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Autore: suni    01/03/2009    17 recensioni
“Cosa cavolo credi di fare, eh?” ringhia Naruto furioso, sbattendo il genio contro il muro. Sasuke emette appena un respiro un po’ più rumoroso, rimane fermo con la schiena aderente alla parete e gli occhi fissi, un po’ sgranati e quasi confusi.
Naruto tira un pugno con forza al muro, per non darglielo in faccia e spaccargli il naso. Appoggia la testa alla parete e una mano dall’altro lato del capo di Sasuke.
“Cos’è, ti vuoi ammazzare?” rumina, inviperito.
BUON COMPLEANNO, MAURA.
[Legata a Konoha, mattina.]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Seconda e ultima parte, vivaddio.

(Ancora AUGURI, carina.)

 

 

____________________________________

 

 

 

 

Quando Naruto apre gli occhi lo fa di soprassalto, tanto che per il movimento brusco di tutto il corpo quasi rotola a terra. Allunga faticosamente e febbrilmente la mano per afferrare la sveglia e sbatte gli occhi, guardando l’ora, quindi li sgrana: sono le dieci e mezzo del mattino.

Ha dormito per più di quattordici ore.

Si alza a sedere con un gemito frustrato, l’impugnatura della katana gli sbatte contro la nuca e ha le spalle che fanno male, i muscoli di tutto il corpo contratti. Si alza in piedi di fretta, senza farci caso. Non avrebbe dovuto dormire così tanto, non avrebbe dovuto lasciare Sasuke da solo per tutte quelle ore. È con un’ansia primitiva che si sfila la katana dalle spalle, ed è contento di essere vestito e non aver nemmeno levato i sandali quando si è addormentato perché così può correre fuori, subito, lanciarsi a tutta velocità verso il quartiere del clan. Per strada incrocia Shikamaru che lo chiama ma lui non rallenta, non si volta nemmeno a guardarlo.

Non adesso, maledizione, non adesso. Non lo vedi che Sasuke sta male?

Ha il fiato rotto, le gambe gli tremano quando salta il muro di cinta. Forse Sasuke ha chiuso la porta sul cortile, ma lui ci va lo stesso e l’anta è soltanto socchiusa. Gli sembra un invito a servirsene, perché se Sasuke non avesse voluto che passasse di lì l’avrebbe semplicemente chiusa.

“Sas’ke?” chiama, con la voce troppo alta e allarmata. “Sas’ke, sei qui, Sas’ke?” continua a berciare, entrando in casa.

“Naruto! Smettila di urlare tanto, zuccone!”

Una voce femminile, cristallina e musicale. Vede Sakura seduta al basso tavolo della cucina dalla porta, gli sta sorridendo e Sasuke è davanti a lei a gambe incrociate sul pavimento. Vivo, sveglio e con il viso un po’ meno incavato, si vede che ha dormito, però il suo sguardo sembra ancor più allucinato di ieri.

“Sakura,” mormora Naruto, prima di accennare un sorriso. “Io non…” ridacchia leggero. “Lo sai che faccio sempre rumore, no?” sogghigna, falso.

Sakura sbuffa rassegnata, gli sorride di rimando.

“Stavo spiegando a Sas’ke-kun dell’operazione,” lo informa, con composto entusiasmo. “Tra circa due settimane Tsunade hime effettuerà l’intervento,” aggiunge, voltando verso il genio un sorriso incoraggiante.

“Perché non tu?” chiede Naruto, perplesso. Poi getta l’occhio sul tavolo, c’è del pane caldo e della salsa di ciliegie, un po’ di latte, ciambellette. “Posso…?”

“Siediti,” lo interrompe Sasuke impersonale, senza guardarlo.

“E’ un’operazione delicata, Naruto, è meglio che a farla sia un medico che non ha nessun tipo…di legame col paziente. E poi la shisho è più brava di me,” spiega Sakura, con leggero imbarazzo. Lui sorride tra sé: è diventata un bravo medico, coerente, responsabile.

Mmh…buonissimo!” commenta, addentando una ciambelletta con lena mentre si versa il latte.

“Ma non hai fatto colazione?” lo riprende Sakura, severa.

Naruto ridacchia, di nuovo.

“Mi sono appena svegliato,” borbotta, spalmando la salsa.

“Oh,” fa Sakura sognante. “Anche Sas’ke-kun si era appena alzato quando sono arrivata. Era ancora tutto…stropicciato,” mormora rapita, osservando assorta il genio.

Sasuke sembra vagamente imbarazzato, ma continua a bere il suo tè con compostezza, fissando il fumo che sale in volute dalla tazza.

“Allora teme, tra due settimane vedrai bene di nuovo. Sei contento?”

La sua voce suona finta ed esagerata alle sue stesse orecchie, Sasuke sposta lo sguardo su di lui inerte, senza fare commenti. Che non sia contento, che in effetti non gli interessi minimamente, non c’è nemmeno bisogno di dirlo.

“Sì.”

Cos’è, ti vuoi ammazzare?

Sì.

“Allora io vado, sono già in ritardo,” annuncia Sakura, controvoglia. “Vieni alla visita, domani. Ne hai già saltata una,” aggiunge accorata all’indirizzo di Sasuke.

“Sì.”

Sakura sorride a Naruto, gli fa un cenno con la mano. Lui fa per alzarsi e accompagnarla alla porta, ma lei lo trattiene bonaria.

“No, mangia. Mangiate.”

Rimangono in silenzio. Quando il suono dei suoi passi si spegne non c’è più nessun rumore, tranne quello delle posate mosse da Naruto, la tazza che tocca il tavolo, il grattare della sua mano sulla caviglia.

