Seconda
e ultima parte, vivaddio.
(Ancora
AUGURI, carina.)
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Quando
Naruto apre gli occhi lo fa di soprassalto, tanto che per il movimento brusco
di tutto il corpo quasi rotola a terra. Allunga faticosamente e febbrilmente la
mano per afferrare la sveglia e sbatte gli occhi, guardando l’ora, quindi
li sgrana: sono le dieci e mezzo del mattino.
Ha
dormito per più di quattordici ore.
Si
alza a sedere con un gemito frustrato, l’impugnatura della katana gli
sbatte contro la nuca e ha le spalle che fanno male, i muscoli di tutto il
corpo contratti. Si alza in piedi di fretta, senza farci caso. Non avrebbe
dovuto dormire così tanto, non avrebbe dovuto lasciare Sasuke da solo
per tutte quelle ore. È con un’ansia primitiva che si sfila la
katana dalle spalle, ed è contento di essere vestito e non aver nemmeno
levato i sandali quando si è addormentato perché così
può correre fuori, subito, lanciarsi a tutta velocità verso il
quartiere del clan. Per strada incrocia Shikamaru che lo chiama ma lui non
rallenta, non si volta nemmeno a guardarlo.
Non adesso, maledizione, non adesso.
Non lo vedi che Sasuke sta male?
Ha
il fiato rotto, le gambe gli tremano quando salta il muro di cinta. Forse
Sasuke ha chiuso la porta sul cortile, ma lui ci va lo stesso e l’anta
è soltanto socchiusa. Gli sembra un invito a servirsene, perché
se Sasuke non avesse voluto che passasse di lì l’avrebbe
semplicemente chiusa.
“Sas’ke?”
chiama, con la voce troppo alta e allarmata. “Sas’ke, sei qui,
Sas’ke?” continua a berciare, entrando in casa.
“Naruto!
Smettila di urlare tanto, zuccone!”
Una
voce femminile, cristallina e musicale. Vede Sakura seduta al basso tavolo
della cucina dalla porta, gli sta sorridendo e Sasuke è davanti a lei a
gambe incrociate sul pavimento. Vivo, sveglio e con il viso un po’ meno
incavato, si vede che ha dormito, però il suo sguardo sembra ancor
più allucinato di ieri.
“Sakura,”
mormora Naruto, prima di accennare un sorriso. “Io non…”
ridacchia leggero. “Lo sai che faccio sempre rumore, no?”
sogghigna, falso.
Sakura
sbuffa rassegnata, gli sorride di rimando.
“Stavo
spiegando a Sas’ke-kun dell’operazione,”
lo informa, con composto entusiasmo. “Tra circa due settimane Tsunade hime effettuerà l’intervento,” aggiunge,
voltando verso il genio un sorriso incoraggiante.
“Perché
non tu?” chiede Naruto, perplesso. Poi getta l’occhio sul tavolo,
c’è del pane caldo e della salsa di ciliegie, un po’ di
latte, ciambellette. “Posso…?”
“Siediti,”
lo interrompe Sasuke impersonale, senza guardarlo.
“E’
un’operazione delicata, Naruto, è meglio che a farla sia un medico
che non ha nessun tipo…di legame col paziente. E poi la shisho è più brava di me,” spiega
Sakura, con leggero imbarazzo. Lui sorride tra sé: è diventata un
bravo medico, coerente, responsabile.
“Mmh…buonissimo!” commenta, addentando una ciambelletta con lena mentre si versa il latte.
“Ma
non hai fatto colazione?” lo riprende Sakura, severa.
Naruto
ridacchia, di nuovo.
“Mi
sono appena svegliato,” borbotta, spalmando la salsa.
“Oh,”
fa Sakura sognante. “Anche Sas’ke-kun si
era appena alzato quando sono arrivata. Era ancora
tutto…stropicciato,” mormora rapita, osservando assorta il genio.
Sasuke
sembra vagamente imbarazzato, ma continua a bere il suo tè con compostezza,
fissando il fumo che sale in volute dalla tazza.
“Allora
teme, tra due settimane vedrai bene di nuovo. Sei contento?”
La
sua voce suona finta ed esagerata alle sue stesse orecchie, Sasuke sposta lo
sguardo su di lui inerte, senza fare commenti. Che non sia contento, che in
effetti non gli interessi minimamente, non c’è nemmeno bisogno di
dirlo.
“Sì.”
Cos’è, ti vuoi ammazzare?
Sì.
“Allora
io vado, sono già in ritardo,” annuncia Sakura, controvoglia.
“Vieni alla visita, domani. Ne hai già saltata una,” aggiunge
accorata all’indirizzo di Sasuke.
“Sì.”
Sakura
sorride a Naruto, gli fa un cenno con la mano. Lui fa per alzarsi e
accompagnarla alla porta, ma lei lo trattiene bonaria.
“No,
mangia. Mangiate.”
Rimangono
in silenzio. Quando il suono dei suoi passi si spegne non c’è
più nessun rumore, tranne quello delle posate mosse da Naruto, la tazza
che tocca il tavolo, il grattare della sua mano sulla caviglia.
“Hai
dormito bene?” chiede, cercando di sembrare naturale.
“Ho
dormito.”
“Non
mangi?”
“Più
tardi,” che poi è un modo vago per dire no.
Sasuke
si alza, inizia lentamente a sparecchiare. Naruto finisce la generosa porzione
che s’è servito osservato i suoi movimenti inefficaci, troppo
estenuati.
“Ti
sono rimaste provviste? Dopo posso…”
“Cosa
farai adesso, Naruto? Passerai giorno e notte qui in casa mia, per
sorvegliarmi?”
