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Autore: IMmatura    27/11/2015    0 recensioni
"-Mamma?- chiese la piccola testolina di Riley, sbucando fuori dalle coperte. -Che cos’è un “angelo custode”?-
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-Angelo custode...- Gioia si rigirava in bocca quella parola, sfiorando appena con le dita il pannello di controllo."
Questa storia parla di qualcuno che sostiene qualcun altro a modo suo, di un affetto sincero anche se un po' apprensivo, di rivalutazione e della bellezza di avere accanto qualcuno di speciale. Questa storia parla di Gioia, ma non nel modo in cui potreste pensare...
[Crack!pair] [Se si può parlare di crack!pair per Insisde Out...]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Pixar Animation Studios; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

My guardian angel

-Mamma?- chiese la piccola testolina di Riley, sbucando fuori dalle coperte. -Che cos’è un “angelo custode”?-

La donna posò fra quei capelli biondi una tiepida e delicata carezza.

-Un angelo custode è qualcuno di molto speciale, mandato per aiutarci e proteggerci. Tutti ne hanno uno, anche tu... anche se non puoi vederlo è e sarà sempre con te, giorno e notte.-

Gli occhi della bambina si sgranarono, mentre le sue labbra, sotto il lenzuolo, si inarcarono in un sorriso: quella parola nuova le era piaciuta da subito.

-Anche di notte?- chiese però, ancora un po’ sospettosa, ritraendo il più possibile i piedi dal bordo del letto e tirando di nuovo su le coltri fino agli occhi. La mamma trattenne a stento un sorriso depositandole un bacio sulla fronte.

-Sicura sicura?- insisteva, cercando di farla indugiare ancora un momentino sulla soglia, e lanciando occhiate preoccupate all’anta dell’armadio a muro. Una sagoma in controluce annuì, sussurrando un tenero assenso a quel fagottino in cui si nascondeva sua figlia. Luci spente.

 

-Angelo custode...- Gioia si rigirava in bocca quella parola, sfiorando appena con le dita il pannello di controllo. Un’ultima sfera gialla e brillante come una stella rotolò nello scaffale della memoria a breve termine, mentre attorno a lei si agitavano le braccia febbrili dei colleghi. Di uno, in particolare.

-Protocollo di sicurezza completato!- annunciò finalmente Paura, alzando le mani dai comandi. -Siamo lontani dai pericoli e perfettamente mimetizzati.-

-Quindi si può finalmente andare a dormire?- borbottò Rabbia, senza aspettare una risposta per dar loro le spalle e andarsene. Gioia riusciva quasi ad immaginarlo mentre alza gli occhi al cielo per l’ennesima volta, durante quella giornata.

-Ottimo lavoro!- commentò, rivolta soprattutto a se stessa, con soddisfazione, mentre il buio calava lentamente nel quartier generale, ridisegnandone l’atmosfera. Adesso c’era solo lei, in mezzo al buio. A margine, il fruscio di un manuale rimesso da Tristezza al suo posto, e il suo ciabattare via. La splendida stella, leader del gruppo, oscillava indecisa sulle gambette. Odiava andare a dormire, ma sapeva bene che Riley aveva bisogno di recuperare le energie. Stavolta però era una titubanza diversa.

-Sicuro di voler restare tu a controllare i sogni?- chiese, osservando attentamente Paura. Una sagoma sfuggente e ancor più stilizzata, alla sua luce riflessa. Una sagoma che sembrava tremare come la fiammella di una candela vicino ad uno spiffero, animata da gesti così frenetici e nervosi da risultare quasi invisibili nella penombra. Una sagoma con due occhi perennemente sgranati ed enormi. Gioia non aveva mai notato prima d’ora quanto fossero effettivamente grandi...

Insistette ancora per prendere il suo posto, ricordandogli che l’ultima volta non era andata proprio benissimo, e facendo leva sui peggiori trucchetti psicologici. E se ci fosse di nuovo quell’incubo del ratto gigante?

