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Autore: kateausten    24/11/2015    3 recensioni
Castiel sapeva che, per la prima volta in vita sua, stava andando tutto troppo bene: come gli aveva detto quella volta suo fratello Gabriel (prima di essere sbattuto in cella una notte per essere stato pescato in un bordello) non bisognava abituarsi alle gioie della vita, perché prima o poi la bastarda te le faceva ripagare.
Con gli interessi.
Insomma, stava andando tutto bene. Stava cominciando il percorso vero e proprio del lavoro dei suoi sogni, abitava in un appartamento decente e si era allontanato dalla sua famiglia.
In effetti stava andando tutto a meraviglia.
Quindi, quando Castiel comprese che il suo adorato appartamento era infestato da un fantasma che aveva le sembianze di un ragazzo troppo bello e troppo alto, non la prese esattamente bene.
Anzi, la prese piuttosto male.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Castiel sapeva che, per la prima volta in vita sua, stava andando tutto troppo bene: come gli aveva detto quella volta suo fratello Gabriel (prima di essere sbattuto in cella una notte per essere stato pescato in un bordello) non bisognava abituarsi alle gioie della vita, perché prima o poi la bastarda te le faceva ripagare.
Con gli interessi.
Ma per il momento non ci pensava. Aveva ventisei anni ed era finalmente riuscito ad andarsene dal nido familiare (anche se gli era dispiaciuto lasciare Gabriel e le sue pittoresche avventure al limite della legalità) di Poughkeespie per approdare come tirocinante in un ospedale di Boston. Aveva trovato un appartamento in centro a un prezzo ridicolmente basso e si era perfino fatto qualche amico (o per lo meno conoscente) fra gli altri studenti schiavizzati come lui (intimamente Castiel preferiva Meg ad Anna, benché tutti dicessero che Meg era una stronza. Ma la stronza gli aveva salvato il culo due volte durante un turno troppo lungo e faticoso e non aveva mai voluto neanche un grazie).
Insomma, stava andando tutto bene. Anzi, più che bene.
Stava cominciando il percorso vero e proprio del lavoro dei suoi sogni, abitava in un appartamento decente e si era allontanato dalla sua famiglia.
In effetti stava andando tutto a meraviglia.
Quindi, quando comprese che il suo adorato appartamento era infestato da un fantasma che aveva le sembianze di un ragazzo troppo bello e troppo alto, non la prese esattamente bene.
Anzi, la prese piuttosto male.

 
                                                              *
 
La prima cosa che Castiel si disse fu che stava sognando. Per forza. Era un venerdì sera di aprile e lui era tornato a casa dopo un turno di ventisette ore, cinque ore di sonno rubate nello sgabuzzino delle scope e un panino troppo unto nello stomaco. Era sicuro di essere solo quando aveva messo piede nell’appartamento; si era spogliato e fatto una bella doccia calda e con l’asciugamano legato in vita era tornato in cucina con l’intenzione di prepararsi una cena decente prima di infilarsi a letto e dormire come minimo quindici ore.
Nessun problema se non che in salotto si era trovato di fronte un ragazzo biondo, in jeans, maglietta nera e camicia di flanella.
Castiel si era gelato sul posto. Non aveva sentito nessun segno di effrazione e trovarsi davanti un perfetto sconosciuto (che probabilmente lo avrebbe picchiato, legato e torturato) lo aveva preso talmente alla sprovvista che non ebbe nessun tipo di reazione.
“Per favore, non farmi male”, riuscì a biascicare dopo qualche secondo e vide il ragazzo sgranare gli occhi.
“Riesci a vedermi?”, esclamò sorpreso e Castiel non potè non notare il suo sbalordimento, perfino superiore al suo.
“Certo”, rispose sentendo il sudore gelarsi sulla schiena. Forse aveva problemi mentali. Forse era pazzo. E i pazzi vanno assecondati.
“Non è possibile, sono stato a giro e nessuno riusciva a vedermi o sentirmi e adesso tu..”, il ragazzo sconosciuto non terminò la frase, continuando a guardare Castiel. “Ascolta, se hai bisogno di soldi o aiuto posso darti una mano.. Sei giovane e non vale la pena rubare e uccidere, distruggendosi la vita così”, disse Castiel mentre arretrava e prendeva lentamente una ciotola in mano.
Lo sconosciuto seguì il suo gesto con un mezzo sorriso.
“Non credo che quello serva”, disse ridendo.
“Come?”, chiese Castiel in un sussurro.
“Amico, sta tranquillo. Non posso farti del male. E ovviamente non voglio”, rispose. “Come?”, ripeté Castiel stringendo la ciotola.
Il ragazzo sconosciuto si sfregò le mani, sembrando quasi in imbarazzo.
“Mi chiamo Dean Winchester”, disse con un mezzo sorriso. “E sono l’inquilino di questo appartamento”.
Castiel sgranò gli occhi blu.
“Ma.. Ma adesso ci abito io”.
Dean annuì.
“Per forza”, disse. “Io sono morto”.