Sasuke
gli dà le spalle, facendogli quella domanda, e Naruto rimane con la
bocca semiaperta per qualche secondo. Ma è un quesito stupido: ha
passato tre anni inseguendo il suo ricordo, non si farà certo fermare da
qualche giorno di noia.
“L’idea
è questa,” conferma, deciso. “Devo solo sistemare una o due
cose.”
Sasuke
potrebbe – dovrebbe - rispondere che la deve piantare, che gli dà
fastidio, deve levarsi dai piedi. Invece si stringe nelle spalle.
A
Naruto sembra di continuare a perdere, inesorabilmente.
“Come
sarebbe, ancora qualche giorno?”
Tsunade
è accigliata, grave. Lui scrolla le spalle e sorride con noncuranza.
“Mi
dispiace, vecchietta. So che avevo detto di essere pronto a riprendere le
missioni, ma vorrei ancora un po’ di tempo.”
L’Hokage
sbuffa, incrocia le mani sul tavolo, lo guarda penetrante.
“Naruto…”
“E’
importante. Davvero.”
È
importante.
Sasuke
è acciambellato sul letto, guarda la parete come se fosse in trance.
Quando lo vede entrare non muove un muscolo, rimane muto e vacuo come se lui
non fosse lì.
“Hai
veramente intenzione di stare qui in eterno?” chiede poi, a voce bassa.
“Se
sarà necessario,” risponde lui baldanzoso, senza lasciarsi
smontare. “E’ ora di dormire, teme.”
Ci
penserà lui. Non sa come, ma lo farà.
Sasuke
finalmente sospira, sfinito.
“Non
voglio dormire. E non voglio stare sveglio,” afferma, atono.
“Perché non mi lasci andare, Naruto? Perché non mi lasci mai andare?”
Lui
stringe i denti, l’ha colpito in pieno. Si siede sul lato del materasso,
scrolla la testa con un sorriso per nascondere la smorfia di amarezza.
“Stai
di nuovo dicendo cazzate, lo vedi che devi dormire?” ribatte scherzoso,
ma è uno scherzare che fa pena.
Sasuke
non risponde, resta lì fermo e guarda per aria. Naruto vorrebbe riuscire
ad arrivare abbastanza vicino da fargli sentire che lui è lì,
c’è sempre stato, aspettando. Vorrebbe riuscire a oltrepassare il
baratro che Sasuke si è scrupolosamente scavato intorno, giorno dopo
giorno, un passo dopo l’altro, per anni. Quando ne avevano dodici era
ancora abbastanza facile scavalcarlo, ma adesso non si può più.
Perciò
è a fatica che si sporge un po’ in avanti, esitando, senza capire
perché debba farlo di nuovo ma magari è soltanto perché ha
avuto paura, ieri, nel trovarsi davanti al fatto che Sasuke possa morire non
per mano di un nemico ma perché lui stesso lo vuole. Ha bisogno di
essere sicuro che sia ancora lì e allora gli accarezza di nuovo i
capelli – ieri è riuscito a farlo addormentare, così. Sasuke
non si ritrae, di nuovo, non è che sembri apprezzare ma resta lì
tranquillo. Succede di nuovo la stessa cosa, Sasuke si addormenta piano piano mentre Naruto corre con le dita dalle ciocche nere
dei suoi capelli al solco tra i suoi pettorali, attraverso la maglia, e lungo
le sue spalle, sulle braccia, fino a giocherellare con le sue dita sotto la
coperta. Non si è mai sentito così poco felice e così
tranquillo insieme. Quando Sasuke si addormenta esce dalla stanza, scende di
sotto e si stravacca sul tatami.
La
terza sera Sasuke si volta a guardarlo, poco prima di addormentarsi.
“Come
sei egoista, Naruto,” gli dice ancora una volta.
“Almeno
abbiamo qualcosa in comune,” risponde lui di getto, con un sorriso di
scuse.
La
quarta sera Naruto si siede per bene sul letto, appoggiando la schiena alla
parete di testa. Così può infilare tutt’e due le mani tra i
capelli di Sasuke. Lui prende sonno più in fretta, stavolta.
La
quinta sera Sasuke si raddrizza, quando già lui lo credeva mezzo
addormentato.
“Ho
fame,” dice distaccato.
Naruto
sorride, sollevato.
“Io
sono sempre d’accordo per uno spuntino, teme,” sogghigna, beffardo.
Mangiano
del ramen istantaneo senza scambiare una frase, tornando in camera in totale
silenzio.
La
sesta sera è Naruto ad addormentarsi per primo, nel letto di Sasuke. La
sua schiena scivola sempre più in basso finché sprofonda nel
sonno senza accorgersene, con le mani tra i capelli di Sasuke. Quando si
sveglia la sua mano destra è ancora abbandonata sul cuscino e le dita
del genio, nel sonno, si sono appoggiate per caso sulle sue.
Alla
luce del sole, le sere a casa Uchiha spariscono come sogni fumosi, irreali. A
Naruto rimane addosso giusto il senso di anormalità per quella strana
vicinanza, colorato di domande che non ha voglia di porsi. Inquietanti, forse,
anomale. I giorni continuano a susseguirsi uno dopo l’altro, Naruto esce
poco, per accompagnare Sasuke alla visita o semplicemente per vedere Sakura e
sapere come procede la preparazione all’intervento, per rassicurare
Kakashi sensei sul fatto che almeno lui, forse, è ancora una persona
abbastanza normale. Kakashi gli offre il ramen, parla poco, è distratto.
