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Autore: Rosmary    29/11/2015    6 recensioni
{Prima classificata e vincitrice del premio Crystal tears al contest “Regalami un'OTP” indetto da _ Freya Crescent _}
Hogwarts, 1998.
La seconda guerra magica, oramai conclusa, ancora avvelena gli animi dei giovani che l'hanno vissuta. In tale scenario, due destini s'incrociano.
“Ti sto dicendo che per la prima volta ho capito di volerne parlare. È come se io e te condividessimo qualcosa, ma non so bene cosa. Forse, entrambi abbiamo voglia di riunire le parti: tu hai bisogno di sapere che essere dalla parte dei vincitori non ti avrebbe restituito immediatamente la serenità, io ho bisogno di sapere che, vinti o vincitori, siamo tutti ragazzi che hanno voglia di costruire un mondo migliore. Tu perché sei qui? Perché mi hai parlato dei tuoi incubi?”
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la oneshot è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 


 
Dove sono state le tue labbra

 
 
Era un martedì pomeriggio, il vento freddo di inizio novembre scuoteva Hogwarts intera, ricordandole che di lì a breve la neve avrebbe colorato i viali, i tetti, i cappelli di lana, i davanzali delle finestre. Molti studenti trepidavano in attesa di quel momento, immaginando pupazzi tutti bianchi e palle di neve dispettose; altri studenti, invece, erano totalmente indifferenti al clima, ai giochi, ai divertimenti, erano immuni a tutto eccetto che alla memoria – e li si riconosceva subito, erano quelli coi graffi sul viso, con le unghie rosicchiate, con gli occhi assorti, soli, lontani, con la voce greve, incerta, stanca, con le occhiaie a marchiare i giovani volti, con quell’aria invecchiata; gli adulti dicevano di loro che avevano bisogno di tempo, solo di tempo.
Proprio quel martedì pomeriggio, una delle studentesse bisognose di ore e giorni e mesi aveva preso la decisione di evitare le lezioni, poiché l’era parso ancor più difficile del solito concentrarsi su appunti, spiegazioni e interrogazioni; così aveva semplicemente evitato di presentarsi in classe e s’era precipitata fuori dalle inquiete mura.
Camminava spedita verso la panchina poco lontana dall’ingresso e non le servì avvicinarsi molto per scorgere la persona seduta dove avrebbe voluto essere lei: capelli d’un biondo chiarissimo e bene ordinati, schiena dritta, collo lungo e visibile, sciarpa Serpeverde – non v’erano dubbi, era lui.
Anni addietro, avrebbe cercato un altro posto per sedersi, scartando senza neanche ragionarci l’ipotesi di condividere qualche pietra con quel coetaneo; oggi, invece, si ritrovava pervasa da un’insolita tranquillità, quasi contentezza, all’idea di sedere accanto a lui, e di parlargli e di osservarlo di soppiatto e di attendere insieme il rintocco della prossima ora.
Quella singolare intesa era nata il primo giorno del nuovo anno scolastico, quando s’era ritrovata vittima del proprio nome e della popolarità a esso legata. Aveva mal sopportato ogni cosa – abbracci, sorrisi, strette di mano, baci sulle guance, complimenti, elogi spudorati e corteggiatori persino –, ogni cosa. S’era allora rifugiata tra le braccia rassicuranti di amici e compagni consapevoli, ma neanche la loro presenza l’era stata gradita ed era fuggita anche da quelli. S’era così imbattuta nel coetaneo che ora occupava la panchina, lo aveva semplicemente fissato curiosa e titubante, lui le aveva fatto un goffo cenno con la testa, invitandola a trascorrere i restanti minuti sull’Hogwarts Express nel proprio vagone; non avevano parlato quella volta, e neanche s’erano guardati prima di abbandonare la locomotiva, ma s’erano cercati in seguito.
 
“Non dovresti essere a Erbologia?” la salutò lui.
 
“Non più di te.”
 
Draco Malfoy annuì in risposta e guardò Hermione Granger sedersi accanto a lui e frapporre tra i loro corpi la tracolla floscia – doveva esserci ben poco lì dentro.
Hermione fissò lo sguardo scuro sul limitare della Foresta che si intravedeva da lontano, mentre Draco portava di tanto in tanto una sigaretta dall’aria babbana alle labbra – era una fumatore strano: aspirava poco e il pollice e l’indice sembravano stringere la sigaretta di malumore, disgustati all’idea di entrare troppo in contatto con quell’aggeggio.
 
“Perché non sei a lezione?”
 
“Ti dà noia che abbia occupato prima di te la panchina?”
 
“No, non è un problema, non per me.”
 
“Neanche per me.”
 
Toccò a Hermione annuire. Draco lasciò andare una boccata di fumo più generosa delle altre, sporcando l’aria dinanzi a sé; curioso, seguì il fumo grigio fluttuare nel nulla, disperdersi e infine sparire – di nuovo pulita l’aria, come se nessuno l’avesse avvelenata.
 
