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Autore: FCq    27/11/2015    2 recensioni
“Tu sei...”, urlai contro Edward, seduto sul bordo del letto, lo sguardo chino a terra e le mani dietro la nuca.
Mi fissò.
“Tu sei... un idiota. Tu sei incomprensibile e lunatico...
______________
“Perché non capisci”, sussurrò.
“Cosa? Cosa dovrei capire?”.
“Che ho sbagliato. Ho sbagliato tutto”.
“Cosa vuoi da me Edward?”, gli chiesi, .
“Io non voglio niente da te...”, mi rispose. L'intensità nella sua voce solleticò ogni nervo del mio corpo. Con lo stesso vigore mi strinse il viso fra le mani.
“Io non voglio niente da te”, ripeté, “io voglio te”.
Allora si avventò sulle mie labbra.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Buonasera!! Sì, sono viva se è quello che vi state chiedendo. Ok, non ho davvero modo di scusarmi per l'enorme ritardo, ma non ho potuto fare altrimenti!! Tra la scuola, il mio 18 anni, la patente stavo davvero sclerando... comunque vorrei anticipare che il capitolo non doveva concludersi qui, ma se avessi continuato probabilmente avreste dovuto aspettare altri due mesi e ne sarebbe uscito qualcosa tipo quaranta pagine, quindi ho pensato fosse meglio fermarmi qui. So che è passato molto tempo ma spero che abbiate ancora voglia di leggere e di commentare sorpattutto, fatevi sentire :) Please non uccidetemi per quanto leggerete... Ps scusate gli errori di battitura, ho corretto...

 

16) Un luogo per la tua anima

 

Bella... Ho bisogno che tu sappia qualcosa...”.

 

Ricordo di aver trattenuto il respiro, quando ancora respirare mi era indispensabile, non appena Tanya ebbe pronunciato quelle parole affrettate .

 

All'incirca quattro anni prima che mia madre mi trasformasse ero rimasta incinta di un bambino, Yuriy, che dovetti abbandonare sulla soglia di una casa, perché se non l'avessi fatto mio padre l'avrebbe ucciso. Vegliavo su di lui preoccupandomi che non gli mancasse niente. Ma allontanarmi da mio figlio fu come privarmi di una parte di me. Mi mancava, molto. Tuttavia ero cosciente di aver compiuto la scelta giusta per il mio bambino. Dopo la trasformazione tutte le emozioni sono amplificate, così iniziai a star male per lui, la distanza divenne insopportabile. Compì il gesto in assoluto più brutto della mia esistenza: lo portai via alla sua famiglia e lo trasformai. Assistere alla sua... a quella tortura fu orribile, me ne pentì all'istante, ma ormai era tardi. Sasha ci trovò, mentre il mio bambino era ancora in agonia, mi disse che l'avrebbe portato in un posto sicuro e che avrebbe badato lei a Yuriy, io non avrei mai, mai dovuto rivederlo. Col senno di poi capisco il perché: creare bambini immortali era vietato dalla nostra legge. Mia madre mi protesse. Quando i Volturi ci trovarono, all'epoca vivevamo in Irlanda, lei si fece uccidere pur di non rivelare il mio segreto. In seguito, prima che ci trasferissimo, scoprì che Yuriy era stato affidato a una tribù locale molto particolare, ma ho sempre continuato a prendermi cura di mio figlio, nonostante mi trovassi all'altro capo del mondo. Se dovessi... se dovesse accadermi qualcosa, devi promettermi che ti prenderai cura di lui”.

 

Ed io promisi.

 

Afferrai la mia borsa da viaggio color verde militare, la stessa nella quale avevo saputo raccogliere una vita intera e con la quale avevo varcato i cancelli della Harvard University. Quei giorni sembravano talmente lontani...

Mentre riponevo l'ultima maglia, mi chiesi distrattamente se la fiducia che avevo lasciato trapelare a beneficio di Edward e del resto dei Cullen mi appartenesse realmente; mi chiesi se avrei trovato nel fuoco che mi scorreva nella vene la forza necessaria a sopravvivere.

 

Lo scontrarsi di stoffa contro pelle, il profumo di frutta di stagione e vento e chanel attrasse la mia attenzione.

Incredibile come ogni singolo essere vivente e non avesse un proprio odore.

“Ti invidio”, le dissi.

Alice rise; non di quelle risate che ti scaldano il cuore, ma rise.

“Come mai?”, mi chiese, sedendo sul mio letto a velocità tale che faticai a vederla nonostante i miei nuovi occhi. Dondolava le gambe magre come una bimba, vagliando con occhio critico gli indumenti che stavo scegliendo.

“Vorrei riuscire a vedere più in là”, le risposi.

“E' da un po' che non vedo più il là del mio naso”, sospirò.

Le carezzai i corti capelli corvini.

“Dalla battaglia le mie visioni di te si sono fatte poco chiare fino a sparire, il futuro di Edward è così incerto che scrutarlo mi procura un gran mal di testa, altrettanto Emmet. Rose... Rosalie è talmente fuori di sé da non riuscire neppure a pensare, figurarsi prendere una qualsiasi decisione. E Carlisle è molto... silenzioso, cupo, qualcosa lo tormenta profondamente. E io sono impotente, Bell, la mia famiglia si sgretola. Tutto va a rotoli e io non ho saputo prevederlo, capisci?”.

Alice si strinse le ginocchia al petto, poggiandovi la guancia pallida.

“A volte il futuro è semplicemente imprevedibile, Alice”.

“E' un po' difficile da accettare”, borbottò.

“Forse per te, ma per noi comuni esseri non mortali è normale amministrazione”.

“Sembri tranquilla”, disse, osservandomi con i suoi grandi occhi scuri, “ma non mi inganni, Bell. Non sarò in grado di vedere il tuo futuro, ma capisco ancora quando qualcosa non va”.

Acuì l'udito, accertandomi che nelle vicinanze non ci fossero vampiri in ascolto.

“Sto rischiando il tutto per tutto”.

“Sei sicura della tua scelta? Puoi ancora cambiare idea”.

