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Autore: Evola Who    23/11/2015    2 recensioni
Un caso di omicidio, un insegniate trovato morto nel suo quartiere. Lestrade pensa una aggressione ma Sherlock capisce subito che non è cosi. E manca qualcosa in questo caso, non una prova. Ma una testimone...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Eva lo fisò con aria incuriosita chiedendo con tono di sfida: “AH si? E se lei è tanto bravo con le deduzioni, perché non mi dica qualcos’altro su di me?”

Sherlock la fisò ma John disse subito:”Hem… Sherlock, non mi sembra il caso, né il momento e non credo che sia anche opportuno…. Abbiamo lasciato una scena nel crimine e abbiamo nascosto a Lestrade il fatto che…”


“Okay” ripose lui a Eva.

“Oh cristo…” disse John fra se a se rassegnato.

Sherlock si alzò dalla sua poltrona e camminò avanti e indietro, davanti a lei dicendo: 

“Non hai né trucco, né smalti, né gioielli. Quindi non ti curi nel tuo aspetto ma non ti importa. Non segui neanche la moda, visto dai tuoi blu jeans non aderenti e con lo svoltino dentro. Probabilmente ti stavano troppo lunghi, cosi hai deciso di accorciarli facendo lo svoltino dentro ai pantaloni, in modo che sembrino veramente lunghi cosi.”

Eva si guardò i Jaens e lui continuò: 

“Non solo, hai indosso una felpa che ti sta anche un po’ larga. Probabilmente è di un fratello maggiore che ormai non gli va più. Dalla tua tracolla sei appassionata di musica, ma quella dei anni 60/70, e I Beatles sono il tuo gruppo preferito. Perché nessuno comprerebbe quella borsa senza conoscere il gruppo e sai quello che sono successi in quei anni grazie alla musica. Ti piace anche scrivere e disegnare e non l’ho capito solo dai tuoi fogli dentro alla tracola, ma anche dalla tua mano destra.”

Eva si fisò la mano e Sherlock continuò:

 “Il dito medio ha un callo, segno che tieni molto la penna, le dita sono macchiate di inchiostro nero. Quindi in questo periodo stai più scrivendo che disegnando. Ti piace anche leggere ma probabilmente solo fumetti, biografie musicali e romanzi rosa. Pensi di non essere pronta per lettura impegnativa. Ma sei anche una teledipendente dalla fossa dei occhi, e poi cosa può fare una bambina che non riesce al leggere oltre a giocare è guardare la tv.”

Eva lo guardò di nuovo a bocca aperta.

“Sei fiera di quello che sei. Sei più matura dei tuoi coetanei per quello che hai dovuto passare e anche per le tue passioni, ma ti senti insicura quando ti paragoni con le altre persone. Perché fin da piccola ti hanno sempre preso presa in giro e per questo non riesci a socializzare e non hai amicizie stabili. Ma ti piace stare con gli adulti, perché fin da piccola hai avuto a che fare più con loro sempre per il tuo problema. Dei ragazzi della tua età ma non ti importa, anzi sei felice nella tua situazione.”

Poi si fermò davanti a lei e disse:

“Sei un ragazzina che vive del suo mondo, con la sua intelligenza, sei sempre stata presa di mira fin da piccola, ma l’hai affrontato e ora voi andare avanti, hai affrontato la tua dislessia, non ti interessa la moda e quello che pensano le persone su di te, e voi andare avanti con la tua vita, con le tue passioni e interessi. Ma sei una persona emotiva, sensibile, fragile e permalosa. Ti senti sola perché non hai nessuno con cui condividere i tuoi interessi ma riesci a conviverci.  E ora in questo momento vorresti dire quello che hai visto ma non voi parare perché hai paura, su una questione che riguarda solo a te.” finì Sherlock e si sedette sula sua poltrona.

Eva lo guardò con aria sorpresa, John anche ma era anche un po’ preoccupato della sua reazione.

