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Autore: _Frame_    22/11/2015    2 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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59. Patata bollente e Bufera di neve

 

 

Trovarono la porta socchiusa. Non usciva alcun fascio di luce dallo spiraglio, nel corridoio regnava il silenzio interrotto solo dalla loro corsa che faceva eco tra le pareti.

Estonia schiacciò il giornale al petto con un braccio, nella piega del gomito, strinse la mano attorno al polso di Lettonia e accelerò il passo stando dietro l’ombra di Lituania. Lituania incrociò le gambe e corse di lato, portandosi con la spalla premuta alla parete e gli occhi fissi sullo spazio tra la porta e lo stipite. Estonia gli passò vicino e Lituania gli afferrò una manica, trascinandolo affianco a lui, contro il muro. Gli tenne il palmo aperto sulla spalla, per farlo restare fermo accanto al suo fianco. Lituania sollevò un indice e lo posò sulle labbra, facendogli segno di restare in silenzio. Estonia trattenne il respiro e annuì. Lettonia si sporse in avanti, restrinse lo sguardo e sbirciò nel buio dello spiraglio. La sua ombra si allungò sul pavimento.

“Ma non dobbiamo entrare ad av –”

La mano di Estonia gli passò sopra la guancia e gli tappò la bocca. Il braccio si strinse e trascinò Lettonia contro il suo petto.

Estonia restrinse i denti. “Zitto,” sibilò.

Lettonia si appese con le mani al suo braccio e gli diede due colpetti schiaffeggiandolo sul polso. Gli occhi sgranati e sporgenti come quelli di un pesce che sta soffocando. “Mmhf ~!”

Lituania fece roteare lo sguardo e scosse il capo. Fece scivolare la mano giù dalla spalla di Estonia, aprì entrambi i palmi contro la parete, schiacciò tutto il peso sulla schiena, unì i talloni alla base del muro, e strisciò di due passetti verso la porta socchiusa. Inclinò le spalle in avanti, volse una guancia all’interno della stanza e una ciocca di capelli gli fluì davanti a un occhio, scendendo fino alle labbra. Lituania restrinse lo sguardo, mise a fuoco i contorni delle due figure immerse nella penombra della camera e trattenne il fiato. Ascoltò in silenzio.

Russia si voltò di profilo, le mani strette dietro la schiena e il volto basso, rivolto alla figura più piccola rannicchiata sulla sedia. La sottile luce proveniente dal corridoio che entrava nella camera, scivolando nello spiraglio della porta, colpì Russia di profilo, stese la sua ombra che seppellì la piccola sagoma sulla sedia e si allungò sulla parete opposta, raggiungendo il soffitto.

Lituania fece scivolare un piede in avanti, per portarsi più vicino. La scia della sua ombra oscurò il fascio del pavimento illuminato dall’esterno e Lituania ritirò subito la gamba come se avesse toccato un tappeto di braci. Estonia si sporse, premette la spalla sulla sua, e tese il capo in avanti, puntando lo sguardo all’interno della stanza. Lituania gli stese un braccio sul petto e lo spinse delicatamente indietro. Lo guardò negli occhi e scosse il capo, facendogli cenno con la mano di stare appiccicato al muro. Estonia annuì, si strinse Lettonia al petto – non gli aveva ancora tolto la mano dalla bocca – assieme al giornale, e stette con la nuca alla parete, tendendo solo l’orecchio verso lo spiraglio.

Lituania scivolò di un altro passetto di lato senza fare entrare la sua ombra. Ruotò lo sguardo di lato e sbirciò nel piccolo spazio socchiuso della porta. Smise di respirare. La voce di Russia all’interno della stanzina si sovrappose al suono del suo fiato sibilante e trattenuto.

Russia compì un passo in avanti senza sollevare lo sguardo, strinse le mani dietro la schiena e i lembi della sciarpa sventolarono tra le gambe. Si spostò svelando le spalle chine di Finlandia, i piedi incrociati tra le gambe della sedia, i pugni tremanti chiusi sulle cosce, il viso pallido e lo sguardo vacillante rivolto al suolo.

“Direi che è il minimo che mi devi, Finlandia.” Russia si voltò, tornò a camminare nel senso opposto, e si fermò di fianco a Finlandia. Sollevò le spalle, guardandolo con occhi apprensivi. “Io non ti ho mai trattato male, non ho mai richiesto da te nulla in più del necessario.” Piegò in avanti la schiena e si portò con il viso vicino alla guancia pallida di Finlandia. “Dovresti tenerne conto, lo sai?”

Finlandia deglutì un groppo di saliva senza scollare gli occhi da terra. Profonde occhiaie nere gli cerchiavano le orbite, pupille ristrette e tremanti vacillavano nel bianco dell’occhio, pieghe di stanchezza si infossavano nel viso pallido e sciupato. Finlandia strinse di più i pugni serrati sulle cosce e un violento brivido attraversò le braccia, scuotendogli le spalle come se una folata di vento invernale lo avesse travolto con una spira di neve e ghiaccio.

Russia sollevò le spalle, piegò il capo di lato e gli sorrise. Un sorriso tenero e dolce.

“Sono sicuro che i miei cari e preziosi sottoposti farebbero volentieri a cambio con te e con la tua situazione.”

Lituania allargò le palpebre, il respiro si interruppe di colpo, formandogli un singhiozzo bloccato in gola. Voltò lo sguardo e lo incrociò con quello di Estonia. Il suo era basso, scuro, abbattuto, come nascosto dalla vergogna. Lettonia sollevò gli occhi facendo scorrere il viso sotto la mano di Estonia, ancora aperta sulla sua bocca, e sbatacchiò le palpebre, confuso. Lui non aveva sentito.

Finlandia socchiuse le palpebre, aggrottò le sopraciglia in una piega di dolore e spostò lo sguardo in disparte, lontano dall’ombra e dalla presenza di Russia. Aprì e chiuse i pugni, sfregò gli incisivi sul labbro inferiore, tirando la carne verso l’interno della bocca, e trattenne un sibilo.

Russia scosse il capo. “Dopotutto, non ti sto chiedendo nulla di rischioso.” Mosse un altro passo, tornando a camminargli davanti. “Tutto ciò che pretendo è che tu tenga Germania lontano dal tuo territorio.” Una piega infastidita gli incrinò lo sguardo, calando un velo di ombra attorno agli occhi. “Io ho già provato a persuaderlo con le buone, ma a quanto pare le mie parole sono servite a ben poco.” Si fermò davanti a Finlandia, abbassò le spalle verso di lui, un lembo della sciarpa fluì davanti al petto sfiorando terra, e gli mostrò un sorriso caldo e pacifico. “In questi casi, la soluzione migliore è sempre sradicare il problema alla radice. Non trovi anche tu?”

Finlandia prese un forte respiro che gli irrigidì le spalle. Trattenne il fiato, le guance si macchiarono di rosso, e il corpo divenne un blocco di pietra. Socchiuse le labbra. “Io...” Rilasciò il fiato facendo ciondolare il capo tra le spalle. Chiuse le palpebre, l’ombra dei capelli gli nascose il viso. “Non posso.”

Russia inarcò un sopracciglio. Una vena irritata ruppe il sorriso, accese gli occhi.

“Io capisco...” Finlandia guardò alla sua sinistra, verso l’angolo della camera, e mosse le dita sulle gambe, stropicciandosi i pantaloni. Le nocche sbiancarono per lo sforzo. “Capisco il tuo punto di vista. Ma io sono in una posizione di bilico, ora.” Ruotò gli occhi verso Russia. Un debole raggio di luce proveniente dallo spiraglio della porta gli baciò la guancia risaltando il bianco della pelle, candido e freddo come neve, e fece traballare la luce dell’occhio. Finlandia sollevò le sopracciglia in un’espressione di supplica. “Se scegliessi di patteggiare per te piuttosto che per Germania, rischierei di inimicarmelo e...”