“No, ne sono sicura. So di avere la forza e di poter mantenere la promessa in tempo per la mutazione, ma ho ugualmente paura. E penso a tutto quello che potrebbe andare storto e al dopo, se invece tutto dovesse andare per il verso giusto, mi ritroverei a dover accudire un bambino, che fra parentesi è una violazione delle nostre leggi, in più sono un vampiro da poche ore e ho sete e ho momentaneamente accantonato tutto quello per cui ho lavorato negli ultimi mesi; qualche settimana fa Edward era impossibile oggi è mio marito e penso a mio padre e mia madre e penso a Isabella Swan che è morta nell'unico modo in cui avrebbe voluto morire, ma comunque è morta e penso a Ian...”.

“Ehi, ehi, calma”, mi scosse, stringendo le mie mani, “troppi cambiamenti, lo capisco ma tieni a mente che tutto è amplificato dalla trasformazione, quindi cerca di focalizzare. La maggior parte delle cose che hai elencato sono passate e di certo non costituiscono un problema. Qual è il vero problema, Isa?”.

“Isa, mi prendi in giro?”, le ringhiai.

Alice rise, ancora di quella risata che non ti scalda il cuore. Ma rise.

“Cosa vuoi che ti dica, che il mio problema è Ian”.

“Preferisco Kristopher, è molto più affascinante”.

“Cosa cerchi di fare?”, le chiesi.

“Cerco di capire, in quanto non mi è dato vederlo, se ti innamorerai di lui. A meno che tu non lo sia già?”.

“Pensi sul serio che mi innamorerò di lui”.

“Edward è mio fratello, non vorrei che dovesse soffrire, ma tu sei mia sorella... se Kristopher ha ragione, lui potrebbe essere la tua felicità”.

“Edward è la mia felicità”, replicai.

“Cosa dici... Alice, non dovresti neanche pensare...”.

Tu devi pensarci, ok? Seriamente intendo, non lasciare che sia la tua testardaggine a parlare al posto del tuo cuore”.

“Credi che io stia con Edward soltanto perché sono testarda? Pensi che io non lo ami?”.

“Non ho detto questo. Soltanto... quello che ti spinge verso Kristopher potrebbe essere più forte di quello che provi per Edward, più forte di te...”.

“Ho smesso di credere che esista qualcosa più forte di me”, replicai e per qualche istante si udì soltanto il rumore della zip della mia borsa.

“Non hai neanche preso in considerazione l'eventualità di non opporti e che Kristopher, non Edward, sia la cosa migliore per te?”.

La osservai senza trovare parole da aggiungere, e continuai a fissare il punto in cui lei era stata seduta, anche quando fu uscita dalla stanza, senza trovare parole.

Io sentivo che non poteva esistere sentimento più grande di quello che mi legava ad Edward, ma per la prima volta dopo anni ne dubitai, fu soltanto una frazione di secondo durante la quale il ricordo di quel che avevo provato quando i miei occhi erano ciechi e non avevo altro oltre il suo odore e la sua voce a indicarmi chi fosse lo strano ragazzo che mi aveva tratto in salvo mi apparve in tutta la sua maestosa pericolosità.

 

La sua voce era tutt'altro che rassicurante, ma toccò corde profonde nel mio cuore, vi impresse un marchio che bruciava come il ghiaccio secco. Non riuscì a temerlo, nonostante fosse a tutti gli effetti uno sconosciuto e nonostante la mia mancanza che mi rendeva vulnerabile. Desiderai fortemente poterlo guardare in viso. Gli permisi di continuare ciò che stava facendo, di ripulire lo sporco dal mio corpo metaforicamente e non.

 

Per pochi secondi, al suono della sua risata, dimenticai quell'orribile giornata. Dimenticai la mia “morte apparente” che aveva rischiato di divenire reale. Dimenticai la mia famiglia che in preda all'angoscia mi stava cercando. Dimenticai Edward...

 

…..........................

 

“Siate prudenti”, mi chiese Esme, dopo avermi liberata dal suo abbraccio.

“Certo”.

Carlisle mi lasciò una carezza tra i capelli. “Se dovessi sentire che diventa troppo...”.

“Non permetterò che mi accada niente”, lo rassicurai.

Lanciai un rapido sguardo ad Alice e Jasper, intenti ad osservarsi senza muovere un muscolo né sbattere le palpebre, quasi a imprimersi la reciproca immagine nelle retine così che a ogni bruttura potessero sostituire l'immagine del viso amato.

Istintivamente mi voltai in direzione di Edward, trovandolo a osservarmi. Ci amammo senza amarci davvero, e lì, a metà strada, per la prima volta seppi che quel viaggio avrebbe cambiato qualcosa ed ebbi un orribile, orribile presentimento. Simile a quello che mi divorava nei giorni precedenti al suo abbandono. E fui tentata di afferralo e fuggire insieme il più lontano possibile, invece, prima che me ne accorgersi eravamo fuori dalla porta d'ingresso, io, Edward, Alice ed Ian.

 

“Sicura di poterlo sopportare?”, mi chiese Edward.

Sopportare cosa? L'odore del sangue delle decine di umani che voleranno con noi? Il desiderio assillante, mai taciuto, dilaniante che ho di te? Il suo viso e i suoi occhi cangianti e colorati che seppure guardano altrove sento sempre addosso?

In risposta gli lasciai una carezza sul viso.

 

Il mio ultimo volo in aereo risaliva a quasi due anni prima. Era assurdo come il mio punto di partenza, quell'aeroporto a Finix, sembrasse così lontano. Chissà come sarebbe stata la mia vita se non avessi deciso di partire? Certamente non avrei sofferto quel che stavo soffrendo in quell'istante, con la gola che ardeva bramando sangue, ma, in ultima analisi, osservando la fede d'oro giallo al mio anulare e le dita di mio marito che stringevano le mie, non sentivo il bisogno di scoprirlo.

Deglutì veleno e il fuoco mi raschiò la gola. L'uomo al mio fianco si irrigidì, forse percepiva l'aura di morte emanata dal mio corpo.

