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Autore: thembra    21/11/2015    1 recensioni
...Quella corolla era l’amore che c’era stato e che tutt’ora esisteva fra la donna più insolente e indifferente che lui avesse mai conosciuto e suo padre...
Sia lui che Inuyasha non avrebbero mai più potuto dimenticare le ultime parole esalate dalle labbra del loro fiero padre morente.
Tre, e tutte uguali.
Rin…Rin…rin
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Rin, Sesshoumaru
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Splendeva un sole meraviglioso, ed il colore del cielo era terso e limpido sporcato appena qua e là da buffe macchioline chiarissime e sfumate.
 
Il creato era qualcosa di meraviglioso e incompreso.
 
Non c’era anima in tutta la Terra, e di questo ne era convinta, che fosse in grado di apprezzare tanta bellezza, così presi dalla frenesia della vita chi mai poteva permettersi il lusso di fermarsi e osservare? Chi mai si sarebbe ricordato di farlo?
Folli
 
Col viso sereno e concentrato Kagome muoveva avanti e indietro il rastrello metallico ammucchiando le rosse foglie degli aceri che poi sua madre e Sota raccoglievano in grossi sacchi di telo.
Spesso però non resisteva ed alzava il viso verso l’astro e il contrasto che la sua luce creava sulle zone d’ombra, adorava vedere le cupole verdi che erano le fronde degli alberi, tutte in fila lungo le strade o i viali, oppure le macchie più grandi in prossimità dei parchi.
 
Se si impegnava poteva immaginare com’era un tempo la spianata ai piedi del Tempio, pensava a prati sterminati coltivati a riso, terre arate con l’aiuto dei buoi, piccole capanne dai tetti di paglia, pozzi per la raccolta dell’acqua, donne sedute all’ombra coi pargoli in mano, vecchi e uomini al lavoro, monaci e sacerdotesse compivano lunghi pellegrinaggi per portare fede e protezione di villaggio in villaggio, e poi boschi e vita selvaggia per giorni e giorni di cammino, e ruscelli e …
 
 
‘Era bella casa mia, non è vero?’
 
“Ki…Kikyo!”
 
Gli occhi eterei di lei si schiusero appena.
 
“Mi hai spaventata …”
 
Piegandosi in avanti raccolse da terra il manico del rastrello che aveva lasciato cadere dalla sorpresa.
Chi altri poteva coglierla di sorpresa a quella maniera?
Le balenò alla mente il viso di Inuyasha ma fu svelta a tossir via quel pensiero.
Era stata solo fortuna, quella sera l’aveva colta alla sprovvista approfittando della sua preoccupazione per Rin, non l’avrebbe fregata una seconda volta.
 
‘Che c’è?’
“Niente perché? Mi sono persa ad osservare il cielo oggi è meraviglioso non ti pare?”
‘Si, è raro vedere un cielo così in novembre’
 
Il bel viso della donna si addolcì, chissà pensò Kagome, magari stava ricordando qualcosa … le aveva accennato a casa sua …
 
“È cambiato così tanto questo posto?”
‘Beh, non c’erano che un centinaio di piccole capanne mentre ora il cemento ricopre tutto, laggiù avevamo costruito la nostra io e Kaede, dopo che quella appartenuta alla nostra famiglia fu distrutta da un incendio … il fiume passava per di là e qui dove ora sorge il Tempio di tuo nonno una volta c’era una radura accerchiata dal bosco di betulle e cedri, il villaggio occupava appena un sesto del quartiere di Naka-Meguro e non c’erano così tanti abitanti … si, direi che è mutato parecchio …’
 
Sospirando riprese a rastrellare, l’odore pungente della terra pregna d’umidità le diede una connessione con la natura aiutandola a rilassarsi.
 
‘Va tutto bene Hoshi?’
“Si … sono un po’ preoccupata per Rin, non la sento da giorni …”
‘Va a trovarla se sei in pena ’
“Nah … sarà presa da Shippo … quella peste le riempie le giornate!”
‘Ed è un bene a quanto ricordo…’
“lo è Kikyo, eccome se lo è.”
 