“Hai dormito bene?” chiede, cercando di sembrare naturale.

“Ho dormito.”

“Non mangi?”

“Più tardi,” che poi è un modo vago per dire no.

Sasuke si alza, inizia lentamente a sparecchiare. Naruto finisce la generosa porzione che s’è servito osservato i suoi movimenti inefficaci, troppo estenuati.

“Ti sono rimaste provviste? Dopo posso…”

“Cosa farai adesso, Naruto? Passerai giorno e notte qui in casa mia, per sorvegliarmi?”

Sasuke gli dà le spalle, facendogli quella domanda, e Naruto rimane con la bocca semiaperta per qualche secondo. Ma è un quesito stupido: ha passato tre anni inseguendo il suo ricordo, non si farà certo fermare da qualche giorno di noia.

“L’idea è questa,” conferma, deciso. “Devo solo sistemare una o due cose.”

Sasuke potrebbe – dovrebbe - rispondere che la deve piantare, che gli dà fastidio, deve levarsi dai piedi. Invece si stringe nelle spalle.

A Naruto sembra di continuare a perdere, inesorabilmente.

 

 

“Come sarebbe, ancora qualche giorno?”

Tsunade è accigliata, grave. Lui scrolla le spalle e sorride con noncuranza.

“Mi dispiace, vecchietta. So che avevo detto di essere pronto a riprendere le missioni, ma vorrei ancora un po’ di tempo.”

L’Hokage sbuffa, incrocia le mani sul tavolo, lo guarda penetrante.

“Naruto…”

“E’ importante. Davvero.”

È importante.

 

 

Sasuke è acciambellato sul letto, guarda la parete come se fosse in trance. Quando lo vede entrare non muove un muscolo, rimane muto e vacuo come se lui non fosse lì.

“Hai veramente intenzione di stare qui in eterno?” chiede poi, a voce bassa.

“Se sarà necessario,” risponde lui baldanzoso, senza lasciarsi smontare. “E’ ora di dormire, teme.”

Ci penserà lui. Non sa come, ma lo farà.

Sasuke finalmente sospira, sfinito.

“Non voglio dormire. E non voglio stare sveglio,” afferma, atono. “Perché non mi lasci andare, Naruto? Perché non mi lasci mai andare?”

Lui stringe i denti, l’ha colpito in pieno. Si siede sul lato del materasso, scrolla la testa con un sorriso per nascondere la smorfia di amarezza.

“Stai di nuovo dicendo cazzate, lo vedi che devi dormire?” ribatte scherzoso, ma è uno scherzare che fa pena.

Sasuke non risponde, resta lì fermo e guarda per aria. Naruto vorrebbe riuscire ad arrivare abbastanza vicino da fargli sentire che lui è lì, c’è sempre stato, aspettando. Vorrebbe riuscire a oltrepassare il baratro che Sasuke si è scrupolosamente scavato intorno, giorno dopo giorno, un passo dopo l’altro, per anni. Quando ne avevano dodici era ancora abbastanza facile scavalcarlo, ma adesso non si può più.

Perciò è a fatica che si sporge un po’ in avanti, esitando, senza capire perché debba farlo di nuovo ma magari è soltanto perché ha avuto paura, ieri, nel trovarsi davanti al fatto che Sasuke possa morire non per mano di un nemico ma perché lui stesso lo vuole. Ha bisogno di essere sicuro che sia ancora lì e allora gli accarezza di nuovo i capelli – ieri è riuscito a farlo addormentare, così. Sasuke non si ritrae, di nuovo, non è che sembri apprezzare ma resta lì tranquillo. Succede di nuovo la stessa cosa, Sasuke si addormenta piano piano mentre Naruto corre con le dita dalle ciocche nere dei suoi capelli al solco tra i suoi pettorali, attraverso la maglia, e lungo le sue spalle, sulle braccia, fino a giocherellare con le sue dita sotto la coperta. Non si è mai sentito così poco felice e così tranquillo insieme. Quando Sasuke si addormenta esce dalla stanza, scende di sotto e si stravacca sul tatami.

 


La terza sera Sasuke si volta a guardarlo, poco prima di addormentarsi.

“Come sei egoista, Naruto,” gli dice ancora una volta.

“Almeno abbiamo qualcosa in comune,” risponde lui di getto, con un sorriso di scuse.

La quarta sera Naruto si siede per bene sul letto, appoggiando la schiena alla parete di testa. Così può infilare tutt’e due le mani tra i capelli di Sasuke. Lui prende sonno più in fretta, stavolta.

La quinta sera Sasuke si raddrizza, quando già lui lo credeva mezzo addormentato.

“Ho fame,” dice distaccato.

Naruto sorride, sollevato.

“Io sono sempre d’accordo per uno spuntino, teme,” sogghigna, beffardo.

Mangiano del ramen istantaneo senza scambiare una frase, tornando in camera in totale silenzio.

La sesta sera è Naruto ad addormentarsi per primo, nel letto di Sasuke. La sua schiena scivola sempre più in basso finché sprofonda nel sonno senza accorgersene, con le mani tra i capelli di Sasuke. Quando si sveglia la sua mano destra è ancora abbandonata sul cuscino e le dita del genio, nel sonno, si sono appoggiate per caso sulle sue.

