Il rituale
in sé era piuttosto semplice: si basava interamente sul
concetto di Fiamma del
Drago come struttura della vita e dell'Universo, per me che sono una
Custode
non mi era difficile da comprendere. Il problema più grande
era ben altro: dovevo
effettuarlo sulla Fiamma di Daphne e, quella, ce l'avevano le tre
streghe
maledette.
Tutto o
niente, questo mi si prospettava per il futuro. Se volevo anche solo
provare a
riportare indietro Daphne attraverso quel rituale, dovevo riprendermi
la sua
Fiamma del Drago, quindi dovevo necessariamente far fuori le Trix.
Avrei
dovuto affrontare tre nemici fuori da ogni portata, da sola, con solo
due
epiloghi alla fine dei giochi: la loro disfatta oppure la mia
dipartita. In
ogni caso, mi sarei sentita comunque vincitrice: avrei espiato il mio
peccato,
in un modo o nell'altro, attraverso la loro o la mia morte.
Così,
con
la furia nel cuore e la follia nell'animo, decisi di darmi un mese di
tempo:
dovevo tornare in salute, affinare i miei poteri ed escogitare un piano
decente
su come annientare le streghe. Non proprio una passeggiata nel parco,
insomma.
I miei
genitori erano assolutamente entusiasti dei miei miglioramenti, tanto
che
volevano dire a tutti la 'buona' notizia sulle mie condizioni. Parte
fondamentale
del mio piano di vendetta era quello di mantenere un profilo basso, di
non
farmi vedere né sentire da nessuno, quindi azzardai una
scusa a cui abboccarono
subito, per fortuna. Almeno, credo di sì? Forse si stavano
solo sforzando di
crederci davvero.
«Mamma,
papà, vorrei che questa cosa non uscisse da qui. Vorrei che
questo abbia almeno
l'illusione di essere una cosa normale. Tornerò ad Alfea il
mese prossimo, come
se non fosse successo nulla. Mi serve... mi serve davvero».
Solitamente,
sono una campionessa nel farmi scoprire quando mento, è come
se un'insegna
luminosa al neon mi spuntasse in fronte con scritto 'bugiarda'. Per il
volere
degli dei, quel giorno andò tutto liscio come l'olio. Che
stress incredibile,
non pensavo che mentire ai propri genitori fosse così dura.
Comunque,
i giorni passarono in fretta e tutti pressoché uguali:
mangiavo tutto quello
che riuscivo a tenere nello stomaco, facevo tanta ginnastica e, nel
tempo
libero, leggevo il tomo che avevo trovato in biblioteca, tenendolo
ovviamente
nascosto per evitare rogne di qualunque tipo. Non ci vuole un genio per
fare
due più due se trovi tua figlia che studia un libro nel
quale si spiega come
riportare indietro i Custodi morti.
Imparare
qualche nuova tecnica non poteva farmi che bene, inoltre fu
lì che trovai
qualcosa di molto interessante che mi permise di escogitare il piano
che volevo
portare a termine: nell'eventualità che ne avessi trovate,
ero in grado di
potenziare il mio potere assorbendo altre fonti di Fiamma del Drago, a
patto
che il mio corpo ne potesse reggere il peso.
Da
lì, mi
venne in mente l'idea più malsana della mia vita. Per quanto
ignobile fosse il
gesto, avevo un disperato bisogno di diventare più forte, molto più forte,
così decisi di fare quel che era necessario fare.
Ormai avevo imboccato la via della distruzione, non potevo tirarmi
indietro.
Dovevo far confezionare delle gemme false, tornare ad Alfea e rubare
quelle
vere contenenti la mia Fiamma del Drago, facendo regredire le ragazze
alla forma
Sirenix.
Già
di per
sé una follia, la questione era più complicata di
quello che si potrebbe
immaginare: nel momento in cui le Winx acquisirono il Bloomix, il mio
potere si
fuse al loro creando una Fiamma del Drago molto più potente
di quella che donai
a loro in principio.
Oltre che
assorbire un potere già esageratamente grande, avrei
assimilato anche un po'
della loro magia natia. Io per di più ero un essere magico
dotato di magia
bianca pienamente formato, sarebbe stato come immettere aria in un
palloncino
già gonfio.