Mancano soltanto tre ore, mi ripetevo, tentando di convincermi a non uccidere nessuno e farmi bastare il gryzzle e i due leoni di montagna che avevo dissanguato la sera precedente.

Più facile a dirsi che a farsi.

Tentai di distrarmi, ascoltando ciò che mi circondava, intrufolandomi nelle vite altrui.

Spero che mi diano questo lavoro, altrimenti cosa dirò a mia moglie”.

E se non mi amasse più”.

Ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa, sapevo che avrei dovuto ricontrollare il bagaglio prima di imbarcarlo...”.

Ecco, la solita sfiga. E' in ritardo di tre giorni e proprio oggi doveva arrivarmi, come se non mi bastasse questo mal di testa. Spero di avere qualche assorbente in borsa...”.

Quando si dice al momento giusto e nel posto giusto. Percepì l'odore del suo sangue prima ancora di sentire la conclusione di quella frase borbottata a mezza voce.

In un millesimo di secondo fui in piedi, con un meta e un obiettivo.

“Signorina, signorina si sieda, è stato chiesto di allacciare le cinture di sicurezza, il pilota ha annunciato che ci saranno delle turbolenze”.

“Signorina”.

Ma la voce steward non era che un mero sottofondo a quella che sussurrava morte nella mia mente.

Mi scansai al tocco di Edward prima ancora di percepirlo effettivamente sulla mia pelle, non capivo come ci fossi riuscita, sta di fatto che non poté afferrarmi. Continuai a puntarla, mentre rovistava, a un tratto qualcosa, forse l'umano istinto di sopravvivenza, la avvertì della morte che incombeva e sollevò lo sguardo sul mio viso. Sapevo, dentro di me me sapevo che esisevano numerose e valide ragioni per cui avrei dovuto risparmiarla, ma a guidarmi non era la mia razionalità, bensì la mia bestialità.

Vidi il terrore nei suoi occhi azzurri prima che a questi se ne sovrapponessero altri, altrettanto chiari.

Kristopher mi strinse per i polsi, quietando con il suo ghiaccio il fuoco che era pronto a divampare dalla mia pelle. Non lo avevo sentito arrivare.

“Tu le salvi le persone, non le ammazzi”, sussurrò, ma con una tale intensità che pensai me lo stesso urlando.

Ci fu un istante in cui vidi quel futuro che aveva descritto, fatto di noi. Era così facile smarrisi in quegli occhi cangianti e colorati. Capì che aveva intuito le mie mosse prima ancora che io stessa le pensassi, anticipandomi. Capì che nessun'altro in quell'aereo avrebbe potuto fermarmi né Edward né Alice se avessi voluto uccidere, perché nessuno era in grado di arrestare una tale forza della natura. Solo lui avrebbe potuto. Allora, in un istante di lucidità, lo implorai di farlo: “Fermami”.

Il mio corpo lo contrastava, tentando si sfuggirgli, la mia mente lo implorava. Chiedeva aiuto perché il mio corpo non rispondeva ai suoi comandi. Percepì il ghiaccio intorno alla mia pelle. Come l'acqua che spegne un incendio tentava di spegnere me.

Ringhiai fra i denti.

“Non te lo lascerà fare, Isa. Puoi batterla, la sete puoi combatterla”.

“Il. Mio. Corpo. Non risponde.”, risposi.

“Tu sei più forte di così, trova la forza dentro di te”, le sue dita tracciarono un percorso sulle vene bluastre della pelle del mio polso. “Trova la forza in ciò che ti scorre nelle vene, nella tua natura più profonda... e non mi riferisco al tuo essere un elementale”.

“Cosa vuoi essere, Isa, un mostro o un medico?”, mi chiese, dopodiché lasciò libero il passaggio.

Davanti a me, la ragazza ancora mi osservava; non doveva essere trascorso più di un minuto.

La scelta era la mia.

Per tutto il tempo in cui restammo sole, io e lei su quell'aereo, vagliai migliaia di possibili modi di ucciderla e un unico pensiero, quello decisivo, mi diede la risposta postami da Ian. Cos'ero? Un mostro o un medico? Pensai alla bambina col pigiama giallo, sepolta sotto metri di terra nel piccolo cimitero di Forks. Allora, semplicemente, girai i tacchi e tornai al mio posto.

Edward mi scrutò con apprensione, mi baciò il dorso della mano poi il palmo.

Gli sorrisi, rassicurandolo, ma in cuor mio piangevo al ricordo di quella predizione, quella di Ian. Capì cos'era a inquietarmi di quel viaggio: temevo di innamorarmi di lui e sapevo che sarebbe stato molto semplice.

 

….............................

 

I vampiri sono le uniche creature a sopravvivere a un viaggio di diverse ore in aereo senza neppure un abito sgualcito. Apparivamo perfetti, perché eravamo congelati. Mi sarebbe mancate la stanchezza?

No.

Doveva far freddo, gli umani si stringevano nelle loro giacche e felpe pasanti; tirava vento.

Ad aspettarci, appena fuori dall'aeroporto, una macchina a noleggio con in vetri rigorosamente oscurati. Era notte, ma l'indomani l'avremmo usata per spostarci e benché l'Irlanda fosse nota per il suo cielo plumbeo non potevamo rischiare.

Edward lasciò che fosse Alice a guidare. L'avrei trorvato strano, se non lo avessi conosciuto così bene. Era stato molto in pensiero per me, non tollerava una qualsiasi separazione, seppur breve.

Trovavo sempre nel viso di mio marito un appiglio, un porto sicuro, quella sera non riuscì a guardarlo a lungo.

Al Lansdown Hotel erano state prenotate tre stanze a nome Cullen.

Una camera matrimoniale, due singole.

“Domattina inizieremo le ricerche”, li informò Edward. Alice ed Ian annuirono.

Non necessitavamo di riposo e sebbene a guidarci fosse l'urgenza, avevamo deciso di prenderci quella notte per riorganizzare le idee. E ideare un piano.

“Buonanotte”.