“Quella è una sigaretta babbana.”
 
“E allora? Guardati la Foresta, Granger.”
 
“Dove l’hai presa?” domandò, sorda al fastidio.
 
“Non te ne do una, se è questo che vuoi.”
 
“Non è questo che voglio.”
 
Draco tacque, accorgendosi d’avere tra le dita solo un mozzicone sfinito; senza rifletterci, lo gettò a terra, pestandolo con la scarpa e confondendolo tra l’erba stanca.
Hermione, accortasi del gesto, non poté impedirsi di indurire i tratti del viso, sinceramente nauseata all’idea che qualcosa di tanto contaminato sporcasse il prato di Hogwarts; in altri tempi, avrebbe certamente estratto la bacchetta, ripulito e punito il compagno di scuola a suon di punti sottratti per la Coppa delle Case, ma quelli vissuti non erano altri tempi e lei non chiamava più una manciata di punti in meno punizione, né aveva voglia di sgridare o far rapporto; preferì manifestare la contrarierà con uno sbuffo bene udibile, cui Draco rispose con un ghigno divertito.
 
“Tutto qui?” chiese.
 
“Sarebbe umiliante per te essere punito per inciviltà,” ribatté svelta.
 
“Felice che la mia reputazione ti stia così a cuore.”
 
“Allora, dove le hai prese?”
 
Toccò a Draco sbuffare, ma dopo averla guardata decise di volerle rispondere. “Un certo Mundungus Fletcher. Forse lo conosci, quando l’ho sorpreso in casa mia ha detto di essere un membro dell’Ordine della Fenice; subito dopo, però, ha aggiunto che non doveva essere lì e mi ha chiesto di non denunciarlo.”
 
“Mundungus! Non conosce limiti quel tipo. Non è mai stata una persona molto raccomandabile, tutt’altro.”
 
“E che ci faceva, nella tana dei buoni?” chiese insinuante.
 
La memoria di Hermione lavorò celere e il ricordo della morte di Malocchio e del dolore che aveva generato riaffiorò prepotente, e ora come all’epoca nutrì un forte senso di disgusto e rabbia nei confronti del vile Mundungus.
 
“Non lo so, davvero non lo so.”
 
“Non puoi sapere tutto,” affermò Draco, ma nulla nel tono lasciava intuire che stesse scherzando o volesse schernirla, elemento che portò Hermione ad accennare un piccolo sorriso riconoscente. “Voleva ripulirmi casa approfittando che, con mio padre ad Azkaban in attesa di processo e Voldemort morto, le difese erano cadute e chiunque poteva entrare e uscire, la guerra era finita solo da un paio di giorni e io e mia madre eravamo ancora troppo scossi per ragionare razionalmente su tutto ciò che andava fatto.”
 
“E lui non voleva perdere un’occasione così ghiotta.”
 
“Infatti,” concordò. “Non l’ho denunciato ovviamente, non ero nella posizione adatta per recarmi al Ministero e denunciare un membro del fan club di Potter, quindi ci siamo accordati tra noi: io avrei dimenticato l’intrusione e lui sarebbe sparito senza toccare nulla.”
 
“E le sigarette?”
 
Draco sorrise. “Quando ha capito che non l’avrei denunciato, ha iniziato a parlare del suo mestiere di venditore di oggetti belli e rari e mi ha fatto vedere le sigarette, mi ha detto che sono babbane solo dopo aver intascato i galeoni. Ho un solo pacchetto e nessuna possibilità di averne altre quando saranno finite. Una al mese, mi sono detto. Una al mese e le extra nei momenti peggiori.”
 
“Ti rilassano?”
 
“Mi distraggono.”
 
“Sono babbane, non t’importa?”
 
“Al momento, Granger, sono poche le questioni di cui m’importa realmente.”
 
“Non avrei mai pensato di dirlo, Malfoy, ma ti capisco.”
 
Lui inarcò scettico le sopracciglia, fissando lo sguardo sul viso della compagna di scuola. “E come puoi capirmi? Tu, la salvatrice.”
 
A quelle parole, Hermione scattò in piedi, come se un enorme insetto avesse affondato dentro di lei un ago molto spesso. Marciò via prima che Draco potesse anche solo pensare di reagire, lasciandolo seduto, solo e perplesso, ai piedi di un cielo che s’imbruniva sempre più, minacciando buio e sferzate di freddo.
 
*
 
Urla. Sporcizia. Dolore.
Il corpo esanime di Harry è stretto nella morsa di Nagini.
Piangi, ti disperi, cerchi Ron tra la folla di alleati e t’avvedi dei Weasley chini su un secondo caduto.
Cerchi di avvicinarti a quel corpo, ma più cammini, più s’allontana. Il corridoio è diventato una strada pendente e polverosa.
Non t’arrendi, e finalmente arrivi.
Urla – questa volta sono le tue. È Ron, esanime in terra, bagnato dalle lacrime della sua famiglia.
 