Non ero
affatto sicura di riuscire ad incanalare tutta quella potenza, il mio
corpo
poteva non reggere, anzi, era decisamente molto più
probabile che non l'avrebbe
fatto. Stavo letteralmente scommettendo sulla mia vita. Beh, nessuno
aveva
detto che sarebbe stato facile.
Qualche
giorno prima della partenza, mi guardai attentamente allo specchio:
avevo
ripreso peso, il mio volto non sembrava più quello di uno
zombie ed ero anche
un minimo allenata fisicamente. I capelli, d'altro canto, non andavano
per
niente bene.
In cinque
mesi erano diventati una massa informe vermiglia, non proprio l'ideale
per
qualcuno che doveva passare inosservato. Me li feci tagliare molto
corti
rispetto ai miei standard, arrivavano appena sotto le spalle. Mi
sentivo più
leggera e… strana. Non ero più abituata a sentire
l'aria fresca sul collo, era
abbastanza gradevole.
Arrivò
il
giorno fatidico con una velocità disarmante. I miei mi
accompagnarono fino
all’entrata della grande anticamera del castello salutandomi
entusiasti, mentre
io mi portavo dietro una valigia enorme e un sorriso falsissimo sul
volto;
dissi loro che volevo prendere una navetta civile per Magix invece di
viaggiare
su quella della nostra famiglia, cosicché io potessi
riprendere i contatti con
le persone e riassaporare un minimo di normalità.
Ovviamente,
erano solo un mare di frottole. Non appena tornarono nella sala del
trono,
posta al centro del piano terra e oltre la stanza in cui mi trovavo,
finalmente
potei mollare la recita e tornare nella mia camera di soppiatto.
Non fu
particolarmente difficile: l’ala degli alloggi reale
è situata al primo piano
ovest del castello, per arrivarci si accede direttamente
dall’anticamera
stessa. Inoltre, se qualcuno mi avesse vista andare in quella
direzione, di
certo non avrebbe mai pensato che io stessi nascondendo qualcosa, al
massimo
che avevo dimenticato di prendere delle cose.
Una volta
raggiunto l’obiettivo, abbandonai il bagaglio e presi dal suo
interno uno zaino
contenente le gemme false, mi misi dei jeans comodi, scarpe da
ginnastica, una
felpa nera con cappuccio che mi sarei calata sul viso per non farmi
notare e mi
fermai qualche minuto, contemplando per l’ultima volta la
stanza con tutti i
miei affetti.
Avevo
insistito molto per farla fare simile a quella che avevo ad Alfea,
senza troppi
fronzoli o lussi da principessa, diciamo. Un bel letto grande, pareti
azzurre
che accarezzavano gli occhi e una grande vetrata che permetteva
l’accesso al
balcone, in quale dava proprio sul giardino reale. Semplice, proprio
nel mio
stile.
Sospirai
amara e partii alla volta della fermata aereospaziale. Non avrei preso
la
navetta che indicai ai miei, aspettai infatti qualche ora
più tardi passando il
tempo a leggere il tomo, poi mi imbarcai. Dissi loro che sarei arrivata
a
destinazione di giorno, era fondamentale invece che io arrivassi di
notte, per
non essere vista.
Molti di
voi si staranno chiedendo perché io fossi così
restia dal farmi aiutare dalle
ragazze. La vendetta non mi aveva accecato del tutto: dovevo comunque
pensare
ai pro e ai contro, essere razionale, se volevo spuntarla.
La
risposta è semplice: anche se fossimo andate tutte insieme,
anche se con noi ci
fosse stato un esercito, non ce l'avremmo fatta comunque. Le streghe
avevano
già dato prova di poter gestire tanti avversari e anzi,
potevano sfruttarli a
loro vantaggio. L'unica via efficace era quella che avevo intrapreso,
ovvero un
combattente singolo dotato di enormi poteri, ma le Winx non me lo
avrebbero mai
permesso. Nessuno lo avrebbe fatto.