“Buonanotte”, rispose Alice che mi riservò un rapido sguardo indagatore, poi girò i tacchi e scomparve nella propria stanza. Ero certa che Jasper le mancasse molto, ma avevamo pensato che qualcuno di noi dovesse rimanere accanto ad Emmet e chi meglio di Jasper, con il suo dono...

“Buonanotte”. Kristopher sussurrò in maniera quasi inudibile. Appariva timoroso, ma il termine giusto per descriverlo mi sembrò sconfitto, senza fiato. Quasi faticava a voltarci le spalle, a perderci di vista, quasi sembrava implorarmi con i suoi occhi colorati di una supplica che non riuscivo a comprendere. Infine chinò lo sguardo e scomparve.

Sarebbe stata una notte lunga e faticosa.

Mi tolsi il soprabito, abbandonandolo sulla sedia all'entrata. Non lasciai che mi chiedesse nulla sulla mia salute o il mio umore.

“Tanya ha parlato di una tribù molto particolare, ma non ha specificato niente circa il luogo in cui avrei potuto trovare il bambino”.

“L'Irlanda non è grande, ma in ogni caso setacciarla richiederebbe più di una settimana e noi non l'abbiamo”, constatò.

Lo osservai, mentre anche lui si sfilava il cappotto, rivelando le sue spalle, le scapole, le braccia forti. E in preda agli istinti mi ritrovai a desiderarlo ancora, avrei voluto avere giorni e giorni e passarli a fare l'amore con Edward.

“Niente distrazioni”, mi ammonì da sola.

“Penso si riferisse a una tribù celtica. Ma qui in Irlanda è come cercare un ago in un pagliaio”.

“Ho fatto qualche ricerca la notte scorsa”, mi disse, “mentre eri a caccia. Ho trovato una lista di tribù: Vennicni, Iberni, Darini, Coriodni...”.

Mi avvicinai, mentre estraeva il pc e apriva una pagina di google.

“Quella che ha colpito maggiormente la mia attenzione è stata questa”, mi indicò la schermata.

“I Cauci”, lessi, “una tribù nata nel secondo secolo dopo Cristo, adoratori di Maponos, divinità celtica protettrice della giovinezza, credevano nella vita eterna e che questa fosse un dono di Maponos a chi compiva buone azioni. Secondo la leggenda, Maponos avrebbe preso in moglie Arnemizia, dea della morte e da questa unione sarebbero nati i mezzo-sangue, custodi della vita e portatori di morte, i vampiri, e in quanto figli di divinità li adoravano come fossero tali. Una tribù nomade che riuscì a colonizzare il Paese interno, a nord e a sud”.

Di seguito una mappa contrassegnata dalle regioni in cui la tribù si era insediata. Praticamente l'Irlanda intera.

“Come faremo a sapere dove andare? Non possiamo certo tirare a sorte”. Iniziavo a credere che sarei morta prima di trovarlo... iniziavo a perdere la speranza.

Edward mi sfiorò le spalle, rassicurandomi: “Troveremo un modo”.

Gli credetti, naturalmente.

Mio marito si chinò a baciarmi. Lo agognavo da ore ormai e mentre le sue mani mi accarezzavano i fianchi e le sue labbra vezzeggiavano la pelle candida del mio collo, io aspettavo... aspettavo l'estasi, l'euforia, il fuoco, ma non arrivarono.

Sentivo soltanto... non sentivo niente. Niente.

Quasi non fossero le mani di mio marito ad accarezzarmi, quasi fossero le mani di un estraneo. E più passavano i secondi più il suo tocco si faceva sgradito.

Mi scostai da lui con rabbia, nervosismo. Incredula da ciò che stava accadendo all'interno del mio corpo. Io lo desideravo come l'aria, quanto il sangue. Io sapevo di desiderarlo, ma il mio corpo la pensava diversamente. Andai nel panico. Perché mi mancava, il desiderio di mio marito mi mancava.

Mio Dio.

“Bella”, mi chiamò, anche lui incredulo. Senza capire cosa stesse accadendo.

“Scusami, io... ho sete, troppa... non riesco. Ho bisogno di cacciare”, borbottai sbrigativamente.

“Certo, ti accompagno”.

“No”, urlai, ringhiai, inconsciamente, “non è necessario. Resta pure in camera a pensare a cosa fare, io rimarrò nei dintorni”.

“Bella, non puoi allontanarti da sola, lo sai. Potrebbe accaderti qualsiasi cosa. Ian deve accompagnarti...”.

Ian... l'unico che sapeva cosa fare e quando fosse il momento di mutare. Lui doveva starmi accanto, era questo lo scopo della sua presenza.

“No, no Edward. Torno tra poco”, dopodiché sparì fiondandomi giù dalla finestra e corsi in quella notte buia e nuvolosa, alla ricerca di quella parte di me che temevo di aver perso per sempre.

Quando tornai in camera lui non c'era, rientrò soltanto alle prime luci dell'alba, le ciocche ramate umide di rugiada. Avrei voluto desiderarlo. Sapevo di desiderarlo. Ma in realtà non lo desideravo.

Avevo pensato molte, quella notte, sola com'ero. Ed ero giunta ad una conclusione: Ian era stato sincero. Mi sarei innamorata di lui, il mio corpo si stava già innamorando. Tuttavia ero lucida abbastanza da rendermene conto, il ché significava che avrei potuto risolvere la situazione prima che fosse irreparabile. Non appena avessimo trovato il bambino e non appena avessi concluso la mutazione, avrei chiesto ad Edward di andare via insieme. Dovevo soltanto stare lontana da lui per una settimana, evitare di rimanere da soli e soprattutto evitare quegli strani “collegamenti”.

Se pure non lo desideravo, Edward restava l'uomo che amavo, il mio compagno, il mio migliore amico, mio marito. Mi fiondai tra le sue braccia. Edward mi strinse quasi avesse timore di toccarmi, con una tale leggerezza che stentai a sentirlo sulla pelle nonostante i miei super sensi. Gliene fui grata.