 
                                                            *


Fu in quel momento che Castiel si rese conto di aver dormito solo cinque ore in quasi due giorni, di aver lavorato tanto e di non aver mangiato quasi nulla.
“Sono troppo stanco”, si disse. “E’ solo un allucinazione”.
Dean si mise le mani in tasca, apparentemente per nulla infastidito dal silenzio di Castiel e guardò il salotto.
“E’ molto più ordinato di quando ci vivevo io”, disse, poi storse il naso. “Però non mi piace quella poltrona là”.
“A me si, invece”, rispose Castiel irritato. Poi si diede dell’imbecille. Stava parlando da solo.
“Senti, Dean Winchester, sono molto stanco. Ho lavorato un numero di ore eccessivo e adesso vorrei solo andare a letto”, disse in tono provato, posando la ciotola sul ripiano accanto a lui.
Dean sorrise.
“Non mi credi, vero?”, disse.
“Scusa ma sono uno studente di medicina. Tutti miei sintomi non fanno che portarmi a pensare che sei un allucinazione. Riuscita piuttosto bene, lo ammetto”.
“Era un complimento quello?”, ammiccò Dean.
Castiel alzò gli occhi al cielo. La sua allucinazione stava flirtando con lui. Da quanto tempo non usciva con qualcuno?
“Ascolta…”, cominciò Castiel, ma Dean lo interruppe.
“No, ascolta tu”, disse facendo un passo verso di lui. “So che è assurdo, so che è impossibile, so che è inconcepibile. Ma io sono Dean Winchester e sono morto tre mesi fa in un incidente automobilistico. Uno stronzo mi ha tagliato la strada, facendo fuori me e la mia piccola”.
Avanzò fino a trovarsi davanti a Castiel, che rimase immobile.
“Avanti, toccami”, lo spronò. “Toccami e vedrai che sono solo.. Aria”.
Castiel sbattè gli occhi. Dean Winchester o chiunque fosse, era incredibilmente bello e per un attimo, un solo momento, Castiel si scoprì a pregare che quella non fosse un allucinazione. Persino se l’uomo davanti a lui fosse stato un assassino.
“E’ un’ assurdità”, mormorò.
“Ti prego”, disse Dean.
Castiel fece un profondo sospiro e sfiorò il petto di Dean con la punta delle dita. O almeno pensò che lo avrebbe sfiorato, ma la sua mano attraversò semplicemente il ragazzo, come se davanti a lui non ci fosse nulla. Soffocò un grido e fece un balzo indietro.
“Okay, che diavoleria è questa?”, esclamò con una punta di isteria. “E’ stato mio fratello a chiamarti e farmi questo scherzo?”.
Dean non rispose, ma aveva un’espressione terribilmente infelice e Castiel si zittì un momento, per poi dire lentamente: “Io sono un medico.. Non credo nel sovrannaturale. Non ci ho mai creduto”.
“Beh, nemmeno io”, rispose bruscamente Dean. “Eppure eccomi qua. Bello come sempre ma morto stecchito”.
Castiel sentiva la ragione venirgli a meno e si portò la mano sulla fronte.
“Ehi, stai bene?”, chiese Dean. “Sei pallido da far paura”.
“Sto bene”, mormorò flebilmente Castiel.
“Tra i due sembri te quello morto!”, esclamò Dean, ridendo.
Castiel lo fulminò con un’occhiataccia.
“Per essere uno che è morto, sembri averla presa estremamente bene”.
“Che devo dirti?”, rispose vagamente Dean scrollando le spalle. “Prima c’ero, adesso non ci sono più. Così è la vita”.
Castiel lo guardò sbalordito, mentre Dean andava verso la finestra e guardava fuori. “Mi è sempre piaciuto questo panorama”, mormorò osservando la gente che camminava sul marciapiede e le luci che stavano cominciando ad accendersi.
Castiel non disse nulla finché Dean non si girò e gli consigliò di andare a letto perché - ahah-, sembrava aver visto un fantasma.