-Ho t-tutto sotto c-controllo.- farfugliò Paura abbracciandosi tutto con quelle sue braccine esili e quasi gommose. -E poi stai sbadigliando, Gioia. A-anche tu devi dormire, ogni tanto... credo.-

-Ma io son...- un nuovo, largo sbadiglio soffocò la frase che aveva in mente, mentre a sorpresa si sentiva spingere con gentile fermezza lontano dal pannello di controllo. Non voleva offendere Paura, ma aveva il sospetto che non sarebbero riusciti davvero a riposare per più di un paio d’ore... del resto forse sono già troppe, per lei che dovrebbe essere l’ “angelo custode” di Riley.

 

---

 

Paura non era particolarmente adatto al lavoro notturno, questo era un dato di fatto. Di giorno, però, era la persona con cui Gioia collaborava meglio. Abbastanza remissivo da lasciarle mano libera, ma mai impreciso nel portare avanti il suo compito di protezione. Era merito suo se Riley riusciva a non rovinarsi mai una bella giornata sui pattini con un’evoluzione troppo azzardata ed era lui a convincerla a rimandare il concerto della band sua e di Bing Bong se la sua batteria di pentole era sul fuoco. In tutte quelle occasioni le loro braccia si intrecciavano sul piano di lavoro senza intralciarsi mai, ad una velocità che pareva naturalmente sincronizzata. Ovviamente Gioia controllava il grosso delle operazioni, ma accettava la presenza di Paura come qualcosa che, in fondo, le dava parte della sua infinita sicurezza. Non era Tristezza, a cui bastava sfiorare i comandi per scatenare un pianto dirotto, non era Rabbia, che spingeva in malo modo via tutti, quando era “il suo momento”, non era Disgusto, che tirava il freno solo per supposizioni sui giudizi altrui. In qualche modo, quella coordinazione, era lo specchio di una qualche somiglianza: erano entrambi emozioni frenetiche, adrenaliniche, accomunate dalla preoccupazione costante e, forse, anche un po’ ossessiva verso Riley. Si capivano. Quasi sempre.

Paura non faceva mai sentire la propria presenza come un peso, almeno fino alla fatidica ora che andava dalle quattro alle cinque.

I compiti.

Studiare era un’attività relativamente semplice per Riley, una bambina intelligente ed entusiasta, capace di riversare tutte le sue energie e la sua positività in quello che faceva... almeno per i primi minuti.

-Oh, guarda! Una farfalla!- gridò Gioia, già pronta a ruotare completamente il campo visivo verso la finestra.

-No.- Intervenne Paura sovrapponendo, per una volta, la sua mano a quella di Gioia e bloccandola a metà nell’atto di abbassare la leva. Erano vicinissimi, e Gioia lo realizzò dall’intensità della vibrazione del corpo dell’altro che andava a contagiare il proprio. Non solo sul braccio, ma ovunque. Era come una corda tesa quasi fino al punto di rottura, un concentrato di energia così compressa da far vibrare anche l’aria attorno, e pronta ad esplodere all’improvviso. Gioia sapeva per esperienza che, a volte, bastava un soffio. Eppure, allo stesso tempo, riusciva ad essere un argine che indirizzava le sue, di energie, nella direzione giusta. Come in quel momento.

Non le piaceva ammetterlo.

-Andiamo, studiare è noioso, lo ha già fatto abbastanza! Potremmo... potremmo andare allo skate park!-

-Ti ho già detto che non approvo per niente quel posto? Sai che è pericolossisimo!-

-E tu sai che, però, Riley lo adora...-

Nel battibecco i loro visi si erano avvicinati come raramente era accaduto finora e Gioia ebbe la strana impressione che le iridi viola del collega stessero fuggendo da lei. La presa sulla sua mano era diventata meno sicura, ma il tremito era aumentato ancora di più. Lo aveva spaventato, per qualche motivo? Non sarebbe stato così strano, ma le sarebbe un po’ dispiaciuto... in fondo lei voleva solo premiare Riley per l’impegno con cui aveva fatto i suoi compiti finora.

-Beh... a-allora forse si potrebbe fare...-

-Bravo Paura, così si parla!- esclamò convinta Gioia, correndo a prendere la lampadina dell’idea. Era già pronta ad innestarla, quando per la seconda volta in quella strana, stranissima giornata, Paura le bloccò il polso. Senza guardarla, di nuovo, e con un colorito un po’ strano.