Sorridendo si appoggiò al rastrello piegandone le sottili estremità, l’occhio le cadde su Sota che tranquillo riempiva il sacco che sua madre teneva largo, era bello vedere il contrasto della zona dov’era lei con quella pulita; il piazzale del tempio era ampio circondato da alti alberi che ogni autunno perdevano migliaia di foglie tappezzandone il chiaro lastricato, l’effetto era bello anche così, ma le foglie marcendo finivano col macchiare le lastre per questo era un dovere dei monaci o dei custodi tenere pulito.
 
“Tu pensi che dovrei metterla al corrente di quello che vogliono fare?”
‘Di che parli?’
“Di quei due demoni, odio nascondere le cose a Rin, ma ho il terrore che se glieli nominassi solamente potrebbe …”
‘Ti  comprendo, non è una scelta facile la tua, lo spirito di quella ragazza è stato spezzato e ridotto in briciole, fatico io per prima a credere che due anime che hanno portato a ciò possano decidere di redimersi, ma so anche che i miracoli accadono, e che le persone più coraggiose sono quelle che hanno la forza di subire le conseguenze delle proprie azioni …’
“… dovrei dirglielo …”
‘La risposta la sai già Hoshi…’
 
 
Kagome annuì soltanto riprendendo il lavoro.
Sota si stava avvicinando, aveva solo un paio di mucchietti di vantaggio inoltre quel dispettoso di Bujo si stava divertendo a  zampettare su di essi, battendo le mani lo cacciò ridendo al suo buffo salterellare.
 
“Gattone obeso …”
 
 
………………
 
 
 
Occhi dorati osservavano da decine di minuti ogni suo movimento.
Reggeva fra le dita il contenuto della busta che gli aveva consegnato Miroku giorni addietro, un cartoncino ruvido rigato da sottili fili di matita.
 
‘Non so cosa sia, ho visto Rin lasciarla accanto al fiore deposto’
 
Le parole del suo investigatore non spiegavano nulla, quegli scarabocchi si.
Se si concentrava infatti Sesshomaru poteva sentire l’aura di chi aveva ‘scritto’ quel biglietto ed era arrivato alla conclusione che quella doveva essere una lettera che il cucciolo di volpe che Rin cresceva aveva scritto a suo padre.
Non aveva traduzione, ma con lo spirito si poteva intuire lo stato d’animo con cui il demone aveva scritto imprimendo più o meno forza nel premere la mina sul foglio, piccole sbavature ricalcavano l’orma di una zampetta di demone, fra uno spazio e l’altro l’indecisione di come continuare.
 
Grazie. Avrò cura di lei.
 
Un’eco di voce fanciullesca ripeté quelle poche parole con tono solenne e fu a quel punto che il demone si riscosse tornando a vedere ciò che effettivamente lo circondava.
Il suo ufficio, la scrivania oltre la quale stava seduto con aria scocciata suo fratello Inuyasha.
 
“Alla buon’ora … dove diavolo eri andato?”
“Di che parli? Ero qui … ”
“Intendevo dire che sembravi andato in trance …”
“Oh … stavo esaminando questo cartoncino, credo sia meglio rimetterlo al suo posto.”
“Sulla tomba di papà?”
“Nh”
“Ce lo porto io, è un sacco che non vado da lui,” non appena scattò a guardarlo Inuyasha scostò appena lo sguardo grattandosi un inesistente prurito sotto  la nuca, in volto quel misto di imbarazzo e broncio che mostrava un lato puro e insicuro del suo carattere sconosciuto ai più. “… e comunque volevo passare da mamma nel pomeriggio quindi …”
 
Espirò il suo assenso e dopo aver rimesso il cartoncino nella busta con uno svelto scatto di dita glielo lanciò.
 
“Ci vediamo”
 
Dopo che se ne fu andato Sesshomaru si alzò dirigendosi alla grande finestra del suo ufficio.
Erano passati giorni da quando l’aveva incontrata ma ancora sentiva sulle labbra i dolce sapore di quelle di lei, ne i palmi delle mani poteva sentire il calore delle sue spalle, nel naso il profumo dei suo neri capelli.
 
