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Autore: Kary91    30/11/2015    5 recensioni
[Post-Mockingjay | Raccolta di Quattro lettere | Accenni Rory/Prim; Gale/Katniss]
[1] da Rory a Prim;Fa un sacco male, lo sai, Prim? Dire che sei morta, dico.
[2] da Gale a Rory; Spero solo che papà, ovunque sia adesso, possa pensarla come me.
[3] da Katniss a Gale; Perché tu non sei qui e probabilmente non tornerai mai.
[4] da Prim a Katniss; È come scappare da un mostro e bussare, e gridare alla prima casa che trovi per cercare aiuto: però non risponde mai nessuno.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Primrose Everdeen, Rory Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Premessa. Questa storia partecipa al contest “Canzoni e Citazioni per tutti i Gusti” indetto da S_Lily_S. Il racconto è composta da quattro lettere scritte dopo la Rivolta da quattro personaggi diversi. Le lettere sono state scritte a catena: B ha scritto ad A, C ha scritto a B, D ha scritto a C e A ha scritto a D. Tradotto in termini Hungeresi:  la prima lettera è di Rory per Prim; la seconda è di Gale per Rory; la terza è di Katniss per Gale; l'ultima, infine, è di Prim per Katniss. La storia è intervallata dai versi della canzone “Hello” di Adele.

 

 

 

"Ciao è quattro lettere in tutto, però vuol dire un sacco di cose.”

Parole Fuori. Beatrice Masini

 

C.i.a.o. è quattro lettere in tutto.

 

 

Hello, can you hear me?

I'm in California dreaming about who we used to be

When we were younger and free

I've forgotten how it felt before the world fell at our feet

 

Ciao, Prim.

 

Ecco, la mia lettera potrebbe già finire qui.

 

Se ci pensi ciao ha solo quattro lettere – come le parole che piacciono a me[1] – eppure può voler dire un sacco di cose. In fondo è una delle parole più importanti, quella che usiamo sempre con tutti: con persone simpatiche e con quelle noiose, con parenti e perfino con gli sconosciuti.

Per questo, soltanto questa volta, ho deciso di usarla per parlare a una persona che non c’è più. Voglio parlare con te anche se sono mesi che sei morta e, a volte, ho perfino paura di essermi dimenticato com’era la tua voce quando rispondevi ai miei saluti.

 

Perciò, ciao. Ciao, Prim.

 

Potresti sentirmi se lo dicessi ad alta voce?

Credo di no, anche se Vick la pensa diversamente. Continua a raccontare certe fesserie a proposito dei morti che ci guardano e ci proteggono sempre dall’alto. Lo fa per Posy, perché è piccola e ancora non capisce bene come si possa sparire così all’improvviso a tredici anni. Sai, abbiamo dovuto dirlo anche a lei alla fine: le domande erano troppe. Ha passato una settimana a cercarti ovunque, come se si volesse convincere che in realtà ti eri solo persa o nascosta.

Poi sono incominciate le crisi di pianto e, infine, gli incubi: ma non ho molta voglia di parlare di questo.

 

In realtà, se ho deciso di scriverti, è più che altro per rassicurarti. Perché so che, se davvero ci sei ancora da qualche parte, il tuo unico pensiero è per noi. Sarai preoccupata per tua madre e per Katniss, che ha fatto tutto quello che ha fatto per te e poi ti ha perso. Un po’ come è successo a Gale, che continua a non darsi pace per via di quelle bombe. So che sei in pensiero anche per lui, così come so che soffri ogni volta che io o i miei fratelli piangiamo per te.

Beh, non mentirò dicendoti che stiamo alla grande; basta guardare il buco che hanno scavato al posto del Prato per capire come ci sentiamo tutti quanti. È come se qualcuno avesse fatto lo stesso con noi. Ci sentiamo vuoti, intontiti. A volte siamo arrabbiati, altre solamente stanchi.

Mamma dice che è questo che fa la guerra alle persone: non importa se la Rivolta è finita, c’è ancora un sacco di lavoro da fare prima di poter stare meglio.

Soprattutto, perché tutto questo lavoro andrà fatto senza te, che non sei più qui a prendermi per mano per scacciare quella paura che cercavo sempre di nascondere – ma a te non sfuggiva mai.

Fa un sacco male, lo sai, Prim? Dire che sei morta, dico.

E fa anche paura, perché a volte non riesco nemmeno a ricordarmi come fossimo prima che quella maledetta parola, morte, arrivasse a portarti via. In certi momenti è difficile perfino pensare a come mi sentivo quando eravamo piccoli e passavamo il tempo a giocare a scacchi, prima che le nostre stesse case ci cadessero ai piedi. Eppure, ormai, non riesco a fare a meno di ripetere che sei morta. È come quando ti fai male, ti viene una crosta e tu continui a stuzzicarla fino a quando non si stacca. A quel punto fa un po’ male, ma almeno la crosta è venuta via e non rischi che la ferita ti si riapra all’improvviso, per sbaglio.