 
                                                            *
 

Castiel non credeva che le cose sarebbero andate meglio dopo quella sera. Ne che sarebbe rimasto a vivere lì, in effetti.
Eppure, dopo aver appurato di non essere pazzo e che si, Dean era veramente un fantasma, le cose cominciarono ad andare di nuovo bene. Dopo un mese, non gli sembrava più strano avere Dean a giro.
Era piacevole, in effetti, avere qualcuno che ti aspettava quando tornavi a casa, che ti risentiva le lezioni e con cui litigare per i programmi da guardare la sera in Tv. La cosa terribile era che Dean l’aveva sempre vinta perché giocava la carta del morto (“Sono un povero ragazzo morto nel fiore degli anni e tu non vuoi neanche farmi vedere una misera telenovela?”), ma la cosa ancora più terribile era che a Castiel non dispiaceva cedere alle sue richieste.
“Hai degli amici, vero?”, gli chiese una sera Dean mentre lui cucinava una ricetta suggerita da Dean.
“Certo”, rispose con voce controllata Castiel mentre rigirava la frittata nella padella. “Non ti viene mai a trovare nessuno”, insisté Dean.
Castiel sbuffò.
“Sono quasi sempre a lavoro, quando non lavoro studio o sono collassato e i miei amici sono nelle mie stesse condizioni”, disse accigliato.
“Sarà”, rispose Dean con un’alzata di spalle. “Non hai mai neanche scopato con nessuna da quando sono qui”.
“Dean”, lo ammonì Castiel.
Lui rise e gli fece l’occhiolino.
“O forse dovrei usare il maschile, Cas?”.
Castiel arrossì e spese il fornello.
“Qualche problema nel caso?”, chiese prima di girarsi.
Era assurdo (tutto era assurdo), ma aveva paura che la sua mezza ammissione potesse essere un problema per Dean.
Quando si girò, il fantasma stava sorridendo con.. Tenerezza?
“Scherzi? Sei un tipo a posto, Cas. Persino se ti piacessero le giraffe”.
Castiel rise debolmente e andò a letto sentendosi stramente in pace con se stesso.

                                                           *


“Tu ci credi nel Paradiso, Cas?”.
Le luci erano spente ed erano entrambi mezzi sdraiati sul divano, il salotto illuminato solo dalle luci artificiali della strada.
“Si”, disse Castiel dopo una breve esitazione.
“Quindi credi anche nell’Inferno?”.
“Io credo in Dio, Dean”.
“Quindi ti comporti bene perché credi che alla fine andrai in Paradiso? Lavori in ospedale per assicurarti un posto fra gli angioletti che suonano la tromba?”.
Castiel valutò la domanda seriamente.
“Io mi comporto bene.. Cerco di comportarmi bene perché credo che sia giusto così, Dean. Non c’entra Paradiso o Inferno, penso solo che sia meglio fare del bene che fare del male. Tutto qua”.
“La fai così semplice”.
“Perché lo è”.
“Sei una bella persona, Cas”.
Castiel sorrise, sentendo lo stomaco ribaltarsi per finire direttamente in gola.
“Anche tu, Dean”.
Ci fu silenzio per un po’, poi Dean sospirò.
“Non capisco perché sono ancora qua”, disse.
“Tu credi in Dio?”, chiese Castiel, girandosi verso di lui. Dean lo stava guardando con quei suoi occhi verdi e Castiel trattenne un sospiro.
“Non lo so, Cas. Ho le idee molto confuse. Anche da vivo. Mio fratello si”, disse con un sorriso. “Mio fratello ci credeva”.
“Hai un fratello?”, chiese Castiel interessato.
Dean annuì.
“Sam”, disse brevemente e con un tono che fece indurre Castiel a non fare altre domande.
Stettero zitti un altro po’ e Castiel stava per assopirsi quando Dean parlò nuovamente. “Sono contento di averti conosciuto, Cas. Anche se in queste condizioni”.
“Già”, rispose Castiel con gli occhi chiusi. “Anch’io”.


