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Autore: chilometri    27/11/2015    9 recensioni
[Various artists]
[Urban Strangers]
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Hanno lottato entrambi per portare il loro culo in quel posto e l’unica cosa che in quell’esatto istante Genn desidera è, paradossalmente, andare via.
“Sta’ fermo”, gli dice e gli costa tanto, un po’ perché non ha abbastanza aria per parlare ed è per questo che sibila e un po’ perché è Alex, che ritira la mano ed aggrotta le sopracciglia.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Et voilà, eccomi con un’altra one-shot, si aprono le scommesse: quanto ci metteranno gli Urban Strangers prima di decidersi a venire a picchiarmi? 
Non lo so, ma se loro sono così carini non è colpa mia (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧
E’ per questo che ovviamente, un disclaimer è dovuto: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né della sua sessualità e non intendo offenderla in alcun modo.
 
Inoltre non credo di aver mai pubblicato così tanta roba tutta assieme su questo profilo ed in così poco tempo, ma I’m on a roll e penso che quelle persone che mi hanno tra gli autori preferiti si a) stancheranno di me e mi bloccheranno dalla loro vita b) mi odieranno in silenzio.
Detto ciò, questa è una one-shot che come sempre è senza pretese, scrivere così tanto mi sta aiutando parecchio a sperimentare ciò che si avvicina più al mio stile di fare le cose in generale, quindi mi dovrete subire <3
Ci tenevo anche a specificare che questa storia è dedicata a tutte le ragazze del gruppo Gennex di Facebook a cui mi sono affezionata da morire e che sono da ormai settimane mie compagne di sclero e fangirling vario ♡♡
 
Enjoy e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, 
alla prossima! ♡


 
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(cliccate sulle note musicali per la musica, si aprirà in un'altra pagina)


  

White Knuckles.

 