Alla luce del sole, le sere a casa Uchiha spariscono come sogni fumosi, irreali. A Naruto rimane addosso giusto il senso di anormalità per quella strana vicinanza, colorato di domande che non ha voglia di porsi. Inquietanti, forse, anomale. I giorni continuano a susseguirsi uno dopo l’altro, Naruto esce poco, per accompagnare Sasuke alla visita o semplicemente per vedere Sakura e sapere come procede la preparazione all’intervento, per rassicurare Kakashi sensei sul fatto che almeno lui, forse, è ancora una persona abbastanza normale. Kakashi gli offre il ramen, parla poco, è distratto. Si vede che vorrebbe dire o fare qualcosa e che non sa, come al solito, come interagire con nessuno dei due. Un pomeriggio arriva a casa Uchiha per vedere Sasuke, è impacciato ma rimane seduto tranquillo, in silenzio, faccia a faccia con l’ex allievo. Forse a Sasuke fa persino bene.

“Quando vieni in missione, Naruto?” chiede placido, quando lui lo accompagna alla porta.

“Presto,” promette il jinchuuriki.

Kakashi annuisce, lo guarda dritto in faccia e sembra voler parlare ancora, poi invece scrolla la testa.

“Va bene.”

 

 

La settima sera Naruto si sente più riposato. Ha recuperato in buona parte il sonno arretrato e si addormenta meno pesantemente, di fianco a Sasuke, mentre le sue dita gli sfiorano la spalla. Non sa che ora sia quando un rumore lo sveglia di soprassalto, quasi spaventandolo. È un gemito sottile, persistente, che arriva da un punto vicino a lui.

Sasuke si lamenta nel sonno. Muove la testa, le mani, serra gli occhi e le sue labbra sono strette tra i denti. Lui lo guarda per qualche secondo senza raccapezzarsi, ancora intontito, e il corpo del genio ha un sussulto più violento, quasi come uno spasmo, lo sente mormorare qualcosa con un tono disperato.

“Sas’ke,” mormora Naruto, sporgendosi verso di lui. “Sas’ke, teme, stai sognando,” continua, scrollandolo delicatamente.

Sasuke si sveglia di soprassalto, con gli occhi sgranati stracolmi di panico e dolore. Geme ancora qualcosa e si volta di scatto sul fianco, dandogli le spalle, si copre la testa con le braccia e resta fermo. Lui resta lì indeciso per qualche secondo, allunga le mani a sfiorarlo e lo sente teso, rigido come un blocco di pietra e con la pelle gelata, umida. Non ha idea del motivo per cui spinge la testa in avanti e gli appoggia le labbra sotto il collo, in mezzo alle scapole. Perché non riesce in nessun modo a farsi sentire e forse quello può funzionare, o perché ne ha bisogno di lui, di sentire Sasuke con ogni mezzo possibile. Non ha importanza, gli fa scorrere le labbra sulla pelle e passa le braccia oltre le sue spalle, cingendole, annusa il suo collo, lo inspira. Sasuke rimane immobile ancora per qualche secondo, poi inaspettatamente si gira. Lentamente, in un fruscio inudibile della coperta, rotola con tutto il corpo verso di lui e rimane immobile, a un soffio dal suo viso. È pallidissimo, ha la fronte imperlata di sudore e Naruto sente il suo cuore battere freneticamente. Chissà cosa stava sognando.

È buio, il profilo delle cose è inconsistente, sfumato, le sue labbra si posano sul sopracciglio di Sasuke, sulla palpebra, sul naso e poi, inevitabilmente, sulle labbra del genio – ma perché lo sta facendo? Perché? Non ha nessun senso. Sasuke non si ritrae nemmeno stavolta, rimane abbandonato in quell’abbraccio istintivo e Naruto continua a sfiorare la sua bocca e allontanarsi, poi la strofina, una cinque dieci volte si distanzia leggermente e ritorna.

Poi Sasuke chiude gli occhi, appoggia la testa sul cuscino.

Quando si sveglia poco dopo l’alba Naruto ha male dappertutto, e un gomito di Sasuke è conficcato nel suo stomaco forse da ore.

 

 

L’ottava sera Naruto dorme nella sua stanza. Se n’è andato da casa Uchiha al mattino e Sasuke ha fatto finta di niente, poi lui non ha avuto il coraggio di tornare da solo. È passato da Sakura e le ha proposto di fargli compagnia. Lei, che da Sas’ke-kun ci va sempre più che volentieri, ha accettato all’istante e Naruto per un secondo si è sentito assurdamente geloso. Il che non l’ha aiutato a tranquillizzarsi.

Sono rimasti per un paio d’ore dall’amico, se così lo si può ancora definire, chiacchierando su Konoha, su cose di nessuna importanza.

“Shikamaru andrà di nuovo a Sunagakure, la settimana prossima,” diceva Sakura, fingendosi vaga.

“Però, ha davvero preso sul serio gli scambi di pace,” commentava Naruto, sogghignando.

“Beh, certo…la famiglia del Kazegake non c’entra affatto, prima che tu lo chieda, Shikamaru ha tenuto a precisarlo,” aggiungeva lei, grave.

“Certo, non ne dubito.”

E ridevano. Sasuke non sembrava fare molto caso a loro, e Naruto non riusciva quasi a guardarlo. Quando se n’è andato era inquieto, perché non voleva lasciarlo solo, ma ha bisogno di staccarsi per qualche ora, e restare per conto suo. C’è troppo Sasuke nella sua vita e forse sta perdendo di vista la dimensione della realtà.

Ma il mattino dopo gli basta guardarlo per sapere che non ha di nuovo chiuso occhio, e nemmeno lui ha potuto granché dormire. Continuava a pensare a cosa stava facendo Sasuke e perché fosse tanto importante saperlo, per quale maledetta ragione l’ha baciato. Si è detto che è solo un momento particolarmente complesso in cui si è trovato a dimostrare l’affetto in modo strano.