Quindi,
ecco, sarei stata sola in ogni caso. Mi rilassai sulla mia poltrona,
appoggiai
la testa al finestrino e ascoltai un po' di musica durante il tragitto,
preparandomi mentalmente a quello che dovevo fare. Nei lunghi viaggi
tra Magix
e Domino, io e Daphne condividevamo le cuffiette ascoltando insieme i
brani che
ci piacevano. Per gli dei, mi mancava così tanto.
Dopo tre,
interminabili ore arrivai a destinazione. Come avevo previsto la
città era
deserta, era buio pesto e nessuno mi avrebbe notata mentre mi avviavo a
piedi
verso Alfea. La scuola non era molto distante, dovevo solo stare
attenta ad
occhi indesiderati.
Intravidi
quella che fu la mia casa per molti anni. La scuola di Alfea si
presentava
magnifica come sempre, talmente grande da espandersi su due ali
opposte, dando
l’impressione di voler abbracciare chiunque varcasse la sua
soglia. Il grande
giardino centrale è stato luogo di interminabili sessioni di
studio, nonché di
giornate spensierate passate con le ragazze, mentre tutto intorno si
estende un
bosco a perdita d’occhio.
Quanti bei
ricordi… mi fece un effetto strano entrare tra le sue mura,
sentire i profumi
degli alberi e i versi degli animali: nonostante non fosse passato poi
tutto
quel tempo dall'ultima volta che ci ero stata, in qualche modo sentivo
di non
appartenere più a quei luoghi. Alfea è un
baluardo di protezione per le giovani
fate, le fa sentire al sicuro e serene. Io, invece, mi sentivo
continuamente
esposta e profondamente agitata, eravamo in completa antitesi.
Arrivai
alla porta principale con una certa fretta. In quanto professoressa
possedevo
la chiave, quindi entrai senza nessun problema. Gli alloggi degli
insegnanti
sono situati al primo piano, mentre quelli delle allieve al piano
terra; i
corridoi sono simmetrici ma, visto che le nostre stanze si trovano
nell’ala
est, imboccai il corridoio di sinistra e proseguii verso le scale.
Il
complesso di appartamenti è raggruppato nella stessa zona e
le porte sono
sempre aperte, dovevo solo muovermi il più silenziosamente
possibile. Mi tolsi
le scarpe e applicai un incantesimo che rendeva il mio corpo semi
solido: ero
così leggera da non creare nemmeno spostamenti
d’aria col mio movimento.
Entrai in
ogni stanza in punta di piedi cercando perfino di non respirare. Ci
volle molto
tempo per concludere la mia ricerca, anche perché mi fermavo
qualche minuto a
osservare le mie amiche un'ultima volta per dire loro addio.
D'altronde, potevo
morire da lì a pochi minuti.
Alla fine,
però, riuscii a prendere tutte le gemme e a sostituirle con
quelle false, mi
rinfilai le scarpe e, così come ero venuta, me ne andai con
la tristezza nel
cuore, gonfio di odio e di malinconia.
Mi
rifugiai nella foresta davanti la scuola. Non avevo la più
pallida idea di cosa
sarebbe successo, quindi era meglio stare ben nascosti. Se io avessi
fallito
non lo avrebbe saputo nessuno, sarebbe rimasto solo un corpo morto e
niente di
più. Ripresi fiato e mi rilassai qualche minuto per
distendere i nervi, poi
guardai con timore la refurtiva.
Era
arrivata l'ora. Raccolsi tutto il mio coraggio, presi la gemma di Aisha
tra le
mani e feci come indicava il tomo: chiusi gli occhi, incanalai il mio
potere
nell'oggetto e lo 'agganciai' alla Fiamma del Drago al suo interno. Si
creò
all'istante un legame molto forte e instabile, dovevo agire in fretta.
Raggiunto
quel punto, iniziò il tiro alla fune: tirai, tirai con tutte
le mie forze,
cercando di vincere la resistenza che la Fiamma della mia amica mi
opponeva, ma
alla fine riuscii a portarlo dentro di me, nella mia essenza.
Provai
sensazioni potentissime e contrastanti. Sentire nuova energia che mi
pervadeva
era piacevole, ma c'era altro di più amaro, di
più oscuro: iniziai a percepire
i sentimenti di Aisha, a vedere dei flashback del suo vissuto, alcuni
belli,
alcuni brutti, alcuni devastanti. La sua solitudine su Andros, la morte
di
Nabu, l’omicidio di Daphne.