“NO. NO. NO!”
 
Non hai più voce, non hai più lacrime. Voldemort sta vincendo e tu…
 
~
 
“NO!” 
 
Un urlo. Un acuto dolore alle tempie.
Hermione, svegliatasi di soprassalto, ansimava spaventata, e non un solo pezzettino del corpo era salvo dal tremore e dal sudore. La mano sinistra, frenetica, strizzava il collo in un moto di rabbia, mentre gli occhi vagavano sperduti alla ricerca di elementi familiari; solo quando capì d’essere seduta sul proprio letto, le fu chiaro che, ancora, era stata la succulenta preda di incubi traditori e infami.
Come schiava di una fiaba che si ripeteva all’infinito, anche quella notte, infischiandosene del coprifuoco, infilò le pantofole e uscì prima dal dormitorio e poi dalla Sala Comune, zittendo con la consueta occhiataccia i borbottii contrariati della Signora Grassa.
Percorse meccanicamente i corridoi illuminati da timide fiaccole, ben conscia di quale fosse la propria meta. Sopportò, parimenti alle altre notti, la dolenzia alle gambe causata dalle tante scale salite alla svelta e giunse a destinazione prima di quanto avesse sperato.
 
“Cosa ci fai qui?”
 
“Ti aspettavo.”
 
Hermione, bloccata sull’uscio dalla sorpresa, esibiva un’espressione sgomenta, ma non fu necessario chiedere all’inattesa compagnia perché aspettasse proprio lei alle due del mattino, per capire le fu sufficiente notare che stringeva tra le mani un quaderno dalla copertina azzurra.
 
“Hai letto tutto?”
 
“Ho smesso quando ho capito che l’incubo era sempre lo stesso. Hai una gran costanza: trascrivere ogni mattina i tuoi incubi, anche se l’incubo è solo uno ed è sempre quello. Cosa speravi di cavarci, un rito atavico per smettere di sognare?”
 
Le parole di Draco, al sapore della semplice constatazione, seppero schiaffeggiarla. Neanche lei avrebbe saputo spiegare perché scrivere ogni mattina le medesime parole, appuntare le medesime sensazioni, rammentare le medesime paure; forse, sperava sul serio che le parole avessero il potere di cancellare gli incubi per sempre.
Scuotendosi dalla trance, smise di osservare il quaderno stretto da mani estranee e lasciò vagare lo sguardo scuro lungo le mura in pietra della Torre di Astronomia, dove ogni notte scorgeva un nuovo dettaglio; ad attrarla, ora, era un oggetto estraneo al luogo: la tracolla, che quel pomeriggio aveva dimenticato sulla panchina, era accasciata in un angolo, priva del prezioso contenuto. Quieta solo nell’aspetto, Hermione trovò l’ardire di muovere le gambe pesanti verso Draco e riappropriarsi con un gesto secco delle proprie pagine di memoria, al solo scopo di scaraventarle contro una delle pareti. Il ragazzo sobbalzò, del tutto impreparato a un gesto tanto furente, ciononostante continuò a tacere, osservando Hermione sporgersi da una delle grosse aperture nella pietra e guardare in basso, verso il parco di Hogwarts.
 
“Vuoi buttarti giù? In tal caso, sappi di avere tutto il mio appoggio morale, persino fisico se dovesse esserti utile.”
 
“Cuore nobile il tuo, Malfoy.”
 
“Sono un giovane mago pieno di qualità, Granger, mi ferisce che te ne avveda solo in punto di morte.”
 
Lei si voltò, trovando il giovane a un palmo dal proprio viso, con le labbra corrotte dal ghigno divertito e non malevolo – scherzava. Lo vide sporgersi a sua volta, ma Draco scartò il terreno in favore del cielo coperto di nubi, e tra quelle lasciò scorazzare i propri occhi – spaventati e incerti e traditi.
Stimolata da Draco, anche Hermione mutò scenario, guardando verso l’alto, felice che nessuna affascinante stella brillasse, ma che tutto fosse sporcato da nuvole scure, cariche di pianto.
 
“Non mi chiedi perché sono qui?”
 
“L’ho visto, perché sei qui.”
 
“Quindi, secondo te non sono andato a dormire e sono venuto a congelarmi su questa stupida Torre solo per restituirti la tua borsa stracciona e il tuo quaderno?” chiese con un tono che rievocava le tinte dell’esasperazione, che sembrava urlare stupida a Hermione.
 
“Direi di no,” disse dopo qualche istante. “Allora, perché sei qui? Cosa vuoi?”
 
“Ascoltarti, voglio ascoltare la tua storia, sapere perché questo pomeriggio sei scappata, se c’entra l’incubo che fai ogni notte.”
 
“Sciocchezze, non voglio parlarne, e di certo non con te.”
 
Sciocchezze. Tu vuoi parlarne, e vuoi farlo con me.”
 
“Cosa te lo fa credere?”
 