                                                              *


Era passato un altro mese e Castiel aveva imparato diverse cose: a fare una perfetta apple pie sotto le indicazioni di Dean, a fare lunghi giri in macchina con Dean accanto (“Questa è la tua macchina, Cas? Sul serio? Sembra quella di un pappone”) parlando di tutto quello che gli passava nella mente, a guardare film consigliati dal fantasma e a innamorarsi di lui come mai gli era successo prima. Amava Dean così in profondità da fargli male il cuore e sapeva che quella era una cosa potenzialmente problematica, distruttiva e senza nessuna soluzione.
“Cardiochirurgia, eh?”, gli aveva detto una volta Dean.
“Esatto”.
“E’ una cosa bella, Cas. Guarirai i cuori delle persone”.
Castiel sorrideva e scuoteva la testa, mentre Dean cambiava argomento e gli parlava di Bobby, Charlie e Benny e di come avevano pianto al suo funerale.
“Questa è una cosa talmente macabra, Dean. E scorretta. Pavoneggiarsi per il dolore causato dalla propria morte”.
Certe volte lo vedeva pensieroso e triste e Castiel si cominciava a preoccupare che non volesse stare più lì, con lui.
“Non è questo, Cas”, gli disse quando trovò il coraggio di chiederglielo. “Assolutamente. E’ che… ti sto rubando del tempo. Ti sto rubando un pezzo di vita. Potresti fare tante cose e sei qui a farmi da balia”.
“No!”, lo interruppe Castiel. “No, Dean. Io sto bene con te, davvero. Io.. Non vorrei trovarmi in nessun altro posto”.
Si morse l’interno della guancia, perché quella sembrava tanto un’ammissione, ma Dean sorrise e non disse nulla.
“Questa situazione fa tanto ’Se solo fosse vero’”, sghignazzò poi. “Ovviamente Reese Withersphoon sei tu”.
Castiel roteò gli occhi con un mezzo sorriso.
“Come vuoi”.
“Niente momenti da ragazzine”, dichiarò poi.
“Va bene”.
“Ma dovrò andarmene Cas. Devo solo capire come. Però dovrò andare. Prima o poi”.
“Si. Prima o poi”.