 

Ed è di questo che avevo paura: non volevo ricordarmi tutto a un tratto che non c’eri più. Ho cercato di accettare che sei morta piano piano, piangendo se ne avevo voglia e prendendo a calci qualche sedia, per abituarmici. Altrimenti, un brutto giorno, il dolore mi sarebbe caduto addosso tutto assieme come una valanga di neve e non ne sarei più uscito.

Ha funzionato, almeno credo. Adesso sto meglio, anche se mi manchi. Anche se la rabbia per quello che è successo è ancora tanta e forse non mi passerà mai. Ma se ti ho scritto è per dirti che in tutta questa tristezza e questi incubi ci sono anche delle giornate in cui riesco a fare qualche sorriso. Qualche volta riesco ad arrivare fino alla fine di un disegno per te senza strapparlo, Vick non piange più così spesso e anche Posy sta incominciando a richiederci alcune delle favole che le raccontavi tu.

 

Quindi, se davvero ci stai pensando, non preoccuparti per noi e soprattutto non piangere per me.

Anche se a volte sto male questa è la mia vita e vorrei che sapessi che sono triste, ma anche felice allo stesso tempo; anche se sto ancora cercando di capire come potrebbe essere[2].

 

Ti voglio bene – ti amo? – e te ne vorrò sempre.

 

C.i.a.o.

 

Il tuo Re Rosso

 

 

Hello, it's me

I was wondering if after all these years you'd like to meet

To go over everything

They say that time's supposed to heal ya, but I ain't done much healing

 

Ciao, Rory,

 

Questa è la prima lettera che ti scrivo da mesi e avrei voluto incominciarla in maniera più decente; ma il tempo qui in Accademia è poco e la concentrazione per mettersi ancor scrivere ancora meno, così ti dovrai accontentare di questo. In fondo, sono certo che non ti dispiacerà ricevere un ‘ciao’, visto che è una parola di quattro lettere.

 

Ci ho messo tanto a scriverti anche perché non riuscivo a trovare le cose giuste da dire. Non sarebbe bastato scrivere che sono io, tuo fratello, quello che anni fa ha promesso che ti avrebbe sempre tenuto d’occhio e alla fine ti ha lasciato solo a fare l’uomo di casa. Al momento ho in mente solo una serie di insulti rivolti a me e mi ha sorpreso non trovarne nessuno scritto da te nella tua ultima lettera: probabilmente è solo perché nostra madre ci ha insegnato che, quando non puoi dire una cosa gentile, è meglio starsene zitti[3].

 

Tu però me ne hai dette parecchie di cose quando ci siamo salutati prima che partissi. Mi hai sputato in faccia che vi stavo abbandonando e avevi ragione ad essere furioso con me, nonostante sia ancora convinto di aver preso la decisione giusta.

 

Vi ho appoggiato a terra dopo anni che vi tenevo sulle spalle: ormai avevo la schiena talmente rotta che portandovi con me avrei solo concluso per farvi cadere. Avrei sporcato anche voi con il sangue di cui mi sono macchiato: con la mia rabbia, il mio odio e il senso di colpa. E non ve lo meritate, così come non se lo merita la mamma.

 

Mi dispiace, fratellino. Mi dispiace perché la distanza che ho messo fra voi e me non si limiterà a tenervi lontani da tutti i miei sbagli. Mi impedisce anche di vedervi crescere; di vederti guadagnare centimetri in altezza ogni giorno, di sorridere a un Vick sempre meno timido e più sicuro del suo aspetto non più così debole. Non potrò accompagnare Posy a scuola il suo primo giorno, né ascoltarvi, consolarvi o supportarvi in alcun modo se non economicamente.

Strano come, adesso che guadagnarci da vivere non è più un problema, mi stia perdendo tutto il resto, vero?


Ma non fa niente, l’avevo messo in conto. Forse è perfino di questo che ho bisogno adesso per sentirmi in pace con me stesso: l’assenza totale. Il silenzio che mi bruci sulle ferite così come i colpi che ho inferto hanno bruciato gli altri. E tempo, tanto tempo.

Un colonnello strambo di qui, uno degli insegnanti di volo, sembra avermi preso in simpatia e mi tiene sempre sott’occhio: credo abbia capito che c’è un bel po’ di roba che non va in me. Cose che si sono rotte per via della troppa rabbia con cui le ho maneggiate. Una volta mi ha detto che più i giorni passano e più si guarisce dentro, ma fino ad ora a me non è andata un granché.