Si vede che vorrebbe dire o fare qualcosa e che non sa, come al solito, come
interagire con nessuno dei due. Un pomeriggio arriva a casa Uchiha per vedere
Sasuke, è impacciato ma rimane seduto tranquillo, in silenzio, faccia a
faccia con l’ex allievo. Forse a Sasuke fa persino bene.
“Quando
vieni in missione, Naruto?” chiede placido, quando lui lo accompagna alla
porta.
“Presto,”
promette il jinchuuriki.
Kakashi
annuisce, lo guarda dritto in faccia e sembra voler parlare ancora, poi invece scrolla
la testa.
“Va
bene.”
La
settima sera Naruto si sente più riposato. Ha recuperato in buona parte
il sonno arretrato e si addormenta meno pesantemente, di fianco a Sasuke,
mentre le sue dita gli sfiorano la spalla. Non sa che ora sia quando un rumore
lo sveglia di soprassalto, quasi spaventandolo. È un gemito sottile,
persistente, che arriva da un punto vicino a lui.
Sasuke
si lamenta nel sonno. Muove la testa, le mani, serra gli occhi e le sue labbra
sono strette tra i denti. Lui lo guarda per qualche secondo senza
raccapezzarsi, ancora intontito, e il corpo del genio ha un sussulto più
violento, quasi come uno spasmo, lo sente mormorare qualcosa con un tono
disperato.
“Sas’ke,”
mormora Naruto, sporgendosi verso di lui. “Sas’ke, teme, stai
sognando,” continua, scrollandolo delicatamente.
Sasuke
si sveglia di soprassalto, con gli occhi sgranati stracolmi di panico e dolore.
Geme ancora qualcosa e si volta di scatto sul fianco, dandogli le spalle, si
copre la testa con le braccia e resta fermo. Lui resta lì indeciso per
qualche secondo, allunga le mani a sfiorarlo e lo sente teso, rigido come un
blocco di pietra e con la pelle gelata, umida. Non ha idea del motivo per cui
spinge la testa in avanti e gli appoggia le labbra sotto il collo, in mezzo
alle scapole. Perché non riesce in nessun modo a farsi sentire e forse
quello può funzionare, o perché ne ha bisogno di lui, di sentire
Sasuke con ogni mezzo possibile. Non ha importanza, gli fa scorrere le labbra
sulla pelle e passa le braccia oltre le sue spalle, cingendole, annusa il suo
collo, lo inspira. Sasuke rimane immobile ancora per qualche secondo, poi
inaspettatamente si gira. Lentamente, in un fruscio inudibile della coperta,
rotola con tutto il corpo verso di lui e rimane immobile, a un soffio dal suo
viso. È pallidissimo, ha la fronte imperlata di sudore e Naruto sente il
suo cuore battere freneticamente. Chissà cosa stava sognando.
È
buio, il profilo delle cose è inconsistente, sfumato, le sue labbra si
posano sul sopracciglio di Sasuke, sulla palpebra, sul naso e poi,
inevitabilmente, sulle labbra del genio – ma perché lo sta
facendo? Perché? Non ha nessun senso. Sasuke non si ritrae nemmeno stavolta,
rimane abbandonato in quell’abbraccio istintivo e Naruto continua a
sfiorare la sua bocca e allontanarsi, poi la strofina, una cinque dieci volte
si distanzia leggermente e ritorna.
Poi
Sasuke chiude gli occhi, appoggia la testa sul cuscino.
Quando
si sveglia poco dopo l’alba Naruto ha male dappertutto, e un gomito di
Sasuke è conficcato nel suo stomaco forse da ore.
L’ottava
sera Naruto dorme nella sua stanza. Se n’è andato da casa Uchiha
al mattino e Sasuke ha fatto finta di niente, poi lui non ha avuto il coraggio
di tornare da solo. È passato da Sakura e le ha proposto di fargli
compagnia. Lei, che da Sas’ke-kun ci va sempre
più che volentieri, ha accettato all’istante e Naruto per un
secondo si è sentito assurdamente geloso. Il che non l’ha aiutato
a tranquillizzarsi.
Sono
rimasti per un paio d’ore dall’amico, se così lo si
può ancora definire, chiacchierando su Konoha, su cose di nessuna
importanza.
“Shikamaru
andrà di nuovo a Sunagakure, la settimana
prossima,” diceva Sakura, fingendosi vaga.
“Però,
ha davvero preso sul serio gli scambi di pace,” commentava Naruto,
sogghignando.
“Beh,
certo…la famiglia del Kazegake non
c’entra affatto, prima che tu lo chieda, Shikamaru ha tenuto a
precisarlo,” aggiungeva lei, grave.
“Certo,
non ne dubito.”
E
ridevano. Sasuke non sembrava fare molto caso a loro, e Naruto non riusciva
quasi a guardarlo. Quando se n’è andato era inquieto,
perché non voleva lasciarlo solo, ma ha bisogno di staccarsi per qualche
ora, e restare per conto suo. C’è troppo Sasuke nella sua vita e
forse sta perdendo di vista la dimensione della realtà.
Ma
il mattino dopo gli basta guardarlo per sapere che non ha di nuovo chiuso
occhio, e nemmeno lui ha potuto granché dormire. Continuava a pensare a
cosa stava facendo Sasuke e perché fosse tanto importante saperlo, per
quale maledetta ragione l’ha baciato. Si è detto che è solo
un momento particolarmente complesso in cui si è trovato a dimostrare
l’affetto in modo strano.
La
nona sera dorme con Sasuke, di nuovo. Gli si sdraia vicino e esplora tutto il
suo torace, i fianchi, la schiena, la linea della vita. Lo bacia per un lasso
indefinibile di tempo e Sasuke reagisce, ha le labbra morbide e respira piano,
strusciandole contro le sue.