Lasciai
cadere a terra la gemma ormai vuota e ansimai pesantemente dalla
fatica,
realizzando finalmente a cosa stavo andando incontro: per compiere il
prossimo
passo verso la mia vendetta, dovevo sopportare il dolore fisico e
sperimentare
quello mentale delle mie amiche.
Mi venne
un risolino quasi isterico, di chi davvero aveva perso il lume della
ragione:
niente di tutto quello sarebbe mai stato nemmeno lontanamente
paragonabile al mio di dolore. Era
fin troppo facile… almeno,
era quello che pensavo all'inizio, dall'alto della mia follia.
Continuai
quindi con le altre gemme. Sentii le loro emozioni, vidi le loro
peggiori paure
avverarsi e le feci mie, assimilandone il male. Se dal punto di vista
emotivo
era abbastanza 'facile' digerire il tutto, a livello fisico era
tutt'altra
storia: man mano che andavo avanti, un forte bruciore aumentava
d'intensità nel
mio corpo, facendomi provare la sensazione di stare sull'orlo di
esplodere da
un momento all'altro.
Presi il
mio cellulare dallo zaino e cercai di specchiarmi per vedere cosa
stesse
succedendo: su tutta la mia pelle erano comparse delle piccole venature
vermiglie,
come se fossero lava su un terreno arido, i miei occhi divennero
scarlatti e i
miei capelli di un rosso ancora più acceso.
Mi
spaventai a morte, ma non potevo fermarmi, non più ormai.
Una volta che ebbi
finito, mi accasciai a terra: mi mancava l'aria, il mio cuore batteva
così
velocemente che pensavo sarebbe uscito fuori dal petto, sentivo un
dolore
straziante in ogni cellula del mio corpo.
Il mio
fisico stava decidendo se frantumarsi o se resistere. Arrivò
pigramente il
mattino, le mie condizioni non migliorarono: sentivo che il mio
conflitto
interiore non si stava risolvendo ma anzi, mi stava lacerando. Stavo
morendo
lentamente, dovevo far qualcosa, e in fretta.
Mi
rassegnai agli eventi e decisi che mi sarei adattata nello spirito,
tradendo la
prima regola che mi ero data: non coinvolgere nessuno.
«Faragonda...
devo andare da lei... non ho scelta».
Con fatica
titanica mi rimisi in piedi, presi lo zaino e mi imbacuccai il
più possibile
nella felpa per non farmi riconoscere; le allieve stavano per iniziare
le
lezioni, la scuola sarebbe stata molto animata in quel lasso di tempo.
Camminavo ondeggiando come una foglia mossa dal vento, percossa da
dolori che
mi stroncavano il respiro.
«Forza
Bloom... cammina dritta... stringi i denti».
Sgranai
gli occhi vermigli quando raddrizzai la schiena, una smorfia grottesca
mi
apparse sul viso. Camminai con una rapidità quasi inumana,
mossa dalla più
completa disperazione. Cercavo di ansimare silenziosamente, ma era
quasi
inevitabile non venire scrutata un po' dalle allieve, qualcuna mi
prendeva
anche in giro.
Comunque
sia, nessuna di loro sembrava mi avesse riconosciuta, forse la fortuna
era
dalla mia parte. Mancava davvero poco: avvistai Musa all'inizio del
corridoio
che conduceva all'ufficio di Faragonda, così presi il
percorso adiacente che
sembrava deserto, bussai furiosamente e feci irruzione senza nemmeno
aspettare
il permesso.
«Ma...
un
po' di educazione signorina, non si entra in questo modo!»
La mia
amabile preside era seduta al suo posto, impegnata come al solito nel
firmare
alcune scartoffie. Non mi aveva per nulla riconosciuta e, se non ci era
riuscita lei, non ci sarebbero di certo riuscite le allieve. Mi tolsi
il cappuccio
di gran foga mentre le forze iniziarono ad abbandonarmi: Faragonda mi
guardò
con un terrore che mai le avevo visto in volto.
«Mi
serve
il suo aiuto... la prego!»