“La borsa, l’hai dimenticata sul serio?”
 
“Cosa stai insinuando?”
 
“Lasci la tua borsa a me, dentro c’è solo un quaderno con i tuoi incubi e il luogo dove ti rifugi. ‘Solo lì torno a respirare, ogni notte’ non è stato scritto da me, Granger. Cosa dovrei pensare?”
 
Le parole di Draco erano concise, chiare, serie, non ammettevano repliche o interpretazioni fantasiose. Aveva persino abbandonato la volta celeste per osservare Hermione, così da impregnare di più forza e significato ogni singola lettera.
Hermione soppesò il senso del discorso, chiedendosi se il proprio inconscio non avesse lavorato a sua insaputa, seminando una scia colorata nella speranza che la persona giusta la seguisse. Deglutì al pensiero – la persona giusta, lui? – e proseguì la muta analisi, rendendosi finalmente conto, con neanche troppo stupore, che , una parte di lei aveva individuato un’ancora in quel ragazzo che con battute, frasi lasciate a metà e silenzi ingombranti le teneva compagnia dal primo giorno a Hogwarts, terra di penosa memoria.
Nessuno dei due, a ben guardare, s’era interrogato sullo strano rapporto che sembrava legarli, attrarli come calamite. Ciò di cui erano a conoscenza era una sorta di bisogno, qualcosa di necessario che li costringeva a cercarsi almeno una volta alla settimana e passare del tempo insieme. Tempo per riflettere, per scambiarsi parole in apparenza prive d’importanza, per confrontarsi con l’altra faccia della medaglia – della guerra.
Non un solo studente aveva posto domande circa quella strana abitudine, né gli amici di Hermione, né gli amici di Draco, né i nemici dell’una o dell’altro; aver vissuto una guerra aveva anche alcuni risvolti positivi, la discrezione e la convinzione che quasi tutto andasse tollerato rientravano tra questi.
 
“Perché vuoi ascoltare la mia storia?”
 
Draco, meno spavaldo dinanzi alla domanda tanto attesa, si concesse minuti di silenzio e riflessione. Non smise di guardare la compagna, osservandone le occhiaie nascenti, la coda scomposta in cui erano ingabbiati i capelli, gli occhi ingigantiti dal dubbio, le labbra schiuse in attesa di parlare – tutto in lei era straordinariamente familiare. Ogni volta che era così vicino a Hermione, percepiva una singolare adrenalina, quasi eccitazione, che gli imponeva di avvicinarsi, di toccarla, di conoscerla; sensazioni capaci di destabilizzarlo e spaventarlo – illogiche.
 
“Perché mi fa sentire meglio sapere che neanche i vincitori dormono sogni tranquilli,” confessò.
 
Schiaffeggiata, di nuovo, dalla verità che le appariva senza sconti. Così egoistico quel proposito da sentirlo sincero e indurla a fidarsi. “Tutte le notti succede, sempre lo stesso incubo, come se una parte di me non avesse ancora smesso di temere, come se non credesse alla fine della guerra. Ho ancora paura che Voldemort trovi un modo per tornare, che qualche Mangiamorte sopravvissuto faccia del male a Harry, a Ron… Detesto quell’incubo.”
 
“Nessuno sopporta gli incubi.”
 
“Tu ne hai?”
 
“Sì.”
 
“Cosa sogni?”
 
“La guerra, Voldemort, Tiger, la scuola con i Mangiamorte, sogno tutto quello che mi ha spaventato, tutto quello ha distrutto la mia famiglia.”
 
“Non hai paura di addormentarti?”
 
“Ne ho molta. Tutte le notti c’è la guerra…”
 
“…E tutte le mattine la pace,” completò lei.
 
“Hai mai raccontato a qualcuno il tuo incubo?”
 
“No.”
 
“Perché l’hai raccontato a me?”
 
“Non posso sapere tutto, Malfoy, l’hai detto tu.”
 
“Mi stai dicendo che sei stata istintiva?”
 
“Ti sto dicendo che per la prima volta ho capito di volerne parlare. È come se io e te condividessimo qualcosa, ma non so bene cosa. Forse, entrambi abbiamo voglia di riunire le parti: tu hai bisogno di sapere che essere dalla parte dei vincitori non ti avrebbe restituito immediatamente la serenità, io ho bisogno di sapere che, vinti o vincitori, siamo tutti ragazzi che hanno voglia di costruire un mondo migliore. Tu perché sei qui? Perché mi hai parlato dei tuoi incubi?”
 
“Neanche io posso sapere tutto, Granger, ma forse la tua mente brillante ha elaborato una giusta teoria, dunque sento di doverti rispondere che la tua motivazione è con molte probabilità anche la mia.”
 
“Fai sempre tutti questi giri di parole?”
 
“Solo quando ho poco da dire.”
 
“Ti stai impegnando per costruire un mondo migliore, Malfoy?”
 
“Ci sto provando.”
 
