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Autore: theflairforanopera    21/11/2015    0 recensioni
Gli sparo sul petto, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Non sono spaventato.
Quello che aveva detto non mi ha messo paura: nell'inferno ci vivo ogni giorno.
Genere: Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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“Non guardarmi! Abbassa la testa e ascolta le mie parole:  fai finta che non hai una pistola puntata sulla nuca, pensa all’ultima cosa che ti ha reso felice, anche una puttanata … ”

 Tolgo il sudore dalla fronte con la manica della giacca, guardo l’orologio: 21.58. Gli lascio le sue ultime lacrime, provo pena per la sua incolpevolezza.

“… Mi dispiace ragazzo.”

Silenzio, ora non ci sono che io in quella stanza. Rimango fermo, con il braccio ancora teso verso di lui. Copro la sua testa piena di sangue, scendo  dal tavolo e prima di uscire dal retro della villa mi giro a controllare. Non ho coperto bene il ragazzo, i cui occhi aperti ma privi di vita, mi fissano tristi e innocenti. 
Mi chiedo: Perché il capo li voleva morti?
Tolgo i guanti, entro in macchina, guardo lo specchietto. Niente polizia o passanti, senza pormi alcuno scrupolo metto in moto. 
Non faccio altro che pensarci, so che non è un mio problema, io ho un incarico e il mio dovere è svolgerlo, ma qualcosa mi turba, saranno stati gli sguardi terrorizzati di quelle persone. 
Per distrarre la mente accendo la radio e penso ad un pub dove bermi qualcosa. Penso che il Montwell sia la scelta migliore. Posto perfetto per un post-giornata di lavoro di merda, come le altre.
Musica country, locale ben attrezzato, luci calde; dietro le mie spalle, quasi cinque metri più in là c’è un piccolo palco sul quale forse, delle sere, si esibiscono band di poca importanza. In un angolo  due ubriaconi fanno brindisi senza senso, nell’altro c’è una signora che al telefono si lamenta del marito … Cos’è questa puzza? Un uomo con la camicia sudicia e con l’alito che sa di alcol si ferma dietro di me.

“Questo è il mio posto!”

Fingo di ignorarlo: d’altronde non ho nessuna voglia di discutere con un tipo così. Non stasera.
“Ripeto. Ancora con le buone: quello è il mio cazzo di posto!”
Tengo lo sguardo ancora fisso su di lui. Mi alzo e non do più le spalle, mi guarda con aria di superiorità, cerco, almeno per ora di trattenere la rabbia, evito una scenata. Prendo il portafoglio, metto i soldi sul bancone e con gli occhi saldi verso la porta, la raggiungo. Lui ride e convince il barista che nessuno gli si mette contro; prima di uscire lo avviso di un particolare:

“Amico: non parlare.”
“Non mi piacciono gli ordini.”
“Ripeto. Ancora con le buone: non parlare”

Si alza e viene verso di me, la sua faccia è a qualche centimetro dalla mia.

“Altrimenti che mi fai?”

Non gli lascio il tempo di espirare che il mio coltellino è fermo sotto il suo mento.

“Non penso avrai ancora il coraggio di parlare, mi sbaglio?”

Lo spingo di nuovo dentro con un calcio e finisce sul pavimento del pub, mi guarda impaurito e si trascina piano con le braccia, avvicinandosi al bancone.
Chiudo la porta ed entro in macchina. Quel coglione ha scelto l’uomo e la serata sbagliata in un solo colpo.
Sono a casa. Mi tolgo le scarpe e le sistemo vicino alla porta, mi sfilo il cappotto e lo butto sul divano. La tavola è ancora apparecchiata con gli avanzi della cena. Di solito sono un tipo ordinato, ma sono troppo stanco e non ho la testa per pulire tutto. Sono in bagno, mi spoglio dei miei vestiti, inizio a far scorrere l’acqua aspettando che diventi calda, intanto appoggio mutande e canottiera sul termosifone. Entro nella doccia, solita routine: crema idratante per il viso, bagnoschiuma e shampoo.
Esco dalla doccia e le mie gambe non si reggono per la stanchezza: mi asciugo velocemente, lascio i capelli bagnati e mi vesto in fretta per essere il prima possibile a letto. Anche qui solita routine: pancia verso l’alto, coperte da metà petto in giù e per far arrivare il sonno inizio a spegnere e riaccendere, lentamente, la lampada sul comodino alla mia sinistra.
Accendo. Spengo. Accendo. Spegno. Più lentamente. Accendo. Spengo. Accendo. Spen … Che cazzo è stato? Rumore di vetri rotti. Suppongo provengano dal salone. Subito scendo dal letto e mi chino per terra, con lo sguardo fisso sulla porta. Suono di passi che si fa sempre più forte. Qualcuno o qualcosa era nella mia stanza. Nella penombra intravedo tre figure con quelli che sembrano mitra in mano. Sono fermo, quasi paralizzato e rassegnato a non farcela, ma la mia beretta è sotto il cuscino e una speranza c’è.