-Dopo aver finito questo capitolo, però!-

-Dobbiamo proprio?-

-Ho fatto dei calcoli: domani abbiamo alte probabilità di essere interrogati e se il voto va male non ci andremo mai più allo skate park. Ne a pattinare sul lago. Ne da nessuna parte!-

-Oddio, no, non mettiamo a rischio la vita sociale, eh! Ne ho fisiologicamente bisogno!- si intromise Disgusto, dal divanetto dove si stava mettendo lo smalto. Paura intanto continuava il suo delirio.

-Rovineremmo la carriera scolastica di Riley e lei sarebbe costretta a studiare tutto il tempo per recuperare e l’insegnante ci avrebbe nel frattempo preso di mira e...-

-Ok, ok, ho capito... adesso imposto l’accensione ritardata!-

 

Riley chiuse il libro circa venti minuti dopo, con un sospiro soddisfatto. Aveva impiegato meno tempo per quell’ultimo capitolo, o era solo una sua impressione? Come si aspettasse qualcosa alla fine di quei paragrafi... come ci fosse un pensiero ancora non ben definito nel suo cervello, ma che già la eccitava. Un’idea che sapeva di ricompensa e che arrivò folgorante. Afferrò il cellulare.

“Se hai finito anche tu con scienze ci vediamo allo skate park tra un’ora, ok?”

 

---

 

-Woho!- gridò Riley scivolando giù per il corrimano con lo zaino in spalla e piena di un insolito entusiasmo. In fondo quello era l’ultimo giorno di scuola, per quell’anno, e l’immaginazione era già al lavoro di la dell’ostacolo: si vedeva intrepida esploratrice lungo ripidi costoni di montagna e su rami di alberi secolari. La madre sospirò, vedendo i suoi occhi persi, ed immaginando l’unico pensiero che riempiva la sua testa...

 

-Campeggio! Campeggio! Campeggio!-

Gioia schizzava da una parte all’altra, non riuscendo a non correre sul posto nei pochi momenti di “tregua”. I piedi si muovevano da soli.

-Manca ancora un intero giorno di scuola, è così depriment...- tentò di riportarla alla realtà Tristezza venendo afferrata al volo dalla stessa Gioia che tentò di coinvolgerla in una buffa capriola (allontanandola il più possibile dal pannello di controllo...)

-E faremo in modo che sia la più gioiosa ed entusiasmante giornata di sempre! Il tempo oggi deve volare! Vi voglio tutti pronti ai posti di combattimento. Nulla deve andare storto oggi.-

Nessuno prese troppo sul serio il tono militaresco che aveva cercato di darsi, ma collaborarono secondo le loro forze e capacità. Gioia ovviamente era la più frenetica. A tratti le sfuggiva una smorfietta arricciata con il labbro, segno che si stava innervosendo... ma non lo avrebbe mai ammesso. Scaricava sogni ad occhi aperti l’uno dietro l’altro, tenendo Riley distratta ma felice. Per tutta la mattina, il pranzo ed anche dopo. Una giornata perfetta, che per Riley doveva sembrare davvero rapida come un soffio di vento. Eppure a lei, iniziava a sembrare così lunga...

Si impose di sorridere. Non c’era nulla di cui preoccuparsi, era tutto perfetto, così perfetto... poteva addirittura appoggiarsi un minuto sul divanetto... giusto un minuto...

-Gioia?- provò a chiamarla Tristezza. Si era addormentata. Troppo da fare persino per lei, quel giorno. Nel sonno continuava ad agitarsi, muovendo le gambe e ridacchiando. Le altre emozioni si guardarono tra loro, cercando ognuno negli occhi degli altri una risposta al grande interrogativo: “e adesso... che si fa?”

-Oh, Gioia...- sospirò Disgusto.

-Magnifico, stava andando tutto TROPPO bene!- commentò Rabbia, mentre le altre due ragazze facevano cenno di non gridare.