“Ci stai provando.”
 
Quando tacquero, ciò che più colpì Hermione fu la straordinaria sensazione di leggerezza che l’aveva invasa, si sentiva libera, e non era l’aver parlato dell’incubo a donarle ristoro, bensì l’aver potuto confrontarsi, dopo quasi tre mesi di mezze parole, con Draco – guardandolo, essendogli vicina, confidandogli di aver bisogno di essere accanto lui, di conoscerlo ogni giorno di più. Il perché razionale, l’era ancora sconosciuto – magari era follia, semplice e sana follia. E non poteva saperlo lei, che a invadere Draco in quell’istante era la medesima sensazione.
 
“Perché sei scappata, questo pomeriggio?”
 
“Ogni volta che dicono salvatrice divento insofferente. Trovo sia offensivo nei confronti di tutti coloro che hanno combattuto e sostenuto Silente e Harry. Ognuno di noi ha fatto la sua parte ed è stato utile il contributo di tutti per sconfiggere Voldemort.”
 
“Non di tutti.”
 
“Se alludi a te…”
 
“Certo che alludo a me,” ribatté prim’ancora che lei potesse terminare, serio e infastidito.
 
“Non hai denunciato Harry quando siamo stati catturati. Hai fatto la tua parte, hai fatto tutto ciò che potevi fare.”
 
“Ma vi ho ostacolato nella Stanza delle Cose Nascoste.”
 
Hermione sospirò. “Perché vuoi farti del male?”
 
“E tu perché sei così buona, Granger?”
 
“Spirito Grifondoro?” scherzò. “Non siamo al Wizengamot e io non voglio processarti.”
 
Draco non rispose, distolse lo sguardo e indurì i lineamenti spigolosi. Hermione sentì di non potersi limitare ad attendere, non in quell’occasione, così si lasciò inebetire dall’istinto e gli strinse dapprima la mano, poi, lenta, con gesti impacciati e intimiditi lo abbracciò. Che nessuno dei due avesse previsto il benché minimo contatto fisico era evidente dalla rigidità del corpo di Draco e dal rossore apparso sulle gote di Hermione.
In quel limbo dall’apparenza gelida e l’essenza intima restarono per abbondanti minuti, intenti a scambiarsi coraggio, consolazione, voglia di ricominciare.
Fu nell’istante in cui Draco percepì il corpo di Hermione allontanarsi che la strinse a sua volta – anche sul suo viso, ora, v’era una tinta più marcata a denunciare il forte imbarazzo. Ma al Serpeverde sembrava non bastare un abbraccio, desiderava di più, e sentiva fremere sotto le dita quel bisogno, così pulsante, così invasivo, da convincerlo a commettere un’azione stupida e avventata: baciarla. Né indugi, né dolcezza, solo una bocca schiusa che ne cercava un’altra, e la trovava e la sfiorava e l’azzannava e vi affogava dentro, incurante di ciò che sarebbe accaduto, incurante persino del consenso altrui – che lei lo volesse o meno, in quell’istante, apparteneva a lui. E per Hermione sarebbe stato decisamente più salutare, giusto, razionale esser un’inerme preda tra le fauci di una grossa bestia carnivora, poiché in tal caso avrebbe potuto giustificare l’arrendevolezza con cui s’era lasciata lambire e la forza con cui stringeva tra le dita quei capelli chiari e premeva il corpo contro quello magro di Draco e trovava sfiorava azzannava affogava a sua volta, incurante d’essersi dichiarata innamorata di Ron, incurante delle conseguenze – lì, per lei, esistevano loro due insieme, nulla più.
 
