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Autore: Hermione Weasley    25/11/2015    2 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14

~

 

 

Clint aveva scoperto che i contrabbandieri preferivano vegliare di notte e dormire di giorno. Al calar del sole, uomini sparuti e assonnati si erano trascinati sul pontile stropicciandosi gli occhi, intavolando partite a carte e conversazioni sempre più animate man mano che i bicchieri di vino si riempivano e svuotano con ritmo regolare.

Sembravano tutti troppo presi dalle loro abituali occupazioni per prestar loro attenzione, ma Clint si era comunque curato di non lasciare il capezzale di Natasha quando il sottocoperta era gremito. Il capitano non gli aveva più chiesto niente riguardo quel suo amico ubriaco e lui non aveva offerto spiegazioni. Temeva che se qualcuno avesse scoperto che c'era una donna a bordo, superstizione e sordidi istinti avrebbero fatto a gara per decidere quale delle due cose avrebbe trionfato prima e Clint non aveva intenzione di far succedere proprio niente del genere.

Si era risvegliato con la gola asciutta e un gran mal di testa a battergli sulle pareti della scatola cranica. Ci aveva messo un secondo di troppo a registrare il russare e i respiri pesanti dei contrabbandieri a bordo, ma quando si era accorto di essere circondato aveva deciso di rimanere lì dov'era. Qualcuno aveva coperto Natasha e Clint aveva sospettato lo zampino del dottore, perché nessun altro là sotto avrebbe avuto una premura simile. Era bastato quel gesto a fargli capire che Bruce non avrebbe parlato e che il loro segreto era al sicuro con lui.

La luce forte del primo pomeriggio era andata scemando, mitigandosi e facendosi da dorata ad aranciata sull'avvicinarsi della sera. Gli uomini avevano abbandonato i loro giacigli uno ad uno e i rumori dal ponte si erano via via rianimati ed intensificati.

Natasha si era svegliata una sola volta e solo per pochi istanti, giusto il tempo perché Clint le facesse bere un po' d'acqua. Doveva mangiare, ma non aveva niente con sé che potesse mandar giù – aveva persino pensato di masticare un po' di frutta e carne secca e costringerla ad inghiottire, ma poi pensò alla faccia che avrebbe fatto quando si sarebbe ripresa e non era sicuro di volersi beccare tutti quei calci in culo che sicuramente l'aspettavano.

Per questo si era avventurato all'esterno, dove le risate allegre degli uomini ubriachi si disperdevano nel cielo che ormai andava tendendo al viola. Sperava che il capitano si fosse preparato una zuppa, una minestra di qualche tipo – aveva letto svariati romanzi sulla vita di mare ed erano quelle le pietanze che, di solito, si consumavano sulle navi. Quelle oppure cipolle e gallette di riso, che al momento non facevano proprio al caso suo. L'opzione del cibo masticato era comunque ancora valida e, per quanto disgustosa fosse, si era deciso a risolverla in quel modo se non avesse trovato un'alternativa.

Si era seduto sul parapetto in attesa che la luce nella stanza del capitano si spegnesse – c'era il suo sostituto a fare le sue veci alla guida della nave, che dal canto suo non pareva aver bisogno di grandi attenzioni per scivolare liscia sulla superficie del mare. Dopo quei pochi giorni di pioggia intensa, sembrava che il sereno si fosse deciso a tornare giusto in tempo per garantir loro un viaggio tranquillo... almeno dal punto di vista del meteorologico.

Era ancora lì ad aspettare quando la porta che stava tenendo sott'occhio si aprì per lasciarne uscire Bruce. Per un istante si lasciò prendere dal panico, ma poi si ricordò che non c'era motivo d'agitarsi. Se avesse voluto fare la spia al capitano l'avrebbe fatto prima di ricucire Natasha, compromettendosi a sua volta. Si accorse che portava una ciotola coperta da un panno sottile. Gli stava venendo incontro.

“Buonasera,” lo salutò con un leggero sorriso. Aveva gli occhiali appannati, ma non poteva pulirli per via delle mani occupate.

“Dottore.”

“Mi sono fatto dare un po' di minestra per la sua amica,” lo informò, provocandogli un piacevole calore all'altezza del petto.

“State scherzando?”