La nona sera dorme con Sasuke, di nuovo. Gli si sdraia vicino e esplora tutto il suo torace, i fianchi, la schiena, la linea della vita. Lo bacia per un lasso indefinibile di tempo e Sasuke reagisce, ha le labbra morbide e respira piano, strusciandole contro le sue.

La decima sera anche Sasuke sembra ritrovare la funzione delle proprie braccia. Le fa scivolare sui suoi fianchi e ha dita leggerissime che sulla pelle sembrano un velo, fanno quasi il solletico ma provocano caldo, nello stomaco.

L’undicesima sera è Sasuke che lo bacia per primo. Naruto lo sveglia di nuovo accorgendosi del suo incubo e Sasuke si aggrappa al suo collo, dopo averlo guardato per un paio di secondi, e fa aderire le loro bocche.

La dodicesima sera la mano di Naruto si spinge più in basso di dove sia mai arrivata. Succede quasi accidentalmente, senza che nemmeno ci pensi con lucidità. Sasuke emette un leggero sospiro quando le sue dita gli percorrono l’ombelico e lui trattiene il fiato, lasciandole andare giù. Sente i muscoli dell’addome di Sasuke tendersi e poi i suoi polpastrelli tremanti sono sulla stoffa dei pantaloni del genio, esitanti, le orecchie sono invase da un ronzio sordo e la sua bocca si fa secca quando sente il rigonfiamento sottostante la sua mano farsi rigido e consistente. La percezione della realtà si fa ancor più ovattata, è buio, notte, e c’è Sasuke che respira forte mentre lui muove la mano con sempre più sicurezza, senza prendere fiato, affascinato nell’intravedere il viso di Sasuke che smette di essere pietra e riprende vita, la sua labbra si socchiudono e si aprono sempre di più, gli occhi tornano mobili, si assottigliano e poi si sgranano seguendo i suoi movimenti. È straordinario.

Quando l’altro inizia a gemere, pianissimo, con voce roca, Naruto si accorge che anche nei suoi, di pantaloni, qualcosa si anima. E quando Sasuke si inarca indietro e si lascia sfuggire un lamento più forte, fremendo mentre si scioglie nell’orgasmo, gli sembra di ustionare – la mano sulla stoffa ustiona, la sua faccia, lo stomaco – e cerca invano di deglutire o anche solo respirare, ma il palato è completamente secco.

Rimane quasi intontito, immobile, guardando Sasuke che ansima ancora leggermente con una inequivocabile voglia di saltargli addosso. Assurda, perversa, insensata, eppure è lì. Vorrebbe quella di Sasuke, di mano, e baciarlo di nuovo.

Invece il genio non si muove più per qualche secondo. Lui può vedere i suoi occhi sgranati fissi sul soffitto, sembra sconvolto. Poi si volta di scatto, con un gesto improvvisamente rabbioso, e si rannicchia sotto la coperta dandogli le spalle, ha il pugno stretto intorno al lenzuolo.

“Va’ via,” ringhia minaccioso.

Naruto sbatte le palpebre, doppiamente disorientato – da quello che è successo, da quella reazione – e si lecca le labbra per riuscire a parlare normalmente.

“Cos…?”

“Vattene, Naruto!” sbotta Sasuke con furia, sollevandosi sui gomiti e voltando la testa verso di lui quanto basta a vedere il viso distorto da non si sa cosa. Sembra arrabbiato e smarrito e più stravolto di prima. “Vattene da casa mia! Fuori! Non mi devi toccare!”

Il suo primo impulso è di reagire con altrettanta veemenza, di alzare la voce, ma è troppo confuso e poi forse non sarebbe il caso, non con quello che ha appena fatto e con la faccia che ha Sasuke adesso. Non con la situazione attuale, perché è tutto già abbastanza fragile. Allora incespica indietro e quasi rotola, scendendo dal letto.

I-io…”

“Via,” sibila Sasuke dall’ammasso della coperta. E Naruto capisce che se ne deve davvero andare. Esce più in fretta possibile, appena abbastanza decorosamente perché non sembri che stia scappando. Fuori Konoha è deserta e le orecchie gli fischiano, si guarda la mano – cos’ha fatto? È impazzito? È malato? – e scuote febbrilmente la testa. Quando arriva a casa nemmeno accende la luce ma si siede sul suo materasso, si guarda intorno stralunato, lascia cadere la testa sul cuscino e prende qualche respiro profondo per calmarsi. Le guance gli bruciano ancora.

Non è successo niente. È stato solo un momento di confusione, una pazzia dovuta a tutto quello che sta succedendo. Se lo ripete finché l’immagine traditrice del gemito di Sasuke lo colpisce come una randellata e gli blocca l’aria nei polmoni. Sasuke che ansima, solo per la sua mano. Sasuke, la sua pelle e la morbidezza delle sue labbra, Sasuke.

Ci prova a lasciar perdere, scuote anche la testa e la annega sotto il cuscino con un sospiro frustrato, ma Sasuke rimane lì finché con quella stessa mano va a toccare se stesso, ed è sempre a Sasuke che sta pensando. È del suo viso anche l’immagine che lo accompagna mentre viene – pensando che quella sia la mano di Sasuke – ed è allora che Naruto si rende conto che ha oltrepassato il limite, che a se stesso non può mentire.

Sasuke non è solo il suo migliore amico. Forse, non lo è mai stato.