“Dh!”
 
Piantò il palmo sul vetro serrando gli occhi al bruciore dello schiaffo, il vetro neppure tremò, la sua pelle pizzicava da morire.
 
Esalò un singulto.
Voleva rivederla.
 
Chiuse gli occhi sbattendo la fronte contro il vetro rimanendo contro la superficie fredda e trasparente.
Voleva stringerla di nuovo.
Morse con forza la propria spalla voltando appena il viso per distrarsi dalle sensazioni che lo pervadevano se pensava a lei ma non funzionò, anzi, l’acuto dolore sembrava renderlo più lucido e deciso.
Voleva rivederla.
Un lampo rosso gli annebbiò la vista colorandogli l’oro d’amaranto.
Voleva rivederla.
 
L’ombra saettante d’un uccello in volo distrasse la sua attenzione, fuori un falco s’era gettato in picchiata su un ignaro piccione.
Una coppia di quei rapaci aveva nidificato sul tetto del grattacielo da anni, e suo padre li aveva presi subito in simpatia dal momento che se c’erano loro sparivano i colombi e le loro schifose deiezioni.
 
Con l’acuta vista tenne d’occhio la traiettoria del falco rimanendo indifferente quando questi, con millimetrica precisione impattò sul dorso dell’ignara preda mandandola a schiantarsi contro la facciata di un palazzo vicino ghermendola poi con tremendi artigli prima di far ritorno al nido.
 
Si ricordò una cosa che da tempo aveva scordato.
Era un demone.
Un demone completo e superiore.
Al pari di quel rapace poteva fare cose che gli altri spettri nemmeno sapevano esistessero.
Se voleva rivedere quella ragazzina non ci sarebbero stati demoni o sacerdotesse che tenevano, come un’aquila l’avrebbe ghermita e portata via.
 
Con l’animo inspiegabilmente più sereno tornò al suo posto, la giornata era ancora lunga e non aveva fretta, nei ricordi che aveva condiviso con lui suo padre gli aveva fornito tutti i posti che lei amava frequentare, se voleva trovarla non gli restava che darsi da fare.
 
 
 
……….
 
 
 
 
Una leggerissima brezza le scompigliò appena la corta frangetta facendole finire un paio di ciuffi proprio sopra all’occhio che chiuse per evitare di pungersi .
Sorridendo la sistemò prendendo poi un bel respiro mentre lasciava spaziare lo sguardo oltre la foto che da ben dieci minuti fissava incessantemente.
 
Centinaia di lapidi spuntavano dal terreno nelle loro ordinatissime file distanziate da chiarissima ghiaia sporcata appena qua e la da mucchietti di foglie cadute dalle querce mentre i sempreverdi cipressi delimitavano i viali principali.
 
C’erano poche persone quel giorno, qualche anziana che dava acqua alle piante in vaso, una giovane coppia in lontananza toglieva dalle fresche ghirlande le foglie secche aggiustando i nastri spostati dal vento cercando di armonizzare la moltitudine di crisantemi lillà mazzi di lunghi gigli bianchi.
 
Era venuta da quella direzione e si era imbattuta nell’ennesima nuova tomba, succedeva quotidianamente purtroppo che la morte facesse visita ai vivi sconvolgendone la routine, era toccato a Keriko stavolta, una bella bambina nel cui largo sorriso tutto si poteva leggere fuorché la morte.
Aveva due occhi grandi e spalancati sul mondo, un paio di codini al lato del viso e due finestrelle lungo l’arcata superiore dei denti.
Aveva pianto per lei raccogliendo la foto provvisoria notandola caduta urtata probabilmente dallo scivolamento di un mazzo di gerbere dalla ghirlanda dietro stante;  spalancò la bocca esalando un gemito di pura angoscia nel trovarsi di fronte quel piccolo viso d’angelo strappato alla vita troppo presto, ma alla piccola non era importato, protetta dal vetro della cornice la osservava in un immota eternità dove niente oramai poteva ferirla e sfiorarla, soffocando i singhiozzi Rin aveva sistemato l’oggetto allontanandosi poi col cuore in gola che batteva a mille ed un pensiero rivolto ai genitori di lei, al loro tormento. Al loro inferno.
 