“A proposito di gridare...” pensò Disgusto, voltandosi di nuovo, ad osservare Paura che, con le braccia tese in maniera goffissima, tentava di posare il più delicatamente possibile una coperta sulla pelle luminosa di Gioia. Sogghignò, notando l’espressione del collega, boccheggiante in contemplazione del sorriso disteso della loro leader dormiente. Il suo visetto tondo era ancora più adorabile immerso in quello stato diluito di se stesso, la tranquillità.

-Qualcuno dovrebbe tornare li...- disse pigramente Tristezza, allungando il braccio ed indicando il pannello di controllo.

-Ah! Si, si... ci sono!- si riscosse Paura, schizzando alla propria postazione. Non aveva un vero e proprio piano, lo si intuiva dalla maniera in cui, ancor più del solito, era scosso da capo a piedi. Sembrava più che altro una foglia sbatacchiata dal vento, che tenta i rimanere aggrappata al ramo, in questo caso i comandi. Andava di qua e di la cercando di fare l’unica cosa che sapeva, lavorando a modo suo...

 

-E se facesse molto freddo?- si chiese ad alta voce Riley, con lo zaino dalle mani, di colpo sommersa da uno tsunami di ansia, dopo le ore apparentemente così serene della mattina. Eppure, fino a poco tempo fa, l’entusiasmo la faceva da padrone. Si era sentita come in uno stato di grazia... e adesso le tremavano quasi le mani mentre cercava di ricordare a che altitudine si sarebbero accampati e in quale cassetto fosse quel maglione così comodo e, allo stesso tempo, non troppo voluminoso. Sarebbero stati vicino ad un lago, giusto? Insetti. Ci sarebbero stati un sacco di insetti. Le serviva assolutamente lo spray!

Lo cercò ovunque, maledicendo a mezza bocca l’ansia dell’ultimo minuto, ma muovendosi svelta e precisa per la casa. Trovò prima la bomboletta, poi il fornelletto da campo, poi il cappellino con la visiera per il sole. Ognuno di questi oggetti le scivolava dalle mani ma finiva, in un modo o nell’altro, nel suo bagaglio già pieno fino all’orlo. Intanto il suo stomaco si attorcigliava e sentiva il cuore pulsargli nel collo e sulle tempie... le venivano in mente tante preoccupazioni utili ed inutili.

 

Il mattino dopo, quando Gioia si svegliò, Riley aprì gli occhi con lei. Sarebbe stato meraviglioso, se l’emozione non fosse stata conscia del disastro appena verificatosi. Il gran giorno? Di già? Si era addormentata, e non sarebbe MAI dovuto succedere! La sua Riley abbandonata sul più bello in balia di... di chi? Nessuno poteva aver preso il suo posto per ben undici ore! Lei era l’angelo custode di Riley, lei era l’unica in grado di gestire quella situazione, lei... non aveva il coraggio di appurare il danno. Si era avvicinata ad occhi serrati alla postazione di controllo, trovandone il bordo a tentoni. La testa inclinata da un lato, le mani strette attorno al metallo con una forza tale da poterlo quasi piegare. Si sentiva come se si stesse contraendo tutta in quello sforzo di preoccupazione. Come fosse un astro sul punto di implodere. Finalmente si decise a schiudere una fessura d’occhio e constatò con piacevole sorpresa che i livelli di adrenalina, per lo meno, erano rimasti stabili.

“Sii positiva.” pensò, spalancando finalmente entrambi gli occhi per accogliere lo spettacolo di una consolle tempestata di post-it. Foglietti ovunque. Quadratini adesivi viola con sopra una grafia storta e spigolosa, parole sbagliate sbarrate e riscritte ancor più frettolosamente. Una vera grandinata di informazioni. Accanto all’indicatore della fame, per esempio, c’era un avviso: “panino nella tasca esterna dello zaino, lato destro” Accanto alla molla per la corsa, una raccomandazione: “Controllare sempre i lacci!!!”.

Gioia era ancora presa a cercare uno spazio per le proprie dita, fra tutti quei foglietti di apprensione accavallata, quando la voce di Disgusto la raggiunse.

-Meno male che ti sei svegliata.-

Gioia le fa segno del pollice in su, facendole spazio ai comandi.