“Trovate quel cazzo d’interruttore, sbrigatevi!” 

Approfitto del loro errore nel non aver sparato alla cieca e mentre si girano verso il muro per cercare il pulsante, prendo la pistola, accendo la lampada. Senza lasciar loro nemmeno il tempo di girarsi, sono già certi di cosa c’è dopo la morte. Non mi ucciderete. Non stasera. 
Solo un piccolo problema: devo andarmene. Non avevo il silenziatore, qualcuno potrebbe chiamare il 911. Indosso una felpa e dei pantaloni presi a caso, metto l’arma nella tasca interna, alzo il cappuccio e salgo di corsa in macchina. Metto in moto, ma nemmeno a 100 metri mi accorgo che la benzina è al rosso. Mi fermo in una delle stazioni più vicine, do da mangiare alla mia Cadillac e vado a casa di Fred. Si arrabbierà per l’ora, ma dopo tutti i favori che gli ho fatto, non può non ripagarmi, soprattutto con delle motivazioni così valide.
Sono sotto casa sua, ma qualcosa non quadra: luce accesa dal piano di sopra. Guardo l'orario, sono le tre passate. Alzo di nuovo la testa e noto, dalle ombre, che ci sono più di due persone all'interno, elimino l'ipotesi di una festa: non c'è musica, anzi, fin troppo silenzio. 
Stanco d'ipotizzare esco dall'auto, prendo la pistola e mi avvicino alla porta. E' aperta ed è tutto buio. Senza far rumore salgo le scale. Nel corridoio del secondo piano non c'è nessuno, anche qui il buio è padrone. Mi affianco al muro avvicinandomi, lentamente, alla camera da letto. Più mi avvicino e più sento Fred e Melanie, sua moglie, che gridano piangendo. 

"Non i miei bambini! No!"

Due spari zittiscono i due, ora sento solo piangere i loro figli. 

"Capo."
"Dimmi."
"Ma ora che ci facciamo con i bambini?"
"Ammazzali."

Non posso accettare che altri innocenti muoiano.
Sparo verso la finestra che si trova alla fine del corridoio e mi nascondo in bagno. Escono di corsa. Sono in due. Mi trovo alle loro spalle. Mi avvicino all'interruttore e accendo la luce.

"Morite stronzi!" 

Due colpi precisi in testa. I bambini si affacciano, spaventati.

"Tranquilli piccoli. Sono qui per aiutarvi."

Entro in camera e vedo i corpi di Fred e Melanie a terra, dissanguati. Ma che cazzo sta succedendo? Chi cazzo sono questi? 
Mi asciugo le lacrime con la manica. Prendo i bambini e li porto in macchina. Ora dove cazzo vado? 
La bambina, qualche anno più grande del bambino, si avvicina singhiozzando alla mia spalla. 

"Uccideranno anche noi ... vero?"
"No. Non vi succederà niente piccola."

Accarezzo il suo viso e la rassicuro. Avrei voluto tanto avere dei bambini tutti miei. 
Le chiedo se riesce a indicarmi la strada per casa di qualche loro famigliare. La bambina si asciuga il naso con la manica e trattenendo i singhiozzi comincia ad orientarsi.
Un’auto, a tutta velocità, ci supera e rallenta una volta di fronte a noi. Un uomo si sporge con il mitra dal finestrino di dietro e inizia a sparare. Freno e cambio direzione. Aumento la velocità.

"State a terra! Sotto i sedili! Non vi alzate per nessuna ragione!"

I bambini urlano, l'auto ci raggiunge e si affianca dal mio lato. La spingo fuori strada. Sbando. Sono costretto a fermarmi.

"Restate abbassati. Andrà tutto bene."

Prendo la pistola e mi avvicino alla loro macchina. L'auto è capovolta. Due uomini sono immobili a terra. Uno è ancora dentro l'auto. Ha un vetro conficcato dritto in mezzo agli occhi. Uno dei due bastardi alle mie spalle striscia verso la pistola che è finita sull'asfalto. Di scatto mi avvicino. Calcio lontano la pistola. Lo immobilizzo, ma non lo uccido.

"Chi vi manda?! Parla, cazzo!"

Non parla. Gli punto la pistola alla testa. 

"Stasera non ho un cazzo da fare, posso stare qui a torturarti per tutto il tempo che voglio!"

Lo prendo per i capelli e sbatto la sua testa per terra.

"Calma amico."
"Ti conviene parlare subito!"
"Ricordi quella famiglia di cui hai fatto una strage?"