“Si! Ha ragione. In poche parole sono un asociale, appassionata di musica, che scrive e legge storie e che vive nel suo mondo imaginario perché sa che quello reale non è bello e cosi nella sua mente si sente più a sicuro. Si e dimenticavo di dire che sono andata in depressioni per quasi tutti gli anni delle medie e dove facevo avanti e indietro fra casa e la psicologa e in più prendevo un sacco di medicinali. Avrebbe detto tutta la mia vita in breve.” E fece una piccola risata nervosa e guardò in basso.

“E… si, ha ragione su tutto. Ma sa cosa ho scoperto sulle lingue? Che se ne sai due potresti essere dislessico in un una. Bene. io sono dislessica della mia lingua madre e analfabeta in quella Inglese. È come dire più il danno che la beffa.” E fece un'altra risata nervosa e rimasero in silenzio.

John ruppe il silenzio dicendo: “Okay, visto che conosci già la vittima… dicci di come vi siete conosciuti, che rapporto avevate e il perché eri ferma sotto a casa sua.”

Eva lo fisò, sospirò e poi raccontò:

“Antonio era il mio insegnante di sostegno in prima media e faceva anche l’insegnante di tecnica in tutte tre le classi…”

Lo aveva avuto per un anno ma restò in quella scuola a insegnare tecnica finché Eva non era andata al liceo.

Dopo le medie si frequentarono molto come amici, avevano in comune un sacco di cose: la musica, i fumetti, il disegno e le serie animati.
Lavorava in tre scuole diverse.

“Poi un giorno su Intenet ha letto che si poteva diventare educatore in una scuola privata Inglese. Cosi ha chiamato, ha chiesto informazioni, ha fatto il test e mentre io finivo il secondo anno di liceo, lui si trasferì a Londra. Ma ci sentivamo spesso in video chart.” Fini Eva.

“In che senso educatore?” chiese John perplesso.

“L’educatore in una scuola non è un insegnante di sostegno che ti da il programma scolastico diverso per i ragazzi con qualche difficoltà. L’educatore aiuta i ragazzi a mandare avanti il programma stabilito dagli insegnati e dove lo partecipa delle attività extra scolastiche e per aiutare a socializzare con gli altri studenti. Ecco, Antonio era educatore di tre ragazzi in tre classi diverse. Due ragazze e un ragazzo: una ragazza sorda, una con la sindrome di down e un ragazzo che soffre di un lieve sindrome di autismo. Lui adorava quei ragazzi, me ne parlava sempre con gioia…” spiegò Eva con un tono un po’ nostalgico.

“E Antonio ti ha chiesto di andare qui a Londra con lui?” chiese Sherlock ma che probabilmente sapeva già la riposta.

“Si, prima che la scuola finisse mi ha chiesto se potevo venire a Londra con lui per tutta l’estate. Mi ha detto che lavorava in un campo estivo per un mese e potevo vedere tutti i posti Beatlesiani di Londra e di Liverpool.” E fece un piccolo sorriso.

“Io non chi ho pensato due volte e gli ho detto di si. Ma però i miei sono molto protettivi ma Antonio li ha conviti e così ero potevo per andarci! E… oggi ho preso l’aereo per venire fin qui…” guardò in basso

John era dispiaciuto per Eva, per Antonio e per la situazione che stava affondando.

Sherlock la stava fissando ma non mostrava un minimo di emozione nel suo sguardo e i nei suoi occhi.

“E che è successo?” chiese John.

Eva fissò il suo volto per un po’ prima di rispondere, ma parlò con una voce calma:

“Beh… ecco, avrei dovuto prendere l’aereo delle 8:00 per Londra, cosi per essere li per le nove ma c’è stato un ritardo nel volo cosi io e mio padre (che mi ha accompagnato fino all’ aeroporto e aspettato l’aereo con me) abbiamo aspettato quello delle 9:20 e potevo essere li per le 10:15” spiegò e continuò:

“Volevo chiamarlo per avvertirlo del ritardo, ma non rispondeva, cosi gli ho inviato un messaggio sperando che lo leggesse. Mi sono imbarcata sull’aereo e sono partita. Quando sono arrivata volevo chiamarlo ma non c’era segnale, cosi sono uscita dall’ aeroporto e dovevo chiamare un taxi per andare subito da lui ma… in quel momento mi sono persa nella città, cosi controllavo la mappa nel mio cellulare e mi sono fatta un giro per una mezzora. Poi ho pensato di prendere un autobus, perché ho sempre sognato di salire in quegli autobus a due pani rossi, ho chiesto in giro se cera una fermata in quella zona. Cosi ho preso l’autobus, mi sono fermata alla mia destinazione e sono andata a piedi.” Finì Eva.