Giovanni, è, solitamente, un tipo che sa mantenere la calma in tutte le situazioni e che non smentisce mai il suo essere perennemente lucido, sveglio, con la battuta pronta e la soluzione a portata di mano.
Si gratta sempre la barba folta che ricopre il mento, chiude gli occhi e respira profondamente, poi dice qualche parola in barese e ti sforna su un piatto d’argento il modo in cui gestire tutti i tuoi problemi. 
Se potesse essere lucido di lavoro, pensa che a quest’ora sarebbe milionario.
Adesso, però, mancano ormai poche ore all’inizio della puntata di X-Factor, le prove sul palco sono già state fatte, ed è nel momento in cui vede Gennaro, seduto nella poltroncina rossa del camerino, proprio di fronte a lui, cambiare completamente colore e diventare più pallido di quanto già non sia naturalmente che Giosada guarda Davide e aggrotta le sopracciglia, perché per la prima volta nella sua vita fa fatica a capire. 
Ed è quando Davide, i capelli in una piega perfetta dovuta solo ed unicamente ai tre chili di gel che gli hanno spalmato sopra, spalanca piano gli occhi mentre Genn li chiude e si alza in piedi, dando loro le spalle e appoggiandosi al tavolino in legno, che entrambi capiscono che qualcosa non sta andando per il verso giusto e questa volta per davvero.
Gennaro si è rivelato una persona particolarmente ansiosa ed empatica dal primo giorno in cui ha conosciuto tutti, sorrideva e parlava con il suo accento napoletano, si scompigliava i capelli biondi nascosti sotto uno snapback nero e annuiva, sinceramente interessato, ma le sue mani tremavano, nascoste nelle tasche di jeans troppo larghi. 
In quel momento, però, è tutto diverso. 
È diverso il modo in cui Giovanni si alza e gli si avvicina, “Gennà?”, gli chiede senza ricevere una risposta, il respiro dell’altro che diventa sempre più pesante e le nocche bianche contratte contro legno che gli scheggia la pelle rosea. 
È diverso il modo in cui Davide afferra una bottiglia d’acqua con il cuore che batte decisamente troppo forte perché c’è qualcosa di sbagliato, non è cieco e lo sa quando riempie il bicchiere di vetro e lo spinge delicatamente vicino al biondo e, “bevi un po’ d’acqua”, ed è premuroso mentre lo dice, stringe la plastica tra le dita ornate da anelli di teschi.
Ma a Gennaro dell’acqua non frega un cazzo, non gli importa né dell’attenzione dei suoi amici, non gli importa di bere e gli piacerebbe potersi concentrare sui rumori esterni ma non ce la fa perché le sue orecchie stanno fischiando e sente il sangue iniziare a scorrere sempre più veloce nei vsuoi asi sanguini, il cuore pompa troppo veloce e lo sente ovunque.
Lo sente in gola, al centro del petto, lo sente nei polpastrelli e nei polpacci e vorrebbe respirare.
Vorrebbe riprendere il controllo di sé stesso, vorrebbe non sentirsi così per colpa di un’esibizione, vorrebbe tornare indietro e spingere Fedez a capirlo prima che lui non avrebbe retto, vorrebbe non aver provato quel maledetto pezzo in italiano, uscire dalla stanza e prendere a pugni il muro e sé stesso, uscire dagli studi e venire dimenticato, buttato in un angolo, non trascinare nelle sue paranoie tutta la gente che gli è attorno. 
Gennaro vorrebbe non essere più.
Così ansioso, noioso, poco talentuoso.
Vorrebbe essere di più e di meno tutto allo stesso tempo.
Più portato a concentrarsi, meno dipendente da Alessio, più capace di fare da sé, meno bisognoso di costanti rassicurazioni.
“Vado a chiamare qualcuno”, è la voce grattata di Davide quella che sente, leggermente ovattata mentre percepisce la porta bianca chiudersi velocemente ed il suo petto alzarsi e abbassarsi in maniera scostante, anche quella, come ha fatto lui nelle prove, ha perso il ritmo ed è buffo, si sente preso in giro e si sente sfinito
Sfinito dal respiro che continua a mancare, mentre arranca in quello che è probabilmente il peggiore della collezione dei suoi attacchi di panico, sfinito dal modo in cui apre la bocca e cerca di far arrivare dell’aria ai polmoni e lo sa, maledetto lui, lo sa che ci arriva ma non percepisce niente che non sia il sangue contro le sue tempie, bloccato su due gambe ormai poco stabili. 
Gennaro si allontana dal tavolo e si muove in maniera totalmente confusa, rovescia il bicchiere d’acqua sul tavolo e cercando un altro punto che lo sostenga, mentre solleva le palpebre e si scopre con la vista offuscata.
E’ colpa della sua mente, del suo cuore che batte troppo forte, ma percepisce benissimo anche i suoi occhi bagnarsi sotto il peso di quelle che sono tonnellate di responsabilità per uno come lui, che forse è troppo esile per essere in grado di tenerle ben salde alle sue uniche spalle.
“Genn, ti devi sedere”, Giovanni ha la voce grave e la fronte aggrottata mentre guarda il biondo, le spalle tremanti attaccate alla parete bianca e il viso che ha perso completamente il rossore classico delle sue guance; Gio impreca e spera che Davide muova il culo e lo faccia in fretta.
Gennaro, comunque, non vuole sedersi, prova a rimanere in piedi fino all’ultimo minuto, nonostante senta il suo respiro uscire sempre più tremolante e flebile dalle labbra carnose, vuole smetterla di dimostrarsi debole, nonostante si senta costretto a scivolare contro la parete perché non riesce più a gestire la situazione e l’unica cosa che riesce a fare è raggomitolarsi su sé stesso, le gambe strette al petto.
“Non respiro”, rantola — si sente stupido per averlo fatto perché è sicurissimo che Gio riesce a vederlo da sé, grazie mille — ha una mano sul petto, stretta intorno alla maglia bianca che indossa per l’esibizione di quella sera, la martoria e sente l’amico piegarsi sulle ginocchia e sussurrargli frasi di conforto che non servono.
Crede che nulla possa servire in quel momento, fino a che la porta del camerino non si apre, sbattendo contro il muro — un po’ di stucco cade sul pavimento — e ritornando al suo posto iniziale, chiudendosi con un silenzioso clic.
“Che succede?”, la domanda di Alex è ingenua, nonostante la voce sia preoccupata e profonda. 
Ha visto Davide correre verso di lui e pararglisi di fronte solo qualche minuto prima, gli occhi già grandi sono sgranati, il fiato è corto, gli mormora qualcosa che somiglia ad un “Gennaro non si sta sentendo bene” e ad Alessio bastano quelle poche parole per chiedere scusa ad Elisa, con la quale sta avendo una discussione sulla scelta pessima dei costumi, e incamminarsi a passo sostenuto verso la stanza, lasciandosi il riccio alle spalle.
Ora è all’interno del camerino e per un secondo, nel suo campo visivo c’è solo dell’acqua che cola agli angoli del tavolo beige e legnoso, un bicchiere rovesciato e Giosada che dice qualche parola sconnessa, la faccia seria.
Il secondo dopo, invece, vede Gennaro con la testa tra le mani, una gamba stretta al petto e l’altra stesa sul pavimento, le labbra tremolanti, il viso pallido e il ritmo irregolare del suo petto e vorrebbe che non stesse succedendo sul serio.
Ma sta succedendo, per questo, “ci penso io”, è tutto quello che dice guardando Davide e Giovanni, entrambi colgono che sia il modo più gentile in cui Alessio riesca a liquidarli in quel momento, nonostante questo gli fanno qualche domanda — ma sei sicuro?, chiamiamo qualcuno?, guarda che rimaniamo, è meglio se non sei da solo! — .
Ma Alessio è statico, guarda entrambi dritti negli occhi e basta quello per dire che sì, è sicuro e no, non c’è bisogno di chiamare, di rimanere o di essere in compagnia e che sì, lo apprezza e lo apprezza davvero tanto ma no, non è necessario.
Davide si passa una mano sulla pelle olivastra del viso e borbotta qualcosa mentre Giovanni lancia un’occhiata a Gennaro, la faccia preoccupata, poi impreca in barese, da una pacca sulla spalla di Alessio e vanno via.
La porta si chiude, Alex guarda Genn e Genn, sfinito, stanco, stremato, che vorrebbe e non riesce a prendere e che vuole e non riesce a fare, lo sa, lo sa che neanche Alessio può fare qualcosa, questa volta.
 