 

 

La mattina del tredicesimo giorno la porta che dà sul cortile interno è chiusa a chiave. Naruto fa per aprirla dopo essere quasi corso lì, perché ha bisogno di parlare con Sasuke, di spiegarsi e soprattutto di capire. Ma l’uscio rimane bloccato e anche quando lui bussa – dapprima normalmente, con lo stomaco serrato dall’inquietudine, poi tirando pugni che fanno tremare tutta la parete, urlando il nome dell’amico – dall’interno non proviene nessun segno di vita.

Lascia il cortile a balzi, scavalca il muro e si precipita alla porta principale.

“Sas’ke!” sbraita, prendendola quasi a spallate. “Sas’ke, apri questa maledetta porta o la butto giù! Sas’ke!”

Non è successo niente, si ripete angosciato. Probabilmente si è soltanto chiuso dentro, quel teme. Se si sentisse almeno un rumore, qualcosa, forse potrebbe riuscire a respirare.

“Sas’ke! Guarda che dico sul serio! Sto per sfondare la porta di casa tua, e probabilmente anche le pareti dietro, e…” bercia, iniziando a preparare un rasengan.

E la soglia, finalmente, si socchiude.

“Sas’ke, perché cavolo hai chiuso la porta, eh? Tu non…” inizia Naruto irato, non appena il viso del genio – pallidissimo, tirato, deve di nuovo non aver dormito – compare nella fessura.

“E’ la porta di casa mia,” ribatte Sasuke rigido. “La chiudo quando voglio. Vattene, non ti voglio intorno.”

“No che non me ne vado!” grida Naruto, impotente. È tutta colpa sua, comunque, non avrebbe dovuto. Non doveva farlo, non doveva toccarlo e non doveva capire, perché adesso che lo vede, che Sasuke è lì, gli risulta ancor più chiaro quello che è successo in nottata, almeno per quanto lo riguarda. “Tu…non puoi smettere di parlarmi perché… E’ successo, è solo che…non fa niente, teme!” E s’impappina miseramente. Va bene anche negare, costringerà se stesso a fingere, basta che Sasuke non lo allontani di nuovo. Lo ha fatto per troppo tempo.

“Voglio stare da solo,” continua Sasuke, stancamente. “Vattene.”

Naruto serra le labbra, spazientito. Ma a guardarlo, Sasuke sembra sul punto di fare chissà quale assurdità se soltanto spinge ancora. Sarebbe capace di ripartire, anche con gli occhi conciati a quel modo.

“Ti posso accompagnare lo stesso in ospedale per l’operazione, domani mattina?” mormora sordo, abbassando la testa.

Sasuke lo guarda vacuo, senza interesse.

“Fai quel cavolo che ti pare,” risponde abulico. “Basta che te ne vada.”

Se conosce ancora un po’ Sasuke, anche solo un infinitesimo, quello è un sì. Naruto del resto lo sa, che Sasuke ha paura. Ha il terrore che domani gli dicano che no, l’operazione non basta, resterà quasi cieco. Però deve fingere che non gli interessi e invece di rispondere che avere il suo sostegno gli fa piacere deve far sembrare che non gl’importi affatto, che quasi gli dia fastidio. Ma se non lo volesse accanto avrebbe intimato semplicemente di lasciarlo in pace.

“Ti vengo a prendere alle sette.”

Sasuke si stringe nelle spalle, poi richiude la porta.

 

 

Sono le sette meno dieci quando Naruto arriva davanti a casa Uchiha, dopo un’altra notte quasi insonne trascorsa rimuginando. Ha pensato e ripensato a Sasuke, al suo scatto quando l’ha sbattuto fuori dal letto e da casa, in un modo che sembrava febbrile, completamente sconvolto. E continua a ritornarci su col pensiero anche mentre tentenna davanti alla porta aspettando che si facciano le sette precise.

Dei, è sconvolto anche lui – sono due maschi, sono migliori amici – ma in modo diverso. E’ come se Sasuke non lo avesse saputo, che c’era qualcosa di così gradevole al mondo.

Sempre che lo sia stato, gradevole. Dalla reazione sul momento si sarebbe detto di sì, ma Naruto non ne sa nulla, di queste cose, lui ha sempre combattuto e viaggiato e corteggiato inutilmente Sakura, quel poco che sa in materia è esclusivamente solitario. Magari a Sasuke è sembrato orrendo.

Questo è il genere di futile paranoia cretina che proprio non dovrebbe nemmeno sfiorarlo, al momento, dato che ci sono problemi ben più seri. S’imbroncia e tira un calcio leggero alla parete, esattamente mentre la porta si apre.

“Ti ho visto per caso dalla finestra. Ho pensato che fossi tu,” afferma Sasuke, la voce monocorde e lo sguardo ritroso.

“Puoi anche evitare di dirlo con quel tono, eh” commenta Naruto, piccato.

“Sei tu che hai voluto venire,” osserva Sasuke, impersonale.

“Oh, ma va’ al diavolo, teme!” abbaia Naruto, oltrepassandolo per entrare in casa. “Sembra quasi che l’altra sera abbia fatto tutto io da solo, ma non mi sembra! Mi pare che fossi d’accordo, e che non ti desse poi tanto fastidio!”

Sasuke piega appena le labbra verso il basso, in un’espressione che sta tra l’indifferente e il sofferente.

“Come no.”

C’è un po’ del suo vecchio sarcasmo sprezzante, malevolo, in quelle due parole, e Naruto si sente colpito quasi a tradimento, in un punto debole. Esita, prima di racimolare l’inesauribile combattività.

“Bugiardo!” esclama con foga. “Vuoi sapere cosa penso?” sbotta, irato.

“No,” replica freddamente Sasuke, senza quasi badargli. “Non mi interessa. Quella…cosa non deve succedere mai più.”