Guardandoli ora, mentre con composta tristezza sistemavano il luogo dell’eterno riposo della loro piccola Rin sentì dentro una specie di sollievo, quei due genitori nonostante l’amarezza si continuavano a prendersi cura della loro piccola e vedendo il sorriso un po’ forzato della donna capì che ella ne avrebbe conservato per sempre l’amorevole ricordo.
 
Espirò tornando a cercare lo sguardo di Taisho.
Sorrise .
 
‘Quanto eri bello amore mio, e forte e buono, e dolce …’
 
Ripensò a quanto s’era sentita inadatta al suo fianco ma sicura nei suoi stretti e caldi abbracci, ricordò la sua bontà e tutto quello che aveva fatto per lei quando era solo una bambina e a tutte le gentilezze che le aveva riversato addosso una volta ritrovata da adulta.
Il modo in cui le stringeva appena la mano se avvertiva le sue insicurezze, a come prendendola per una spalla l’avvicinava improvvisamente a sé se per strada qualcuno la guardava per un secondo di più, i suoi sorrisi sghembi quando pensava a cose sconce, il roco rimbombo della sua virile risata quando a letto si divertiva a prenderla in giro.
 
Un brivido la invase d’improvviso.
Se incominciava a ricordare il loro tempo insieme sarebbe sprofondata nuovamente nella disperazione e lei non voleva più angosciarsi, e poi era felice.
Taisho era venuto a trovarla in sogno, l’aveva abbracciata e baciata. La stava proteggendo e vegliava su di lei, non doveva temere niente.
 
Sporgendosi in avanti baciò la bella foto prese la borsetta che aveva lasciato a terra rimettendosi poi in piedi, fra poco Shippo finiva l’asilo e toccava a lei andarlo a prendere oggi.
Voltandosi, mentre alzava il viso fece appena in tempo a scorgere l’ombra prima che il terrore, dopo mesi, tornasse a ghermirla.
Incominciò a suonarle il cellulare.
 
“… Rin?”
 
La bella borsetta cadde per terra.
 
Di fronte a lei Inuyasha no Taisho la guardava col fuoco negli occhi.
 
 
 
……………………..
 
 
 
 
Ma che diavolo gli era saltato in mente di andarle così vicino?
All’inizio gli era sembrata una bella idea notando come l’aura di lei fosse rilassata e serena ma ora che si trovavano faccia a faccia il panico che si era impossessato di lei lo stava colpendo con schiaffi d’aura cupi e densi.
Aveva gli occhi sbarrati e lucidi prossimi al pianto e il respiro erratico tipico di chi è sotto shock, le candide mani tremavano e il bel colorito che si ricordava avesse in viso era sparito lasciandole la pelle bianca più del latte.
Stava incominciando a dubitare del suo slancio di coraggio.
La suoneria intanto non accennava a smettere.
 
“Dovresti rispondere …”
 
Questo parve scuoterla.
Senza smettere di guardarlo si abbassò finché le mani sfiorarono la borsetta, pallide dita aprirono la zip estraendo un piccolo cellulare sonante.
Notò che non appena gli occhi di lei si abbassarono sullo schermo un nuovo shock la scosse.
Senza più badare a lui Rin rispose cercando di mantenere la calma.
 
‘Rin? Rin sono Matsuka, vieni subito al Sacred Heart  Shippo sta ma…’
 
Un gemito le spezzò il pianto muto in cui si era sciolta nel rispondere e in un attimo la vide correre verso l’uscita, senza pensarci la seguì curioso di capire cosa fosse successo al piccolo. Era ovvio che avesse sentito tutto, era pur sempre un mezzo spettro.
Mentre raggiungeva il parcheggio pigiò un pulsante del suo orologio.
 