-Tutto sotto controllo.- dice, con tono rassicurante e una punta di malcelato sollievo.

-Finalmente! Mi stava mandando al manicomio...-

-Chi...? Paura? Davvero Paura ha fatto... tutto questo?- chiese sorpresa, cercando con lo sguardo il collega viola, senza trovarlo.

-Aham.- Confermò Disgusto dondolando la testa. -Adesso però lo abbiamo mandato un po’ a fare la nanna, che farsi vedere troppo agitati per un semplice campeggio non è per niente cool.-

-E... esattamente, come se l’è cavata?-

-Mi dispiace... Riley è andata parecchio in agitazione per i preparativi.-

Male. Però, poteva ancora rimediare. Quella giornata poteva ancora essere perfetta, adesso che c’era lei e... lo sarebbe stata di sicuro. Gioia, preparandosi a riversare nuovo entusiasmo in Riley, si rese conto che ogni suo gesto, in realtà, trovava il proprio spazio in quella rete di foglietti. Non era proprio un muro di ansia, come le era sembrato all’inizio. Era più il solito argine che, in una forma un po’ diversa, si incastrava con i suoi gesti portandoli esattamente all’obiettivo. Si, quella giornata poteva ancora essere il suo capolavoro, ma doveva ammettere di aver ricevuto davvero un grande aiuto da quell’ansioso fascio di nervi che, forse più di lei, vegliava su Riley in tutte le maniere che lei non sarebbe mai arrivata neppure a considerare. Nulla sembrava essere stato lasciato al caso. In fondo non sarebbe stato da Paura...

 

---

 

Erano passati tre mesi da quella folle, folle avventura che Gioia e Tristezza avevano vissuto nei meandri più remoti della mente di Riley. Tre mesi in cui si erano ritrovati a far fronte a tante altre cose nuove e sorprendenti che avevano cambiato il modo di pensare di tutti. Le emozioni combinate (Tristezza aveva deciso di tenere un manuale aggiornato con ogni nuova combinazione che scoprivano...), i nuovi comandi con cui ancora si destreggiavano a fatica (Paura continuava a far scattare per sbaglio un allarme acustico col gomito), ma soprattutto, per Gioia, tante cose vecchie da riconsiderare alla luce di quel che aveva imparato. Aveva sempre avuto bisogno degli altri, di tutti i suoi colleghi. Anzi, i suoi amici. Una piccola parte di lei l’aveva sempre saputo, ma aveva preferito crogiolarsi nell’idea di essere arrivata per prima per un motivo, di essere colei che c’era fin dal principio e ci sarebbe stata fino alla fine. L’ “angelo custode”. Ripensarci adesso la faceva sorridere in un modo strano, un po’ spento. Malinconico, ecco. Forse l’influsso di Tristezza era ancora un po’ troppo forte, e la stava contagiando. Sospirò. Riley aveva bisogno di lei, adesso. Se davvero le voleva bene Gioia doveva accettarlo, avere il coraggio di fare un passo indietro ed abituarsi, ogni tanto, ad ammettere di non sapere bene cosa fare, di non essere in grado di fare altro che arrabattarsi come loro, aiutare dal margine della scena, come poteva.

Per esempio, la sera, quando la ragazzina faticava ad addormentarsi, Gioia la faceva rilassare regalandole un ricordo felice dall’archivio. Un ricordo non più geloso ed esclusivo, sbirciato di nascosto nel buio, sussurrato come un segreto. Lo guardavano insieme, mentre coprivano il turno di notte.

Già, coprivano. Dopo l’incidente del clown del subconscio si era deciso che sarebbero stati in due a sorvegliare il sonno, e Gioia aveva deciso di approfittarne per condividere con qualcuno tutto quello che aveva cercato di monopolizzare per anni. Sfruttare sempre le occasioni in maniera positiva. Era nella sua natura, giusto?

Ancora qualcosa in lei, si ribellava, di tanto in tanto: accettava con fatica le critiche al suo operato precedente (pur sapendole fondate) ed ogni volta cercava di giustificarsi. Tranne quando capitava di turno con Paura, come quella sera.