“Hai paura che Germania possa farti del male, Finlandia?” Lo sguardo di Russia tornò ad ammorbidirsi. Russia si avvicinò di un altro passo, piegò le spalle e aprì i palmi sulle ginocchia flesse. Il viso calmo e sereno vicinissimo a quello di Finlandia. Le punte dei nasi si sfiorarono. Finlandia si vide riflesso nei grandi occhi violacei che lo scrutavano. “Finché ci sono io dalla tua parte a proteggerti, non può capitarti nulla, lo sai.”

Lo sguardo di Finlandia vacillò. Finlandia allontanò gli occhi gettandoli di lato, di nuovo all’angolo della stanza. “Mi dispiace ma non posso intromettermi tra voi due. Questo poi...” Ruotò lentamente gli occhi verso quelli di Russia, con un gesto timido e insicuro. “Poi sarebbe pericoloso anche per te.”

Russia sollevò le sopracciglia. Gli scoccò un’occhiata interrogativa e incuriosita.

Finlandia sollevò i pugni dalle cosce e se li strinse al petto, come a proteggersi.

“Ti prego, pensa a cosa potrebbe farti Germania se scoprisse che stai agendo alle sue spalle. Potrebbe arrabbiarsi e attaccare direttamente te, o Estonia, o Lituania, o...”

“Io e Germania abbiamo già avuto modo di discutere a lungo sul fatto di agire uno alle spalle dell’altro.”

Russia raddrizzò le spalle di scatto, la schiena tornò dritta.

Lituania fece un passo all’indietro sulle punte dei piedi, tenendosi aggrappato al muro. Il braccio sfiorò quello di Estonia, premuto alla parete di fianco al suo.

Russia camminò di lato, lasciando che il fascio di luce toccasse di striscio la spalla di Finlandia.

“Lui è stato molto sleale nei miei confronti,” disse, a sguardo basso. “E non vedo perché anche io non possa assumermi certe libertà dopo quello che ha fatto.”

Finlandia scosse il capo, restrinse le palpebre trattenendo il dolore nel petto. “Io...” Un brivido di insicurezza e paura gli scosse le spalle. “Allora... allora credo che dobbiate sistemare tutto solo fra voi.” Sollevò gli occhi, cercò quelli di Russia, ed espose il viso bianco alla luce. Sotto il riverbero, i cerchi neri attorno agli occhi divennero ancora più scuri, sciupati e infossati. Le labbra di Finlandia tremarono e lasciarono uscire una voce più decisa e squillante. “Io non posso rischiare di mettere la mia nazione in pericolo ancora una volta.”

Russia si voltò con una piroetta. “E perché no?” Scrollò le spalle, la sciarpa che aveva compiuto un arco attorno alle gambe tornò piatta. “Dopotutto, ora non hai più nulla da perdere, Finlandia.” Chiuse le palpebre. Stese un dolce sorriso infantile che gli tinse le guance di rosa. “A differenza di questo inverno.”

Finlandia chinò gli occhi di colpo. Il viso divenne una maschera d’ombra, il corpo raggelò come un blocco di ghiaccio, il respiro si interruppe.

Lituania ed Estonia si scambiarono un’occhiata bassa e intimorita. Gli occhi di Estonia si intristirono e guardarono il pavimento, oscurati dall’ombra dei capelli. Lituania socchiuse le palpebre, una luce triste balenò nel lucido degli occhi, davanti alla mente corsero le immagini della Guerra al Nord. Il freddo dell’inverno tornò a ghiacciargli le ossa e l’odore della polvere da sparo, del ferro, e il bruciore del fuoco sulle guance gli fece pizzicare la pelle.

Il respiro di Finlandia vibrò assieme al suo corpo scosso dai brividi. Finlandia trattenne il fiato, deglutì un boccone amaro di saliva che gli gravò sullo sterno come un macigno, e rilasciò il respiro dalle labbra socchiuse. Le spalle si rilassarono, la fronte divenne ancora più bassa, l’ombra ancora più scura.

“Germania è l’unico punto di contatto che mi è restato con Danimarca e Norvegia,” mormorò.

Russia sbarrò le palpebre, stando in silenzio.

Lituania tornò a scivolare verso lo spiraglio della porta, tese l’orecchio verso l’interno, e il braccio di Estonia unito al suo lo seguì. Lettonia sfilò il viso dal palmo di Estonia che gli teneva ancora la bocca tappata e allungò il capo verso la porticina. Stettero tutti in silenzio.

Finlandia scosse il capo. “Se diventassi un nemico di Germania, io e lui saremmo costretti a tagliare tutti i ponti che ci uniscono. Non avrei paura ad affrontare Germania se questo significherebbe semplicemente accettare le conseguenze delle mie azioni.” Finlandia abbassò gli occhi, le palpebre rimasero socchiuse. Un velo di tristezza gli appannò lo sguardo sciupato rivolto al pavimento. “L’ho già fatto, dopotutto. E alla fine ho perso.”

Russia capì, e sorrise di rimando.

Finlandia strinse i pugni. Trattenne il fiato nel petto e una spolverata di rosso tinse il pallore delle guance. Gli occhi bruciarono di determinazione, rivolti verso Russia.

“Ma non voglio rischiare di perdere per sempre Danimarca e Norvegia. Non voglio che anche loro siano costretti a separarsi come è successo con Islanda. Non voglio più...” Un breve singhiozzo fece cedere la voce dopo che ebbe pronunciato la parola ‘Islanda’. Finlandia sporse le spalle in avanti, spinse sulle punte dei piedi per avvicinarsi a Russia senza alzarsi dalla sedia, e lo guardò con occhi lucidi e imploranti. “Non voglio più vedere la mia famiglia venirmi sottratta da sotto gli occhi, senza che io possa fare nulla per impedirlo.”

Non pianse, ma i deboli fasci di luce che attraversavano le guance in verticale le rigavano come due scie di lacrime sgorgate dagli occhi lucenti e tremanti.

Il ghiaccio che cristallizzava lo sguardo di Russia si sciolse, si sbriciolò come il blocco di pietra che gli teneva imprigionato il cuore. I suoi occhi si ammorbidirono, rivolti verso quelli umidi di Finlandia.

Russia socchiuse le labbra, lasciando passare un soffio di sospiro che gli riempì il petto. Chinò la fronte, volse lo sguardo in disparte affondando il mento tra le morbide pieghe della sciarpa. “Capisco.”

Finlandia chiuse le palpebre e guardò anche lui verso il pavimento, in un angolo della stanza, chiuso nella stretta delle spalle. Russia tese un braccio verso il suo viso, gli strinse il mento avvolgendolo con la mano guantata, e gli spinse il pollice sulla guancia impallidita, costringendolo a guardarlo di nuovo negli occhi.

Lituania strinse una mano allo stipite della porta e tese lo sguardo più verso l’interno della stanza, trattenendo un sibilo in gola.

La mano di Russia serrata attorno al viso di Finlandia strinse, salda come roccia ma delicata come un soffice grumo di neve. Le guance di Finlandia si gonfiarono lievemente sotto la stretta delle dita fasciate dal guanto.

“Ma ora siamo noi la tua famiglia, Finlandia.” Quell’aria triste e malinconica tornò ad appannare lo sguardo di Russia. “Questo non ti sta bene, forse? Ti rende triste?”

Il viso di Finlandia tremò, il respiro vibrante scaldava la mano di Russia stretta al suo mento.