“Chiama Sesshomaru ufficio … ”
 
 
Con le parole di Ami Matsuka che le rimbombavano nella mente Rin corse più veloce che poteva verso la sua macchina gridando di rabbia e frustrazione nel vederla imbottigliata fra altre tre con quel fottutissimo carrello delle immondizie rovesciato dal peso dei bidoni.
Non sarebbe mai arrivata in tempo.
Guardandosi intorno sperduta cercò qualsiasi auto in uscita ma niente, quel maledetto destino ce l’aveva proprio con lei.
Un gelido vento le scivolò nell’anima cristallizzandole il cuore come già era successo quasi due anni prima la notte che seppe dell’incidente di Taisho.
Lacrime roventi le bruciavano le guance mentre la fresca brezza autunnale esaltava il contrasto di quel contatto sulle sue guance gelide.
Ma perché gli dei la odiavano così tanto? Perché si divertivano a toglierle chiunque amasse, cosa diavolo aveva fatto per meritarsi quella vita?
 
‘Rin? Rin sono Matsuka, vieni subito Shippo sta ma…’
 
Gemette  un grido disperato incominciando a correre, l’ospedale pediatrico prefissato per Shippo era dall’altra parte della città, ma ci sarebbe arrivata correndo se questo doveva fare.
Con le lacrime che le impedivano di vedere e il cuore colmo di rabbia angoscia e panico le sue gambe parevano non toccare nemmeno terra attraverso piedi divenuti sfocati.
Ma la potenza durò poche decine di metri, Rin era solo una piccola umana, non praticava alcuno sport ed era priva di resistenza alcuna inoltre il suo stato emotivo le aveva mandato a puttane respirazione e battito lasciandola in balia di una tempesta di sentimenti contrastanti.
 
Scivolò sul viottolo tappezzato di umide foglie rovinando a terra su di un fianco sbattendo la testa rimanendo intontita.
Non urlò neppure  limitandosi a rimanere giù priva del fiato necessario al semplice respirare.
 
 
Fu così che la trovò Inuyasha pochi attimi dopo, sconvolta dai conati di vomito a vuoto causateli dal debito d’ossigeno.
Senza fare troppo rumore le si inginocchiò vicino raccogliendo borsa e cellulare, poi con dolcezza le sfiorò appena la spalla; rimase stupito nel sentirsi stringere il polso da una presa di ferro.
 
“Portami da lui sniff  … ti prometto che poi sparirò … non mi farò vedere mai più neanche qui ma ti prego … portami dal mio bambino ….”
 
Piangeva sibili spezzati dai singhiozzi e la voce di lei era pura tortura per quel suo cuore oramai pentito.
 
“Vieni con me Rin …”
 
La aiutò a rimettersi in piedi portandola fino alla macchina col quale l’aveva raggiunta. Era stata sua intenzione accompagnarcela fin dall’inizio quando aveva visto il problema notando l’utilitaria verde di lei prigioniera di un parcheggio selvaggio.
 
Piangendo lei lo seguì senza togliersi le mani dal viso. Mortificata e disperata stava chiedendo aiuto al nemico.
Non appena toccò il sedile si rannicchiò in posizione fetale incominciando a piangere a dirotto.
Il suo bambino era stato portato all’ospedale colto da un’altra crisi improvvisa cui nemmeno i medicinali di emergenza avevano saputo far fronte e questa volta sarebbe potuta essere l’ultima, avrebbe perso anche lui e non le sarebbe rimasta più nessuna ragione per vivere.
 
Inuyasha provò a confortarla ma lei sembrava sprofondata in un limbo di angoscia senza fondo.
 S’immise con l’auto nella tangenziale e schiacciò l’acceleratore al massimo.
 
 
………………….
 
 
 
 
 
 
“Finito!”
 
Asciugandosi un paio di gocce di sudore Kagome rimise al suo posto il rastrello a poche decine di metri il suo fratellino faticava a tenere aperto il sacco mentre contemporaneamente ci buttava dentro le foglie ammucchiate, guardando il cielo arrivò alla conclusione che doveva essere quasi ora di cena, sua madre era rientrata per preparare da mangiare lasciando solo Sota.
 