“Oh, non c'è ragione d'agitarsi,” disse, come liquidando in quel modo la sua gratitudine per quel gesto inaspettato. “Questa brodaglia ha un sapore immondo, ma scommetto che alla vostra amica potrebbe tornare utile.”

“Con che scusa ve la siete portata via?” Gli chiese.

“Con quella del mal di mare. Non volevo che la nausea mi impedisse di gustare tale prelibatezza,” scherzò.

“Conoscete il capitano?” Clint saltò giù dal parapetto e gli fece cenno di seguirlo di sotto.

Si accorse solo in quel momento di quanto non gli fosse mancato il tanfo rancido del sottocoperta, soprattutto adesso che gli odori degli uomini appena svegli continuavano ad aleggiarvi tutt'intorno.

“No, ma stamattina presto mi ha visto mentre lavavo gli strumenti in acqua di mare,” disse. “Ha voluto sapere se ero un dottore e poi mi ha chiesto se avevo qualche rimedio per il suo problema.”

Solo quando furono al riparo da occhi indiscreti Clint gli sfilò la ciotola di mano, permettendogli così di pulirsi gli occhiali. Si avvicinò uno sgabello e prese posto accanto a Natasha che dormiva profondamente.

Non sapeva se era solo un'illusione, ma gli sembrava che l'abbassarsi e rialzarsi del petto e della pancia fosse più evidente, che il respiro si fosse fatto più disteso e meno irregolare. O forse stava solo sognando – non si era forse addormentato con una preghiera che credeva di aver dimenticato in bocca? Non si era ancora abituato al modo in cui le cose gli erano sfuggite di mano, alla piega inaspettata che la sua vita aveva preso. A momenti si sentiva come nel bel mezzo di un sogno, la stessa impalpabile consistenza degli eventi che gli capitava di vivere mentre dormiva; gli era già capitato di dover andare indietro con la memoria per riempire le lacune che separavano un fatto dall'altro.

“Un'unghia incarnita.”

“Come?” Clint si voltò verso il dottore, ricordandosi di averlo lì vicino solo in quel momento.

“Il capitano... ha un'unghia incarnita.”

Gli ci volle un secondo in più per registrare le parole di Bruce, ma quando ci riuscì una smorfia schifata gli contorse l'espressione.

“Più o meno la mia stessa reazione,” convenne il dottore, restando leggermente in disparte.

Rimasero in silenzio mentre Clint cercava di svegliare Natasha, con scarso successo.

“Se la sta cavando piuttosto bene. Sinceramente non credevo che sarebbe arrivata alla sera,” ammise.

“E' un osso duro,” disse soltanto. Il pensiero che stesse morendo di fame, deperendo lentamente nonostante la buona riuscita dell'operazione, minacciava di diventare ossessivo.

“Vi conoscete da molto?”

Qualcosa l'avrebbe voluto spingere a dire di sì, perché inizialmente gli era sembrata la risposta più sincera. Ma poi realizzò che doveva essere passato a malapena un mese da quando l'aveva incontrata sotto gli alberi che circondavano la casa del tagliaboschi. Il tempo sembrava essersi allungato e moltiplicato acquistando la consistenza di una vita intera.

“No,” rispose infine.

“Siete dei criminali?”

Clint si mise a ridere.

“Abbiamo l'aria dei criminali?” Gli ritorse contro, divertito, facendogli capire che non se l'era presa.

“E' difficile trovare una donna conciata in quel modo.” Sembrava avesse riflettuto a lungo sul loro aspetto. “E voi avevate un aspetto orribile quando vi ho visto con quel coltello in mano.”

Lasciò cadere le parole nel silenzio. Una parte di lui avrebbe voluto mentire, imbastire una storia basata su identità inventate; un'altra si era sforzata di trovare una risposta sincera e altrettanto sinceramente era dovuta arrivare alla conclusione che neanche lui sapeva cosa diavolo fossero. Non sapeva come definire Natasha e – ancor più assurdo – non sapeva come definire se stesso.

“Siamo solo diretti alla capitale,” finì per dire.

“Non vi preoccupate,” si affrettò a dire il dottore. “Non dovete parlare per forza. La gente qua sopra non è mai troppo loquace,” lo disse come per sottolineare che c'era abituato.

“Viaggiate spesso?” … coi contrabbandieri? avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne.