Finlandia voltò lo sguardo facendo sfregare la stoffa del guanto sulle guance, e finì con le labbra a sfioro delle dita di Russia. “Io sono qui perché ho perso la guerra.” Un brivido di vergogna lo fece chiudere nelle spalle. “Mentre ero assieme agli altri perché ci eravamo scelti a vicenda e anche...” Increspò le labbra, le guance divennero gonfie e rosse, gli occhi lucidi come specchi. “Anche se litigavamo, anche se ci facevamo i dispetti e qualche volta non andavamo d’accordo, noi ci volevamo bene.” Finlandia strizzò gli occhi. La pressione del suo capo voltato tenuto fermo dalla mano di Russia divenne più forte e fece tremare tutto il corpo. Una calda fiamma viva si accese nel petto, gli scaldò il cuore bruciando attraverso il flusso del sangue. “Continuiamo a volerci bene nonostante tutto, anche nei momenti più difficili da affrontare, senza smettere di sostenerci a vicenda come abbiamo sempre fatto e fronteggiando le difficoltà stando sempre uno affianco all’altro, fidandoci e incoraggiandoci a vicenda.” Finlandia tornò a sollevare la fronte. Occhi accesi e sereni si incrociarono con quelli di Russia. “Questo per me significa essere una famiglia.”

Lituania abbassò lo sguardo di colpo, cadde ai suoi piedi dove lo toccavano le ombre degli altri due. Ruotò gli occhi all’indietro, li squadrò da sopra la spalla, dietro le ciocche di capelli che fluivano sulla guancia. Estonia si voltò di scatto. Allentò la presa della mano che copriva la bocca di Lettonia e stette voltato, a spalle gobbe e ginocchia flesse. Anche Lettonia guardava basso, le mani scivolarono dal braccio di Estonia e rimasero appese solo con le punte delle dita arpionate alla manica della maglia. Occhi scuri, nascosti dalle ciocche mosse scompigliate sulla fronte. Lituania provò una fitta di dolore che si strinse al cuore come un ramo di elettricità, con sottili venature luminose aguzze come artigli, e radici che stringevano come cavi d’acciaio. Si morse il labbro, sopportò.

“Hai ragione, Finlandia.”

Al suono della voce di Russia, Lituania scosse il capo e tornò a guardare dentro la stanza.

Russia sfilò la mano dal viso di Finlandia, gli lasciò sottili macchie rosse nei punti in cui aveva fatto pressione con i polpastrelli, e gli mollò il mento. “Tu sei qui perché hai perso la guerra,” disse. Si chinò, portò il viso all’altezza di quello di Finlandia e lo guardò attraverso l’ombra che li divideva come un muro. La voce divenne fredda e buia come la notte. “E allora io, in quanto vincitore, ordino a te, perdente, di eseguire i miei ordini.”

Finlandia aggrottò le estremità delle sopracciglia, sottili pieghe gli stropicciarono la fronte e scavarono nella pelle attorno alle palpebre sciupate, accendendo la luce degli occhi. “Il fatto che io abbia perso non mi toglie la forza di volontà e la capacità di giudizio.” Guardò Russia dritto negli occhi. La sua immagine deformata e ingrossata si specchiava nel tondo lucido degli occhi viola. Finlandia fissò se stesso e raccolse un nodo bruciante di coraggio nel petto. “Solo perché io ora appartengo politicamente a te non significa che debba smettere di lottare, anche solo con il mio animo.”

Russia sollevò un sopracciglio. Il buio attorno a loro calò. “Quindi, Finlandia, decidi di disobbedirmi?”

Finlandia sospirò. “Mi dispiace.” Il nodo di fuoco si srotolò. Il petto tornò vuoto, dolorante, freddo. Finlandia abbassò gli occhi per non far vedere che avevano ripreso a gonfiarsi. “Non chiedermi questo. Non voglio perdere anche l’ultima parte di me legata a loro.” Scosse il capo. Parlò con tono più deciso. “Mi dispiace davvero tanto, ma questa volta non posso eseguire i tuoi ordini.”

Estonia si appese alla spalla di Lituania, si sporse in avanti e sgranò gli occhi. Un barlume di paura gli balenò nello sguardo, le dita che premevano sulla spalla di Lituania strinsero e tremarono.

Russia sollevò le spalle. Rasserenò lo sguardo, il buio attorno a loro si sciolse come nebbia sotto il sole, e giunse le mani dietro la schiena. “Capisco.”

Finlandia ruotò gli occhi verso l’alto, senza sollevare il capo. Un lampo di incredulità fece svanire l’espressione afflitta che gli sciupava il viso.

Lo aveva accettato così facilmente?

Russia fece un passo di lato che schioccò a contatto con le piastrelle. “Sai, Finlandia, penso di avertelo già detto, una volta, ma stimo molto il tuo coraggio.”

Lettonia passò sotto il braccio di Estonia, sbirciò da dietro il fianco di Lituania e si aggrappò all’orlo della sua giacca, tendendo il collo e l’orecchio verso l’interno della stanza.

Russia annuì e completò un altro passo, stando di fianco a Finlandia. “Lo stimavo durante la Guerra al Nord e continuo ancora a farlo.”

Finlandia lo seguiva con gli occhi. Il corpo rigido come ghiaccio, il fiato imprigionato nel petto e il sangue ghiacciato. Un animaletto sulla difensiva, messo all’angolo dalla belva feroce.

“Hai ragione, tu sei diverso dai miei cari e amati baltici.” Russia si fermò. Voltò il capo guardandolo da sopra la spalla, e le labbra si mossero piano, sfiorando il lembo della sciarpa che cadeva morbido attorno al collo. Russia sollevò le sopracciglia, tenne il mento alto in una posa solenne. “Tu dentro di te sei ancora vivo, a differenza di loro, e questo mi porta a rispettarti, da nazione a nazione.”

D’istinto, i tre baltici nascosero gli sguardi nell’ombra. Le labbra di Lettonia tremarono, le mani strinsero sulla giacca di Lituania, e un brivido lo fece scuotere fino alle punte dei capelli. Lettonia si premette un braccio sugli occhi strizzati, emise un breve singhiozzo, e si voltò, allungando un passo verso l’uscita del corridoio. La presa di Estonia lo agguantò per il colletto e lo trattenne, gli avvolse le spalle e tornò a stringerselo al petto. Lettonia si appese con entrambe le braccia, diede due strattoni e sussurrò tra i denti stretti. “Lasciami.” Occhi gonfi, rossi e lucidi guardavano il riflesso specchiato sul pavimento. Estonia scosse il capo e strinse la presa. Lo tenne vicino, incollato, come a volergli passare il dolore che batteva e si espandeva nel suo petto, facendogli salire un sapore amaro che riempiva la bocca e faceva lacrimare gli occhi.

Lituania fece scivolare una mano sul busto, dal basso verso l’alto. Le dita inarcate si fermarono sulla parte sinistra, si aggrapparono alla stoffa e strinsero. Un debole e soffice battito cardiaco pulsò sotto la presa. Lituania restrinse le sopracciglia. No. Serrò le dita. Aggrottò la fronte. Si sbaglia, io non sono ancora morto. E non permetterò nemmeno che Estonia e Lettonia muoiano tra queste mura.

Russia si voltò verso Finlandia. Le mani sempre strette dietro la schiena si mossero, si aprirono e tornarono a chiudersi come avessero spremuto una sfera invisibile.

“Ma posso ricordarti solo un piccolo particolare, Finlandia?”

Gli occhi spenti di Finlandia guardarono Russia da sotto le ciocche di capelli spettinate sulla fronte. “Qu...” Sospirò. Sollevò le spalle, mostrandosi in viso. “Quale?”

Il palmo di Russia si spalancò davanti alla sua vista. Il braccio si distese, la mano salì e si aggrappò al capo di Finlandia, serrando la presa attorno alle tempie.