Sorrise ai goffi gesti del piccolo ometto di casa avvicinandosi per aiutarlo.
 
“Tengo largo io?”
“Grazie sorellona!”
 
Fecero presto a finire poi vedendo che incominciava ad imbrunire mandò avanti Sota visto che doveva farsi il bagno sporco di terra e sudore com’era, a sistemare i sacchi di foglie ci avrebbe pensato lei.
 
“Un ultimo sforzo ed è fatta!”
 
Canticchiando fra sé l’ultimo singolo della sua cantante preferita Kagome afferrò i manici della carriola bassa costruita apposta anni addietro da suo padre per trasportare i sacchi della spazzatura o delle foglie e qualsiasi merce pesante.
Era stata studiata bene per salvaguardarla schiena di chi la maneggiava avendo il pianale basso e piano così la merce stava ferma e non ondeggiava col rischio di sbilanciare tutto.
Ringraziò il suo papà benedicendo il suo nome prima di raggiungere l’inizio dei sacchi messi in fila come soldatini.
Era giunta quasi a metà quando d’improvviso il suo cuore emise un battito fra i battiti e la sua aura fremette.
 
Demone in avvicinamento.
 
Svelta si guardò intorno, diamine se era potente, ma dov’era suo nonno quando c’era bisogno d’aiuto?
Col cuore in gola si preparò spiritualmente. C’era un esorcismo da fare.
 
‘Sta calma Hoshi …’
 
Beh, per lo meno Kikyo non tardava mai a raggiungerla se avvertiva problemi in avvicinamento.
Annuendo esalò via tutta la sua ansia battendosi i palmi sulle guance.
Era pronta.
 
‘Schiva!’
 
“Kyaaaagh”
“Wah!”
 
Pronta un corno!
 
Atterrò miracolosamente in piedi dopo aver scartato all’ultimo uno scatto d’aura nera e maligna diretta al suo fianco.
 
Con gli occhi bene aperti e i sensi bene all’erta teneva d’occhio le vicinanze, ma era difficile, si trovava troppo vicina al boschetto ed ogni fruscio era uno scatto del suo viso, ogni carezza del vento sull’erba una distrazione.
Doveva allontanarsi da li.
 
“Ssssshhhhhhh”
 
Kagome’
 
Stavolta si fece trovare pronta, con un singulto interiore scatenò un picco d’aura chiarissima riuscendo a contrastare il fendente nero mentre con il potere della percezione individuava l’origine del potere.
La trovò immediatamente ed estraendo dalla tasca un paio di pergamene le scagliò con elettrico potere verso il tronco di un albero. La carta colpì ruvida corteccia appiccicandosi ad essa.
Kagome, respirando piano rimase in attesa.
Improvvisamente questa incominciò a brillare d’azzurro rivelando la sagoma di uno spettro che mimetizzandosi al tronco pensava d’averla fatta franca, povero stolto.
 
Contorcendosi dal dolore scisse la sua essenza da quella dell’albero rivelandosi per quello che era.
Uno spettro dalle sembianze serpentine.
 
‘Ora!’
 
Veloce Kagome estrasse della polvere bianchissima lanciandola contro l’abominio.
Nonostante la sua consistenza che prevedeva il suo disperdersi nelle immediate vicinanze la polvere si scagliò verso il demone con velocità assurda ricoprendolo completamente.
Con voce bassa e atona intanto Kagome aveva preso a recitare un’antica preghiera di contenimento.
 
‘Brava’
 
Dimenandosi all’impazzata l’essere ormai alle strette incominciò a sibilare girandosi sulla schiena con l’intenzione di lavarsi via la polvere, gesto inutile, una volta scagliato e unitosi alla sua preda quel talco spiritico non se ne staccava più.
La serpe incominciò a sciogliersi svanendo nella notte permettendo a Kagome di rilassarsi.
 
‘Attenta!’
 