                                                             *


“Va bene”, disse Castiel una mattina di fine giugno sbattendo la mano sul tavolo. Dean alzò lo sguardo da “Cosmopolitan” (Castiel si vergognava da morire a comprarlo ma.. Beh, era per Dean. Come faceva a dire di no a Dean?) e lo guardò sorpreso.
“Va bene cosa?”, chiese mentre gli occhi ritornavano avidi all’articolo che stava leggendo. “Ti saresti mai aspettato tutto questo successo per gli “Hunger Games“? Sbalorditivo”.
“Cosa?”
“Però Katniss mi piace. Spacca i culi”.
“Non è giusto che tu stia qui”, asserì Castiel con un sospiro, interrompendolo, mentre il cuore gli batteva velocemente.
“Non è giusto.. Per te. Questo non è il tuo tempo, non è il tuo mondo. Devi andare avanti”.
Dean lo guardava in silenzio. I raggi solari che normalmente avrebbero colpito i suoi capelli rendendoli ancora più biondi illuminavano solo il tavolo e Castiel smise di guardarlo.
“Hai ragione Cas”, mormorò.
Castiel chiuse gli occhi e li riaprì, notando che Dean lo stava ancora guardando. “Cosa c’è?”.
Dean scosse la testa.
“Niente”.
Cas si grattò il gomito e spinse da un lato il libro di anatomia che stava facendo finta di leggere.
“Ho pensato che tutti i fantasmi dei film o dei racconti non se ne vanno perché hanno delle questioni in sospeso”, disse.
“Potrebbe essere”, rispose cautamente Dean. “Ma io non credo di..”.
“Avanti, Dean!”, sbottò Castiel. “Vuoi veramente dirmi che non c’è nulla che avresti voluto fare e non hai fatto?”.
Dean scosse la testa con un sorriso strafottente.
“Le mie voglie me le sono tolte”, affermò con tono malizioso.
Castiel cominciò a infuriarsi.
“Su, fai uno sforzo”, lo esortò.
Dean si fece pensieroso e dopo qualche secondo alzò la testa con un sorriso.
“La quarta stagione del Dottor Sexy M.D. Non la vedrò mai e non saprò mai se il Dottor Sexy si sposerà con la Dottoressa Piccolo”.
Sembrava veramente dispiaciuto per quella cazzata. Castiel non ci poteva credere. Il suo più grande rimpianto era non vedere il dottore che si sbatteva la dottoressa? Perché era così sentimentalmente represso?
“Sei un’idiota”, esclamò e fu felice di vederlo scioccato. “C’è sicuramente qualcosa che non va nella tua.. Nel tuo.. Trapasso. Non pensare che non mi sono reso conto che non hai mai parlato di tuo fratello o dei tuoi genitori”.
Dean si alzò, con gli occhi stretti in una fessura.
“Ah, si? Ti sei mai chiesto perché ti sei affezionato tanto a me?”, ribattè. “Non chiami mai la tua famiglia, loro non chiamano te e i tuoi cosiddetti amici dottori non si fanno mai vedere neanche per una birra!”.
Castiel boccheggiò.
“Oh.. Beh.. Vaffanculo, Dean!”, urlò con le mani strette a pugno. “Io sto solo cercando di aiutarti!”.
Dean sembrò più sconvolto dal fatto che Castiel avesse imprecato che dal discorso in generale, ma si riprese subito.
“Vaffanculo tu, Castiel! Non voglio il tuo aiuto! Mi aiuterò da solo! Come sempre!”, ribattè urlando anche lui e un attimo dopo non c’era più.