I tre baltici esalarono un sospiro si spavento. Estonia si portò le mani alla bocca, tappando il gemito di paura che lo aveva fatto sbiancare.

Russia strinse le dita facendole affondare tra i capelli di Finlandia, e le giunture delle falangi scricchiolarono come se avesse spaccato un pugno di noci dentro il palmo. Gli occhi di Finlandia, ristretti e vacillanti, ruotarono verso l’alto e fissarono la mano che gli teneva bloccata la testa come una tenaglia attorno alle tempie. Schiuse le labbra, deglutì, il respiro accelerò, e il cuore salì in gola, martellando di paura.

Russia reclinò il capo di Finlandia, gli espose il collo alla luce, e avvicinò le labbra al suo orecchio. Gli angoli della bocca si tirarono verso l’alto, a uno sfioro dal lobo.

Finlandia restò paralizzato sotto le sue parole che soffiarono come vento ghiacciato, annebbiandogli la mente.

“Non ci sarà sempre Svezia a proteggerti.”

Il labbro inferiore di Finlandia cadde ancora più in basso. Le palpebre nere e sciupate dalla paura e dalla stanchezza si allargarono, snudarono il bianco dell’occhio lucido e gonfio dentro il quale tremavano le pupille ristrette come punte di spilli. Due gocce di sudore gelato scivolarono dall’attaccatura dei capelli, scesero sulla tempia, scivolarono sul collo, ed entrarono nella maglia. Finlandia deglutì a fondo, ma era come buttare giù un pugno di monetine.

Lettonia salì sulle punte dei piedi e sollevò il naso verso Lituania. Gli strattonò due volte la manica della giacca.

“Cosa gli ha detto?” sussurrò.

Lituania scosse il capo, non lo aveva capito. Gli occhi vitrei e affogati nel panico come quelli di Finlandia rimasero incollati alle labbra di Russia che sfioravano l’orecchio del poveretto.

Russia allentò la presa. Sfilò le dita dai capelli di Finlandia e raddrizzò la schiena. “Spero sia tutto chiaro, Finlandia.” Gli sorrise, si aggiustò le pieghe della sciarpa attorno al collo, lisciando i lembi di stoffa lungo le spalle, e piegò il capo di lato. “Buona giornata.” Le guance si tinsero di rosa.

Un piccolo gemito biascicato fuoriuscì dalle labbra socchiuse di Finlandia. Finlandia aprì e chiuse la bocca, cercò saliva sul palato, e scrollò la testa, facendo svanire il velo lucido di terrore dagli occhi.

Russia si voltò verso l’uscita con una piccola piroetta che fece ondeggiare i lembi della sciarpa attorno alle gambe. Allungò il primo passo, il fascio di luce proveniente dallo spiraglio fece brillare il suo sorriso.

I tre baltici scattarono via dal muro portandosi al centro del corridoio come lepri che scappano con un balzo alla vista del fucile del cacciatore. Estonia tenne lo sguardo voltato verso la stanzina, si portò una nocca tra le labbra, si rosicchiò la pelle bianca e sottile con gli incisivi, e gli occhi ripresero a vibrare di paura.

“Ecco, ora si è innervosito,” sussurrò.

Strinse il braccio al busto, lo premette sulla pancia per placare i gorgoglii di ansia che gli aggrovigliavano lo stomaco, e qualcosa frusciò sotto la presa allacciata attorno al petto. Estonia abbassò gli occhi. Aveva ancora il giornale tra i gomiti.

Sgranò lo sguardo, un rivolo di sudore scese dalla tempia e gli bagnò il collo, facendolo rabbrividire.

Il giornale bruciò, scottava a contatto con il braccio come un fascicolo di fogli ardenti, pulsanti come braci incandescenti. Le lettere stampate a caratteri cubitali si sciolsero, si riformarono e si mescolarono, rimodellandosi nella facciata principale. Il titolo prese la forma del mandato per la sua condanna a morte.

Estonia sentì il cuore sprofondare nello stomaco.

Staccò il giornale dal petto, lo fece passare da una mano all’altra come una patata bollente, si voltò a destra, a sinistra, in cerca di un posto dove nasconderlo. Si fermò di fianco a Lituania che stava ancora guardando verso la porta socchiusa. Le mani di Lettonia non si erano ancora staccate dalla manica della sua giacca. Estonia gli sfiorò la spalla, sobbalzò dalla paura. Guardò le mani di Lituania. Libere. Guardò in basso, verso il giornale bollente che teneva stretto fra le braccia, lontano dal petto come un sacco dell’immondizia fumante e circondato da mosche ronzanti. Tornò a guardare Lituania, si morse il labbro, il cuore riprese a galoppare, affogato nel panico. Estonia fece un balzo in avanti e glielo premette contro.

Lituania sobbalzò. “Wha!

Estonia si tirò indietro di un passo e scrollò le mani libere dal peso, sciogliendo i bruciori alle dita.

Lituania stinse il giornale d’istinto, per non farlo cadere, e scoccò un’occhiata sconcertata a Estonia. “Che... che fai, Estonia?” Il viso bianco come carta.

Lettonia si staccò dalla sua manica e zampettò in disparte, lontano dalla vista del giornale.

Estonia si voltò di profilo. “Io...” Si strinse le spalle in un abbraccio solitario e scosse il capo. “Io non posso dirglielo, ho troppa paura.” Strinse le tempie, strizzò gli occhi, e tornò a scuotere il capo a destra e a sinistra. “Sono un codardo, lo so. Sono solo un codardo, un grandissimo codardo, e mi sta bene!”

Lituania strinse i denti, guardò il giornale fasciato dalle sue braccia e una vena irritata gli stropicciò la fronte. Fece un passo in avanti e tornò a premere il giornale contro il petto di Estonia.

“Dovevamo farlo insieme.”

Il giornale ballonzolò tra le braccia di Estonia, si aprì di poco, e restò a coprirgli il busto. Estonia lo tenne stretto fra le braccia incrociate e guardò Lituania tenendo la fronte bassa. “E infatti siamo qui tutti e tre, no?”

Lituania aggrottò lievemente le sopracciglia. Una piega gli oscurò lo sguardo.

Estonia allontanò gli occhi sentendo un brivido di timore nascere alla base del collo. Ingobbì le spalle e allungò le braccia verso Lettonia. “Che differenza fa chi di noi glielo dà?” Gli sbatté il giornale sul petto.

Lettonia cacciò un grido come se gli avesse passato una bomba a orologeria ticchettante con il contatore a cinque secondi dallo zero. “Aaah!” Agitò le mani, raccolse le pagine che stavano scivolando verso le ginocchia, e si tolse l’angolo di una facciata che gli era finito sul viso. “Pe-perché io?” Saltò in avanti e gettò il giornale di nuovo tra le braccia di Lituania.

Lituania lo strinse allo stomaco. Abbassò gli occhi, un rapido e profondo tremore gli fece vibrare la voce. I denti strinsero. I capelli finirono davanti agli occhi.

“Perché devo sempre essere io quello che le prende?”

Stese le braccia, passò il giornale a Estonia.

Estonia fece un passettino all’indietro per ricevere il contraccolpo premuto sul petto. Tenne fermi gli occhiali alla radice del naso con due dita e abbracciò il giornale con una mano sola. Un fascio di luce attraversò le lenti. Dietro il riflesso, i suoi occhi si accesero, le sopracciglia si restrinsero leggermente.

“Perché sei tu quello che se le cerca.”

Saltò in avanti. La patata bollente tornò a Lituania.