E questo sembrò aspettare l’essere infido perché non appena la sacerdotessa abbassò la guardia un colpo nero partì da essa scagliandosi verso un’ignara Kagome.
 
‘Kagome!!'
“Ce n’è un altro!”
 
Stupita Kikyo seguì l’attenzione della sua protetta, che sciocca, a distrarsi era stata lei e non Kagome.
Questo però non cambiava le cose, quel colpo l’avrebbe messa ko per un bel po’ e lei non avrebbe potuto fare nulla per aiutarla e poi, ora che lo percepiva sentiva chiaramente che il demone in avvicinamento era infinitamente più forte di quello stramazzante a pochi passi da loro.
 
Nell’attimo che le ci volle a comunicare con Kikyo Kagome cercò di schivare il fendente ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta, maledicendosi per l’inesperienza cercò di emanare una scossa spiritica sperando di riuscire ad inibire l’attacco.
Aspettò col cuore in gola di sentir dolore da qualche parte ma non avvenne nulla, si udì solamente il rumore di un contatto fra due corpi estranei al suo.
Senza capire aprì gli occhi, sbiancando letteralmente.
 
Subito davanti a lei, col braccio teso ancora fumante per il colpo appena parato si stagliava in tutta la sua demoniaca potenza Sesshomaru no Taisho, postura fiera e capelli al vento, la classica immagine del prode salvatore, la ragione principale del suo estraniarsi dalla battaglia solamente pochi attimi prima.
 
Che diavolo voleva da lei quel maledetto?
 
Alzandosi in piedi, nemmeno s’era resa conto d’esser caduta, lo prese per la spalla costringendolo a girarsi senza badare al fendente appena fuoriuscito dai suoi artigli che liquefece letteralmente gli ultimi rimasugli dimenanti del demone appena sconfitto; una volta che ebbe la sua attenzione inspirò forte per fargli una bella ramanzina, non avrebbe tollerato altre incursioni da parte sua.
 
L’unico grido che le uscì dalla gola fu quello di spavento nel sentirsi prendere in braccio di forza prima di ritrovarsi letteralmente sospesa nel vuoto a sfrecciare oltre i tetti delle case sottostanti al tempio.
Le grida successive furono smorzate dal caldo e ampio palmo che il demone le premette sulla bocca, in gola tuttavia lo strillo proseguiva di pari passo ad ogni singola maledizione che la povera Kagome lanciava al bastardo.
 
Dal canto suo Sesshomaru si stava quasi divertendo, avrebbe potuto fingere di lasciarla cadere per acciuffarla all’ultimo ma ci teneva alla pellaccia, se avesse esagerato era certo che una volta passata l’emergenza quella pazza scatenata gliela avrebbe fatta pagare, già così rischiava di brutto ma non conosceva modo migliore per muoversi se non il suo potere demoniaco, a prender la macchina con gli ingorghi del ritorno serale non sarebbe mai arrivato al tempio in tempo, non aveva il suo numero di telefono e dubitava che semmai l’avesse fatta chiamare ella gli avrebbe dato retta quindi, non appena Inuyasha l’aveva chiamato informandolo dell’accaduto tutto ciò che gli era venuto in mente di fare era stato di aprire la finestra e alzarsi in volo verso il tempio Higurashi.
Di fatto non erano trascorsi che cinque minuti e probabilmente sarebbero arrivati all’ospedale ancor prima di Inuyasha e Rin.
 
‘Maru sono io, sono con Rin, deve andare all’ospedale Sacred Heart Shippo è ricoverato lì, ce la sto portando tu recupera Kagome e raggiungici lì … a dopo!’
 
Non ci aveva capito molto ma aveva eseguito la richiesta.
Ma che significava che Shippo era malato? I demoni erano molto più coriacei degli esseri umani e non soffrivano delle loro patologie, doveva trattarsi di qualcosa di più serio. Gli balenò alla mente un idea così, assicurando Kagome al suo fianco tramite la sola presa del braccio sinistro guadagnandosi un calcio allo stinco e un paio di acuti stridii non appena la sua bocca fu libera, estrasse il cellulare e digitò il numero rapido di chiamata per Koga.
Il lupo rispose immediatamente e ancor prima di sentirsele troncò la voce con una semplice richiesta.  
 