                                                                *


“Avrei voluto vedere il Gran Canyon”.
Castiel sobbalzò. Per quattro giorni Dean non si era fatto vedere e aveva scelto di comparire proprio in quel momento.
Stava rimettendo a posto la spesa dopo essersi accorto che tra i giorni in ospedale e l’assenza di Dean che lo incoraggiava a sperimentare nuove ricette, la dispensa era tristemente vuota.
Riacchiappò al volo una carota e si girò. Dean era davanti a lui, le mani in tasca e Castiel non corse da lui per stringerlo fino a fargli mancare l’aria semplicemente perché sapeva che sarebbe andato a sbattere contro lo stipite della porta.
E anche perché Dean non respirava.
“Avrei voluto imparare a cucinare tutte quelle ricette che ti propongo di fare. Avrei voluto fare più giri in macchina.. Che ironia, vero?”. Si leccò le labbra e Castiel osservò rapito quel gesto, stando in silenzio. “Avrei voluto leggere di più, avrei voluto guardare più film, avrei voluto fare più sesso, avrei voluto fare il bagno nudo in un lago, avrei voluto vedere un concerto degli AC/DC”. Fece una pausa. “Avrei dovuto abbracciare di più mio fratello”.
Dean guardò Castiel negli occhi.
“Non lo vedrò crescere, Cas. Non vedrò crescere Sammy”.
“Dean..”, sussurrò Castiel, la gola chiusa e dolorante. Non poteva piangere, non adesso.
“Lui avrebbe avuto una bella famiglia, lo so. Avrebbe sposato Jess e avrebbero avuto dei bambini e io sarei stato lo zio che li avrebbe viziati. Avrei visto Sam felice e non avrei chiesto altro, Cas, mi credi? Nient’altro“.
Castiel annuì, incapace di proferire parola, mentre osservava Dean accasciarsi in terra, le mani fra i capelli.
“E invece non potrò, cazzo! Non potrò perché una testa di cazzo ha bucato lo stop e mi ha fatto fare un volo di tre chilometri e.. E non potrò fare più nulla Cas! Più niente!”, la voce di Dean era spezzata e Castiel stava piangendo, adesso, la mano che aveva lasciato andare la carota tesa verso di lui e il respiro affannoso.
“Mi dispiace tanto. Mi dispiace davvero, davvero tanto”.
Dean alzò lo sguardo verso di lui.
“Hai degli occhi bellissimi, Cas”.
Lui sbattè le palpebre e scosse la testa.
“Non volevo tenermelo dentro”.
“Mi sembra giusto”, commentò Castiel con voce tremante.
Dean fece una risata non del tutto convincente, ma Castiel apprezzò lo sforzo.
“Non vado d’accordo con mio padre. E non sopporto mio fratello Micheal”, disse improvvisamente scivolando in terra di fronte a lui. “Mia madre è morta quando eravamo piccoli e io sono stato sempre molto più legato a mio fratello Gabriel”.
Dean annuì.
“Mia madre è morta quando eravamo bambini. Intendo proprio piccoli, Sam aveva sei mesi e io quattro anni. E mio padre l’ha seguita dopo qualche anno. Siamo cresciuti con Bobby, sai. Sono stato un po’ da lui in questi giorni, a osservarlo”. Castiel piegò la testa da un lato, avvicinandosi di più. “E’ stato un pomeriggio intero a piangere”, Castiel vide Dean serrare gli occhi, per evitare alle lacrime di uscire.
“Credo fosse per colpa mia”.
“Non è colpa tua se sei morto, Dean”, mormorò Castiel.
“Ho lasciato tutti. Tutti quelli che avevano bisogno di me”.
“Ma non è colpa tua”.
“No”.
“No”.
Dean si avvicinò di più, le gambe incrociate come quelle di Castiel.
“Scusa se ti ho detto quelle cose”.
“Scusa se ti ho detto quelle cose”.
Si sorrisero.
“In effetti c’è una cosa che potresti aiutarmi a fare, Cas”, disse Dean.
“Forse è questa la mia cosa in sospeso”.
“Cioè?”.
“Voglio andare a trovare Sam”.