Lituania trattenne un gemito quando sentì il peso premergli sullo stomaco. Strinse le dita sugli orli del giornale fino a stropicciarlo. Gli occhi alti e infuocati erano fissi su quelli di Estonia. “Be’, scusa se almeno io tento di dare un senso a questa gran bella situazione in cui ci troviamo.” Stese le braccia di lato e schiacciò il giornale sul petto di Lettonia.

Lettonia saltò a un centimetro da terra e glielo tornò a passare.

“E allora vai avanti tu,” piagnucolò.

“Già,” Lituania abbassò gli occhi scuri, chiusi nell’ombra, “io da solo come ho sempre fatto.”

Allungò solo un braccio in un impeto di frustrazione e lasciò il giornale tra le mani di Estonia.

Estonia si strinse il giornale al petto. “Come hai sempre voluto fare,” esclamò. Sollevò gli occhi, incrociò lo sguardo di Lituania. Stropicciò la fronte, ma una luce triste gli inumidì gli occhi. “Tu sei il primo a non volerti fidare di noi.”

Il giornale tornò aperto sul busto di Lituania.

Lituania incrociò le braccia sulle carte fruscianti. Aveva già i polpastrelli tinti di nero. “Siete voi che non avete abbastanza coraggio da riporre fiducia in me,” disse con tono leggermente più alto.

Estonia abbassò lo sguardo di scatto, seguito da Lettonia.

Lituania prese un piccolo respiro. Chinò gli occhi, fissò il giornale che stringeva tra i gomiti e una piega di dolore gli attraversò il viso, rendendolo scuro. “Continuate a lamentarvi della nostra situazione ma non fate niente per cambiare le cose.” Si tuffò verso Estonia e gli lasciò il giornale.

Estonia lo strinse forte al petto come un tesoro da custodire. Strizzò gli occhi, gettò lo sguardo a terra, e lasciò uscire un lamento sofferto.

“Lo so!”

Strinse la mandibola, prese un respiro che ristagnò nel petto bruciante, e premette le braccia contro quelle di Lituania. I piedi spinsero con le punte sul pavimento, entrambi ingobbirono le spalle per spingere il peso in avanti e strinsero i denti facendo leva sulla forza delle mani e dei polsi. Il giornale schiacciato e stropicciato tra loro due.

Lettonia fece un passetto all’indietro, gli occhi affogarono nella paura, e le ginocchia traballarono, flettendosi verso l’interno. Si schiacciò le mani sulle orecchie, intrecciando le dita alle ciocche di capelli. Scosse più volte il capo.

“Basta, vi prego,” mormorò. Le palpebre già lacrimavano.

Estonia spinse sulle punte dei piedi, andò avanti di un passo a denti stretti facendo arretrare Lituania, e forzò il peso sui palmi che tenevano premuto il giornale sulle mani dell’altro. “Lo so che ho paura,” disse Estonia, tenendo la testa bassa. La voce tremava come tutto il corpo. “Lo so che mi merito tutto quello che Russia ci fa.” Un gemito di dolore gli fece stridere la voce. “Ma accettare i fatti come stanno e imparare a conviverci è sempre meglio di fingere che un giorno potrebbero migliorare.”

Lettonia schiacciò con più forza le mani sulle orecchie e chinò il capo tra le spalle. “Basta!” Due lacrime piovvero a terra macchiando il pavimento di due dischi laghi e trasparenti.

Lituania raccolse le forze sulle braccia, schiacciò tutto il peso sulle gambe che premevano a terra, e spinse Estonia di un passo all’indietro. “Ma possiamo sperarci!”

Sollevò lo sguardo senza mollare la presa. Si vide riflesso negli occhiali di Estonia, incrociò i suoi occhi tremanti e impauriti che lo fissavano da dietro le lenti. Lituania prese un respiro, avvicinò il viso al suo e gli rivolse un’occhiata di speranza, a sopracciglia sollevate, e mostrando sguardo sincero.

“Estonia, io confido ancora nel fatto che un giorno noi tre potremo davvero andarcene di qui per sempre.”

Estonia sbarrò gli occhi. Si gonfiarono, larghi e lucidi. Un brivido gli scosse la voce, rauca come se stesse trattenendo un singhiozzo. “Come speri di andartene, Lituania?” Strinse le dita sul giornale, stropicciandolo sotto la presa, e la spinta che premeva il rotocalco sul petto di Lituania cedette. Estonia gettò il capo verso il basso. Prese un forte respiro che gli riempì il petto, affogandolo nella disperazione. “Aspettando per sempre Polonia? Sperando che un giorno possa emergere dalle sue stesse ceneri per venire a portarti via?”

Ogni suono s’interruppe.

Svanì il rumore della carta frusciante, dei singhiozzi delle scarpe che premevano sul pavimento, dei respiri affaticati e dei gemiti trattenuti fra i denti.

Gli occhi di Lituania si allargarono lentamente. Le palpebre non sbattevano, rimasero aperte, a snudare il lucido degli occhi annacquati che si faceva sempre più umido e traballante. La pressione delle mani allentò. Le dita tremarono, rimasero aperte sulla facciata del giornale e si sollevarono di poco, stando premute alla carta con uno sfioro. Lituania sollevò le sopracciglia, un barlume di luce attraversò gli occhi, tondi e lucidi come due biglie di vetro, percorse la forma ovale delle iridi e gli gonfiò le palpebre inferiori, tingendole di rosso. Il labbro si schiuse verso il basso, traballò, ma dalla bocca non uscirono lamenti o gemiti.

Quelle parole gli avevano trafitto il cuore come un dardo di piombo rovente.

Estonia gettò lo sguardo al pavimento. Si morse la bocca fino a sentire il sapore del sangue, e il rimorso salì come un’onda amara a riempirgli le guance.  

“Scusami,” mormorò.

Lettonia si tolse le mani dalle orecchie e rivolse un’occhiata preoccupata a Lituania. Il piccolo aveva ancora gli occhi rossi e gonfi di pianto.

Lituania ritirò il labbro inferiore e voltò il capo di profilo, nascondendo la luce degli occhi dietro i capelli che erano fluiti davanti alle orecchie. Il suo viso celato nell’ombra si contrasse. Un profondo brivido di dolore attraversò le braccia trasmettendosi al giornale e alle mani di Estonia.

Estonia sospirò e tenne la fronte bassa. L’espressione mortificata e ingrigita rivolta al pavimento in mezzo ai piedi. “Ti prego, scusami, non volevo...”

Una mano guantata calò tra i loro visi e arpionò l’estremità superiore del giornale.

“Oh, il giornale!” trillò la voce di Russia.

Il braccio guizzò verso l’alto strappando i fogli dalle mani di Estonia e Lituania.

I tre baltici si voltarono di scatto, tesero le mani verso Russia e spalancarono gli occhi che si riempirono di panico e ansia. Sbiancarono come maschere di cera. Il loro urlo di terrore rimbalzò tra le pareti del corridoio.

Nooo!

Russia sorrise a tutti e tre. Piegò il giornale in due, lisciò i bordi, pareggiò i fogli, e gli diede una scrollata infilando i pollici tra le due estremità che si toccavano.

“Grazie per avermelo portato, volevo proprio leggerlo.”

Estonia e Lettonia corsero dietro le spalle di Lituania, si aggrapparono a lui e tremarono, tenendosi stretti e al riparo. Lituania divaricò leggermente le braccia per tenerli più uniti dietro di lui, completamente nascosti dalla sua schiena.

Russia passò loro davanti e percorse il corridoio verso l’uscita, lasciandosi dietro la porticina socchiusa. Finlandia non era ancora uscito.

Lituania seguì la camminata di Russia con occhi tremanti.

Russia voltò una pagina, la carta di giornale scricchiolò sotto il suo tocco, e Lituania sentì il cuore arrestarsi. Deglutì a fondo un groppo di saliva amara e restò con il fiato sospeso. Le ginocchia ballonzolanti, le braccia aperte e le mani premute sui fianchi di Lettonia ed Estonia. I loro corpi tremavano come foglie.