 
La prima volta che Alessio ha avuto a che è fare con un attacco di panico di Gennaro, lui ha sedici anni e il biondo diciassette, è la loro prima esibizione, con i loro primi arrangiamenti e le loro prime insicurezze. 
Genn si sta mordicchiando le mani, quando la sua mente inizia a tartassarlo di pensieri che lo fanno cadere in uno stato prima confusionale e successivamente di panico, inizia a respirare male, il sangue lo sente dritto nelle tempie, pulsa ritmicamente, come sempre, come se fosse un rito ed Alessio se ne accorge giusto in tempo. 
Sempre maturo, razionale e concentrato, Alex sa che in questi casi non si può fare troppo ma non si può neanche rimanere fermi, quindi lo aiuta a sedersi, gli riempie con calma un bicchiere d’acqua e lo fa con tutta la naturalezza del mondo.
Manda un messaggio a Cristian e Federico, gli amici che hanno messo a disposizione la loro macchina per portare la strumentazione, chiedendogli di non entrare per una decina di minuti. “Stiamo provando le ultime cose”, digita e finge.
Non fa pesare nulla a Gennaro e non lo fa sentire oppresso dalle persone, dagli spazi o dalle preoccupazioni. 
Alessio non gli ha mai fatto pesare nulla. 
Ed è a dir poco imbarazzante, inizialmente, quando prende una sedia e la trascina di fronte a quella di Gennaro e gli prende le mani tra le sue. Sono sudate, le mani di Genn, che ha ancora gli occhi stretti e la bocca aperta, annaspa notevolmente.
Gli inizia a dire che “Gennà, stasera sei proprio un figo, ma guardati con quella chitarra”, scherza e gli racconta di quelle volte in cui gli si sono rotte le corde nelle registrazioni studio e di come Genn sia stato in grado di recuperare alla grande per entrambi, gli ricorda i pezzi scritti insieme e le strofe cazzute — così le definisce — che il biondo ha scritto.
Gennaro non respira bene, ma Alessio parla con una voce così delicata e tranquilla, come se tutto stesse andando bene fino a che non riesce a convincerlo di ciò. Continua a parlare, parla, parla tantissimo Alex, non si ferma per dieci minuti buoni, gli sorride, dice qualcosa in napoletano e rotea gli occhi mentre gioca con le dita del biondo.
Gennaro non respira bene, ma Alessio segue uno schematico piano di parole e toni che si susseguono e decide di concentrarsi su quello e nonostante abbia ancora paura, con le sue mani tra quelle grandi del piccolo Alessio, Gennaro lo sa, lo sa, che andrà tutto bene.
 
