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Autore: nephele_cleide    24/11/2015    1 recensioni
cosa sarebbe successo se America fosse realmente tornata a casa dopo aver combinato quel pasticcio al Rapporto?
un seguito alternativo a the Elite dove America, una volta tornata a casa, cerca di tornare alla normalità della sua vita da cinque, impegnandosi a superare quei dolorosi sentimenti che la legano a Maxon. e quando sembra quasi essere tornata alla realtà ecco che quei sentimenti riaffiorano in tutta la loro potenza aggiungendosi al terrore e alla preoccupazione. Nell'ultimo Rapporto infatti Gavril ha annunciato tra la disperazione delle ragazze rimaste e della famiglia reale l'improvvisa scomparsa del principe Maxon...
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 6 - 
 
La giornata era passata velocemente, ancora non potevo credere di avere Maxon a casa, sano e salvo ed intento ad aiutarmi a preparare un letto in cui avrebbe potuto passare la notte.
“Ames…  il ragazzo di cui eri innamorata… che fine ha fatto?” Era arrivato il momento di dirgli la verità. Tremavo all’idea della sua reazione.
“Lavora per te.” Lui sgranò gli occhi.
“Cosa?!” Sorrisi tremante. Ci siamo, dovevo dirglielo. Presi coraggio
“è una delle tue guardie.” Esitai… “è entrato a farne parte poco dopo il mio arrivo a palazzo.”
Lo vidi incupirsi.
“Lo vedi ancora?” Mi chiese sconvolto. Anuii “Ma non come credi tu.”
“Dimmi solo se stavate insieme mentre eri con me” I suoi occhi mi fissavano in preda all’agitazione. Avrei potuto dire semplicemente di no ma non volevo mentirgli ancora.
“Per un po’ ci siamo incontrati di nascosto…” La rabbia e la delusione si fondevano nel suo sguardo glaciale.
“Come si chiama.” Disse senza guardarmi.
“Aspen… Aspen Leger” Mi avvicinai a Maxon posandogli una mano sotto il mento per farmi guardare in faccia ma lui si scansò bruscamente. Lasciai cadere la mano.
“Maxon… ti prego. Ascolta prima di giudicarmi” Dissi triste. Lui non rispose ma si sedette sulla sedia più vicina e mi piantò il suo sguardo gelido negli occhi. Le lacrime mi pizzicavano in attesa di uscire.
“Maxon, perdonami. Sono stata stupida ma mi stavo solo aggrappando al passato. È andata avanti per poco. Gli ho detto che avevo bisogno di spazio per capire cosa provavo ed è stata una grande idea. Ho potuto finalmente pensare al mio futuro. Fino a poco prima della selezione mi vedevo sposata a lui, un sei. Ero pronta a lasciare quel poco che avevo qui per guadagnare una vita ancora più disagiata ed ero sicura che sarebbe stata la scelta migliore perché ero convinta di amarlo. Ma poi le cose sono cambiate, sono stata catapultata a Palazzo e all’improvviso sono stata costretta ad immaginarmi un altro futuro. E solo dopo qualche tempo ho capito la verità.” Mi interruppi. Dopo un paio di minuti riprese a parlare
“E quale sarebbe la verità?” Mi stava sfidando.
“Smettila ti prego. Te l’ho detto prima. Ti amo Maxon.  Non provo più niente per Aspen.”
Lui annuì con un ghigno.
“Non dici nulla?” Gli chiesi
“Che dovrei dire? La donna che amo, per la quale mi sono fatto quasi uccidere, ha appena ammesso di avermi tradito con un suo ex in casa mia… direi che forse è il momento che torni a casa da mia madre e dalle altre ragazze.”
“NO! Maxon, ti prego. Non vederla così”
“Ah! E come dovrei vederla?”
“Sapevi che ero ancora aggrappata al passato. Sapevi che ero insicura e confusa. Non ti ho tradito. Ho chiuso con Aspen non appena ho capito che non volevo e non potevo più nascondermi per paura.” Maxon mi guardò
“America, mi dispiace.” Si alzò e si diresse verso la porta. Io rimasi pietrificata. Le lacrime che ero riuscita a trattenere fino ad ora mi scivolavano sulla guancia.
“Va bene! Vattene. Lasciami qui, sola. Vai, scappa nel palazzo in cui ti aspetta tuo padre. Vai da Kriss, sceglila. Sarà un’ottima moglie.”
“Si. Lo sarà sicuramente.” Quelle parole furono una vera e propria coltellata... stronzo, pensai arrabbiata e delusa. Senza aggiungere altro si chiuse la porta alle spalle. Rimasi ferma un minuto guardando furiosa la porta, poi afferrai la prima cosa che trovai e corsi fuori. Maxon stava camminando a passo svelto per la strada, diretto al bosco.