Estonia strinse le mani sulla giacca di Lituania e chinò la fronte. Gli sfiorò la spalla, parlandogli con voce rotta vicino all’orecchio. “Perdonami, non volevo dire quelle cose.”

Lituania scosse il capo. “Nemmeno io.”

Russia girò un’altra pagina. Un altro tuffo al cuore e un’altra stretta allo stomaco.

Lituania trattenne un gemito di paura e abbassò gli occhi al pavimento. “Scusami, so che siete spaventati, e avete tutto il diritto di esserlo.” Ruotò lo sguardo dietro di sé, incrociò quello di Estonia. “Mi dispiace.”

Lettonia si fece piccolo chiudendosi come un riccio dietro la schiena di Lituania e si tenne aggrappato con le manine alla sua spalla. Gli toccò la scapola con la fronte. “Anche a me dispiace,” pigolò.

Lituania storse gli angoli delle labbra leggermente verso l’alto piegando un sorriso amaro toccato dai fili di capelli in disordine, e stropicciò le sopracciglia. “Siamo dei...”

Russia voltò un’altra pagina.

Il suono della carta sfogliata arrivò come il fischio di una lama che viene estratta dal fodero della spada.

Lituania abbassò lo sguardo e scosse il capo. I capelli danzarono sulle guance. “Dei poveri disperati.”

Gli altri due lo imitarono, annuirono chinando gli occhi al pavimento. Estonia seguì il riflesso di Russia che camminava verso l’uscita del corridoio, e fece scattare lo sguardo verso l’alto. Spinse Lituania in avanti di due passetti e gli sussurrò all’orecchio.

“Che facciamo quando Russia se ne accorge?”

Lituania socchiuse la bocca, impastò le parole tra la lingua e il palato, facendo vibrare le labbra. “I-io...”

Altra pagina.

Frush!

Lituania trattenne un gemito strozzato in gola che gli bloccò il respiro come un boccone andato di traverso. Separò le labbra, aprì e chiuse la bocca tre volte facendo battere i denti tremanti, e inspirò forte dal naso, gonfiandosi il petto. Allungò un passo in avanti e le mani di Estonia e di Lettonia si staccarono dalla sua giacca.

“Signor Russia.”

Russia si fermò senza voltarsi. Il capo leggermente chino verso i fogli di giornale aperti davanti a lui.

Lituania strinse i pugni sui fianchi, inspirò un’altra volta per calmare il fiato e la voce, e gli andò vicino di altri tre passi a spalle dritte.

“Signor Russia, c’è una cosa che credo lei debba sapere prima che...”

Russia non si era ancora mosso. Il corpo immobile e rigido come quello di una statua di pietra, le dita contratte attorno ai fogli di giornale e lo sguardo chino.

Lituania completò il passo, la suola della scarpa schioccò sul pavimento, e calò il silenzio. Non lo sentiva nemmeno respirare.

Lituania sollevò un sopracciglio. “S... Signore.” Sollevò la punta di un piede e avanzò di un passo felpato in avanti. Chinò le spalle, si tenne a distanza, un brivido di paura gli percorse la schiena fino alla base del collo. “Va tutto...”

Le dita che si serrarono di colpo attorno alle estremità dei fogli di giornale produssero il suono di due veli di carta stagnola che vengono appallottolati tra due palmi. La carta scricchiolò, le braccia di Russia tremarono.

Si voltò e la sua ombra si allargò, si estese su tutto il corridoio e investì i tre baltici come una fredda e nera coperta di buio. Lituania arretrò, Estonia e Lettonia si strinsero, facendosi più piccoli nell’abbraccio.

Russia aprì il giornale davanti al petto, le dita ancora contratte creavano delle zone d’ombra infossate tra le pieghe della carta che oscuravano le lettere stampate sulle due facciate. Russia era nero in volto. Nella maschera d’ombra erano visibili solo le due fiamme viola che bruciavano tra le orbite ristrette e contratte dalla piega furiosa delle sopracciglia.

“Che cosa significa questo?”

In basso a sinistra della seconda facciata, la luce laterale del corridoio fece splendere il titolo dell’articolo.

 

I regni di Germania, Italia e Giappone si uniscono nel Patto Tripartito.’

 

.

 

Le braci del caminetto si spalancarono come fauci, ruggirono e si chiusero attorno al giornale appallottolato rotolato fra i carboni incandescenti. Le lingue di fuoco si chiusero a spirale attorno al bozzolo di carta, ne divorarono i bordi che si squagliarono in un grumo di cenere bianca, e infiammarono la palla, facendo salire le punte verso la cappa del camino.

Russia ritirò il braccio che aveva lanciato la palla di giornale dentro la grata del caminetto, e si voltò di scatto, annodando le braccia al petto. Si allontanò dal calore delle fiamme, ancora scuro in viso, e si chiuse nelle spalle, stretto solo dall’abbraccio della sciarpa che nascondeva la piega irritata delle labbra.

Lituania si staccò dal gruppetto dei baltici, nascosti nell’ombra dell’angolino della camera, e prese un respiro per darsi coraggio. Le braccia stese lungo i fianchi, i pugni stretti e fermi.

“Signore,” fece un passo avanti, “la prego, sono sicuro che ci sia una spiegazione più che valida a –”

“Sì, Li...” Estonia uscì dall’ombra, ingobbì le spalle e si mise di fianco a Lituania. “Lituania ha ragione, signore.”

Lituania voltò lo sguardo verso di lui e sollevò le sopracciglia. Estonia gli rivolse un timido sorriso di incoraggiamento, stando a fronte bassa. Lituania ricambiò, sentendo per la prima volta una vera fiammella di piacevole calore intiepidirgli il petto che si era irrigidito nel gelo del suo cuore.

Estonia chiuse un pugno davanti alle labbra e tossicchiò. “Forse...” Raddrizzò le spalle e giunse le mani dietro la schiena. “Forse il signor Germania ha formato questa alleanza con la prospettiva che questa azione politica lo porti a...”

Russia arricciò la punta del naso. Dalle labbra sfiorate dal lembo della sciarpa uscì un rantolio acido di rabbia. “Alleanza.” Russia chinò la fronte e tremò ancora. Il corpo scosso come da una pioggia di brividi di freddo.

Estonia e Lituania si guardarono. Un lampo di timore annebbiò lo sguardo di entrambi. Lettonia zampettò vicino a Estonia e si tenne nascosto dietro la sua schiena.

Russia sciolse l’intreccio di braccia dal petto, gettò i pugni sui fianchi e si rivolse ai tre baltici. “Cosa significa ‘Tripartito’?” urlò. Il riflesso delle fiamme del caminetto venne ingoiato dai suoi occhi furenti di rabbia. Russia pestò un passo avanti facendo arretrare gli altri tre. “Che ruolo ha l’Unione Sovietica in tutto questo?”

Una vampata di fuoco più intensa si elevò verso l’alto dall’interno del caminetto, infiammò la parete di un colorito rossastro e stese l’ombra nera di Russia fino al soffitto. Le braci brucianti si specchiarono nei suoi occhi gonfi di rabbia.

Lituania abbassò d’istinto lo sguardo come un cane che mette la coda tra le gambe. Tremò e si spinse di lato, schiacciandosi contro la spalla di Estonia. Il cuore prese a martellargli in gola. Lituania deglutì e ruotò gli occhi verso l’alto senza sollevare il viso.

Era da mesi che non lo vedevo così infuriato. Nemmeno per la faccenda di Romania ha piantato una simile sceneggiata.