                                                            *


“Sei sicuro che sia in casa?”, chiese Castiel mentre controllava la strada per attraversare.
“Credo di si”.
“Credi?”.
“E dai Cas, un altro piccolo sforzo”, disse Dean sorridendo con quel suo fare ammiccante e Castiel semplicemente si sciolse.
“Va bene”, mormorò. “Ma sappi che non è mia abitudine citofonare a sconosciuti ne parlare a questi sconosciuti dei propri cari scomparsi”.
“Non preoccuparti”, rispose Dean. “Sam è la persona più gentile che conosca. Tu attieniti al piano e tutto andrà bene”. Poi rise. “Sembra un cazzo di episodio di Ghost Whisperer”.
Castiel salì i tre gradini della veranda e, prendendo un coraggio che non pensava di possedere, suonò. Dopo qualche secondo una bellissima ragazza con i capelli lunghi e biondi aprì la porta, tenendola accostata a se.
“E’ Jessica”, gli disse Dean e la ragazza lo guardò un po’ perplessa.
“Si?”, chiese. Castiel si riscosse e sorrise.
“Scusa, cercavo Sam Winchester. E’ in casa?”.
Jessica sorrise e aprì la porta.
“Certo, è qui”, rispose e poi si girò. “Sam! C’è un tuo amico!”.
“Ehm.. Veramente io non sono..”, balbettò Castiel, ma era troppo tardi.
Un ragazzo castano e alto era appena arrivato, con un leggero sorriso sulle labbra. Aveva pensato che Dean fosse alto? Beh, in confronto a Sam era un nanerottolo. In confronto a Sam tutti erano nanerottoli.
Appena vide Castiel la sua faccia si fece confusa, ma il sorriso non sparì.
“Si?”, chiese anche lui. “Ci conosciamo?”.
“No”, rispose Castiel dopo qualche secondo (Accidenti a Dean! Quella situazione gli stava facendo venire la tachicardia).
“No. Ma conoscevo Dean. Se hai qualche minuto vorrei parlarti”.
Al nome di Dean Sam sobbalzò come scottato e Jessica emise un piccolo “Oh”. “Ma.. Ma certo. Accomodati pure”, disse Sam con voce rauca.
“Vi lascio soli, allora”, disse Jessica con un sorriso triste, sfiorando delicatamente il braccio di Sam e sparendo in un’altra stanza.
“Mi è sempre piaciuta Jess”, commentò Dean mentre entravano nel piccolo soggiorno. “Mica come quella Ruby che frequentava al liceo. Dio, non la sopportavo. Una volta..”.
“ Di cosa volevi parlarmi?”, chiese Sam mentre entrambi si sedevano e Castiel lanciò un’occhiataccia Dean.
“Smettila”, bisbigliò.
“Cosa?”, chiese Sam, sorpreso.
“Nulla, nulla”, disse frettolosamente Castiel.
“Quando hai conosciuto Dean?”, chiese Sam.
“In effetti non è che lo conoscessi da tanto tempo”, ammise Castiel. “Ma tuo fratello, devo dire, si è.. Insinuato nella mia vita con sorprendente facilità”.
Dean ridacchiò e Sam sorrise, un sorriso grande e scintillante.
“Si, aveva questa capacità. Era un’orso, ma alla fine gli volevano bene tutti”. “Immagino”.
“Tutti volevano un pezzettino di Dean”, disse con una risatina tremula.
“Volevo dirti che mi dispiace, Sam”.
Il ragazzo annuì e Castiel vide il suo pomo d’Adamo andare su e giù, velocemente.
“Grazie”, bisbigliò.
“Mi parlava sempre di te, sai?”, continuò Castiel e Sam lo guardò sorpreso. “Davvero?”, chiese in un sospiro.
“Mi ha raccontato di quella volta che avete inciso le vostri iniziali nella macchina”, disse Castiel e Sam rise.
“E di tutti gli scherzi idioti che vi facevate”.
Sam roteò gli occhi.
“Quello sfigato”, borbottò e Cas sentì Dean ridacchiare.
“Mi ha anche detto che quando arrivò la lettera per Stanford lui.. Non si comportò molto bene con te”, continuò Castiel e Sam sgranò gli occhi.
“Te lo ha raccontato? Non ci posso credere”.
“Non i dettagli”, lo rassicurò. “Mi ha solo detto che si era comportato come un’idiota, ma solo perché aveva paura di perderti. Perché lo faceva morire il pensiero di non poterti proteggere se andavi così lontano. E che gli dispiaceva averti detto quelle cose”.
Sam aprì la bocca, ma poi la richiuse. Gli occhi erano umidi.
“Credo di aver capito che ti amasse più di qualsiasi persona al mondo e che fosse orgoglioso di te”. Vide Dean guardarlo con una strana espressione: in effetti non era esattamente quello che avevano concordato di dire, ma Castiel decise che non gli importava. “Diceva che eri molto intelligente e che avresti avuto una vita bellissima. Che era convinto che avrebbe dovuto abbracciarti di più ma che sperava di averti sempre fatto sentire il suo affetto e che..”.
Mentre parlava, Castiel aveva abbassato gli occhi ma quando li rialzò per posarli sul ragazzo, smise di parlare: Sam stava piangendo.
Niente singhiozzi, niente pianto disperato. Sam stava piangendo silenziosamente, le spalle scosse dai singhiozzi trattenuti e le mani sulle guance a coprirsi il viso.
“Mi ha cresciuto lui”, disse fra i singhiozzi. “Non so come vivere senza Dean”.
“Ce la farai”, rispose Castiel, la voce un po’ strozzata. “Ce la faremo tutti”.
Sam pianse silenziosamente per qualche altro minuto, mentre Castiel aspettava pazientemente.
“Mi mancherà tutta la vita”, bisbigliò Sam, la voce inghiottita dal pianto.
Castiel lanciò un’occhiata a Dean, che guardava suo fratello con l’espressione più triste e sollevata del mondo.
“Non chiedermi come lo so, ma anche a lui Sam. Anche a lui”.