“Ehi! Non puoi trattarmi cosi! Non mi interessa se io sono una cinque e tu il principe! Io. Ti. Amo. Stronzo!” E gli lanciai contro il libro che avevo preso in casa. Andò a sbattergli contro la schiena ferita e lo vidi sussultare e fermarsi. Mi appoggiai ad un albero e mi lasciai scivolare a terra provando a reprimere i singhiozzi (o forse gli insulti). Tenevo gli occhi chiusi quando due mani mi sollevarono afferrandomi per le braccia.
“Ames… non piangere.” Maxon mi guardava, lo sguardo da gelido si era leggermente addolcito: la sua preoccupazione era palpabile.
“Mi dispiace Maxon. Ho sbagliato ma credimi: da quando ho capito di amarti non ti ho mai tradito. E mai lo farei. Ti amo, per la miseria!” Lo colpii con un pugno sulla spalla. Lui soffocò una risata e mi strinse a sè.
“Lo so. Scusami. Ora rientriamo. Grazie a te sanno tutti che c’è il principe qui.” Sorrisi tra le lacrime. Ci stavamo avvicinando alla casa abbracciati e in silenzio quando una fitta allo stomaco mi trafisse. Sentii Maxon urlare. Portai le mani alla pancia e quando le rialzai un liquido rosso e vischioso mi imbrattava la mano. Dei rumori improvvisi riecheggiavano per la strada ma io non riuscivo a capire nulla. Il dolore era esploso improvvisamente ed ero caduta a terra. Sentivo Maxon che mi tirava e mi implorava di correre ma non riuscivo a muovermi. Chiusi gli occhi e non sentii più niente. 
Sentivo le mani di qualcuno strapparmi la maglietta e ritornai in me terrorizzata. Non di nuovo, pensai.
“America! Ti prego tieni duro!”
“Lasciami stare! Non toccarmi!”
“Ames! Sono io! Amore, sono Maxon!” Maxon. Era il mio Maxon. Mi tranquillizzai e il dolore che mi ero dimenticata tornò alla carica. Lanciai un urlo.
“Ssshh! Non urlare! Lo so che fa male. Oddio quanto mi dispiace.” Sentivo la sua voce spezzarsi per il dolore e la preoccupazione.
“Maxon... Che è successo?” Non mi rispose subito. Sentivo le sue mani premermi sulla pancia. Si sfilò la camicia e la spinse sulla mia pancia gettando a terra i resti della mia maglietta intrisi di… sangue.
“Maxon… sei ferito?” Ero terrorizzata. Lui rise teso.
“Sei tu quella ferita. Ora ferma. Non so cosa sto facendo.” Obbedii… all’improvviso mi sentii così stanca.
“Maxon, mi dispiace. Non ce la faccio”
“NO!!! Non dormire. Non lasciarmi. Parlami, raccontami di Aspen.” Scossi la testa.
“Non voglio parlare di lui.”
“Parlami di qualsiasi altra cosa! Ma non dormire.” Sorrisi
“La prima sera a palazzo mi sentivo in gabbia. Odiavo te, odiavo ciò che rappresentavi tu e la tua casa. Volevo scappare.”
“Lo so. Ricordi? C’ero anche io. Anzi credo sia stato proprio io a lasciarti uscire.”
“No. Volevo…” Mi interruppi. Il dolore mi aveva tolto il respiro.
“America?!” Mi chiese allarmato Maxon.
“Chiama il numero che trovi in cucina. Potrà aiutarci.” Dissi con una smorfia di dolore. Lui corse in cucina e lo sentii parlare al telefono. Dopo pochi minuti tornò al mio capezzale e si accovacciò accanto a me tenendomi la mano.
“Mi dispiace America. È colpa mia. Se non avessi fatto il permaloso e fossi rimasto in casa…”
“No Maxon, non è colpa tua...”
“I ribelli... credo si stiano nascondendo nei boschi intorno a casa tua. Ti hanno sparato mentre venivi dietro a me... come può non essere colpa mia?!”
“Perchè non eri tu il bersaglio... hanno colpito me, non te.” lui scosse la testa.
“Ma perchè?” mi guardai intorno.
“Non lo so, Maxon..." la mia voce si faceva sempre più roca, il dolore non mi dava tregua.
"Devo scoprire cosa hanno in mente quei pazzi..." mormorò Maxon mentre mi accarezzava la testa. avrei voluto implorarlo di non fare cose stupide, di non rischiare la vita per me ma non riuscivo a parlare; con un filo di voce lo implorai: “posso dormire?”
“No tesoro. Mi dispiace. Tra poco sarà tutto finito. Sta arrivando il dottore.” Risi sommessamente
“Non è un dottore. È un violinista.” Mi guardò con occhi sgranati.
“Non preoccuparti. Sa quello che fa anche se non è un dottore.”
Lo guardai con gli occhi offuscati mentre fitte di dolore mi toglievano il fiato: era terrorizzato; e, nonostante cercassi di non darlo a vedere, lo ero anche io.  
  
  
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