*
 
Le lezioni del mercoledì mattina erano iniziate nell’aula di Storia della Magia, dove il fluttuante professore, senza smentirsi affatto, rifilava agli studenti la solita spiegazione soporifera, priva di qualsivoglia spunto di riflessione.
La mente di Hermione, generalmente ligia, era concentrata su immagini ben lontane da un’aula e degli appunti – sguardi, mani, labbra erano vividi. Ricordava di una magia intesa, speciale, che li aveva risucchiati e li aveva invischiati in un bacio che sembrava destinato a evolversi in qualcosa di più intimo, più rovente; ma il miagolio sinistro della gatta di Gazza li aveva risvegliati, s’erano allontanati celeri, timorosi non d’essere sorpresi nella Torre oltre l’orario stabilito, ma d’essere trovati insieme, senza le maschere a coprire i volti. S’erano salutati con una goffa stretta di mano, lei lo aveva visto accendersi una delle sigarette dei ‘momenti peggiori’ e fumare frenetico, nervoso. Era tornata nella propria stanza in punta di piedi e contro ogni previsione era riuscita ad addormentarsi – niente incubi. Durante la colazione, s’erano cercati, scambiati un saluto educato e avevano poi finto indifferenza.
Solo ora, seduta al banco accanto a Neville, Hermione domandava a se stessa cosa le fosse accaduto, ma soprattutto in che modo etichettare le forti sensazioni provate. Non ebbe tuttavia il tempo di bene analizzare la situazione, perché non appena la lezione terminò e lei mise piede fuori dall’aula, Draco l’avvicinò e farneticando qualcosa riguardo a dei punti sottratti ingiustamente ai Serpeverde riuscì ad allontanarla dagli amici, appartandosi con lei in un angolo del corridoio lasciato deserto da studenti impazienti di allontanarsi dall’aula del professor Rüf.
Tacquero per un morboso istante, schiavi dell’imbarazzo e dell’incapacità di iniziare un discorso che, parole adatte, non ne aveva affatto.
Draco percepiva su di sé la responsabilità di parlare – era stato lui a cercarla, lui a scaraventarli nel limbo. Aveva riflettuto a lungo sul cosa dirle, e tra le pareti benevole dei propri pensieri le sillabe erano scivolate via sicure, rapide, dicendo tutto ciò che era necessario dire. Ma lì, tra le pareti maligne della realtà, la bocca era secca e sigillata, le sillabe confuse e la maliziosa elettricità nata nella notte appena trascorsa era tornata a inebriare ossa, muscoli, carne, pelle – era tornata a impossessarsi di lui. Lui che aveva intuito sin da subito, non appena aveva rivisto Hermione sull’Hogwarts Express, che in lei non v’erano accuse nei propri riguardi, che anche lei portava sulle spalle il peso della guerra, che lei, diversamente dagli altri, aveva smesso di giudicarlo; ed era stato questo insieme ad attrarlo e a indurlo a volerla scoprire e possedere – tutta per sé.
 
“Non lo sopporto più,” disse Hermione, risvegliando malamente entrambi. Draco la fissò interrogativo. “Il silenzio,” chiarì.
 
“Ti aspetti che dica qualcosa, non è così?”
 
“A meno che tu non voglia discutere sul serio dei punti che ho sottratto ai ragazzini del secondo anno la scorsa settimana, , Malfoy, mi aspetto decisamente che tu dica qualcosa.”
 
Era stata risoluta, se ne compiacque.
Anche Draco fu colpito dalle parole decise e rapide, erano esattamente come avrebbero dovuto essere le proprie; forse, meditò con fastidio, anche in quello Hermione era migliore di lui, anche nel banale gesto del parlare.
Decise di non poter sopportare oltre di essere continuamente inferiore a lei, trasse dunque un profondo respiro e parlò.
 
“Se la gatta non ci avesse interrotti, Granger, avremmo fatto sesso e sarebbe stato un errore. Non è successo e non deve succedere. Stiamo lontani.”
 
Hermione si chiese come riuscisse Draco a schiaffeggiarla senza sfiorarla neanche con un dito: di nuovo, aveva provato un dolore che sembrava scatenato da una mano che, violenta, s’abbatteva sulla guancia, ferendola. Sesso, errore – sembrava così convinto lui, così sicuro d’essere nel giusto, sia nell’ipotizzare l’epilogo alternativo, sia nel dargli un’etichetta.
 
“Hai ragione,” ammise, incapace di guardarlo in volto, di contraddirlo. “Probabilmente, sarebbe successo. E sarebbe stato un errore, un grosso errore.”
 
Anche Draco calò lo sguardo, deluso, ma ancora temporeggiava nello star lì, di fronte a lei: una parte di lui sperava che Hermione, rimescolando le carte in tavola, riprendesse parola e facesse il lavoro sporco per entrambi, che fosse lei a precisare che, forse, non sarebbe stato solo sesso e che, forse, non sarebbe stato un errore.
Ma Hermione non era certa d’essere in possesso della forza necessaria per combattere una nuova guerra – una guerra emotiva –, e ammettere di desiderare al proprio fianco, almeno in quell’istante, un uomo diverso da Ron, Ron ch’era per lei il porto sicuro, e ciò l’induceva a seguitare nel tacere.
 
“Bene,” esordì allora Draco.
 
“Bene?”
 
“Non abbiamo altro da dirci.”
 
Le diede le spalle e s’incamminò per recarsi altrove, tuttavia non riuscì a svoltare l’angolo, poiché delle dita affusolate afferrarono il suo polso e un corpo femminile si strinse alla sua schiena.
Draco non li aveva sentiti, i passi di Hermione che rimbombavano sul pavimento del corridoio, né aveva immaginato che lei potesse seguirlo e fermarlo, le speranze erano state calpestate tutte, ma lì immobile – sorpreso, spaventato, arrabbiato – seppe di star bene, l’elettricità s’era ridestata. Piuttosto che respingerla, come il raziocinio gli urlava, si voltò, guardandola allontanarsi di poco. Gli sfuggì un ghigno malizioso e vide la perplessità affiorare sul viso di Hermione, che s’era sentita persa non appena lui aveva frapposto più d’un passo tra loro.
 
“Un bacio e non vuoi lasciarmi più, mi lusinghi.”
 