“E poi? Che cosa è successo?” chiese John con tono calmo.

Lei sopirò e raccontò: “Quando sono arrivata in quel vicolo, in lontananza ho visto prima un uomo che era di spalle e Busi che discuteva con lui con aria preoccupata e spaventata…”

“Hai sentito quello che dicevano?” chiese Sherlock.

Fece un cenno con la testa dicendo: “No, non avevo sentito, però da quello che ho capito sembrava una discussione seria e.. preoccupante.”

“E cosa hai fatto?” chiese John.
 
“Mi sono nascosta in quel vicolo, perché non volevo discutere e non volevo andare li a interromperli. Cosi mi sono nascosta e ho aspettato che finissero di parlare, poi…” disse Eva con un nodo in gola.

“Su, calmati, non preoccuparti, predi tempo.” Disse John con tono dolce.

Ma Sherlock la guardò dicendo: “E poi?”

“Ha… preso un coltello della tasca dei Jens e lo ha  trafitto ad una spalla”  rispose lei con le lacrime agli occhi e con una voce singhiozzante e continuò:

“Ma io mi sono subito girata con gli occhi chiusi. Non volevo vedere, ma sentivo i colpi del coltello e dei piccolo urli. Quando non ho sentito più nulla ho aperto gli occhi ho visto il tizio che correva via. Ovviamente l’ho visto solo da dietro.”

“E… lo sapresti descrivere?” chiese John.

“Si, aveva un giubbotto di pelle nera, dei pantaloni militati, delle vecchie scarpe da ginnastica nere, dei guanti da barbone color rosso, un berretto di lana nero e una cicatrice rossa sul collo.” Cercò Eva di ricordare.

“E poi? Che cosa hai fatto quando l’assassino è scappato via?” disse Sherlock.

Lei sospirò e con voce quasi rotta nel pianto raccontò:

“Volevo girami per vedere la situazione ma… non ci riuscivo. Non riuscivo a girami ma ho preso coraggio e… l’ho visto. Antonio sdraiato per terra immobile in messo alla strada l, io ero…. Impietrita. Non riuscivo più a respirare e a muovermi. Dopo sono andata da lui sperando che fosse ancora vivo e che stava lottando tra la vita e la morte; cosi mi sono inginocchiata di fronte a lui, prima controllando il battito cardiaco sul polso e poi sul colo ma… niente!”

Eva scoppiò a piangere dicendo: “Era morto! E io non volevo crederci!” e continuò a piangere.

Sherlock rimase fermo a fissarla senza nessuna espressione.
John invece era molto dispiaciuto per Eva.

Si alzò dalla sua poltrona, prese un fazzoletto, si inginocchiò vicino a lei, e disse mettendole una mano sulla spalla:

“Ascolta.. so che stai provando, è davvero una sensazione molto dura e dolorosa, affrontare una perdita nel genere tardandosi di un amico. Soprattutto assassinato in quel modo, ma… ti promettiamo che sia io che Sherlock troveremo l’assassino e ti giuro che non la passerà liscia.”

Eva lo guardò e chiese: “Da… davvero?” e si tirò su il naso.

“Certo. E… so che sarà molto difficile per te ma.. pian, piano riuscirai ad affrontare questa situazione. Certo, all’ inizio sembra quasi impossibile ma… so che con il tempo che la farai.” E fece un piccolo sorriso.

Eva lo ricambiò dicendo: “Grazie e.. spero di farcela.”

“So che la farai.” Rispose lui.

E si sorrisero.

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Note della autrice:

Salve! Si lo so che sono un pò
iritardo ma... è in corso di coreggere
qundi chi vorà un pò a completare la storia.
Ma spero che vi sia piacuta e che John sia
stato dolce e che sia piacuto.
Fatte le vostre recesioni e ditemi che
cosa ne pensate!
Ciao!
Evola

   
 
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