 
Alex, adesso, al centro del camerino, è perplesso. 
Genn, così, rannicchiato su sé stesso, non lo ha mai visto.
Lo guarda per un secondo ed ha il cuore che pompa in modo spaventoso, è consapevole che gli attacchi di panico passino, ad un certo punto, ma la vista di Gennaro così indifeso non lo rende abbastanza razionale da farlo agire con movimenti calcolati, è per questo che, semplicemente, non lo fa.
Gli basta fare due passi per essere vicino a lui, le ginocchia si piegano per arrivare all’altezza del biondo che ha la fronte imperlata dal sudore e gli occhi chiusi e tutto in lui urla qualcosa che Alex non comprende, ma che lo spaventa abbastanza da chiedersi se sia il caso di non chiamare davvero qualcuno. 
Di di assecondare, anche questa volta, l’ossessione di Gennaro e del suo aver paura di disturbare anche in questi casi, forse non ne ha voglia.
Nonostante questo, si passa velocemente una mano sugli occhi e guarda il viso pallido del biondo, cerca di riflettere seguendo il bene di Gennaro e non dando retta alla paura che gli stringe le viscere in una morsa fastidiosa. 
“Genn”, è tutto quello che Alex dice, ed è l’ultima cosa che Gennaro vorrebbe sentire, la premura nella sua voce gli fa venire voglia di vomitare e di affogarsi nella sua stessa gola, sente le mani del moro cercare le sue ma non ce la fa e non vuole farcela: con il respiro meno irregolare di prima ma con il cuore che batte troppo forte e le orecchie che fischiano. 
Non vuole chiedere aiuto. 
Hanno lottato entrambi per portare il loro culo in quel posto e l’unica cosa che in quell’esatto istante Gennaro desidera è, paradossalmente, andare via.
“Sta’ fermo”, gli dice e gli costa tanto, un po’ perché non ha abbastanza aria per parlare ed è per questo che sibila e un po’ perché è Alex, che ritira la mano ed aggrotta le sopracciglia, ma rimane calmo e fa per dire qualcosa, qualsiasi cosa, nello stesso momento in cui Gennaro punta le mani sul pavimento freddo e fa pressione sulle sue braccia per tirarsi su. 
È stanco di dover chiedere aiuto.
Ha le gambe meno deboli, adesso, e annaspa solo un tantino, sente l’aria sbattere numerose volte contro le sue ansie per poi trovare, pian piano, la sua strada verso i polmoni. 
Si appoggia nuovamente al tavolo ed apre la bocca rossa, cercando di acchiapparne il più possibile. 
Con le mani tremanti, invece, tira su il bicchiere di vetro che è in orizzontale sul ripiano in legno mentre sente il sangue iniziare a divincolarsi e andare via dalle pareti del suo cervello, la vista è ancora leggermente appannata ma le orecchie, in compenso, fischiano meno e prende in minima parte il controllo di sé stesso.
Non ha bisogno di chiedere aiuto.
È nello stesso momento in cui lo pensa che sente una massa d’aria venire spostata dal corpo di Alessio, gli si para al fianco ed afferra la bottiglia di plastica, svitando velocemente il tappo e avvicinandola al bicchiere che Gennaro ha stretto nella mano destra ed il biondo semplicemente non ce la fa e gli dispiace e non vorrebbe farlo, quando sbatte il bicchiere sul tavolo, l’aria nei suoi polmoni si perde nuovamente, costringendolo ad aprire leggermente la bocca. 
Chiude gli occhi, li stringe forte quando “ce la faccio anche da solo”, dice, con la voce raschiata e con le nocche nuovamente bianche perché forse è una bugia e forse non ce la fa ma forse dovrebbe provarci e forse, forse. Forse.
Alessio sospira ed incrocia le braccia, “Genn…” 
“Puoi smetterla —  la mascella si contrae — di dire il mio nome in quel modo?” e c’è di nuovo il bicchiere rovesciato, Gennaro con il respiro pesante, Alessio è confuso mentre fuori ci sono dei rumori confusi e a nessuno dei due interessa, non quando il biondo guarda Alex con gli occhi chiari che non sono mai stati così freddi.
“In che modo?”
“Come se avessi bisogno del tuo aiuto! Non ho bisogno del tuo aiuto”, Gennaro ha le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi, le unghie conficcate nei palmi e l’aria bloccata tra la sua gola e la gabbia toracica, lotta per arrivare nel punto giusto e farlo respirare bene mentre alza la voce. Non è il momento di litigare e ne è consapevole, ma non può fare altro che alzare la voce e tutto quello che percepisce è la rabbia in ogni parte della sua mente. Non è arrabbiato con Alex, in ogni caso.  
“Lo so.”
“E allora crè” gli dice in napoletano e vuole sinceramente sapere cosa è che c’è e perché si senta sempre così e perché non si sentano entrambi allo stesso modo e Dio, Dio grazie perché Alessio non si sente nel mio stesso modo.