La
decima sera anche Sasuke sembra ritrovare la funzione delle proprie braccia. Le
fa scivolare sui suoi fianchi e ha dita leggerissime che sulla pelle sembrano
un velo, fanno quasi il solletico ma provocano caldo, nello stomaco.
L’undicesima
sera è Sasuke che lo bacia per primo. Naruto lo sveglia di nuovo accorgendosi
del suo incubo e Sasuke si aggrappa al suo collo, dopo averlo guardato per un
paio di secondi, e fa aderire le loro bocche.
La
dodicesima sera la mano di Naruto si spinge più in basso di dove sia mai
arrivata. Succede quasi accidentalmente, senza che nemmeno ci pensi con
lucidità. Sasuke emette un leggero sospiro quando le sue dita gli
percorrono l’ombelico e lui trattiene il fiato, lasciandole andare
giù. Sente i muscoli dell’addome di Sasuke tendersi e poi i suoi
polpastrelli tremanti sono sulla stoffa dei pantaloni del genio, esitanti, le
orecchie sono invase da un ronzio sordo e la sua bocca si fa secca quando sente
il rigonfiamento sottostante la sua mano farsi rigido e consistente. La
percezione della realtà si fa ancor più ovattata, è buio,
notte, e c’è Sasuke che respira forte mentre lui muove la mano con
sempre più sicurezza, senza prendere fiato, affascinato
nell’intravedere il viso di Sasuke che smette di essere pietra e riprende
vita, la sua labbra si socchiudono e si aprono sempre di più, gli occhi
tornano mobili, si assottigliano e poi si sgranano seguendo i suoi movimenti.
È straordinario.
Quando
l’altro inizia a gemere, pianissimo, con voce roca, Naruto si accorge che
anche nei suoi, di pantaloni, qualcosa si anima. E quando Sasuke si inarca
indietro e si lascia sfuggire un lamento più forte, fremendo mentre si
scioglie nell’orgasmo, gli sembra di ustionare – la mano sulla
stoffa ustiona, la sua faccia, lo stomaco – e cerca invano di deglutire o
anche solo respirare, ma il palato è completamente secco.
Rimane
quasi intontito, immobile, guardando Sasuke che ansima ancora leggermente con
una inequivocabile voglia di saltargli addosso. Assurda, perversa, insensata,
eppure è lì. Vorrebbe quella di Sasuke, di mano, e baciarlo di
nuovo.
Invece
il genio non si muove più per qualche secondo. Lui può vedere i
suoi occhi sgranati fissi sul soffitto, sembra sconvolto. Poi si volta di
scatto, con un gesto improvvisamente rabbioso, e si rannicchia sotto la coperta
dandogli le spalle, ha il pugno stretto intorno al lenzuolo.
“Va’
via,” ringhia minaccioso.
Naruto
sbatte le palpebre, doppiamente disorientato – da quello che è
successo, da quella reazione – e si lecca le labbra per riuscire a
parlare normalmente.
“Cos…?”
“Vattene,
Naruto!” sbotta Sasuke con furia, sollevandosi sui gomiti e voltando la
testa verso di lui quanto basta a vedere il viso distorto da non si sa cosa. Sembra arrabbiato e
smarrito e più stravolto di prima. “Vattene da casa mia! Fuori!
Non mi devi toccare!”
Il
suo primo impulso è di reagire con altrettanta veemenza, di alzare la
voce, ma è troppo confuso e poi forse non sarebbe il caso, non con
quello che ha appena fatto e con la faccia che ha Sasuke adesso. Non con la
situazione attuale, perché è tutto già abbastanza fragile.
Allora incespica indietro e quasi rotola, scendendo dal letto.
“I-io…”
“Via,”
sibila Sasuke dall’ammasso della coperta. E Naruto capisce che se ne deve
davvero andare. Esce più in fretta possibile, appena abbastanza
decorosamente perché non sembri che stia scappando. Fuori Konoha
è deserta e le orecchie gli fischiano, si guarda la mano –
cos’ha fatto? È impazzito? È malato? – e scuote
febbrilmente la testa. Quando arriva a casa nemmeno accende la luce ma si siede
sul suo materasso, si guarda intorno stralunato, lascia cadere la testa sul
cuscino e prende qualche respiro profondo per calmarsi. Le guance gli bruciano
ancora.
Non
è successo niente. È stato solo un momento di confusione, una
pazzia dovuta a tutto quello che sta succedendo. Se lo ripete finché
l’immagine traditrice del gemito di Sasuke lo colpisce come una
randellata e gli blocca l’aria nei polmoni. Sasuke che ansima, solo per
la sua mano. Sasuke, la sua pelle e la morbidezza delle sue labbra, Sasuke.
Ci
prova a lasciar perdere, scuote anche la testa e la annega sotto il cuscino con
un sospiro frustrato, ma Sasuke rimane lì finché con quella
stessa mano va a toccare se stesso, ed è sempre a Sasuke che sta
pensando. È del suo viso anche l’immagine che lo accompagna mentre
viene – pensando che quella sia la mano di Sasuke – ed è
allora che Naruto si rende conto che ha oltrepassato il limite, che a se stesso
non può mentire.
Sasuke
non è solo il suo migliore amico. Forse, non lo è mai stato.
La
mattina del tredicesimo giorno la porta che dà sul cortile interno
è chiusa a chiave. Naruto fa per aprirla dopo essere quasi corso
lì, perché ha bisogno di parlare con Sasuke, di spiegarsi e
soprattutto di capire. Ma l’uscio rimane bloccato e anche quando lui
bussa – dapprima normalmente, con lo stomaco serrato
dall’inquietudine, poi tirando pugni che fanno tremare tutta la parete,
urlando il nome dell’amico – dall’interno non proviene nessun
segno di vita.