Quella mattina eravamo entrambi consapevoli che qualcosa si era rotto.

Pochi minuti più tardi Alice bussò alla nostra porta, seguita da Kristopher. Mi impegnai a non incrociare il suo sguardo, con la stessa forza con cui si tenta di allontanare due calamite di carica opposta.

Edward illustrò loro la situazione, poi disse: “Dovremo dividerci, due di noi andranno a Nord, gli altri a Sud”.

A quel punto calò il silenzio. E percepì nuovamente quella strana sensazione, che si andava intensificando.

Edward mi lanciò uno sguardo eloquente, quasi si aspettasse che carpissi un messaggio.

E poi capì e deglutì, nel momento stesso in cui pronunciò le seguenti parole: “Io ed Alice andremo a Nord, Bella ed Ian a Sud”.

Certo, lui doveva venire con me. Se mi fosse succeso qualcosa, se fosse giunto il momento della mutazione lui lo avrebbe capito e mi avrebbe aiutata. Non potevamo separarci.

Non dovevamo.

Ma io non potevo assolutamente stare da sola con lui o sarebbe stata la fine per il mio matrimonio appena iniziato, per il mio amore... lo sentivo, non avrei avuto la forza di combattere se ad ostacolarmi era il mio stesso corpo.

“No”, mi opposi, afferrando Edward per il braccio.

Lui deglutì, chinò lo sguardo onde evitare di incrociare il mio.

“Edward”, lo chiamai, lo implorai di non farmi stare con lui, di non lasciarmi a lui.

Mio marito sollevò il mento e nei suoi occhi lessi un dolore talmente acuto che mi tolse il respiro e le parole e le lamentele e la forza.

Edward mi carezzò il capo con estrema delicatezza come fossi fatta di cristallo anziché diamante.

Lui sapeva.

Sapeva.

Nei suoi occhi d'ambra lessi tutto ciò che non aveva la forza di dire.

La scelta è tra il nostro amore e la tua vita. Sceglierò sempre la tua vita. Hai bisogno di lui”.

Col senno del poi, forse avrei dovuto impedirlo, forse avrei dovuto chiedergli di tornare a casa. Forse avrei dovuto mutare così da essere libera e indipendente.

Sta di fatto che non dissi nulla, lasciai che le cose andassero come stavano andando.

Ero convinta di avere la forza di far sopravvivere il mio amore per Edward?

O forse volevo che le cose andassero come stavano andando?

Due ore più tardi, zaino in spalla e cartina in mano eravamo al centro esatto di Dublino di fronte allo Spire, che ricordava un po' un ago e il cielo plumbeo il suo ricamo.

Alice mi strinse forte fra le sue braccia , mi carezzò una guancia e io adagiai il viso sul suo palmo.

“A presto, sorellina”, mi disse.

“Tu sarai sempre mia sorella, questo lo sai vero?”, mi chiese.

Annuì.

“Andrà tutto bene”, la rassicurai.

Lei mi sorrise.

La vidi accostarsi ad Ian, ma io non avevo occhi che per lui, mio marito.

Edward mi si avvicinò, con la sua solita eleganza, ma appariva pesante.

Fui io ad accarezzargli il viso e le ciocche ramate e le labbra e gli occhi. Edward serrò le palpebre, in attesa. Lo vidi contrarre i muscoli delle braccia e stringere i pugni, quasi a trattenersi dall'afferrarmi. Mi lasciai andare sul suo petto, portando le sue braccia a cingermi la vita. Ci abbracciammo a lungo, all'ombra di quel monumento, tra le migliaia di persone che affrettate ci sfilavano accanto senza prestarci alcuna attenzione. Nessuno dei due disse niente.

“Andrà tutto bene”, gli dissi, ripetendo le stesse parole con cui avevo tentato di rassicurare Alice.

Edward sorrise, allo stesso modo della sorella.

“Andrà tutto bene”, lo pregai di credermi, “ricordi, io sono pronta a sfidarle le stelle, il destino o chi per lui, lo penso ancora”, sussurrai.

Edward afferrò le mie mani, chinò il capo su di esse e vi depose un bacio con tutta la disperazione che aveva in corpo. Una disperazione che mi immobilizzò. Quindi lo vidi stringere la mano di Ian e sparire tra la folla.

Rimasi a guardare fin quando persino i miei occhi non smisero di vederlo.

“Manterrò la promessa che ho fatto a mio fratello, non ti toccherò Isa, non vi farò del male. Sono qui per aiutarti, nient'altro”.

Distolsi lo sguardo e mi permisi di guardarlo, nonostante lo avessi evitato per tutta la mattina.

Era sincero. Lo leggevo chiaramente dal suo viso.

Annuì.

Ian si voltò, imboccando la direzione opposta a quella in cui si erano diretti Edward ed Alice. Ma io non riuscivo a muovere un muscolo. Ero terrorizzata. Dove mi avrebbe portato quel viaggio? E con quali conseguenze? Sollevai il mento a osservare la punta di quell'ago enorme al centro di quella città varia e sconosciuta.

Pioveva.

 

…..............................

 

Dublino era straordinariamente affollata, mi ricordava Phoenix. Quel pensiero mi riportò alla mente l'ultima conversazione avuta con i miei genitori, il giorno prima di partire. Li avevo avvisati che sarei partita con un'amica del college per qualche giorno, che li avrei chiamati io quando fossi tornata a casa. Charlie mi aveva rassicurato, dicendomi che Renée sembrava stare meglio e questa volta era sincero.

Una preoccupazione in meno.

Non appena fummo lontani dal centro abitato, iniziammo a correre. Le nostre gambe erano certamente più rapide dei mezzi pubblici. La nostra prima meta era un paesino di nome Clare Cestle, poi Kilkenny, Galway e in fine la costa ovest, nei pressi delle famose e a detta di google meravigliose scogliere di cliff of moher. E avevamo poco meno di cinque giorni. Per lo più non avevamo idea di cosa cercare. Traccie di tribù esistite secoli fa? Popolazioni nascoste in qualche foresta agli occhi della gente? Nonostante fossi un vampiro/elfennol faticavo a credere che esistessero ancora in un luogo così affollato e tecnologicamente avanzato come l'Irlanda.