“C’è — la voce di Alessio è calma, rimane però bassa mentre si appoggia al muro dietro di lui e abbassa per un secondo lo sguardo — che sono venuto perché mi hanno detto che non stavi bene. Solo per questo. Lo so che ce la fai da solo. Pensavo solo che fossi preoccupato per l’esibizio—”
Gennaro digrigna i denti, “non sono preoccupato! Perché devo essere sempre io quello preoccupato? Tu non sei preoccupato? — lo guarda — non sei mai preoccupato! Sono io quello preoccupato” sono parole confuse quelle che dice, mentre si avvicina ad Alex, spalle al muro e che lo supera in altezza di qualche centimetro, rimanendo a qualche passo da lui.
“Sono sempre io, no?”
No.”
Gennaro lo guarda perché non se l’aspetta, non si aspetta qualcuno che neghi che non sia il problema, non si aspetta mai che sia Alessio a guardarlo con gli occhi neri ed inquisitori. Vorrebbe aspettarselo più spesso e questo lo fa arrabbiare.
!”, lo dice e quasi lo urla, il corpo si muove da solo e basta un movimento per farlo aderire a quello di Alessio, il pugno stretto colpisce la parete a qualche centimetro del moro che trattiene il respiro e si costringe a rimanere immobile, con il calore del corpo di Gennaro addosso a lui, con il petto dai movimenti sconnessi del biondo a sbattere contro il suo.
Guardami”, calca su quella parola, in imbarazzo perché non è la prima volta che ha una reazione esagerata, non è la prima volta che si sente così nei suoi stessi riguardi, “sono solo attacchi di panico e lamentele”, poi apre il pugno e lo lascia scivolare lungo la parete bianca e lungo la spalla di Alex, per poi sospirare.
Si passa entrambi le mani sul viso e poi le guida verso i capelli che stringe forte, respira nuovamente con fatica, mentre li spinge verso il basso e quelli si spettinano, spargendosi su tutta la fronte sudata.
“Gennà”, è l’unica cosa che ripete Alessio, questa volta Gennaro accetta la voce di chi la sa lunga e si lascia rassicurare dal quel tono familiare.
“Sono stanco”, dice, la voce è flebile e fa fatica ad uscire dalle labbra, perché stretta tra i denti, “sono stanco di sentirmi ogni volta come se fosse peggio della prima”, ha ancora le mani tra i capelli, “sono stanco di…” si perde nelle sue parole tremanti per un secondo, le mani scendono dai capelli e si fermano sulle gote.
“Sono stanco di non essere abbastanza per nessuno lì fuori, Alè”, gli confessa con gli occhi chiusi e bagnati e si sente debole, vulnerabile un ammasso di parole e di preoccupazioni inutili che non riesce a scrollarsi di dosso e tutto quello che sente ora e costantemente è il respiro affannato che non ne vuole sapere di calmarsi.
Inizia a gesticolare, “e sono proprio stanco di non essere sicuro di quello che facciamo, insomma guardaci, facciamo bene! Fai bene, tu, fai sempre un sacco bene Alè, cazzo se fai bene e—” non riesce ad andare avanti perché è tutto un istante.
Ed ora ci sono solo le braccia di Alex, che si è allontanato dal muro, ad avvolgerlo come se fosse l’unica cosa che sa che possa essere d’aiuto e non c’è nient’altro da fare, nient’altro da dire.
Gennaro si ritrova con il viso schiacciato contro la camicia a quadri gialli e neri del moro, sente l’odore di bucato colpire le sue narici gli fanno automaticamente chiudere gli occhi, le braccia seguono prima la scia dei suoi stessi fianchi e poi, dopo qualche secondo di esitazione, si allacciano a quelli di Alex. 
E’ una sensazione strana ed è ancora più strano il modo in cui la trovi piacevole, tanto da cercare più contatto avvicinandosi ancora di più a lui.
“Sono stanchissimo”, gli ripete, la voce impastata dovuta alla sua guancia schiacciata contro il petto del più piccolo.
E Alessio ne è a conoscenza, annuisce mentre ha il viso affondato nei capelli color miele di Genn, “lo so”, gli sussurra piano, le labbra che accarezzano ed accompagnano il movimento delle parole e solleticano la nuca dell’altro, mentre le dita disegnano dei cerchi sulla sua spalla.
C’è ancora qualche parola di sconforto e qualche frase di conforto, le mani grandi di Alessio sulla schiena esile di Gennaro, le dita intorno ai fianchi e il respiro più regolare, l’odore di casa di Alex e le gambe tremanti di Genn, i sorrisi contro la stoffa e una risatina, ci sono le labbra sottili di Alessio sulla fronte lucida di Gennaro.
E poi c’è la consapevolezza di entrambi, respiri più tranquilli ed emozioni mischiate, le braccia strette in modo quasi doloroso intorno ai fianchi che sanno, lo sanno, che anche questa volta ce la fanno.



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