Si ferma e sorride. Ora il sangue gli riempie anche la bocca. 

"Continua."
"Ecco, noi siamo quelli che vengono chiamate "Conseguenze". Ci sei riuscito due volte a mandare a puttane i nostri piani,  d'ora in poi vivrai l'inferno."

Gli sparo sul petto, con lo sguardo fisso nel vuoto. 
Non sono spaventato.
Quello che aveva detto non mi ha messo paura: nell'inferno ci vivo ogni giorno.

Rientro in macchina. 

"Potete uscire piccoli. Non ci daranno più fastidio."

Arrivo di fronte alla casa che mi hanno indicato i bambini. Una signora anziana esce dalla porta, loro corrono subito da lei gridando "Nonna" con un tono tra il disperato e il sollievo. La vecchietta, vedendo i vestiti pieni di sangue dei bambini, si spaventa e rivolge lo sguardo verso di me.

"Cosa è successo? E chi è lei?"
"Chiudetevi in casa e non aprite a nessuno."

Non posso perdere tempo, la morte mi cerca ed è più veloce di me.
Lascio la città. Mi fermo in un motel per la notte. Ma l'auto la lascio nel parcheggio di un ristorante, così avrei guadagnato un po’ di tempo.
Mi siedo sul letto e faccio quello che avrei dovuto fare molto tempo prima. 
Chiamo il capo.

"Pensavo ti avessero ucciso. Stanno ammazzando tutti."
"Hanno ucciso Fred. Ed ora mi stanno seguendo. Che sta succedendo?"
"Non posso più nasconderti nulla. Ti diedi l'incarico di uccidere quella famiglia perché il padre era un sicario dei Corleone. Lui ordinò, prima che tu lo uccidessi, di farci ammazzare tutti. Una volta morto, pensammo che ormai potevamo stare al sicuro. Ma i giorni dopo iniziarono a morire i nostri migliori assassini."
"Che è successo con i Corleone?"
"Questioni economiche, semplicemente."
"Capisco."
"Addio David. Non penso riuscirò ad uscirne questa volta. Ma tu scappa, sei ancora in tempo."
"Addio capo."

Non mi piace scappare.
Se devono uccidermi, devono farlo mentre combatto.

Mi sveglio. Mi faccio una doccia calda. Ormai i picciotti staranno cercando la mia auto. Esco dalla doccia. Mi lavo i denti. Prendo la mia pistola. Noto che mi resta solo un proiettile e non ho munizioni con me, solo un coltellino, ma non basta.
Mi vesto e scendo. Intorno alla mia macchina ci sono dei tizi che controllano la targa. Sono vestiti con giacche nere e camicia bianca sotto. Suppongo siano loro. Un tizio è seduto in macchina dal lato opposto della strada: li sta aspettando. Senza farmi vedere mi avvicino all’auto. Le sicure sono disattivate. Entro dalla parte del passeggero e gli punto la pistola in testa, ma lui continua a leggere il suo giornale.

"Minchia, avete già controllato?"

Gli metto una mano sulla bocca e gli premo la pistola sulla tempia.
"Portami alla vostra base e non fare cazzate."

Mentre mi scorta non fa che continuare a dirmi che sono un bastardo, che mi uccideranno, che farei meglio a scappare. Sopporto queste parole, che dovrebbero spaventarmi, fino a 200 metri dalla villa dei Corleone, che per quanto è grande la si riconosce subito.

"Ferma qui."

Lo colpisco con il manico della pistola in testa più volte, fino ad ucciderlo. Ora mi servono le armi. E dove cercarle se non in un’auto di mafiosi che erano venuti per ammazzarmi?
Apro il bagagliaio, sperando di non trovare un cadavere. Bingo: due mitra e due fucili a pompa. Prendo i mitra. Dall'entrata principale è impossibile entrare, ci sono due guardie e non ho silenziatori, devo riuscire ad entrare nella villa. 
Una delle due guardie entra dentro. Cazzo ora!
Mi avvicino di soppiatto al cancello e mi fermo. La guardia mi nota. Nascondo il mio coltellino nella manica.

"Scusi, mi sono perso. Mi sa dire dove porta questa strada?"
"Deve tornare indietro."
"Mi scusi, non capisco, potrebbe avvicinarsi?"

Si guarda indietro, inizia ad avvicinarsi lentamente e non fa che guardarsi attorno. Prendo il coltellino e mi preparo. La guardia appoggia il braccio sulla portella.

"Deve tornare ... "

Gli taglio la gola di netto e lui di colpo cade a terra.
Nessuno mi ha visto, se non le telecamere. Devo fare in fretta. Scendo dall'auto ed entro nel cancello. Vedo altre guardie uscire dalla villa. 
Che lo spettacolo abbia inizio.

 
   
 
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