Paura non era il tipo da critiche. Ogni tanto si lamentava di qualche gesto azzardato, ma per lo più assimilava la lezione per il futuro, piuttosto che rinfacciare in retrospettiva. Le piacevano, i turni di notte con Paura. Era buffo osservarlo ripiegato sulla sedia, accartocciato e intento a sfogare la propria tensione in piccoli gesti convulsi come fregarsi le mani o dondolare il petto e la testa. La cosa più buffa, però, era guardare la sua faccia quando i loro sguardi si incrociavano. Per un attimo il sorriso gli si allargava tanto da deformargli la faccia. Le aveva confessato che il buio non gli piaceva per niente (lo aveva sempre sospettato, in realtà...) e per questo era contento anche lui di fare i turni con lei, così luminosa e...bella. Questo lo aveva detto dopo aver deglutito a vuoto un paio di volte. Gioia aveva sorriso in risposta, scoprendo una nuova sfumatura possibile per quell’espressione che avrebbe dovuto essere propria del suo essere. Un sorriso poteva essere incerto nella sua tenerezza: un sorriso imbarazzato.

-Non avevi ancora visto questi ricordi, vero?- chiese, seduta per terra a gambe incrociate con i piedi stretti fra le mani e dondolandosi avanti e indietro.

-Il campeggio.- sussurrò Paura.

-Fu una giornata memorabile...- sospirò - Grazie. Avrei dovuto imparare da quella volta, e invece ho causato tanti di quei problemi a Riley, ultimamente. Non so cosa avessi in testa... credevo di essere “più indispensabile” degli altri... o qualcosa del genere. Non sarei mai stata capace di fare una cosa come quella che hai fatto tu: pensare di preparare al meglio il lavoro, per poi lasciare tutto in mano a qualcun altro. Non ne sarei mai stata capace, e forse non lo sarei ancora.-

-N-nemmeno per me è stato semplice, i-in realtà. Non che non mi fidassi, solo che... insomma, hai visto che non mi sono sentito tranquillo senza lasciarti quei... o cielo, quel mare di post-it!- si nasconde la faccia, o meglio la zona degli occhioni, con le mani. -Una cosa ridicola vero? Disgusto me l’ha detto, che era una cosa ridicola.-

-Io l’ho trovata incredibile. Avevi pensato a tutto. Non c’è stato un solo problema per cui non ci fosse già una soluzione!-

-Grazie, grazie, così mi lusingh... ehi!- Si interruppe, indicando il ricordo sullo schermo con aria indignata -Cosa ti è saltato in mente di farle attraversare il torrente su quelle rocce. Poteva scivolare e sbattere la testa! O annegare! O essere divorata dai coccodrilli!-

-Coccodrilli nei torrenti?-

-Mai più.- raccomandò, non ascoltandola e sforzandosi di ignorare quel sorriso così radioso, in grado di convincerlo di qualsiasi cosa, o quasi.

-Andiamo, l’hanno fatto tutti e non è successo niente...-

-Meglio non rischiare, la prossima volta. Dovrei appuntarmelo da qualche parte, anzi.-

Gioia sorrise. Era contenta così. Contenta di Paura che non le faceva pesare troppo gli errori, e del modo buffo in cui sgranava gli occhi. Contenta di avere a che fare con qualcuno così simile a lei e, allo stesso tempo così diverso. Paradossalmente, tanto più appariva poco razionale in apparenza, tanto più in realtà era una delle poche certezze che Gioia aveva sempre avuto.

-Non credo. H-ho solo fatto quello che mi suggeriva l’istinto, quella volta.- si schermisce, pregando che il cuore smetta di battergli all’impazzata. Gioia non può fargli certi complimenti con quel sorriso così, all’improvviso. Finirà per ammazzarlo. -Alla fine ero tranquillo, dato che lasciavo la situazione in mano a te.-

-Allora sembrava una garanzia, vero?- Sospirò, per poi rivolgergli un’altra occhiata che lo mise sulle spine. Le labbra di Gioia si erano arricciate e gli occhi socchiusi in uno sforzo di meditazione. Paura era sulle spine,  si sentiva in equilibrio precario sul filo di quei pensieri. -Ma certo! Eppure ce l’ho sempre avuto davanti agli occhi: sei tu! Sei tu che proteggi Riley. L’hai sempre fatto. Sei tu...-