“Finché posso, sì.” Si era messo seduto su un barile pieno di dio solo sapeva cosa e sorrideva appena. “Ma devo tornare regolarmente alla capitale.”

“Affari?”

“Suppongo si possano definire così,” convenne.

Gli parve estremamente stupido il modo in cui la gente si teneva i propri segreti, ognuno gelosamente avaro dei propri. Solo in quel momento, con chiarezza sconcertante, capì come fossero proprio quelli a tenere separate le persone, a mantenere le distanze con una barriera invisibile, anche in caso di sincero affetto.

Un mormorio indistinto lo costrinse a voltarsi; anche il dottore era scattato sull'attenti. Natasha aveva dischiuso le labbra e si stava muovendo appena sotto il mantello che le nascondeva il corpo.

“Ehi,” la richiamò debolmente, come per paura che facendola trasalire avrebbe potuto farla precipitare di nuovo in quel suo sonno ostinato.

La vide aprire gli occhi, stanchi e appannati, muoverli senza riuscire a soffermarsi su niente. Le poggiò una mano sulla sua, stringendo un poco la presa, sperando di convincerla a non agitarsi.

“E' tutto a posto,” la rassicurò, “sei al sicuro.” Aspettò un attimo prima di aggiungere: “ti va di mangiare qualcosa?”

Lei annuì fissando finalmente lo sguardo su di lui, ma Clint non era comunque sicuro che riuscisse a vederlo chiaramente. Si sentì riavere a quel cenno d'assenso e si affrettò a restituire la ciotola a Bruce per andare a requisire tutto ciò che poteva servirgli per fabbricarle un cuscino di fortuna e permetterle di rialzare un poco le spalle.

“D-Dove siamo?” Biascicò lei, la voce roca ed esausta, diversissima dal tono pungente a cui aveva imparato ad abituarsi.

“Su una nave,” le rispose, aiutandola a sistemarsi. Impallidì nel vederle fare una smorfia, ma il suo volto la riassorbì senza problemi, cancellandone i segni. Si chiese se potesse essere tutta una finta, se fosse talmente abituata a nascondere il dolore da riuscire a farlo anche in quelle condizioni, la vista offuscata e il cervello ancora rallentato. Come se simulare e dissimulare fosse ormai un comportamento che le era sceso fin nelle ossa, diventando tanto naturale come respirare o camminare. “Siamo diretti alla capitale.”

Gli sembrò sorpresa, ma non disse niente. Doveva essersi accorta di Bruce perché adesso gli puntava addosso uno sguardo vacuo, che nelle sue intenzioni – Clint intuì – avrebbe dovuto essere truce.

“Lui è a posto,” si affrettò ad informarla, producendo un contenitore di legno dalla bisaccia. “Ti ha sistemato la ferita.”

Il dottore gli restituì la ciotola e Clint si prodigò nel raccoglierne un po' col bicchiere prima di portarglielo alle labbra. Natasha bevve con ancora sul viso i segni del sospetto – se non altro ebbe la conferma che diffidenza della donna nei suoi confronti non era dovuta alla sua sfavillante personalità: era così con tutti, all'inizio.

Tossì dopo aver inghiottito, così forte che Clint temette di aver commesso un qualche errore.

“Respira, sta' calma-”

“C-Clint, sta' zitto,” blaterò in risposta, nonostante l'aspetto smunto e slavato che continuava a preoccuparlo. “Non sono m-morta e non s-sto partorendo, c-cazzo.”

Rimase interdetto per un lunghissimo istante e poi si mise a ridere sulla scia del sollievo che andava fiorendogli in petto.

“Dammene a-ancora un po',” decretò secca, sperando forse di dimenticarsi della vulnerabilità della propria condizione a suon di insulti. Le concesse di pensare che fosse possibile e obbedì.

“Sai quelle poesie dove dicono che le donne appena morte sono bellissime?” Le chiese. “Ho scoperto che sono una stronzata.”

Bruce si era messo in disparte, ma Clint lo sentì ridere. Natasha, invece, si limitò a guardarlo malissimo.

“Ti ho d-detto che non sono m-morta,” ribadì.

“Bè, lo sembravi.” Altro sorso di minestra.

“Sei tu che p-puzzi di morto,” l'accusò.

“No, è la stanza,” ma poi ci ripensò, “forse sono un po' anch'io. La prossima volta vedi di rimanere sveglia, così potrai indicarmi i bagni termali che mi sono perso per strada.”