“Cosa diavolo ha il cucciolo di volpe?”
 
Contemporaneamente al mutismo di Koga anche Kagome smise di strillare intuendo la situazione.
Doveva essere successo qualcosa a Shippo ecco perché tutto quel trambusto.
E Rin?dov’era Rin? Perché lui era andato da lei se Rin …
 
“Ce a sta portando ‘Yasha si … dimmi piuttosto del cucciolo … capisco … no, cene occupiamo noi voi badate a casa loro … si ti aggiornerò personalmente … ci sentiamo.”
 
Oramai il vuoto allo stomaco non la infastidiva più, Rin era più importante persino della sua paura dell’altezza, non appena lo sentì metter via l’apparecchio si fece coraggio.
 
“Cos’è successo?!”
 
Abbassando appena il volto Sesshomaru incrociò gli occhi di lei pieni di preoccupazione e ansia.
 
“Non so i dettagli, Inuyasha mi ha detto d’averla incrociata al cimitero, da quello che ha sentito il piccolo demone che Rin cresce è stato ricoverato e … ”
“Kami-sama! No … ”
 
Sesshomaru intese che lei dovesse saperne di più quindi ricambiò la domanda.
Aggrappandosi a lui si assicurò d’esser ben salda prima di rispondergli, poi nascondendo il viso contro la sua spalla lo esortò a fare più in fretta.
Lui annuendo obbedì e lei nuovamente avvertendo il cambio di velocità soffocò un grido.
 
 
 
…………………………………
 
 
Un quarto d’ora.
Non di più, eppure a Rin sembrava che i secondi sull’orologio digitale della berlina di Inuyasha si divertissero a scorrere velocemente facendosi beffa di lei e del suo cuore impazzito.
Non appena varcarono le porte dell’ospedale ebbe l’istinto di spalancare la portiera, si trattenne solo notando che Inuyasha aveva deviato prendendo la stessa strada delle ambulanze, così facendo sarebbe entrata direttamente dal pronto soccorso.
Il mezzo demone si preoccupò di parcheggiare l’auto in modo che non fosse d’intralcio scendendo poi per accompagnare la donna.
Spinse con forza le porte scorrevoli facendo strada ad entrambi sbottando due parole ai paramedici che pretendevano spiegazioni.
 
Una volta dentro fu questione di pochi secondi prima che la voce di Kagome chiamasse entrambi.
 
“Rin! Inuyasha, di qua!”
 
Instabile su un paio di gambe che non sentiva più sue Rin si fiondò nell’abbraccio saldo di Kagome scoppiando in lacrime, notò il secondo estraneo solo dopo che tutti e quattro furono fatti accomodare nell’ufficio del primario.
 
“Sta bene Signorina, l’abbiamo stabilizzato e non è in pericolosi vita, si rilassi, anzi, se può servire a tranquillizzarla può andare da lui anche subito, Signorina Higurashi la vuole accompagnare lei?io devo scambiare un paio di parole con i Signori no Taisho.”
 
Fu il plurale a farle scattare nuovamente l’embolo del terrore e non appena alzando il viso incrociò gli occhi d’ambra liquida di Sesshomaru seppe d’essere perduta.
Cosa diavolo avrebbero preteso da lei? Cos’altro si sarebbero inventati per renderla ancora più miserabile di così? Che razza di persona abominevole era stata nella sua vita precedente per meritarsi una punizione del gene-
 
Furono nuovamente il tocco di Kagome e la sua presenza a darle pace e calma.
 
“Shhh va tutto bene … seguimi Rin così ti spiego …”
 
Tremante si lasciò portar via.
Il dottore attese un paio di secondi prima di rivolgersi ai due fratelli.
 
“Veniamo a noi Sesshomaru-sama … ”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
TH
 
 
 

 
  
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