-Cosa?-

-L’angelo custode di Riley.-

-N-no, ma che dici, io non faccio quasi niente... questioncine di sopravvivenza...-

Un ampio movimento del braccio, per scacciare qui complimenti che lo imbarazzavano a morte. Gioia che sorrideva in maniera un po’ strana. Un sorriso più piccolo e dolce. I suoi occhi che cercavano disperatamente di evitarlo, di tornare a concentrarsi sul ricordo che scorreva luminoso alla sua destra, inutilmente.

-S-s-sai cosa? S-secondo me...- farfugliava più del solito -...sei ancora tu l’angelo custode di Riley. Le hai dato tu tutti i ricordi base, e le isole, e ciò che è e che la fa vivere. M-magari le cose potevano andare diversamente, ma anche no...nel senso...- sembrava in affanno, come allo scatto finale di una maratona. -Quello che hai fatto andava bene così, credo. Fino alla faccenda del tubo, perché poi li mi son... ehm, ci siamo preoccupati a morte! Più io, eh! M-ma perché è il mio lavoro, non per altro! Cioè... non intendevo...-

Ridacchiò. Disgusto le aveva raccontato che ad un certo punto voleva scappare anche lui attraverso il tubo. Si ritrovò a chiedersi come sarebbero andate le cose se si fosse trovata con lui in quella folle, folle avventura. Il subconscio non gli sarebbe piaciuto per niente, ne era sicura. Magari sarebbe stata costretta a tenergli la mano tutto il tempo, o addirittura lui si sarebbe rannicchiato dietro le sue spalle. Sarebbe stata una cosa buffa. Tenera, in un certo senso. Le sarebbe piaciuto.

Di sicuro non le avrebbe permesso di fare cose tipo camminare su un ponte in procinto di crollare, o fiondarsi in un tubo per i ricordi, rischiando di sparire nella pattumiera dell’oblio. Era bravo ad indirizzarla, Paura.

Gli schioccò un bacio sulla guancia.

-Allora diciamo che io sono l’angelo custode di Riley... e che tu sei il mio.-

 

 

Isola del fangirling di IMma

 

*flashback di IMma con cugina e cuginetti al seguito che va al cinema*

Cugina: Forse non è una buona idea che venga anche tu.

IMma: Oh, ma dai!

*cugina la guarda male al di sopra di un secchio di popcorn*

IMma: Sarà un film solo su questa Riley e le sue emozioni, cosa potrebbe mai succedere? Mica posso mettermi a shippare?

 

*uscendo dal cinema*

IMma: Maledetta Pixar! Adesso shippo anche rocce e concetti astratti. -.-“

 

E questa, cari lettori, è la storia di come ho conosciuto la Starnerve è nata questa fanfiction. Spero abbiate apprezzato questa storiella. Nel caso non fosse chiaro i primi tre episodi si svolgono prima degli eventi del film e solo l’ultimo dopo. Sono un po’ arrugginita nello scrivere, quindi qualsiasi critica costruttiva sarà bene accetta, quindi sentitevi liberi di lasciare una recensioncina, se vi va ;)

 

Lo. So. Avrei altri progetti in sospeso e fanfic annunciate e mai iniziate ma... Inside Out è troppa roba. Era fisiologico per me entrare “in fissa”. Inoltre ci tenevo a dire che la ship di questa storia non è così peregrina come si potrebbe pensare: ho reperito delle scene tagliate del primo progetto della Pixar in cui erano proprio Gioia e PAURA i protagonisti del viaggio nella mente di Riley... e sembravano anche piuttosto affiatati. (Si, si, adesso la smetto di giustificare i miei deliri, tranquilli!)

Ciò non toglie che anche la GioiaxTristezza sia meravigliosa e così tutte le altre possibili coppie più sensate di questa, ma al cuore di una fangirl (soprattutto di QUESTA fangirl) non si comanda, ormai lo sapete.

Saluti

IMmatura

  
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