Lascia
il cortile a balzi, scavalca il muro e si precipita alla porta principale.
“Sas’ke!”
sbraita, prendendola quasi a spallate. “Sas’ke, apri questa
maledetta porta o la butto giù! Sas’ke!”
Non
è successo niente, si ripete angosciato. Probabilmente si è
soltanto chiuso dentro, quel teme. Se si sentisse almeno un rumore, qualcosa,
forse potrebbe riuscire a respirare.
“Sas’ke!
Guarda che dico sul serio! Sto per sfondare la porta di casa tua, e
probabilmente anche le pareti dietro, e…” bercia, iniziando a
preparare un rasengan.
E
la soglia, finalmente, si socchiude.
“Sas’ke,
perché cavolo hai chiuso la porta, eh? Tu non…” inizia
Naruto irato, non appena il viso del genio – pallidissimo, tirato, deve
di nuovo non aver dormito – compare nella fessura.
“E’
la porta di casa mia,” ribatte Sasuke rigido. “La chiudo quando
voglio. Vattene, non ti voglio intorno.”
“No
che non me ne vado!” grida Naruto, impotente. È tutta colpa sua,
comunque, non avrebbe dovuto. Non doveva farlo, non doveva toccarlo e non
doveva capire, perché adesso che lo vede, che Sasuke è lì,
gli risulta ancor più chiaro quello che è successo in nottata,
almeno per quanto lo riguarda. “Tu…non puoi smettere di parlarmi
perché… E’ successo, è solo che…non fa niente,
teme!” E s’impappina miseramente. Va bene anche negare,
costringerà se stesso a fingere, basta che Sasuke non lo allontani di
nuovo. Lo ha fatto per troppo tempo.
“Voglio
stare da solo,” continua Sasuke, stancamente. “Vattene.”
Naruto
serra le labbra, spazientito. Ma a guardarlo, Sasuke sembra sul punto di fare
chissà quale assurdità se soltanto spinge ancora. Sarebbe capace
di ripartire, anche con gli occhi conciati a quel modo.
“Ti
posso accompagnare lo stesso in ospedale per l’operazione, domani
mattina?” mormora sordo, abbassando la testa.
Sasuke
lo guarda vacuo, senza interesse.
“Fai
quel cavolo che ti pare,” risponde abulico. “Basta che te ne
vada.”
Se
conosce ancora un po’ Sasuke, anche solo un infinitesimo, quello è
un sì. Naruto del resto lo sa, che Sasuke ha paura. Ha il terrore che
domani gli dicano che no, l’operazione non basta, resterà quasi
cieco. Però deve fingere che non gli interessi e invece di rispondere
che avere il suo sostegno gli fa piacere deve far sembrare che non
gl’importi affatto, che quasi gli dia fastidio. Ma se non lo volesse
accanto avrebbe intimato semplicemente di lasciarlo in pace.
“Ti
vengo a prendere alle sette.”
Sasuke
si stringe nelle spalle, poi richiude la porta.
Sono
le sette meno dieci quando Naruto arriva davanti a casa Uchiha, dopo
un’altra notte quasi insonne trascorsa rimuginando. Ha pensato e
ripensato a Sasuke, al suo scatto quando l’ha sbattuto fuori dal letto e
da casa, in un modo che sembrava febbrile, completamente sconvolto. E continua
a ritornarci su col pensiero anche mentre tentenna davanti alla porta
aspettando che si facciano le sette precise.
Dei,
è sconvolto anche lui – sono due maschi, sono migliori amici
– ma in modo diverso. E’ come se Sasuke non lo avesse saputo, che
c’era qualcosa di così gradevole al mondo.
Sempre
che lo sia stato, gradevole. Dalla reazione sul momento si sarebbe detto di
sì, ma Naruto non ne sa nulla, di queste cose, lui ha sempre combattuto
e viaggiato e corteggiato inutilmente Sakura, quel poco che sa in materia
è esclusivamente solitario.
Magari a Sasuke è sembrato orrendo.
Questo
è il genere di futile paranoia cretina che proprio non dovrebbe nemmeno
sfiorarlo, al momento, dato che ci sono problemi ben più seri.
S’imbroncia e tira un calcio leggero alla parete, esattamente mentre la
porta si apre.
“Ti
ho visto per caso dalla finestra. Ho pensato che fossi tu,” afferma
Sasuke, la voce monocorde e lo sguardo ritroso.
“Puoi
anche evitare di dirlo con quel tono, eh” commenta Naruto, piccato.
“Sei
tu che hai voluto venire,” osserva Sasuke, impersonale.
“Oh,
ma va’ al diavolo, teme!” abbaia Naruto, oltrepassandolo per
entrare in casa. “Sembra quasi che l’altra sera abbia fatto tutto
io da solo, ma non mi sembra! Mi pare che fossi d’accordo, e che non ti
desse poi tanto fastidio!”
Sasuke
piega appena le labbra verso il basso, in un’espressione che sta tra
l’indifferente e il sofferente.
“Come
no.”
C’è
un po’ del suo vecchio sarcasmo sprezzante, malevolo, in quelle due
parole, e Naruto si sente colpito quasi a tradimento, in un punto debole.
Esita, prima di racimolare l’inesauribile combattività.
“Bugiardo!”
esclama con foga. “Vuoi sapere cosa penso?” sbotta, irato.
“No,”
replica freddamente Sasuke, senza quasi badargli. “Non mi interessa.