“A cosa pensi?”, mi chiese. Correvamo in silenzio da venti minuti oramai, Clarecastle doveva essere vicino.

“Penso che tutto questo sia assurdo, speriamo davvero di trovare una antica tribù celtica in Irlanda?”.

“Sei forse l'ultima persona al mondo a poter essere scettica su qualcosa”, rise.

Non potei trattenermi dal sorridere.

“Non credo in ciò che non posso vedere o toccare o percepire in qualsiasi altro modo”.

“Questo lo avevo intuito”, sussurrò. “Ci siamo”.

Mi guardai intorno, rallentando la mia corsa. Di fronte a noi si ergeva una schiera di villette identiche, circondate dal verde. Non il verde a cui ero abituata: il verde di Phoenix né tanto meno quello di Forks. Ma un verde cartolina, talmente bello da sembrare finto. Una strada pulita si biforcava in svariate direzione che conducevano a quartieri diversi. Sembrava tutto così tranquillo, pochi dettagli facevano pensare all'epoca in cui ci trovavamo. Avrebbe potuto benissimo essere un quartiere anni trenta, non fosse stato per l'Alfa Romeo Giulietta parcheggiata nel vialetto accanto. Respirai ciò che mi circondava.

Quando riaprì gli occhi, Ian mi dava le spalle, si trovava a pochi metri di distanza da me e osservava qualcosa.

“Guarda”, mi disse, facendo cenno affinché mi avvicinassi. Mi accostai a lui, ma sempre a debita di stanza, se anche lo notò non ne fece parola.

“Il Cauci”, lessi. “Quel locale ha il nome della tribù che cerchiamo”, constatai. Ian annuì. “Potrebbero sapere qualcosa”, borbottò.

“Andiamo”, lo esortai e corsi in direzione del caffè.

“Aspetta”, Ian mi bloccò prima che potessi entrare nel locale, afferrandomi il braccio. Il suo tocco... mi sconvolse, letteralmente. Stimolò ogni recettore tattile della mia pelle, accese e lenì il fuoco contemporaneamente. Mi ritrassi.

Lo vidi scuotere il capo. Evidentemente non ero stata l'unica a percepirlo.

“Te la senti di entrare? E' affollato di umani, sangue fresco”, sussurrò in fine.

A quel punto fui costretta a valutare le sue parole o per meglio dire la mia sete. Sebbene avessi cacciato solo poche ore prima, la mia gola era già riarsa.

“Facciamo così... Fa a meno di respirare, ma ricorda di sollevare le spalle”.

“Non posso parlare se non posso respirare”, gli feci presente.

“Non è necessario che parli”, mi sorrise, di quel sorriso obliquo alla “so tutto io”. “Reggimi il gioco”.

Detto ciò, non mi lasciò il tempo di ribattere, aprì la porta ed entrò.

Lo seguì a ruota, concentrandomi sul movimento costante delle mie spalle piuttosto che sul battere dei cuori e sulla tentazione di annusare.

Ian mi indicò di precederlo verso il bancone, dietro il quale una donna sulla quarantina, occhi verdi, pelle chiara e corti capelli color carota, versava del liquido ambrato in un paio di bicchieri.

Alzò lo sguardo quando entrammo nel suo campo visivo periferico.

Ci sorrise con circospezione. Era diffidente perché eravamo estranei rispetto alla sua abituale cerchia di clienti.

“Fa gli occhi da cerbiatto”, mormorò così rapidamente che stentai ad udirlo.

“Salve, potrebbe portarci due caffé?”, la donna annuì, ancora sospettosa.

Lo colpì a un braccio, come a chiedergli spiegazioni. Mi liquidò con un gesto della mano.

La donna tornò con due caffé fumanti, l'odore della caffeina mi nauseò.

“Cosa c'é cara non ti piace?”.

Stavo per risponderle, con una qualsiasi frase di circostanza, ma lui mi precedette sul tempo. “Non può sentirla, è sordomuta”.

Cosa? Se non fossi stata un vampiro con rapidi tempi di reazione, la mia espressione ci avrebbe smascherati.

“Oh”, gli occhi della donna si addolcirono immediatamente e la sua pelle assunse una sfumatura simile a quella dei suoi capelli.

“Mi dispiace”, disse, accarezzandomi il dorso di una mano. Imposi al sopracciglio che era slittato in alto di tornare al suo posto.

Tutto questo perché non dovessi respirare? Mmh... supposi che in realtà il mio disagio lo divertiva. Le sorrisi, sbattendo le ciglia.

“E' così fin dalla nascita”, le disse, sospirando.

“E voi siete...”.

“O no, signora, siamo soltanto amici”, poi, con fare cospiratorio le disse, “io lo vorrei ma lei... è già impegnata”.

Deglutì. La signora annuì, ridacchiando per via del segreto che le era stato confidato. Con tutta la forza che avevo in corpo gli pestai un piede, intanto osservavo con fare annoiato il mio caffè che si raffreddava.

“Ahi...”.

“Hai detto qualcosa?”, gli chiese la donna, che già pendeva dalle sue labbra. Lui le riservò quel suo sorriso un po' birichino, un po' saggio e lei si sciolse.

“Ci siamo conosciuti alla facoltà di storia del Trinity, e siamo qui per una ricerca su alcune antiche tribù celtiche. In realtà, è stato il nome del locale ad attrarre la nostra attenzione. I Cauci”.

“E' il nome scelto da mio padre, era un appassionato di storia locale, da piccola mi tartassava con le leggende di questa tribù. Storie di eterna giovinezza, vampiri...”.

Mi sentì percorrere da una scarica elettrica lungo la spina dorsale a sentirle pronunciare quel termine.

“Capisco, corrisponde alla descrizione della tribù del nostro insegnante di storia. E mi potrebbe raccontare qualcuna di queste leggende? Ci interesserebbe sapere in quali zone di Clarecastle si fossero insediati”.