                                                                *


“Lo hai fatto piangere come un bambino”, si meravigliò Dean mentre scendevano i gradini.
“Lui non piange quasi mai”.
Castiel scrollò le spalle, provato.
“Piangere fa bene”, disse. “Sai come dicono in Turchia? Dicono che le lacrime lavano gli occhi e poi uno ci vede meglio”.


                                                                *


Erano al buio, nell’appartamento.
“Adesso che fai? Te ne vai come quando Swayze abbandona Demi Moore?”, chiese Castiel seduto sul letto, accendendo la luce del comodino.
Era in uno stato di completa agitazione. Il ritorno a casa era stato silenzioso, con Dean che guardava davanti a se e Castiel che lo controllava ogni due secondi per vedere se era ancora li con lui.
“Finalmente hai citato un film degno di nota, Cas! Stiamo facendo passi in avanti”, esclamò Dean con una risata.
“Non c’è da ridere, Dean. Ho fatto quello che volevi, no? Ho parlato con Sam, ho risolto la tua questione irrisolta. Avanti, vai verso la luce”.
“Cas…”.
“Nessuno mi aveva mai chiamato Cas prima”, disse mentre una lacrima gli cadeva da un occhio. Perché lo aveva spronato a risolvere i suoi conflitti interiori? Perchè si era voluto privare di Dean? “Nessuno lo farà mai più”.
“Lo faranno, Cas”, ribadì con voce calma Dean. “Troverai una persona meravigliosa. Perché tu meriti questo. Una persona meravigliosa”.
“Ah, no!”, balzò su Castiel. “Non mi fare il discorsetto del ‘troverai qualcuno da amare Cas, tanti cari saluti!’”.
“Ho capito quale è il mio più grande rimpianto”, lo interruppe Dean, sempre con voce calma.
Castiel incrociò le braccia, in un’inconscia posizione di difesa.
“Ah, si? E qual è?”.
Dean lo guardò e si avvicinò.
“Non mi sono mai innamorato.”, dichiarò con un sorriso triste. “Mai”.
Castiel prese un respiro profondo.
“Cosa vorresti dire?”.
“Ti amo, Cas”, disse Dean. “Davvero, davvero tanto”.
Castiel abbandonò le braccia sui fianchi, guardandolo negli occhi.
“No”, mormorò.
“Si”.
“Perché?”.
“Non c’è un perché, stupido medico con un palo in culo. E’ successo e basta. Probabilmente sarebbe successo anche se fossi venuto in ospedale per una gamba rotta e ti avessi visto mettere il catetere a una vecchia. Amore a prima vista, sai?”. “Ma tu non sei.. Eri gay”.
“Ho mai detto di non esserlo?”.
Castiel aprì la bocca e poi la richiuse, sconfitto. Dean rise piano, passandogli una mano sulla guancia e Cas si sforzò di sentire il cambiamento d’aria dato dal gesto del ragazzo.
“Ti amo anch’io, Dean. Troppo.”.
Dean sorrise, un grosso sorrise simile a quello di Sam e a Castiel gli si spezzò il cuore ancora un po’ di più.
“Forse è per questo che solo tu puoi vedermi. Forse eravamo destinati o qualcosa del genere”, disse Dean e Castiel annuì, mentre le lacrime gli scorrevano sulle guance. “Non cambiare mai, Cas. Promettimelo”.
“Promesso”, bisbigliò dopo qualche secondo, asciugandosi le lacrime.
Poi si girò e prese una scatola da un cassetto.
“Cos’è?”, chiese Dean.
“La quarta stagione del Dottor Sexy. Se vuoi vederla in attesa di..”, la voce si spezzò e Dean annuì.
“Perfetto Cas”.
Andarono in soggiorno e Castiel si mise a sedere sul divano accanto a Dean, esattamente come avevano passato le sere in quei tre mesi, come se fosse una serata normale e fece partire il dvd.
Prima che l’episodio cominciasse, Castiel si girò verso Dean, che lo stava guardando con un espressione che Castiel cercò di imprimersi nella memoria.
“Ci rivedremo Dean, vero?”, bisbigliò.
“Certo Cas. Prima o poi”.
“Prima o poi”.
  
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