La verità è che non so nemmeno più se valga davvero la pena ricomporre i pezzi. Sei mesi fa avevo in mano gli strumenti per mettere finalmente le cose a posto, ma me li sono fatti sfuggire di mano e ho rovinato tutto. Chi mi dice che non accadrà una seconda volta?

Non lo so, Rory, non lo so.

Forse un giorno tornerò da voi più integro, meno malmesso.

Forse il tempo è davvero in grado di strofinare via un po’ di quello schifo che ha incrostato i vari pezzi di ciò che ero un tempo, va’ a sapere.

 

L’importante, per ora, è che voi ne rimaniate intoccati. Perché se c’è del buono che è uscito fuori da tutto questo, se tu e i nostri fratelli siete finalmente liberi di poter scegliere il vostro futuro, è giusto che questo buono ve lo prendiate. Ve lo meritate, Rory. È un vostro diritto. E sapere che potete vivere senza avere addosso il peso delle Mietiture o di un futuro da trascorrere nelle miniere è l’unica cosa che riesce a restituirmi un po’ di orgoglio per come sono andate le cose.

 

Spero solo che, ovunque sia, papà possa pensarla come me.

 

Ti saluto, fratellino. Prenditi cura di te stesso e abbraccia gli altri da parte mia.

Ciao,

Gale

 

Hello from the outside

At least I can say that I've tried

To tell you I'm sorry for breaking your heart

But it don't matter, it clearly doesn't tear you apart

 

 

Ciao Gale,

 

È strano mettere per iscritto delle parole che fino a un anno fa pronunciavo tutti i giorni.

È altrettanto strano e difficile parlarti, anche se so che non spedirò mai questa lettera. Eppure sentivo di doverlo fare, perché ero stanca di sentire questi pensieri ronzare per la testa.

 

Il problema è che ci sono dei giorni in cui il dolore è così forte che per difendermi la mia mente cerca di rimuovere tutto quello che è accaduto negli ultimi anni. In quei momenti tutto si fa offuscato: la morte di Prim, i bombardamenti nel Dodici, gli Hunger Games. I ricordi si fanno opachi e non sono più capace di distinguere cosa sia accaduto realmente dai prodotti della mia immaginazione. Il dottor Aurelius dice che ogni tanto può succedere: la mia mente ha architettato una sorta di meccanismo di difesa.

Ciò che non ho raccontato ad Aurelius è che a volte non mi accorgo nemmeno che qualcosa è cambiato. In questi momenti di stordimento credo sempre di essere io, la ragazza del Giacimento del passato, quella che non si è mai offerta volontaria per salvare sua sorella. La mia vita è sempre la mia vita. E poi un giorno mi sveglio, mi guardo intorno, e non riconosco niente. Assolutamente niente.[4]

A quel punto i ricordi tornano tutti all’improvviso, come un proiettile. Mi ricordo che Prim non c’è più. Che mia madre mi ha abbandonato ancora una volta e che perfino tu hai lasciato il Distretto 12.

E la sensazione di impotenza e il dolore che ho dentro diventano ancora più forti.

 

Sai, Gale, domani sarà trascorso un anno dal giorno in cui la Coin e Snow sono morti. Un anno dall’ultima volta che ci siamo visti e parlati.

In tutti questi mesi ti ho pensato spesso, anche se sto incominciando a farlo sempre meno; mi sedevo contro lo sperone di roccia che usavamo come punto di ritrovo e chiudevo gli occhi, illudendomi che prima o poi, riaprendoli, ti avrei trovato lì.

All’inizio ero certa che saresti tornato: non avresti mai lasciato la tua famiglia ed ero convinta che non avresti nemmeno abbandonato me in un momento simile. Ancora una volta, non avevo tenuto conto della fedeltà cieca che riponi nelle tue convinzioni.

Se in tutto questo tempo non sei più tornato è perché credi che sia meglio così. Forse hai ragione: saperti lontano fa meno paura, perché il nostro rapporto si era incrinato talmente tanto da riempirsi di schegge. Nel cercare di aggiustarlo ci saremmo sicuramente fatti del male.

Eppure non riesco a fare a meno di pensare che, se solo tu avessi insistito, forse ci saremmo riusciti.

Se ti fossi imposto come un tempo, invece che sparire, magari avremmo potuto salvare qualcosa dalle fiamme del nostro incendio.

 

Invece tu non ci sei: non sei tornato, né hai intenzione di farlo, secondo Hazelle. Troppi ricordi dolorosi, le hai detto. Troppi promemoria dei tuoi sbagli.