“Cosa significa stiamo lontani?”
 
Una possibilità, così analizzò quella domanda la mente di Draco. Lei non era stata esplicita, non gli aveva detto che non sarebbe stato un errore, che non sarebbe stato sesso, ma lo aveva fermato e gli aveva chiesto di spiegarle, di parlarle, gli aveva dato una possibilità.
Speranza ripagata, pensò. Eppure, eppure non riusciva a muovere un muscolo, a formulare finanche una parola: apriva la bocca e subito dopo la richiudeva, stupito da quel se stesso incapace. Cos’era a non funzionare?, si domandava, cosa?. Neanche la fantasia, dopotutto, aveva osato immaginare Hermione rincorrerlo, fermarlo, offrirgli un’occasione – ecco, comprese, troppo impeto, troppo, laddove il troppo equivaleva all’incontrollabile, a un’incognita senza possibilità alcuna di risoluzione.
Lui non era mai stato avvezzo a incognite incontrollabili, aveva sempre avuto la vita ben programmata, aveva sempre saputo cosa fare, con chi e per quale motivo; suo padre in quello era stato un gran maestro, così come sua madre.
A stravolgergli tutti gli equilibri erano già stati la guerra, Voldemort, le sconfitte ripetute, la vergogna, la convinzione d’essere annegati nello scatafascio; e nel momento in cui s’era abituato persino al subire, ecco affacciarsi un epilogo mai immaginato: il Signore Oscuro, che diceva di non poter perdere, aveva perso – il bugiardo non era mai stato invincibile. S’era ritrovato ancora una volta senza bussola, in balia di eventi sconosciuti; aveva dovuto industrializzarsi, tentare di comprendere i meccanismi del nuovo mondo per restare a galla, e ancora tentava, perché quel mondo non gli era congeniale: lo scherniva, lo isolava, lo giudicava – sempre.
Gli occhi ancora guardavano Hermione, e solo lì, al cospetto dell’impeto di lei e del suo coraggio, Draco comprese che s’era illuso sia nel cercarla, che nel lasciarsi corrodere dalla speranza: avrebbe voluto, voluto davvero, cogliere la possibilità offertagli, ma non poteva farlo – non era abbastanza preparato per affrontare lei, non ancora.
 
“È meglio per entrambi. Noi, noi siamo diversi.”
 
“Io penso che tu sia solo un ragazzo, come lo sono io, come lo sono gli altri. Niente oltre questo ha importanza.”
 
“Io invece credo che l’unica cosa importante sia ricominciare, Granger, e farsi largo in questo nuovo mondo dove il mio cognome non è più una garanzia. Tu non devi farti largo, hai già il tuo ruolo, sai chi sei e cosa ha in serbo per te il futuro. Ed è per questo che dobbiamo stare lontani: percorriamo due strade diverse.”
 
Hermione avrebbe voluto dirgli molte cose, ma dinanzi alla ritrosia altrui preferì tacere.
Avrebbe voluto dirgli che non credeva che loro due fossero su strade diverse – la strada era solo una, perché tutti dovevano ricominciare. Avrebbe dovuto dirgli che non era così certa d’avere un ruolo in quel nuovo mondo, perché il futuro le appariva sbiadito, confuso, troppo lontano per esser decifrato. Avrebbe voluto dirgli anche che l’istinto e persino la ragione le avevano suggerito di rincorrerlo e bloccarlo, perché non potevano allontanarsi l’uno dall’altra dopo aver provato sulla pelle quel qualcosa di indefinito che li univa. E poi avrebbe dovuto dirgli – sarebbe stato necessario che lui sapesse – che non aveva avuto incubi quando era tornata a letto, perché le sensazioni scatenate da lui s’erano dimostrare più forti delle indelicate paure.
Non disse nulla, neanche ciò che avrebbe dovuto dire.
Draco attese, attese che lei parlasse, ancora una volta si ritrovò a sperare che lo contraddicesse, che fosse più forte, determinata e coraggiosa di quanto era stato lui, che gli concedesse una seconda possibilità per non sbagliare – ma non accadde. Cosa lo avesse avvicinato a lei gli era chiaro ormai, quando l’aveva baciata, quando aveva desiderato affogare mente e corpo dentro di lei, aveva scoperto l’altro lato di se stesso: a farlo star meglio era lei, lei fatta di nobili principi, di certezze e dubbi, lei spruzzata anche di buio e non solo di luce – lei così umana, lei così lei.
 
“Buona fortuna, Malfoy,” sibilò Hermione, e andò via.
 