Non dissero niente per un po', ma Clint si consolava nel guardarla bere con facilità sempre maggiore. La vide cercare qualcosa sotto il mantello e alla fine tirò fuori un biglietto spiegazzato.

“C-Ce l'ho fatta a parlarti p-prima di perdere i sensi?” Si accertò, consegnandogli la lettera.

“Intendi quando mi hai dichiarato il tuo amore incondizionato? Sì, eri totalmente in te.” Mise via il foglio e riprese ad imboccarla, perché era quello ad avere la priorità al momento.

“Q-Quello è successo quando tu hai perso i s-sensi.”

“Come sono contento che tu non abbia perso la tua verve,” la prese in giro.

“Ohi.” Adesso era suonata severa.

“Sì, me ne hai parlato,” si arrese. A dir la verità non aveva avuto il tempo di riflettere sulle implicazioni delle sue parole. Il viaggio dall'abbazia al porto gli era volato davanti agli occhi col terrore che Natasha morisse prima che potesse trovare un modo per aiutarla – aveva sperato di incontrare qualcuno sulla sua strada per chiedere soccorso, ma tutti i villaggi che avevano attraversato erano deserti, neanche un'anima in vista. La preoccupazione lo aveva riempito a tal punto da lasciar poco spazio per le delibere sul colpo di stato imminente.

“Tuo p-padre ce l'ha una casa nella capitale?” Gli domandò e Clint capì che aveva usato quel termine per non rivelare nomi in presenza di Bruce. Scosse il capo e la costrinse a buttar giù un altro sorso. “Degli amici, allora? P-Potresti cominciare da l-lì.”

“Non ti affaticare a parlare, devi mangiare.”

“S-Sto mangiando. N-Non trattarmi come una m-malata.”

“Hai un buco nel fianco,” la redarguì seccamente.

“Sono s-stata peggio.”

Avrebbe voluto ribattere, ma qualcosa gli suggerì che stava dicendo la verità. La vide socchiudere gli occhi e inspirare a fondo, come per un capogiro improvviso.

“D-Dio questa p-puzza...” si lamentò, ma rimase immobile.

“Prometto che mi lavo, la prossima volta che ti degni di riaverti.”

“F-Fottiti.”

“Appena finisco qui.”

Riuscì a farle finire quasi tutta la minestra prima che la stanchezza avesse la meglio. Natasha si ripiegò su se stessa, finché il sonno non se la riprese. Clint la guardò per qualche istante prima di finire la zuppa lui stesso. Aveva davvero un sapore disgustoso.

 

***

 

Si risvegliò nel tardo pomeriggio e Natasha non era più al suo fianco. Scattò seduto e afferrò l'arco che aveva tenuto al sicuro accanto a sé, ancora mezzo rincitrullito dal sonno e dall'apprensione. Si rimise in piedi, accorgendosi che le cose della donna erano ancora sistemate contro l'albero presso cui avevano deciso di riposare – o almeno, dove lei avrebbe dovuto riposare nonostante le proteste (mute e vocali) che aveva continuato a lanciargli contro.

La ferita non era altro che un graffio e lei era sopravvissuta a situazioni ben peggiori senza aver bisogno di un paggetto che l'aiutasse a spostarsi. Tutte scuse che Clint aveva accolto tappandosi metaforicamente entrambi gli orecchi.

Aveva insistito perché dormisse un poco prima che riprendessero il cammino: i contrabbandieri li avevano scaricati su una spiaggetta deserta alle prime luci dell'alba e se n'erano andati senza una parola di più. Bruce l'aveva aiutato a condurre la donna su per un viottolo sabbioso e scosceso e poi si era scusato dicendo loro che aveva fretta di raggiungere la capitale. Non poteva proprio trattenersi oltre.

Clint gli aveva stretto la mano mentre il dottore snocciolava consigli su come evitare che la ferita di Natasha s'infettasse, raccomandandosi di cambiare la fasciatura almeno una volta al giorno finché non si fosse rimarginata del tutto. L'avevano guardato andar via, lui in piedi con le bisacce che gli appesantivano le spalle, e lei seduta su una roccia, lo sguardo perso nel vuoto. Gli era sembrata sollevata di non dover continuare il viaggio in compagnia di un semisconosciuto. C'era qualcosa che non la convinceva in lui, ma non aveva l'aria di aver ancora identificato esattamente di cosa si trattasse. Clint non aveva detto niente: in fin dei conti Natasha avrebbe ancora avuto una pallottola ficcata nel fianco se Bruce non li avesse aiutati.