“Mmh... non credo di ricordare molto”, farfugliò.

A quel punto Ian si voltò nella mia direzione: “Mi scusi allora, l'avviso che non può aiutarci”. A quel punto prese a muovere le mani, nel classico modo di fare di chi itulizza il linguaggio dei segni. Annuì, fingendo un'espressione di delusione che speravo potesse smuoverla.

Funzionò.

“Oh no, ti prego... non farlo. Aspetta. Forse ricordo qualcosa. Se non sbaglio mio padre parlava sempre di un posto al di là del fiume Fergus, a pochi metri dal castello, dove pare sorgesse la statua di una divinità... un certo Mapo...”.

“Maponos”, le suggerì con entusiasmo.

La donna annuì. Mi accorsi di aver parlato all'incirca dieci secondi prima che lo facesse lei.

“Ma... che?”.

Ops.

“Signora... è stato un piacere. La ringraziamo per le informazioni. Arrivederci”.

Ian mi tirò a sé.

“Disgraziati”.

Nel tempo che impiegò a formulare l'insulto noi eravamo già spariti. Ci lasciammo scivolare contro il tetto del locale, la donna che ancora urlava insulti. Kritopher non smetteva di sghignazzare. Lo colpì, ma senza controllare la mia forza.

“Mi hai dislocato una spalla”, si lamentò come una donnetta.

“Bene. Ti sembra il modo di comportarti, non si scherza su queste cose”.

“Come se non ti fossi divertita. Hai visto la sua faccia quando le ho detto...”, non riuscì a concludere la frase, troppo impegnato a ridere e a rimettere in asse la spalla.

“Non farlo mai più”.

“Comandi”.

“Ti rompo anche l'altra, giuro”.

“D'accordo, se non ti piacciono i miei metodi vuol dire che andrò avanti da solo”.

Lo guardai male. Malissimo.

“E comunque non faccio lo sguardo da cerbiatto”, brontolai lasciandomi cadere al suolo.

Fu al mio fianco non appena ebbi toccato terra.

“Sì invece, Edward non te l'ha mai detto?”.

Sentirgli pronunciare il suo nome mi turbò, più di quanto avrebbe dovuto. E quegli istanti mi sembrarono sbagliati. Quelle parole mi sembrarono sbagliate e i sorrisi.

Trascorremmo i pochi minuti che ci occorsero per raggiungere la sponda del fiume in silenzio, quasi fosse crollato un muro fra di noi. Un muro che io avevo eretto e che dovevo ricordare di non abbattere mai, per il bene delle mia famiglia, che io ed Edward costituivamo.

“Saltando abbrevieremo il percorso”, mi disse d'un tratto.

Annuì.

“Isa”, mi bloccò, prima che potessi balzare al di là del fiume. Mi scostai dal suo tocco prima ancora di percepirlo, come fosse fuoco, o ghiaccio, nel mio caso.

Lo vidi sospirare e contrarre il viso.

“Mi dispiace di averti turbata, a volte le mie uscite sono infelici. Ma ti giuro, Isa, preferirei uccidere me stesso piuttosto che fare del male a mio fratello. Ho sbagliato in passato, ma non farò più niente che possa ferirlo”.

“Finché non sarò io a chiedertelo. Sono un vampiro, sai, io... sento”.

“Se tu... io non potrei...”, sembrava faticasse a trovare le parole.

“Sarebbe come chiedere a un drogato di buttare via la sua droga preferita”.

Risi.

“Cosa c'é?”.

“Perché continuate a paragonarmi a un sacchetto di hashis o di eroina? Se non sapessi che non siete realmente fratelli direi il contrario”.

Mi guardò come fossi pazza e forse lo ero.

Scossi il capo.

“Ascolta”, lo pregai, “non ho più intenzione di riaprire questo argomento, ma ti pregherei di... stare lontano da me. Io amo Edward...”.

“Non occorre che tu me lo ripeta, Isabella. Ho dato la mia parola”.

Mentre percorrevo in volo il diametro del fiume, mi chiesi se non fossi stata troppo dura. “E' necessario”, mi ripetevo. Per il bene di entrambi. Avremmo mantenuto un rapporto civile, niente di più niente di meno.

Tuttavia, mentre atterravo dall'altro lato del fiume, mi sentì una codarda e mi sentì tremendamente sporca. Come se, attraversando il fiume, avessi varcato un confine e mi fossi catapultata dalla parte sbagliata.

 

“Dovrebbe essere da queste parti. Riesco chiaramente a vedere il castello”, mi avvisò.

Ma non gli badai. Ero... incantata dalla bellezza di quella terra che tutto sembrava fuorché selvaggia. Mi dava l'impressione che fosse stata progettata nei minimi dettagli da un architetto di grande esperienza, ogni filo d'erba, ogni pietra, ogni avvallamento era in armonia con tutto il resto.

“Dovremmo chiedere a qualcuno”.

“Guarda”, gli indicai una ragazzo poco più grande di noi, indossava una sorta di divisa da boy-scout. “Penso sia una guida, potrebbe sapere qualcosa”.

Ian annuì e ci avvicinammo a passo umano.

“Salve”, esordì, grata che l'aria fresca allontanasse il suo odore da me. Doveva essere buono il suo sangue, riflettei in un angolo della mia mente.

Il ragazzo mi accolse con un sorriso caloroso, ma fin troppo sbilenco, poi capì che non era rivolto a me. Seguì la direzione dei suoi occhi e li vidi posarsi su Ian che, mani in tasca, era poco più dietro di me.

Mi si accese una luce. E capì che mi sarei vendicata, prima ancora di realizzare come.

“Lo scusi, il mio amico è un po' timido quando si tratta di bei ragazzi”.

A quel punto i suoi occhi, già luminosi, presero a brillare come lucciole. Mi era simpatico. Forse perché i suoi capelli tendenti all'arancio mi ricordavano Ed Sheeran o, più probabilmente, perché mi avrebbe aiutato a far arrabbiare Ian.

Qualcuno alle mie spalle ringhiò.

“Ma non deve... in cosa posso aiutarvi?”.