Russia pestò la camminata attraverso la stanza, si tolse dal calore delle fiamme ardenti che gli tingevano il viso e gli occhi di rosso, e si mise di fianco alla finestra, seguito dalla sua ombra. Il suo riflesso si stese lungo il vetro, arrivando alla cima della cornice di legno. Russia guardò fuori e gli occhi vacillarono, cerchiati da orbite scure e profonde infossate nella pelle che si era fatta più pallida. Sollevò le mani, aprì i palmi, li guardò. Tremavano. Una sfumatura triste gli raffreddò i bollori che fiammeggiavano nelle pupille, passò come uno sbuffo di vento sopra un incendio. Russia si prese il capo tra i palmi e chinò la fronte. Le dita gli strinsero le guance, coprirono gli occhi, e affondarono tra i capelli. Rimase immobile, rigido come una statua di ghiaccio.

Lituania lasciò uscire un sospiro liberatorio dalle labbra. Allungò la punta di un piede e fece un piccolo passo avanti, togliendosi dalla spalla di Estonia.

“Signor Russia. Desidera...” Avanzò di due passi più lenti, soffici, e cauti, come se si stesse approcciando a un animale selvatico che ringhia e rizza il pelo tra le radici di un albero del bosco. “Desidera che contatti il signor Germania per farlo venire qui e così potreste...” Il piede scivolò di poco più avanti e Lituania si fermò. “Potreste parlarne faccia a faccia.”

Le dita di Russia premute sul viso tremarono, le prime falangi si inarcarono arpionando i ciuffi di capelli, le nocche sbiancarono, e un brivido gli percorse il corpo scuotendolo come nel mezzo di una bufera siderale.

Il labbro inferiore tremò. Russia lo addentò facendolo diventare bianco, e sibilò a denti stretti. “Perché...” La bocca si muoveva tra gli spazi delle dita divaricate sul viso. “Perché Germania si sta allontanando così tanto?” Le dita si separarono leggermente, scoprirono la luce degli occhi in fiamme che riprese a danzare tra le orbite infossate. “Cosa lo spinge a disfarsi di me?” La voce era come strozzata da un groppo di pianto.

Lituania prese un piccolo respiro e allargò le spalle. “Signore, sono sicuro che il signor Germania non si stia liberando di lei. Il Patto Tripartito potrebbe non avere niente a che fare con quello che –”

“Perché...” Russia staccò le mani dal viso. Le pieghe di rabbia si erano sciolte, lasciarono le guance tinte di rosso come i bordi delle palpebre che si erano gonfiate sotto il peso dei grappoli di lacrime. Russia tenne le dita divaricate davanti alla faccia, si guardò di nuovo i palmi traballanti, e la voce tremò, scossa dal pianto. Due rivoli di lacrime si sciolsero dagli occhi lucidi e gonfi, rigarono le guance, e gocciolarono dal mento, raccogliendosi sulle mani aperte. “Perché alla fine mi abbandonano sempre tutti?”

Lituania si irrigidì nel vederlo piangere. Una scossa di terrore gli strinse il cuore facendolo sprofondare nello stomaco.

Quando liberò il fiato che aveva trattenuto, una nuvoletta di condensa bianca si gonfiò davanti alle labbra, squagliandosi come uno sbuffo di nebbia. Brividi di freddo lo assalirono come l’impeto di un acquazzone che martellava sulla schiena. Lituania si strinse le spalle e sfregò le braccia, frizionando la pelle per riscaldarla. Tremò ancora, batté i denti, e altre nuvole di condensa galleggiarono come fumo fuori dalla bocca.

Lituania voltò lo sguardo, scoccò un’occhiata a Estonia e Lettonia da sopra la spalla. Entrambi fumavano fiati gelidi che creavano una barriera bianca tra di loro. Lettonia si strofinò le spalle, tirò su col naso e si aggrappò al braccio di Estonia, facendosi più piccolo contro il suo fianco, per tenersi al caldo. Tremavano di freddo tutti e due. Lituania incrociò gli occhi di Estonia dietro le lenti appannate dal ghiaccio e gli indicò Russia con accenno del capo.

Aiutami, gli disse il suo sguardo implorante.

Estonia sollevò i palmi al cielo, soffiò un’altra nuvoletta di fiato gelido, e scosse il capo. Non so che fare.

“Nessuno.”

La voce tremante di Russia fece di nuovo voltare Lituania.

Russia tornò a premersi le mani sul viso e il pianto sgorgò tra le dita tremanti e contratte che reggevano il capo piegato in avanti.

Russia tremò. I grossi rivoli di pianto scivolarono fino alle labbra, bagnandogliele. “Nessuno vuole mai restare.”

Lituania sentì una fitta di compassione schiacciargli il petto.

Russia scosse il capo. “Alla prima occasione scappano tutti e io torno di nuovo da solo.”

Qualcosa scricchiolò, come briciole di cristallo frantumate dalla suola di una scarpa. Lituania sollevò il capo di scatto seguito dalla nuvoletta di fiato che tracciò una scia bianca attorno al suo viso, e fissò il punto della finestra dietro Russia, dal quale si era espanso lo scricchiolio.

Sottili artigli di ghiaccio risalirono l’angolo della finestra, si espansero come radici azzurre e si arrampicarono lungo il vetro, rendendolo una lastra incrostata di ghiaccio e neve spinti dal vento fischiante.

Lituania tornò a sfregarsi le spalle, circondato dal freddo che lo avvolgeva in una spirale di aria gelata. Il viso e le dita cominciarono ad arrossarsi e a intorpidirsi, i denti battevano lasciando uscire il fiato a fiotti come una locomotiva a vapore.

Il viso di Russia nascosto dalle mani divaricate si contrasse in una piega di sofferenza e rabbia che fece scendere altre lacrime attraverso le dita e che finirono tra le labbra storte in un ghigno di frustrazione.

Il vento sbatté sulla finestra. Ululò, e le imposte scricchiolarono assieme al vetro.

La macchia di ghiaccio si espanse come un alone, i cristalli si formarono fitti come ricami e raggiunsero la prima metà della finestra, rendendola uno strato denso e crostoso che assorbiva e raccoglieva le ventate di neve trasportate dai vortici d’aria, inspessendosi.

Russia strinse i pugni. Il vento aumentò, gridò come un lupo nella notte.

“Perché devo sempre ritrovarmi da solo?”

Gli occhi stravolti di Lituania passarono dalla bufera allo sguardo di Russia.

Gli strati di ghiaccio sulla finestra andavano tutti a raccogliersi attorno alla sua figura, come richiamati da un magnete.

“Noi...” Azzardò un passo in avanti. “Noi ci siamo ancora, signore. Siamo...” Tornò a guardare fuori, attraverso il vento incrostato di ghiaccio, e raccolse un sospiro di coraggio nel petto. L’aria era gelida, gli bruciava la gola e gli pesava sullo sterno. “Siamo qua con lei, vede?” Una delle mani stese sui fianchi si contrasse, le dita si piegarono due volte verso il palmo e richiamarono Estonia e Lettonia.

I due baltici zampettarono dietro la spalla di Lituania e guardarono Russia nascosti dal suo fianco. Annuirono entrambi, forzando un sorrisetto nervoso.

Russia sollevò lentamente il viso dalle mani lucide di lacrime. Due rivoli di pianto scesero sulle guance arrossate, schiarirono gli occhi gonfi e lucidi. Le labbra vibrarono. Lo sguardo triste e malinconico di Russia si posò sui tre.

“Voi non avete intenzione di abbandonarmi?”

Lituania sentì di nuovo la fitta al petto stringerli il cuore. Ingollò un groppo di saliva. “N-no.” Non seppe nemmeno lui se quella fosse una completa bugia. Scosse il capo. “Nossignore.” Mosse la mano dietro la schiena, afferrò un lembo della manica di Estonia e fece un passo in avanti portandoselo dietro assieme a Lettonia. “E faremo di tutto per aiutarla a risolvere questo problema con Germania.”