Rimasti soli, avevano cercato un luogo appartato e si erano fermati nei pressi di un boschetto, al riparo dal sole e da eventuali visitatori indesiderati. Come la zona che circondava il porticciolo dei contrabbandieri da cui erano salpati, anche questa sembrava deserta. Clint aveva supposto che la maggior parte dei criminali che giravano da quelle parti, impegnati com'erano in traffici illeciti, vivessero e si spostassero più che altro dopo il tramonto. Ma aveva comunque deciso di rimanere sveglio e fare la guardia mentre Natasha riposava. Lei non era stata molto d'accordo, tanto che adesso era piuttosto sicuro fosse rimasta distesa con gli occhi aperti col solo intento di farlo innervosire e costringerlo ad addormentarsi per primo. Dopotutto non era mica quasi morta!

Quello che lo infastidiva era che alla fine si era assopito davvero. Non ricordava neanche quando fosse successo, ma stava di fatto che adesso si era svegliato di soprassalto e Natasha non c'era più.

“Cazzo,” biascicò a mezza voce, raccogliendo in fretta le loro cose, arco e frecce pronti all'uso.

Si sentiva stupido per la preoccupazione che gli andava serrando lo stomaco. Forse se n'era andata proprio per quello, perché cominciava a non sopportarla più, quella sua ridicola compassione.

Si trattenne dal chiamarla a gran voce, e – mentre si guardava attorno con la netta sensazione di essere un completo coglione – si ricordò di aver scorto il luccichio dell'acqua sul lato destro del bosco. Forse un lago o un fiumiciattolo ormai sul punto di confluire nel mare. Andò dritto in quella direzione, controllando se Natasha avesse lasciato qualche traccia, ma anche in quelle condizioni non sembrava che la donna avesse perso le sue buone abitudini.

Gli alberi gli scivolavano di fianco passo dopo passo e intanto andava chiedendosi che cosa fosse la Stanza Rossa e perché addestrasse uomini e donne nell'arte del combattimento. Ormai aveva capito che Natasha era versata in diversi campi, non solo quello del fare a botte. Sapeva mentire come nessun altro e riusciva a diventare persone diverse praticamente a comando; senza contare la pseudo confessione che gli aveva fatto mentre, seduti nel buio della foresta, avevano tentato di convincere i saltimbanchi che si erano appartati per far trionfare il loro giovane e ingenuo amore. L'idea che potesse servirsi anche del suo aspetto, dell'ascendente che aveva sugli uomini, per ottenere ciò che voleva non lo stupiva affatto, ma lo faceva incazzare in modo del tutto irrazionale.

La individuò non appena fu uscito dal bosco per ritrovarsi sulle rive di quello che più che un lago, aveva l'aspetto di uno stagno glorificato. Le piogge intense degli ultimi giorni dovevano averlo alimentato e ingrossato ben più del solito. Le canne oscillavano pigramente sotto i soffi del vento pomeridiano, ondeggiando silenziose nell'acqua limpida. E proprio là nel mezzo c'era Natasha, distesa sulla superficie, gli occhi chiusi e gli arti mollemente abbandonati.

Restò per un attimo a guardarla, sentendo l'ansia sfumare poco a poco. Fosse stata chiunque altro probabilmente si sarebbe sentito in colpa per essersi fatto spettatore non richiesto, ma sapeva che a lei non sarebbe dispiaciuto, che forse già sapeva che era lì o che, se non altro, sarebbe sicuramente andato a cercarla.

Il sole era ancora caldo, ma aveva perso il mordente del primo pomeriggio. Clint abbandonò le bisacce e l'arco sulla riva, proprio accanto al mucchietto formato dai pantaloni e dagli stivali di Natasha.

Prima che potesse rendersene conto si era sfilato il gilet e la camicia e, una volta a piedi nudi, si tuffò in acqua senza starci a pensar troppo. Non era gelida, ma abbastanza fredda da dargli refrigerio. Riemerse un attimo dopo, le erbe del fondale che gli solleticavano il petto e le braccia e la realizzazione che ne aveva davvero bisogno. Si mise a pancia in su in fissa del cielo azzurro e uniforme, così sereno da metterlo quasi a disagio, e si lasciò trascinare debolmente dalle inesistenti correnti dello specchio d'acqua. Socchiuse gli occhi e inspirò a fondo.

Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che aveva fatto un bagno – di quelli nella vasca della sua stanza a villa Coulson ne ricordava a dozzine, ma fuori all'aperto... aveva visto il mare, con Barney, tanti anni prima. Ci erano arrivati per caso, ma non appena la massa blu si era stagliata loro davanti, non avevano esitato un secondo: prima che potessero anche solo concordare su un piano d'azione si erano già spogliati di tutto per sfrecciare rapidi fino alla riva e poi dritti nell'acqua. Se n'erano pentiti subito dopo perché era gelida e il fondale pieno d'alghe viscide. Clint rammentò la sensazione di rattrappimento che si era impossessata di lui dopo il tuffo, il modo in cui l'aria gli era morta in gola prima di tramutarsi in ilarità. Non si erano aspettati che fosse così freddo, né tanto salato; la sua apertura, poi, una distesa sconfinata che continuava a perdita d'occhio finché la linea del cielo non si univa a quella dell'acqua, confondendosi l'una nell'altra. Era in quel punto lontanissimo che sembrava conservata la promessa di viaggi avventurosi e scoperte che avrebbero cambiato per sempre il mondo.

Lasciò che la mente scivolasse nelle fantasticherie di un Clint a malapena undicenne, fatte di pirati, corsari e bucanieri senza scrupolo che solcavano i mari alla ricerca di ricchezze senza fine, oro giallo e luccicante, pietre preziose, boccali tempestati di diamanti, forzieri appesantiti da ogni sorta di ben di dio. Tutto ciò che gli avrebbe permesso di vivere con suo fratello senza più una sola preoccupazione al mondo.

Quando riaprì gli occhi Natasha gli era di fianco, i capelli scuriti dall'acqua riavviati all'indietro.

“Mi hai fatto prendere un colpo,” le disse, rimettendo i piedi sul fondale scivoloso.

“Credevo fossi morto,” rispose lei senza batter ciglio.

Capì improvvisamente e con estrema chiarezza che preoccuparsi per lei sarebbe stato completamente inutile. Non solo non sarebbe servito a niente, ma Natasha l'avrebbe anche trovato odioso: non era di compassione o apprensione che aveva bisogno.

“Non sono io quello col buco nello stomaco,” le ritorse contro. Va bene, forse un pochino gliel'avrebbe fatto pesare comunque.

“Non mi aspetto che tu sia un asso in anatomia, ma lo stomaco è da un'altra parte.” E neanche lei suonava intenzionata a lasciargliene passare una che fosse una.

“Perché? Non ho la faccia di uno che conosce ogni più recondito segreto del corpo umano?”

Natasha lo scrutò attentamente per un lungo istante, come se stesse davvero riflettendo su quella domanda. E poi, dal niente, lo schizzò dritto in faccia, con la sua solita espressione compostamente seriosa.

“Che... c-cazzo!” Imprecò, cominciando a rispondere al fuoco con ampie manate d'acqua che andarono a colpirla in pieno viso. Subito dopo Natasha era scomparsa sotto la superficie. Capì dov'era andata a cacciarsi quando si sentì mancare l'appoggio dei piedi e una forza decisa lo respinse giù, facendogli inghiottire una gloriosa gozzata d'acqua.

Quando riemerse c'era il suono sommesso e inaspettato della risata di lei ad accoglierlo.

“Sei una stronza,” biascicò, senza lasciarsi intimorire da quello spettacolo improbabile.

Lei doveva essersi accorta della straordinarietà dell'evento, perché si era lasciata sprofondare finché l'acqua non le disegnava una linea azzurra come il cielo, appena al di sopra della bocca. Gli occhi, però, più verdi nella luce del pomeriggio, non riuscivano a celare il divertimento che li aveva accesi.

Sembrava un predatore acquatico pronto ad aggredire la propria preda, troppo inavvertita e ingenua per scorgere il pericolo. O una sirena, forse. Non era questo che le avevano insegnato a fare? Attirare le persone nella propria rete per poi farne un sol boccone? O consegnarle al fratello impazzito, magari. Un sorriso amaro gli piegò le labbra.

