura che toccandoli, possa
sporcarmi le mani di inchiostro e pece.
E la stai guardando la mia
pelle?
Ti ricordi che era
iridescente, screziata, liscia come l'oro, ti ricordi che ci potevi
affondare le dita?
E adesso mi guardi?
Le mie squame odorano di
fiori marci.
Gli occhi sono soltanto
pozzi vuoti; forse un giorno ci pianterò delle rose.
E sento che mi stanno
sanguinando le mani: il rosso è scuro, un po' inquinato, ma è
buono per colorare, e sta tingendo i diesis sul piano.
Le goccioline danno ritmo
alle mie melodie, tic, tic, tic, piano piano si forma una mezza
sinfonia che rimane sospesa tra il vivo e il morto, come una camelia
a testa in giù.
Ma ho la mente annebbiata
dai fumi del thè, forse dirò sciocchezze.
Ecco.
Sono salva.
La mia anima è
leggera.
Ho chiuso gli occhi, per
non doverci vedere.
La nausea è tipica
dei viaggi, ma io viaggio da sola, e posso anche fermarmi a vomitare.
Poi avrò le budella
pulite, e potrò continuare a camminare.
Alla fine del deserto
ritroverò ancora il piano con i diesis che ho dipinto io.
Gli darò un nome, e
continuerò a comporre le nostre melodie.
Quelle che mi cantavi
prima dell'alba, che rimanevano incastrate fra la nostra pelle e le
lenzuola.
Oh, dèi, non mi
ricordo, forse ero io che le cantavo.
E' che allora eravamo una
cosa sola, ed ora è difficile distinguere.
Potevo vivere col tuo
cuore, e tu potevi mangiare con la mia bocca, e respiravamo con gli
stessi polmoni.
Però ora basta.
Rimaniamo ancora qui,
zitti zitti, prima che io scoppi.
Suoniamo, se ti va, questa
invenzione a due mani,
Mi piace tanto come la suoni.