“Me ne frego! Te lo dico lo stesso!” sbraita Naruto, ormai perse le staffe. “Penso che ti sia piaciuto più di quanto ti potessi aspettare ed è questo il tuo problema! Vuoi che nella tua vita non ci sia mai niente di piacevole, per continuare ad essere il povero sventurato Sas’ke Uchiha, il superstite condannato unicamente alla sofferenza che tutti hanno usato come un burattino al punto da fargli uccidere ingiustamente il suo stesso fratel...”

Il pugno di Sasuke lo interrompe di botto. Non è troppo violento, non abbastanza da stordirlo, ma il genio ha racimolato nel braccio indebolito quanta forza basta a sbilanciarlo e farlo sbattere contro il muro. O forse è la collera che gli ha dato energia: comunque sia Naruto accoglie quel colpo come fosse una carezza. È una reazione, è di nuovo Sasuke. Lo guarda e finalmente nei suoi occhi c’è quell’antica rabbia, c’è la fierezza che più di tutto lo caratterizza, rilucente nelle sue iridi con rancore e indignazione.

“Non ti azzardare,” ringhia gelido, “nemmeno a nominarlo, tu specie di...”

“Ma lo hai ucciso! Lo hai ucciso, lo hai fatto, e non gliene frega a nessuno! Né di te né di lui, sei insignificante come qualunque altra perso...”

“Taci!” sbotta Sasuke rauco, buttandosi di nuovo contro di lui. E Naruto risponde, perché cavolo, ne ha veramente le tasche piene ed è testardo anche lui ma c’è un limite a tutto. Si ritrova aggrovigliato a Sasuke in un pestaggio vero e proprio, rimbalzando nel corridoio, e sarà anche debole quel dannato teme ma sguscia e si divincola come un serpente, guarda caso, lo attacca con vera ostilità. Dapprima Naruto reagisce più che altro per tenerlo buono – e perché lo diverte e lo rasserena, sì – ma quando la mano di Sasuke si stringe sul suo collo e fa cozzare la sua testa contro lo spigolo della parete, facendogli vedere bianco per un istante, lancia un barrito e dà sfogo alla forza. Sasuke arretra, incespica, spintonato a calci e sganassoni, finché non invia un pugno verso il suo stomaco e Naruto per reazione gliene rifila uno in piena faccia, decisamente troppo caricato.

Sasuke rovina a terra sbattendo la schiena contro il muro, intontito, mentre lui rimane leggermente piegato in avanti per lo slancio, ansimante, e lo guarda cercando di non rivelare l’apprensione. Non è che volesse fargli male, è che quella testa dura capisce solo quando è al tappeto.

Sasuke rimane immobile, il capo leggermente chino e lo sguardo fisso su di lui con rabbia. Respira affannosamente, tutto il suo corpo sembra fremere e il suo volto ha un colore, adesso, è rosa e acceso sulle gote. È una persona viva.

E, realizza Naruto con un moto istintivo di terrore, è anche una persona viva con un occhio che si sta pericolosamente gonfiando.

“Oh, no!” esclama, atterrito. “Chi lo dice adesso a Sakura che ti ho fatto un occhio nero la mattina dell’operazione?” bercia inquieto. Lei lo ucciderà. Lo sa.

Sasuke arriccia le labbra e sembra disinteressarsene, punta indietro una mano sul muro per tirarsi in piedi. Quando Naruto gli porge la propria per aiutarlo lui la schiaffeggia via con stizza, rimettendosi da solo sulle gambe.

“Non mi serve il tuo aiuto,” sibila truce. È incredibile il potere che ha su di lui una bella litigata: sembra di nuovo se stesso.

“Sas’ke...” ribatte Naruto con eloquente fermezza.

“Taci, dobe. Vado in ospedale ad aspettare,” lo zittisce il genio. Prende un respiro per calmarsi, si sistema il kimono sulle spalle per rimediare alle sgualciture e si allontana in silenzio.

“Che razza di...” sbraita Naruto pestando un piede in terra, prima di sbuffare e seguirlo. Ma non deve allontanarsi molto, ché Sasuke ha rallentato appena fuori dalla porta: finché si tratta di andare ad aprire ai soliti tre ospiti, trascinarsi dalla cucina alla camera da letto e mangiare cibi pronti se la può cavare – quella è casa sua – ma fuori, per strada, la parziale cecità lo rende inetto. Naruto lo vede stringere i pugni, inespressivo, prima di azzardare qualche passo.

“Spero che tu vada a sbattere e ti faccia molto male, teme,” osserva seccamente.

Ma poi non ce la fa e gli scatta appresso, raggiungendolo. Inutile, non lo può mica lasciare da solo. Una parte di lui gli impedisce di non preoccuparsi, di non volerlo aiutare e fare in modo che, per quanto possibile, non gli succeda niente di male.

“Levati di torno,” intima Sasuke, e il suo tono è già di nuovo più lontano, più spento.

“Se camminiamo spalla a spalla nessuno noterà che non ce la fai da solo,” osserva lui diretto, mettendo in pratica il suggerimento. Sente Sasuke irrigidirsi, il suo fiato interrompersi per un paio di secondi, ma il conflitto sembra risolversi in fretta: nello scegliere tra l’accettare il suo appoggio e mostrarsi debole di fronte a quel villaggio che odia, evidentemente Sasuke preferisce la prima ipotesi. È un compromesso, uno dei tanti a cui è costretto. A quanto pare la cosa lo abbatte ulteriormente, perché si fa più smorto e assente, come prima, e cammina senza più dire una parola.