Il pensiero di Barney, inevitabile, lo trascinò fuori dell'acqua e di nuovo sulla riva erbosa, dove si mise seduto. Tentò di staccarsi i pantaloni dalla pelle, ma fradici com'erano gli rimanevano tenacemente appiccicati addosso; trovò buffo il modo in cui la sensazione di leggerezza che la stoffa gli aveva dato nell'acqua, si fosse tramutata in pesantezza non appena ne era uscito.

Natasha lo raggiunse un attimo dopo. Le gambe pallide tagliavano l'acqua con più incertezza di quanta Clint si fosse aspettato; la camicia nera le si era attaccata addosso, ridisegnando le curve del suo corpo con estrema fedeltà. Cominciò a chiedersi che razza di bestie orrende vivessero nelle profondità dello stagno, magari anfibi immersi nel fango, pesci trasparenti dal ghigno orrendo... qualsiasi cosa pur di non soffermarsi su Natasha, o di lì a poco avrebbe avuto bisogno di un altro bagno gelido.

Quando la vide barcollare un poco, però, scattò in piedi senza neanche soffermarsi a riflettere. L'aiutò ad appoggiarsi a lui e dal modo in cui Natasha non protestò nell'accettare il suo aiuto, Clint capì che non aveva avuto altra scelta. Era già abbastanza sorprendente che il suo viso avesse ripreso quel po' di colore che faceva prospettare una pronta guarigione, ma la ferita era ancora tutt'altro che un brutto ricordo.

Lo lasciò andare dopo essersi seduta a terra, un sospiro trattenuto ad accompagnare il gesto. Era sicuro che il fianco le facesse un gran male e che si stesse sforzando di non darlo a vedere.

“Avresti dovuto avvisarmi,” si ritrovò a dirle, più duramente di quanto avesse preventivato.

“Stavi dormendo,” si giustificò lei, senza guardarlo.

“Avresti dovuto svegliarmi.”

“Sapevo di potermela cavare,” stabilì, secca e concisa.

Le parole di Natasha sembrarono concludere la conversazione, perché rimasero immobili, seduti nel sole a lasciare che il calore asciugasse loro vestiti e capelli.

“Mi dispiace... per non averti detto niente.” Fu di nuovo lei a parlare, cogliendolo alla sprovvista. La frase suonò calcolata, riprovata, come osse la centesima volta che la ripeteva, ma solo la prima che la diceva ad alta voce.

“Di cosa?” Domandò confuso.

“Di tuo fratello.” Aveva disteso le gambe davanti a sé e solo allora, alla luce del sole, Clint riuscì a cogliere la fitta trama di cicatrici che le ricoprivano. “Mi ero accorta della somiglianza, ma non ho capito finché non me ne hai parlato.”

“Eri in debito con lui?” Era di questo che aveva parlato, no? Barney gli aveva detto di avere un favore in sospeso con la Stanza Rossa e Natasha era andata ripetendo di non avere altra scelta.

“Non io.”

“I tuoi... mandanti.” Natasha annuì una sola volta. “Cos'è che ti ha dato prima che te ne andassi?”

“Un ciondolo,” rispose, un leggero sorriso ad incresparle le labbra. Ma non c'era divertimento nei suoi occhi. “E' così che i nostri capi sanno che abbiamo portato a termine un lavoro... pagato il debito.”

“E adesso che ce l'hai?” Non avrebbe dovuto riportarlo indietro, ovunque si trovassero questi fantomatici superiori?

“Non ce l'ho più. L'ho gettato in mare.”

“Perché?” Temeva proprio di aver perso per strada il filo della conversazione.

“Perché non credo che mi rivogliano indietro,” si voltò per guardarlo, puntandogli addosso uno sguardo triste, rassegnato e arrabbiato al tempo stesso, “Molot era lì per uccidermi.”

Si era quasi dimenticato dell'imponente monaco che l'aveva svegliato di soprassalto nella speranza di riempirlo di mazzate... chiodate.

“Non suona molto sensato,” commentò, impedendosi di apparire anche solo vagamente dispiaciuto. Adesso sapeva che non l'avrebbe apprezzato; probabilmente non sarebbe piaciuto neanche a lui se fosse stato al suo posto.