“Vuoi spiegare tu?”, chiesi ad Ian, arretrando di qualche passo così che il boy-scaout avesse una visuale a trecentosessanta gradi.

Il vampiro mi lanciò un'occhiata assassina. Stentai a trattenermi dal ridere.

“Cercavamo una statua”, borbottò, volendo evitare lo sguardo indagatore del boy-scout, con un adorabile broncio dipinto in viso.

“Che genere di statua? Nel palazzo sono presenti numerose statue risalenti agli ultimi decenni del 1500. Sei un appassionato di storia locale?”, gli chiese, in un tentativo di tono suadente.

Fece per parlare, ma io lo stroncai sul nascere.

“Non solo di storia locale, è anche un amante del Jameson e...”.

“In ogni caso”, mi interruppe, “mi riferisco a una statua di una divinità della tribù celtica dei Cauci, Maponos”.

“Il dio dei vampiri”, annuì. “Seguitemi”, mormorò con fare cospiratorio. Lasciai che prendesse posto tra di noi.

Ian mi lanciò un'altra occhiata assassina. Feci spallucce.

“Quello che i libri di storia non riportano sui Cauci è anche la loro caratteristica più interessante”, disse, rivolgendosi ad Ian in un chiaro tentativo di fare colpo su di lui facendo leva sulla sua “passione per la storia locale”.

Sorrisi di sottecchi.

“Quale sarebbe”, chiese Ian, adottando un tono più freddo e distaccato.

Mi dispiace deluderti, ma con questo tuo modo di fare così poco amichevole, da ragazzo cattivo e impenetrabile, rischi di ottenere l'effetto contrario”, mormorai, così che solo lui potesse sentirmi.

“Nella tribù dei Cauci le donne erano in numero maggiore rispetto agli uomini, è pare che la maggior parte di loro fossero Wiccan, o per meglio dire streghe”.

E a te piacciono i ragazzi cattivi?”.

“Streghe?”, chiesi.

“Esattamente, sacrificavano ogni giorno animali e sangue alla divinità, per non parlare di quale fosse il loro scopo principale...”.

Preferisco un uomo che sappia regalarmi un fiore”.

“E quale sarebbe stato il loro scopo?”, chiesi.

Mmm”.

“Guadagnare l'eterna giovinezza, cos'altro”.

Non capivo perché le sue parole mi mettessero tanto in soggezione.

“Sai raccontarci qualcosa di più?”, gli domandò Ian.

Il ragazzo si aprì in un enorme sorriso.

“Secondo la leggenda”, continuò, dirottando la sua attenzione su di lui, “una parte della tribù venerava i vampiri, in quanto figli di Maponos, altri li cacciavano, sperando di trovare in essi la ricetta per la giovinezza eterna”.

“E si sono mai scontrati?”.

“No. Nella tribù dei Cauci la fratellanza e l'unità erano senza dubbio i valori più importanti, per quanto ci è dato di sapere queste due fazioni non sono mai arrivate allo scontro”.

Se quel che aveva detto corrispondeva a verità e Yuriy fosse stato affidato da Sasha alla tribù dei Cauci poteva essere morto. E se l'avessero torturato o sacrificato? Se si fossero dimostrati ostili nei nostri confronti, due vampiri?

“Ma è solo leggenda”, aggiunse in fretta.

 

 

“Eccoci arrivati”.

Guardai davanti a me e per un istante mi sentì confusa.

“Dov'è la statua?”, gli chiesi.

La parte più selvaggia di me scattò sulla difensiva, contemporaneamente Ian si portò al mio fianco.

“E' andata distrutta durante la guerra d'indipendenza, nel '21”, tutte le mie speranze crollarono. Mi ero illusa... che fossimo nel posto giusto, che la fortuna iniziasse a girare. Che sciocca.

“La statua era alta all'incirca due metri e mezzo, costruita interamente in legno...”.

E se qualsiasi altra strada noi avessimo seguito ci avesse condotti a un vicolo cieco?

“Grazie ma da qui in poi facciamo noi”. Ian interruppe il suo ciarlare bruscamente, il boy-scout si ritirò visibilmente offeso.

E se davvero la tribù fosse stata costituita da streghe, ci avrebbero permesso di trovarle?

Sollevai lo sguardo quando le mani di Ian afferrarono le mie.

Incrociai il suo sguardo colorato, lasciai che la sua voce suadente toccasse corde profonde, lasciai che i suoi occhi intelligenti mi rassicurassero.

Kristopher sollevò il palmo della mia mano sinistra e vi tracciò dei segni, una stella all'apparenza, che poi capì essere un fiore quando le sue dita, con una serie di giravolte, ne materializzarono uno di ghiaccio su di esso.

“E' bellissimo”, sussurrai, senza parole né fiato.

Kristopher fece per accarezzarmi una guancia, le mie mani ora giunte a coppa intorno alla sua meravigliosa creazione.

Non so cosa lesse nei miei occhi, forse il desiderio forse il terrore, sta di fatto che si formò prima che la sua pelle entrasse in contatto con la mia.

“E' la strada giusta, lo sento. Abbi fiducia”.

“Come puoi... sapere sempre ciò che provo?”, gli chiesi, osservando il mio riflesso nel fiore di ghiaccio tra le mie mani.

“E' come se fossi... trasparente per me, io ti sento sulla mia pelle”.

Sollevai di scatto lo sguardo.

“La prima volta che ti ho incontrato, non sarei dovuto essere lì, ma c'era qualcosa nell'aria quel giorno, mi mancava il respiro, mi sentivo soffocare... Poi, non so come spiegare cosa mi abbia spinto ad avvicinarmi alla tua... lapide, sta di fatto che ero lì quando il tuo cuore ha ripreso a battere. Allora ho scavato e scavato e soltanto quando ti ho avuta tra le mie braccia ho ripreso a respirare. Sei la creatura più preziosa che abbia avuto l'onore di incontrare, Isa. Non permetterò che ti accada qualcosa. Tu sei... il mio fiore di cristallo”.

 

  
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