Quella…cosa non deve succedere
mai più.”
“Me ne frego! Te lo dico lo stesso!”
sbraita Naruto, ormai perse le staffe. “Penso che ti sia piaciuto
più di quanto ti potessi aspettare ed è questo il tuo problema!
Vuoi che nella tua vita non ci sia mai niente di piacevole, per continuare ad
essere il povero sventurato Sas’ke Uchiha, il superstite condannato
unicamente alla sofferenza che tutti hanno usato come un burattino al punto da
fargli uccidere ingiustamente il suo stesso fratel...”
Il pugno di Sasuke lo interrompe di botto. Non
è troppo violento, non abbastanza da stordirlo, ma il genio ha
racimolato nel braccio indebolito quanta forza basta a sbilanciarlo e farlo
sbattere contro il muro. O forse è la collera che gli ha dato energia:
comunque sia Naruto accoglie quel colpo come fosse una carezza. È una
reazione, è di nuovo Sasuke. Lo guarda e finalmente nei suoi occhi
c’è quell’antica rabbia, c’è la fierezza che
più di tutto lo caratterizza, rilucente nelle sue iridi con rancore e
indignazione.
“Non ti azzardare,” ringhia gelido,
“nemmeno a nominarlo, tu specie di...”
“Ma lo hai ucciso! Lo hai ucciso, lo hai
fatto, e non gliene frega a nessuno! Né di te né di lui, sei
insignificante come qualunque altra perso...”
“Taci!” sbotta Sasuke rauco,
buttandosi di nuovo contro di lui. E Naruto risponde, perché cavolo, ne
ha veramente le tasche piene ed è testardo anche lui ma c’è
un limite a tutto. Si ritrova aggrovigliato a Sasuke in un pestaggio vero e
proprio, rimbalzando nel corridoio, e sarà anche debole quel dannato
teme ma sguscia e si divincola come un serpente, guarda caso, lo attacca con
vera ostilità. Dapprima Naruto reagisce più che altro per tenerlo
buono – e perché lo diverte e lo rasserena, sì – ma
quando la mano di Sasuke si stringe sul suo collo e fa cozzare la sua testa
contro lo spigolo della parete, facendogli vedere bianco per un istante, lancia
un barrito e dà sfogo alla forza. Sasuke arretra, incespica, spintonato
a calci e sganassoni, finché non invia un pugno verso il suo stomaco e
Naruto per reazione gliene rifila uno in piena faccia, decisamente troppo
caricato.
Sasuke rovina a terra sbattendo la schiena contro
il muro, intontito, mentre lui rimane leggermente piegato in avanti per lo
slancio, ansimante, e lo guarda cercando di non rivelare l’apprensione.
Non è che volesse fargli male, è che quella testa dura capisce
solo quando è al tappeto.
Sasuke rimane immobile, il capo leggermente chino
e lo sguardo fisso su di lui con rabbia. Respira affannosamente, tutto il suo
corpo sembra fremere e il suo volto ha un colore, adesso, è rosa e
acceso sulle gote. È una persona viva.
E, realizza Naruto con un moto istintivo di
terrore, è anche una persona viva con un occhio che si sta
pericolosamente gonfiando.
“Oh, no!” esclama, atterrito.
“Chi lo dice adesso a Sakura che ti ho fatto un occhio nero la mattina
dell’operazione?” bercia inquieto. Lei lo ucciderà. Lo sa.
Sasuke arriccia le labbra e sembra
disinteressarsene, punta indietro una mano sul muro per tirarsi in piedi.
Quando Naruto gli porge la propria per aiutarlo lui la schiaffeggia via con
stizza, rimettendosi da solo sulle gambe.
“Non mi serve il tuo aiuto,” sibila
truce. È incredibile il potere che ha su di lui una bella litigata:
sembra di nuovo se stesso.
“Sas’ke...” ribatte Naruto con
eloquente fermezza.
“Taci, dobe. Vado
in ospedale ad aspettare,” lo zittisce il genio. Prende un respiro per
calmarsi, si sistema il kimono sulle spalle per rimediare alle sgualciture e si
allontana in silenzio.
“Che razza di...” sbraita Naruto
pestando un piede in terra, prima di sbuffare e seguirlo. Ma non deve
allontanarsi molto, ché Sasuke ha rallentato appena fuori dalla porta:
finché si tratta di andare ad aprire ai soliti tre ospiti, trascinarsi
dalla cucina alla camera da letto e mangiare cibi pronti se la può
cavare – quella è casa sua – ma fuori, per strada, la
parziale cecità lo rende inetto. Naruto lo vede stringere i pugni,
inespressivo, prima di azzardare qualche passo.
“Spero che tu vada a sbattere e ti faccia
molto male, teme,” osserva seccamente.
Ma poi non ce la fa e gli scatta appresso, raggiungendolo.
Inutile, non lo può mica lasciare da solo. Una parte di lui gli
impedisce di non preoccuparsi, di non volerlo aiutare e fare in modo che, per
quanto possibile, non gli succeda niente di male.
“Levati di torno,” intima Sasuke, e il
suo tono è già di nuovo più lontano, più spento.
“Se camminiamo spalla a spalla nessuno
noterà che non ce la fai da solo,” osserva lui diretto, mettendo
in pratica il suggerimento. Sente Sasuke irrigidirsi, il suo fiato
interrompersi per un paio di secondi, ma il conflitto sembra risolversi in
fretta: nello scegliere tra l’accettare il suo appoggio e mostrarsi
debole di fronte a quel villaggio che odia, evidentemente Sasuke preferisce la
prima ipotesi. È un compromesso, uno dei tanti a cui è costretto.