Gli occhi di Russia brillarono, ancora lucidi e gonfi di lacrime, come quelli di un bambino. “Sul serio?”

Lituania, Estonia e Lettonia si scambiarono occhiate storte e tremolanti.

Lituania stese un sorriso vibrante e forzato, si rivolse nuovamente a Russia.

“Certamente, signore.”

Russia abbassò gli occhi che smisero di lacrimare.

Il vento fuori dalla finestra si acquietò, il ghiaccio smise di crescere come una macchia di muschio e i cristalli ai bordi della chiazza si sciolsero, lacrimando lungo il vetro.

Russia si sfregò il braccio sugli occhi e singhiozzò. Camminò verso il centro della stanza ed Estonia e Lettonia si aggrapparono d’istinto a Lituania, tenendosi al riparo dietro le sue spalle.

Russia stese le braccia – Estonia e Lettonia si arricciarono, Lituania trattenne il fiato e irrigidì – e li strinse a sé abbracciandoli tutti e tre.

La piega di uno dei gomiti raccolse il petto di Lettonia, strinse, si sollevò, e gli schiacciò la gola, tirandolo più vicino. Lettonia divenne blu in viso, prese a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, e si aggrappò al vuoto con una mano. “Non respiro,” sussurrò con un filo di voce. La stretta dell’altro gomito raccolse Estonia, schiacciandolo contro il fianco di Lituania. Estonia fece traballare il sorrisetto e finì con il naso schiacciato contro la spalla di Russia. “Oh, cielo,” mormorò contro la stoffa della sciarpa. Russia abbassò il capo, poggiò la fronte sulla spalla di Lituania che teneva il capo poggiato direttamente sul suo petto. Lituania sentì il suo respiro lento e caldo soffiargli sul collo. Il profumo della sua sciarpa a riempirgli il naso.

“Non abbandonatemi mai.” Russia strinse la presa, sollevò Lettonia da terra. La sua voce tremava ancora, scossa dal pianto. “Almeno voi tre...” Sfregò il viso contro la guancia di Lituania. “Promettetemi che non mi lascerete mai da solo.”

Lituania abbassò la fronte. “N-nossignore.” Scosse il capo sfregandolo contro quello di Russia. “Non potremmo mai farlo.”

Estonia gli lanciò un’occhiata sconvolta. Lituania sospirò e gli rivolse uno sguardo impietosito mentre le braccia di Russia li tenevano tutti e tre incollati a lui.

Lituania ricominciò a credere sul serio alle parole che prima gli avevano trafitto il cuore.

Non se ne sarebbero mai andati da lì.

 

.

 

Diari di Lituania

 

La verità è che mi faceva pena.

So che io dovrei essere l’ultimo a poter provare compassione o pietà nei confronti di Russia, ma c’erano certi momenti in cui non riuscivo a farne a meno. La paura nei suoi confronti rimaneva, comunque. Io ero terrorizzato da lui, esattamente come Estonia e Lettonia, e so anche quanto Russia fosse la più grande paura di tante altre nazioni. Tuttavia, a forza di conviverci, di stargli affianco, anche forzatamente, ho inevitabilmente imparato a conoscere e a distinguere le due facce della medaglia. Io stesso avevo definito me, Estonia e Lettonia come dei disperati. Forse in parte lo eravamo davvero, ma mai quanto lo era Russia.

Durante quel periodo, nonostante mi sforzassi di trovare una speranza a cui aggrapparmi, non riuscivo a trovare una via d’uscita né per me né per i miei compagni. Poi ci riuscii, è vero, ed è incredibile perché ce l’ho fatta solo grazie a Russia stesso. Il punto è questo: noi tre avevamo davvero una speranza, anche se era difficile crederci e anche se non riuscivamo a vederla. Russia no. Russia si trovava davvero in un vicolo cieco. Era una nazione tanto potente quanto odiata, e questo lato di lui non se ne sarebbe mai andato. Non se n’è mai andato, perché fa parte della sua natura. Si è visto tradire, abbandonare, maltrattare così tante volte e, nonostante questo, non riesce ancora ad accettare e a sopportare il dolore che gli viene inflitto ogni volta.

Capii una cosa importante di lui, credo. Nessuno, tranne le sue sorelle, riuscirà mai ad accettare e ad amare Russia per quello che è.

Mi ricordo bene di come i miei compagni, soprattutto Estonia, fossero scettici nel vedermi così attaccato a lui nonostante tutto quello che avevo subito dalle sue mani. Non so se la mia fosse solo compassione o spontanea solidarietà, ma una cosa è certa: non ho mai avuto così tanta paura di Russia se non in quel momento, quando lo vidi piangere in quel modo davanti ai miei occhi. In un solo singolo istante, ho visto Russia catapultato esattamente sul nostro stesso piano: debole, fragile e vulnerabile. Questo non doveva succedere, non davanti ai miei occhi. Mi spaventava a morte, perché Russia era sempre stato la nostra colonna portante. Se tutto il blocco dell’Unione Sovietica riusciva a reggersi in piedi era solo perché guidato e sostenuto dalla sua forza, dalla sua integrità. Se Russia fosse caduto, tutti noi saremmo caduti assieme a lui. Ed io non potevo permettere che succedesse una cosa del genere, ecco perché mi impegnavo così tanto nello stargli affianco e nel sostenerlo. Ed è proprio quando mi ritrovai a stargli vicino in quella maniera che mi resi conto di quanto fragile in realtà fosse il suo animo, a dispetto delle apparenze. Il suo cuore è davvero come ghiaccio: freddo, infrangibile, difficile da sciogliere, e che ti tiene dolorosamente incollato non appena lo tocchi.

Una volta compreso questo, per me si rivelò molto più difficile riuscire a odiare Russia. Forse io non l’ho mai davvero odiato, in realtà. La paura nei suoi confronti era così forte da mascherare qualsiasi altro sentimento. Se avessi sul serio odiato Russia, probabilmente l’avversione sarebbe riuscita a infondermi il coraggio e la forza di ribellarmi, di affrontarlo, ma non è mai accaduto.

Arrivai a un punto in cui io stesso non sapevo riconoscere i miei sentimenti nei suoi riguardi. Il terrore rimase, ma si unì alla compassione.

Iniziai a credere che la possessione nei nostri confronti fosse realmente un suo bisogno fisico e non un semplice capriccio. Se noi baltici lo avessimo abbandonato, gli avremmo solo fatto del male. A modo suo, Russia ci voleva davvero bene, credo. A modo molto suo.

A quel punto iniziai a chiedermi quanto io fossi disposto a far del male a qualcun altro pur di ottenere la mia libertà. E la risposta non era né facile né scontata. Tutt’oggi, ogni tanto, continuo a chiedermi se ho compiuto la scelta giusta a riguardo.

Dopo quell’episodio del Quaranta, comunque, iniziai lentamente ad accorgermi quanto sia Russia sia i miei compagni avessero bisogno di me.

Estonia e Lettonia avevano bisogno di me per riuscire ad andare avanti, a non abbattersi, a non arrendersi nella nostra lotta solitaria; e Russia aveva bisogno di me per non crollare come un castello di carte. Tutti. Tutti reclamavano il mio aiuto perché, a detta loro, necessitavano del mio sostegno. Nessuno, però, si era mai fermato per chiedersi o per chiedermi di cosa avessi bisogno io. Suppongo sarebbe stato inutile, comunque.

Dopotutto, l’unica cosa di cui avevo realmente bisogno era sepolta per sempre sotto un cumulo di cenere.

   
 
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