Per fortuna, pensa Naruto mentre attraversano Konoha, almeno Sasuke ora non vede granché: cosi non si accorge dell’attenzione poco amichevole che i concittadini riversano su di lui al suo passaggio, guardandolo con avversione o nel migliore dei casi con diffidenza.

Al loro arrivo in ospedale, nello stesso freddo silenzio, devono aspettare solo qualche minuto prima che Sakura, nervosa ed in fermento, li raggiunga.

“Sas’ke-k... Cosa è successo al tuo occhio?” trilla, apprensiva.

Naruto fa per balbettare qualcosa incoerentemente, allarmato.

“Non ho visto uno sportello aperto e mi sono preso il pomello in faccia,” lo anticipa Sasuke apatico.

“Oh. Ti fa male? Forse...” fa lei, premurosa.

“No.”

Sakura prende un lungo respiro, accenna un sorriso.

“Allora andiamo in sala, cosi puoi prepararti. Tsunade hime arriverà a momenti,” suggerisce, incoraggiante.

“Io che devo fare? Dove mi metto?” interviene Naruto, mentre la ragazza afferra un avambraccio di Sasuke per guidarlo.

“Beh, puoi stare in  sala d’attesa, oppure...” inizia Sakura, noncurante.

“Vattene. La tua presenza non è necessaria,” sentenzia Sasuke senza intonazione.

Naruto avvampa, imbestialito.

“Bene!” raglia seccato. “Bene, teme, arrangiati!”

Volta i tacchi e ripercorre il corridoio indietro, scende le scale, attraversa l’ingresso e si lascia dietro ad ampie falcate la gradinata che allontana dall’ospedale. Appena messo piede a terra dopo l’ultimo gradino, senza nemmeno rallentare e con la stessa espressione furente, fa un mezzo giro su se stesso e ritorna sui suoi passi. Raggiunge la sala d’attesa e si appollaia torvo su una seggiola.

Non ci crede nessuno, che non aspetterà che Sasuke sia fuori. Sa perfettamente quanto era inquieto per l’intervento, sa che ha il terrore di rimanere cieco e sa anche che finché lui non saprà che sta bene e che non ci sono complicazioni non riuscirà a respirare normalmente.

Rimane lì seduto per un tempo lunghissimo, strattonandosi impazientemente le mani. Ogni tanto si alza e fa impazientemente qualche giro della stanza, getta l’occhio nel corridoio per vedere se c’è Sakura, o la vecchia Hokage; ma no, nessuno.

E torna puntualmente a sedersi, sbuffando nervoso, salvo ritirarsi in piedi dopo pochi minuti perché quell’ansia gli impedisce di star fermo.

“Naruto!” lo apostrofa d’improvviso Sakura, dalle sue spalle, mentre lui storce la testa esaminando febbrilmente l’altro lato del corridoio. Sobbalza, voltandosi indietro. “Credevo te ne fossi andato, o ti avrei raggiunto prima,” aggiunge l’amica, stupita.

Il jinchuuriki si stringe nelle spalle, distogliendo lo sguardo.

“Sì, beh, sono appena tornato indietro. Allora?” la interroga con enfasi.

Sakura accenna un sorriso, stringendo tra le mani una cartella clinica.

“Abbiamo finito un’ora fa, Naruto,” commenta sconcertata. “Ora bisogna aspettare ancora un paio d’ore per togliere le bende, poi sapremo se ha funzionato. Comunque sia, non ci sono state complicazioni impreviste,” annuncia, sollevata.

Naruto emette un lungo sospiro, sentendosi alleggerire da un peso schiacciante.

“Posso vederlo?” chiede speranzoso.

Sakura sbuffa severa, scuotendo la testa.

“Ora no, Naruto. Bisogna aspettare.”

E lui vorrebbe protestare, magari farle anche una scenata. Ma ha l’aria cosi stanca, Sakura, e c’è una luce minacciosa nel suo sguardo.

Bisogna aspettare.

Questa nuova attesa sembra quasi più snervante e infinita della precedente, tanto che gli viene voglia di urlare. Lei si trattiene più volte per qualche pausa insieme a lui, affaccendandosi tra un reparto e l’altro, ma Naruto ha comunque l’impressione che i minuti trascorrano con una lentezza esasperante.

Poi Sakura lo raggiunge di nuovo.

“Io e la shisho stiamo andando a togliere la medicazione. Tra una decina di minuti potrai vedere Sas’ke-kun,” annuncia, trepidante. “Anche il sensei sarà qui a momenti.”

Naruto balza in piedi dalla sedia con tanto slancio che quella quasi si ribalta, ma lui non ci bada.

“Vengo con voi!” esclama esagitato. “Aspetto fuori dalla porta,” aggiunge, ritraendosi all’occhiata fulminante della kunoichi.

Quegli ultimi minuti sono i peggiori. Sente attraverso l’uscio le voci di Tsunade, seria e professionale, e di Sakura, squillante ed entusiasta. In un paio di occasioni gli sembra di udire anche quella grave e musicale di Sasuke.

Poi la Godaime Hokage fa capolino dalla soglia, scrutandolo compresa.

“Entra pure, Naruto,” intima spiccia.

Lui quasi la scavalca, balzando oltre la porta con gambe malferme.

“...Quasi normale, che ti avevo detto?” sta dicendo Sakura, premurosa. “Oh, ecco guarda un po’,” aggiunge, e indica lui. Naruto compie un ultimo passo in avanti e la stanza gli si rivela, e con essa Sasuke appollaiato sul lettino. “Lo vedi bene?” continua Sakura, materna.