*
 
25 dicembre 1998
 
È un’abitudine infantile avere una sorta di diario, ne sono consapevole, ma quando hai bisogno di confessare qualcosa di inconfessabile non ti resta altra scelta che parlare con te stessa, e siccome parlare con te stessa è complicato, perché la testa fa mille giri strani, allora ti conviene scrivere a te stessa, così metti ordine nei tuoi pensieri e analizzare è più facile.
Sono le tre del mattino, sono alla Tana (novità delle novità, anche i miei genitori sono qui! La signora Weasley ha messo a disposizione una stanza solo per noi tre, papà è molto eccitato dalle diavolerie che conserva il signor Weasley nello sgabuzzino, la mamma è più scettica, non lo dice solo per educazione, ma non approva che si cucini con la magia, trova che sia pericoloso). Non dovevo scrivere questo, la testa fa mille giri strani anche quando scrivo.
Sono le tre del mattino, sono alla Tana, a letto. Niente incubi. Ho parlato dell’incubo con Harry e Ron, mi hanno confidato che ne fanno anche loro (come aveva fatto lui, ma con loro è stato diverso. Ci siamo capiti, confortati e siamo riusciti anche a distrarci. Con lui c’erano altre sensazioni, era attrazione)
I miei incubi sono diminuiti da quella notte.
Ma ora sogno lui.
Lui è un incubo o un sogno?
Non ci siamo più parlati dopo il “buona fortuna”.
Mi guarda quando crede che non lo guardi.
Lo guardo quando credo che non mi guardi.
Ron mi ha regalato un bracciale per questo Natale, ha voluto che scartassi il suo regalo a mezzanotte (non sopportava più il pianto della madre, non sopportava di veder rintoccare la mezzanotte e fissare il posto vuoto di Fred), mi ha detto “ti amo”, gli ho risposto “anche io”.
Non ho mentito, ma mi sono sentita in colpa.
Ho deciso che posso sopportare il senso di colpa, perché amo Ron.
Non amo lui, né ora, né mai. Lui è qualcosa di diverso, più vicino a una passione morbosa che può solo finire male e far soffrire molte persone, noi due compresi (o forse no?).
Io e lui non percorriamo due strade diverse, percorriamo la stessa strada (anche se lui crede sul serio che non sia così, è così stupido), ma non lo faremo mai insieme.
Il mio posto è qui, con la mia famiglia, il mio fidanzato, i miei amici. Il mio posto è con Harry e Ron, è sempre stato questo.
La guerra è finita Io ho consumato tutto il coraggio Ho bisogno di pace di stabilità Niente vale un’altra guerra
Se solo…
Cancellare lui
Il vero problema è che non puoi scordare dove son state le tue labbra... E il peggio è che sai già come sarà, ma non sai più chi sei...1 O meglio lo sai ma non vuoi saperlo perché chi sei esige coraggio compromette pace e stabilità niente vale un’altra guerra una guerra di sentimenti E allora fingi di non saperlo… Ma non puoi scordare dove sono state le tue labbra… Non puoi Non posso) Dobbiamo stare lontani
Lontani
Come abbiamo fatto sino ad oggi e come faremo in futuro
La guerra è finita
Credo che lui mi manchi
Stiamo tutti bene.
 
 
 
1"Non puoi scordare dove son state le tue labbra... Sai già come sarà, ma non sai più chi sei..." (Afterhours, 'Ballata per la mia piccola iena').



 
 

NdA: questa storia era stata scritta per il contest di Mary Black Scorci di vite sospese, il pacchetto prevedeva la coppia Draco/Hermione, l'ambientazione (Hogwarts, settimo anno, post-guerra) e l'inserimento della citazione "Non puoi scordare dove son state le tue labbra... Sai già come sarà, ma non sai più chi sei..." (Afterhours, 'Ballata per la mia piccola iena'), dalla quale traggo ispirazione anche per il titolo della storia.
La nota OOC è legata alla coppia protagonista del racconto; per quanto io abbia cercato di essere fedele alle caratterizzazioni originali di Draco e Hermione, credo di averle comunque alterate in parte per rendere possibile la coppia. Ovviamente, spero che i personaggi, nel complesso, risultino verosimili e vicini alle controparti originali.
In questa storia ho voluto sperimentare tre stili diversi, che spero di aver bene amalgamato: il passato e la terza persona, il presente e la seconda persona, il genere diaristico in prima persona (a tale riguardo, alcuni segni di punteggiatura e alcuni periodi confusi sono voluti per tentare di rendere al meglio un flusso di pensieri riversato in un diario).
Ho avuto tantissimi dubbi su questa storia, difatti ho preferito ritirarmi dal concorso piuttosto che inviarla, e ne ho ancora, ma è un esperimento e a distanza di mesi ho voluto pubblicarla comunque (Draco e Hermione insieme sono la coppia più difficile da trattare del mondo di Harry Potter, per me!).
Ringrazio chiunque abbia letto il racconto e tutti coloro che, nonostante questo papiro di note!, sono giunti sin qui; spero che la storia sia stata di vostro gradimento.
La storia ha partecipato come edita al contest Regalami un'OTP indetto da _Freya Crescent_, classificandosi prima e vincendo il premio Crystal tears (miglior angst): qui la valutazione del contest.

Alla prossima <3
   
 
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