A quanto pare la cosa lo abbatte ulteriormente, perché si fa più
smorto e assente, come prima, e cammina senza più dire una parola.
Per fortuna, pensa Naruto mentre attraversano
Konoha, almeno Sasuke ora non vede granché: cosi non si accorge
dell’attenzione poco amichevole che i concittadini riversano su di lui al
suo passaggio, guardandolo con avversione o nel migliore dei casi con
diffidenza.
Al loro arrivo in ospedale, nello stesso freddo
silenzio, devono aspettare solo qualche minuto prima che Sakura, nervosa ed in
fermento, li raggiunga.
“Sas’ke-k...
Cosa è successo al tuo occhio?” trilla, apprensiva.
Naruto fa per balbettare qualcosa incoerentemente,
allarmato.
“Non ho visto uno sportello aperto e mi sono
preso il pomello in faccia,” lo anticipa Sasuke apatico.
“Oh. Ti fa male? Forse...” fa lei,
premurosa.
“No.”
Sakura prende un lungo respiro, accenna un
sorriso.
“Allora andiamo in sala, cosi puoi
prepararti. Tsunade hime arriverà a momenti,”
suggerisce, incoraggiante.
“Io che devo fare? Dove mi metto?”
interviene Naruto, mentre la ragazza afferra un avambraccio di Sasuke per
guidarlo.
“Beh, puoi stare in sala d’attesa, oppure...”
inizia Sakura, noncurante.
“Vattene. La tua presenza non è
necessaria,” sentenzia Sasuke senza intonazione.
Naruto avvampa, imbestialito.
“Bene!” raglia seccato. “Bene,
teme, arrangiati!”
Volta i tacchi e ripercorre il corridoio indietro,
scende le scale, attraversa l’ingresso e si lascia dietro ad ampie falcate
la gradinata che allontana dall’ospedale. Appena messo piede a terra dopo
l’ultimo gradino, senza nemmeno rallentare e con la stessa espressione
furente, fa un mezzo giro su se stesso e ritorna sui suoi passi. Raggiunge la
sala d’attesa e si appollaia torvo su una seggiola.
Non ci crede nessuno, che non aspetterà che
Sasuke sia fuori. Sa perfettamente quanto era inquieto per l’intervento,
sa che ha il terrore di rimanere cieco e sa anche che finché lui non
saprà che sta bene e che non ci sono complicazioni non riuscirà a
respirare normalmente.
Rimane lì seduto per un tempo lunghissimo,
strattonandosi impazientemente le mani. Ogni tanto si alza e fa impazientemente
qualche giro della stanza, getta l’occhio nel corridoio per vedere se
c’è Sakura, o
E torna puntualmente a sedersi, sbuffando nervoso,
salvo ritirarsi in piedi dopo pochi minuti perché quell’ansia gli
impedisce di star fermo.
“Naruto!” lo apostrofa
d’improvviso Sakura, dalle sue spalle, mentre lui storce la testa
esaminando febbrilmente l’altro lato del corridoio. Sobbalza, voltandosi
indietro. “Credevo te ne fossi andato, o ti avrei raggiunto prima,”
aggiunge l’amica, stupita.
Il jinchuuriki si stringe nelle spalle,
distogliendo lo sguardo.
“Sì, beh, sono appena tornato
indietro. Allora?” la interroga con enfasi.
Sakura accenna un sorriso, stringendo tra le mani
una cartella clinica.
“Abbiamo finito un’ora fa,
Naruto,” commenta sconcertata. “Ora bisogna aspettare ancora un
paio d’ore per togliere le bende, poi sapremo se ha funzionato. Comunque
sia, non ci sono state complicazioni impreviste,” annuncia, sollevata.
Naruto emette un lungo sospiro, sentendosi
alleggerire da un peso schiacciante.
“Posso vederlo?” chiede speranzoso.
Sakura sbuffa severa, scuotendo la testa.
“Ora no, Naruto. Bisogna aspettare.”
E lui vorrebbe protestare, magari farle anche una
scenata. Ma ha l’aria cosi stanca, Sakura, e c’è una luce
minacciosa nel suo sguardo.
Bisogna aspettare.
Questa nuova attesa sembra quasi più
snervante e infinita della precedente, tanto che gli viene voglia di urlare.
Lei si trattiene più volte per qualche pausa insieme a lui,
affaccendandosi tra un reparto e l’altro, ma Naruto ha comunque
l’impressione che i minuti trascorrano con una lentezza esasperante.
Poi Sakura lo raggiunge di nuovo.
“Io e la shisho
stiamo andando a togliere
Naruto balza in piedi dalla sedia con tanto
slancio che quella quasi si ribalta, ma lui non ci bada.
“Vengo con voi!” esclama esagitato.
“Aspetto fuori dalla porta,” aggiunge, ritraendosi
all’occhiata fulminante della kunoichi.
Quegli ultimi minuti sono i peggiori. Sente
attraverso l’uscio le voci di Tsunade, seria e professionale, e di
Sakura, squillante ed entusiasta. In un paio di occasioni gli sembra di udire
anche quella grave e musicale di Sasuke.
Poi
“Entra pure, Naruto,” intima spiccia.
Lui quasi la scavalca, balzando oltre la porta con
gambe malferme.
“...Quasi normale, che ti avevo
detto?” sta dicendo Sakura, premurosa. “Oh, ecco guarda un
po’,” aggiunge, e indica lui. Naruto compie un ultimo passo in
avanti e la stanza gli si rivela, e con essa Sasuke appollaiato sul lettino.
“Lo vedi bene?” continua Sakura, materna.