“Uno schiavo disobbediente è uno schiavo inutile,” chiarì causticamente.

“E' questo che sei per loro? Una schiava?”

Natasha si strinse nelle spalle, forse incerta sulla risposta da dare. Esitò finché il silenzio non riprese a fluire tra di loro, più confortevole di quanto non fosse in precedenza, non più gravido di cose non dette ed informazioni convenientemente taciute.

“Grazie per essere tornata indietro,” si risolse a dire, strappando alcuni ciuffetti d'erba, giusto per tenersi occupato.

“Avevi intenzione di lasciarti ammazzare?” La domanda gli era suonata irruenta, come se Natasha avesse voluto soffocare il ringraziamento e fingere che Clint non avesse neppure pronunciato le parole.

“Non so cos'avessi intenzione di fare,” confessò, lasciando indugiare lo sguardo sulle sue curve un po' troppo a lungo. La stoffa nera si era scavata un posto nello spazio tra i seni, definendone le linee con cura maniacale. “Forse non avrei potuto fare niente, comunque.”

“A volte si devono fare cose orrende per sopravvivere,” sussurrò lei, a malapena udibile.

Deglutì a fatica mentre Natasha gli offriva il suo profilo, gli occhi chiusi, il naso dritto e le labbra morbide. Non voleva pensare a tutti i peccati di cui si era macchiata prima di sedersi lì con lui, o a chi l'aveva obbligata a commetterli, non voleva pensare agli squarci che la vulnerabilità apriva nella sua persona, permettendogli di intravedere la Natasha che stava al di là di quella barriera, impalpabile ma pur sempre presente. Non le piaceva avere le difese abbassate e Clint era più che sicuro che tutte quelle parole le costassero una fatica enorme.

“Cosa farai adesso?” Dopotutto era lui che aveva bisogno di raggiungere la capitale; lei non era obbligato a seguirlo.

“Mi godo la festa della corona... e poi penserò a qualcosa.”

Non avrebbe saputo dire come o perché, ma Clint sapeva che non si era mai fermata a riflettere su cosa sarebbe potuta essere se le circostanze fossero state diverse. Non abbiamo un posto nel mondo, gli aveva detto e lui le aveva creduto.

“Pagherò il mio debito e poi toglierò il disturbo,” aggiunse.

“Non sei in debito con me,” Clint si affrettò a puntualizzare. Non voleva essere come la Stanza Rossa – qualunque cosa fosse – né tantomeno come suo fratello, non quello che aveva tentato di ucciderlo comunque.

“Lo sono.”

“Puoi andartene in qualsiasi momento,” ribadì, ottenendo di farsi guardare.

Natasha lo osservò per un lungo istante e – per un misero attimo – gli parve che i suoi occhi si fossero avventurati sulle sue labbra e poi più giù. Probabilmente stava sognando o non aveva dormito abbastanza.

“Sembra che i ruoli si siano invertiti.” Fu lei a spezzare lo scomodo silenzio che aveva seguito la sua considerazione.

Avrebbe voluto dirle che non gli sarebbe dispiaciuto se fosse rimasta con lui anche dopo la festa della corona – il che sarebbe stato stupido: non sapeva cosa li aspettasse nella capitale, né cosa l'esercito stesse predisponendo per il re e per l'ordine dello Scudo. C'erano ancora troppe zone d'ombra nel disegno che gli si era delineato davanti agli occhi, troppe cose da chiarire o che ancora ignorava. Quel che contava, però, era che lord Phillip potesse essere lì. Che aveva messo in salvo la famiglia e che era in qualche modo coinvolto nell'attentato al capitano Rogers, nel bene o nel male.

“Ripartiamo stasera,” le disse, senza offrire alcuna spiegazione sul come avrebbero fatto a spostarsi.

Natasha annuì e Clint si distese sull'erba. Il paesaggio idilliaco era fastidiosamente in contrasto col garbuglio incomprensibile che gli riempiva il cervello.

Lo cancellò socchiudendo gli occhi.

 


Note: niente da dire su questo capitolo di tregua per i nostri prodi; spero non fosse troppo noioso. Per scoprire cosa li attende nella capitale bisognerà aspettare il prossimo capitolo...
Come sempre tanti ringraziamenti a chi legge e commenta e alla sociabeta Eli :)
Alla prossima settimana!
(◡‿◡✿)
  
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