Sasuke volta la testa verso di lui, i suoi occhi gli scivolano addosso con la vecchia, meravigliosa intensità. Rimane fermo e imperscrutabile per qualche secondo, poi annuisce brevemente.

“Sì.”

La risata sgorga dal profondo di Naruto, scoppiettante, estasiata.

“Mi vedi bene davvero, teme?” domanda baldanzoso, avanzando con atteggiamento smargiasso. “Come sono? Bello, eh?” E ridacchia.

Sasuke continua a guardarlo in silenzio, poi sospira impercettibilmente.

“Patetico,” controbatte. “E idiota.”

Ma dal suo sguardo non si direbbe: sembra accarezzarlo con un affetto che Sasuke non riesce a celare, forse perché è troppo felice. Ma anche questo, è evidente, sta cercando di nasconderlo. Naruto non può che pensare che il suo migliore amico, o qualunque cosa Sasuke sia, è davvero il più scemo dei due. Perché è ovvio essere felici in un momento cosi, quando dal buio si ritorna alla luce. Non esiste niente di più umano, indipendentemente da quanti lutti si abbiano alle spalle.

Ma lo stesso fa una smorfia rabbiosa, infiammandosi.

“Sei odioso, teme!” esclama con stizza.

Sakura ridacchia, rassegnata e forse contenta di quello squarcio di vecchia normalità, prima di uscire a cercare Kakashi raccomandando loro di non rompere tutto. Naruto borbotta che cercherà di contenersi, mentre Sasuke si stringe nelle spalle con indifferenza, ritornando a fissarlo.

“Hai i capelli troppo gialli,” osserva con sufficienza. Ma a Naruto piace il modo in cui li guarda.

“Spero che i bulbi oculari ti cadano, teme.”

C’è un secondo appena di silenzio, poi Sasuke raddrizza la schiena, con naturalezza.

Yo, Naruto.”

E sorride. È un sorriso microscopico, che si fa strada a fatica su quel viso patito, cinereo e segnato dal malessere, ma è innegabilmente un sorriso, che contagia impercettibilmente anche gli occhi rinati. Vedendolo Naruto sa finalmente con certezza che andrà tutto bene, ed è come se sentisse un’onda morbida che gli percorre le membra, e anche che la cosa risuccederà. Forse non ora, forse tra qualche tempo – Sasuke ha bisogno di rialzarsi, adesso, e di imparare di nuovo a dormire da solo – ma prima o poi risuccederà. Nel frattempo, andrà benissimo continuare ad essere il suo migliore amico e tenere nascosta la katana. Tanto Sasuke sorride.

Yo, Sas’ke,” risponde di slancio e poi ricomincia a ridere di gusto, senza un motivo preciso.

Sasuke, lui, sta ancora leggermente sorridendo.

 

 

_________________________________

 

La vita è grande,
è più grande di te.
E tu non sei me,
le distanze che devo percorrere,
la distanza dentro i tuoi occhi.
Oh no, ho già detto  troppo.
L’ho voluto io.

Sono io quello  nell’angolo,
sono io quello sotto la luce dei riflettori
mentre perdo quello in cui credo,
tentando di starti dietro.
E non so se se riesco a farcela.
Oh no, ho già detto troppo.
Non ho detto abbastanza.

(Losing My ReligionR.E.M.)

 

 

 

 

______________________________________________

 

 

 

Ebbene, ecco qui.

(Per me questo è un lieto fine, quindi da parte mia sento di aver rispettato almeno questa richiesta…chi doveva capire ha capito.)

Così cominciò la storia. Spero di aver gettato luce su almeno alcuni dettagli delle storie successive, del resto era parecchio tempo che volevo buttar giù queste scene ma la pigrizia, il caos creativo, le idee mischiate, gli eccetera… Insomma, c’era sempre una scusa buona.

Spero che il regalo non sia stato troppo sgradito. Spero anche che sia piaciuto agli altri lettori.

Spero che vorranno avere la bontà di farmelo sapere o nel caso di informarmi che no, l’hanno trovato orrendo perché *inserire qui le motivazioni*. I lettori, dico (chi ha orecchie per intendere…).

 

Inoltre:

 

ryanforever: Caspita, che poema ^__^. Ti ringrazio tantissimo per tutto questo apprezzamento alla mia scrittura, davvero, è una cosa che mi fa veleggiare a mezz’aria per la contentezza. Sai, leggendo mi sono trovata a pensare che è esattamente così che vedo Sasuke. per me lui è tutto una montatura, è tutto finto. Penso davvero che sia un essere umano di una fragilità enorme, e che tutte quelle sue manie di grandezza siano solo un modo per nasconderlo. Le persone più insicure sono spesso quelle che si mostrano più arroganti. Quanto al fatto che non sembri lui, come dici, ha una sua ragione, spero che non sia un OOC perché io lo vedo dovuto a questo particolare contesto in cui è inserito nella fic. Se non è così ho sballato l’intera storia. Ebbene, dunque, per finire, spero che la seconda parte ti sia altrettanto gradita. Alla prossima, grazie.

Anna Mellory: AWWW. Grazie. “Superlativo”…non sei tu che non sai se commuoverti o solo piangere, sono io ^__^. Quanto al regalo…forse semplicemente non era quello adatto, ma l’ispirazione, si sa, è tiranna. A presto, carissima, e thanks a lot.

Capitatapercaso: che bellissima interpretazione della mia resa espressiva. Wow. Sono onorata e m’imbarazzo nel mio angolino arrossendo vistosamente. Grazie, grazie.

 

 

Hasta pronto.

   
 
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