Sasuke volta la testa verso di lui, i suoi occhi
gli scivolano addosso con la vecchia, meravigliosa intensità. Rimane
fermo e imperscrutabile per qualche secondo, poi annuisce brevemente.
“Sì.”
La risata sgorga dal profondo di Naruto,
scoppiettante, estasiata.
“Mi vedi bene davvero, teme?” domanda
baldanzoso, avanzando con atteggiamento smargiasso. “Come sono? Bello,
eh?” E ridacchia.
Sasuke continua a guardarlo in silenzio, poi
sospira impercettibilmente.
“Patetico,” controbatte. “E
idiota.”
Ma dal suo sguardo non si direbbe: sembra
accarezzarlo con un affetto che Sasuke non riesce a celare, forse perché
è troppo felice. Ma anche questo, è evidente, sta cercando di
nasconderlo. Naruto non può che pensare che il suo migliore amico, o
qualunque cosa Sasuke sia, è davvero il più scemo dei due.
Perché è ovvio essere felici in un momento cosi, quando dal buio
si ritorna alla luce. Non esiste niente di più umano, indipendentemente
da quanti lutti si abbiano alle spalle.
Ma lo stesso fa una smorfia rabbiosa,
infiammandosi.
“Sei odioso, teme!” esclama con
stizza.
Sakura ridacchia, rassegnata e forse contenta di
quello squarcio di vecchia normalità, prima di uscire a cercare Kakashi
raccomandando loro di non rompere tutto. Naruto borbotta che cercherà di
contenersi, mentre Sasuke si stringe nelle spalle con indifferenza, ritornando
a fissarlo.
“Hai i capelli troppo gialli,” osserva
con sufficienza. Ma a Naruto piace il modo in cui li guarda.
“Spero che i bulbi oculari ti cadano,
teme.”
C’è un secondo appena di silenzio,
poi Sasuke raddrizza la schiena, con naturalezza.
“Yo,
Naruto.”
E
sorride. È un sorriso microscopico, che si fa strada a fatica su quel
viso patito, cinereo e segnato dal malessere, ma è innegabilmente un
sorriso, che contagia impercettibilmente anche gli occhi rinati. Vedendolo
Naruto sa finalmente con certezza che andrà tutto bene, ed è come
se sentisse un’onda morbida che gli percorre le membra, e anche che la cosa risuccederà. Forse non ora,
forse tra qualche tempo – Sasuke ha bisogno di rialzarsi, adesso, e di imparare
di nuovo a dormire da solo – ma prima o poi risuccederà. Nel
frattempo, andrà benissimo continuare ad essere il suo migliore amico e
tenere nascosta
“Yo, Sas’ke,” risponde di slancio e poi
ricomincia a ridere di gusto, senza un motivo preciso.
Sasuke,
lui, sta ancora leggermente sorridendo.
_________________________________
La vita è
grande,
è più grande di te.
E tu non sei me,
le distanze che devo percorrere,
la distanza dentro i tuoi occhi.
Oh no, ho già detto troppo.
L’ho voluto io.
Sono io quello nell’angolo,
sono io quello sotto la luce dei riflettori
mentre perdo quello in cui credo,
tentando di starti dietro.
E non so se se riesco a farcela.
Oh no, ho già detto troppo.
Non ho detto abbastanza.
(Losing
My Religion – R.E.M.)
______________________________________________
Ebbene,
ecco qui.
(Per
me questo è un lieto fine, quindi da parte mia sento di aver rispettato
almeno questa richiesta…chi doveva capire ha capito.)
Così
cominciò la storia. Spero di aver gettato luce su almeno alcuni dettagli
delle storie successive, del resto era parecchio tempo che volevo buttar
giù queste scene ma la pigrizia, il caos creativo, le idee mischiate,
gli eccetera… Insomma, c’era sempre una scusa buona.
Spero
che il regalo non sia stato troppo sgradito. Spero anche che sia piaciuto agli
altri lettori.
Spero
che vorranno avere la bontà di farmelo sapere o nel caso di informarmi
che no, l’hanno trovato orrendo perché *inserire qui le motivazioni*. I lettori, dico (chi ha orecchie per
intendere…).
Inoltre:
ryanforever: Caspita, che poema ^__^. Ti ringrazio tantissimo
per tutto questo apprezzamento alla mia scrittura, davvero, è una cosa
che mi fa veleggiare a mezz’aria per la contentezza. Sai, leggendo mi
sono trovata a pensare che è esattamente così che vedo Sasuke. per
me lui è tutto una montatura, è tutto finto. Penso davvero che
sia un essere umano di una fragilità enorme, e che tutte quelle sue
manie di grandezza siano solo un modo per nasconderlo. Le persone più
insicure sono spesso quelle che si mostrano più arroganti. Quanto al
fatto che non sembri lui, come dici, ha una sua ragione, spero che non sia un
OOC perché io lo vedo dovuto a questo particolare contesto in cui
è inserito nella fic. Se non è
così ho sballato l’intera storia. Ebbene, dunque, per finire,
spero che la seconda parte ti sia altrettanto gradita. Alla prossima, grazie.
Anna Mellory: AWWW. Grazie. “Superlativo”…non
sei tu che non sai se commuoverti o solo piangere, sono io ^__^. Quanto al
regalo…forse semplicemente non era quello adatto, ma l’ispirazione,
si sa, è tiranna. A presto, carissima, e thanks
a lot.
Capitatapercaso: che bellissima interpretazione della mia resa
espressiva. Wow. Sono onorata e m’imbarazzo nel mio angolino arrossendo
vistosamente. Grazie, grazie.
Hasta pronto.