 

Proprio come mia madre; e proprio come lei, non hai capito che l’unica cosa di cui avevo bisogno un anno fa era qualcuno che affrontasse quei ricordi, le conseguenze di quegli errori, pur di tendermi una mano. Le persone che più amavo sono scappate e questo non può che ferirmi, perché nonostante ciò che dicevi di provare per me hai trovato il modo di dimenticarmi, di rinunciare a me così in fretta.

 

E ti ho ferito anch’io, lo so, con l’indecisione con cui ho contribuito a crepare il nostro rapporto – e il tuo cuore. Ti ho ferito non concedendoti quel perdono che mi hai chiesto con gli occhi l’ultima volta che ci siamo visti. Un perdono che forse pronuncerei ora, se solo t’importasse. Se solo tu fossi qui ad attenderlo, ad attendermi. A guardarmi le spalle come facevano il ragazzo e la ragazza che anni fa hanno stretto amicizia nei boschi, finendo per diventare inseparabili.

Ti avrei abbracciato con la stessa sicurezza di un tempo, ma a questo punto non credo più che il mio affetto e le mie scuse potrebbero servire a qualcosa.

Perché tu non sei qui e probabilmente non tornerai mai.

 

E ciò che è peggio è che questo pensiero, forse, fa soffrire solo me.

 

Ciao, Gale.

Catnip Katniss

 

Hello from the other side

I must've called a thousand times

To tell you I'm sorry for everything that I've done

But when I call you never seem to be home

 

 

Ciao Katniss,

 

Sono qui, vicino a te.

Ti sto chiamando da ore, forse perfino da giorni, ma non sembra che tu possa sentirmi. Immagino che sia perché non ci troviamo nello posto, anche se mi basterebbe allungare una mano per toccarti una spalla, per farti una carezza. Per pettinarti i capelli come facevi tu con me quando ero piccola.

Ti chiamo, eppure non ho più una voce, né un corpo: ogni parte di me si è dissolta nel momento in cui hai gridato il mio nome per l’ultima volta. Quando quei paracadute sono esplosi mi hanno trascinata via da te, in una sorta di limbo invisibile. Sembra vuoto, ma non importa perché vedo tutto ciò che accade dall’altra parte e questo mi fa sentire più vicina alle persone a cui voglio bene. Ogni giorno, da qui, ti osservo andare a caccia; vedo Ranuncolo gironzolare per ciò che rimane del Prato, con la coda tutta arruffata, e Rory che cerca in tutti i modi di stargli alla larga, ma senza successo: ho notato che Ranuncolo cerca sempre di strusciarsi contro le sue caviglie. Credo che l’aiuti a sentirmi più vicina e so che, in fondo, anche per Rory è lo stesso.

Ci sono anche delle cose brutte, dall’altra parte.

Quasi ogni notte vedo Gale in lacrime, dopo essersi svegliato con un sussulto per qualche incubo e la rabbia con cui cerca di nascondere tutto ai compagni di Accademia. Quando succede, mi volto dall’altra parte. Non l’avevo mai visto piangere: non voleva che guardassi quando soffriva.

 

Vedo le famiglie sfollate del Distretto 12 e di Capitol City che si fanno forza per mettersi in piedi, tirarsi su le maniche e ricominciare. Osservo i feriti più coraggiosi, che si impegnano per rimettersi in sesto, e quelli che hanno perso un parente caro, troppo stanchi per tornare a combattere l’ennesima guerra: anche se questa si chiama vita e non ha bisogno di armi per farti vincere.

Ma soprattutto vedo la mamma, intenta a lavorare in uno degli ospedali più grandi del Distretto 4. L’osservo prendersi cura di tante persone, ma mai di te. La guardo mentre accudisce i suoi pazienti e cura ferite di ogni tipo, trascurando quelle di sua figlia – di mia sorella. Spesso la sento piangere e chiedere scusa, ma non so mai a chi stia pensando. Forse a papà, forse a noi due.

 

A volte vorrei farlo anch’io: piangere, intendo. Mi piacerebbe, ma per quanto mi sforzi credo che qui non sia possibile farlo. C’è troppa calma che mi scivola dentro e non sono nemmeno sicura di avere ancora un corpo o qualcosa con cui potermi mettere a singhiozzare.

 

C’è solo una cosa di cui sono sicura: cerco di dirtela tutti i giorni, ma tu non riesci a sentirmi. E fa un po’ paura, perché è in quei momenti che capisco veramente di essere sola. È come scappare da un mostro e bussare, e gridare alla prima casa che trovi per cercare aiuto: però non risponde mai nessuno.

Per questo ogni tanto vorrei piangere. Mi sento triste perché vorrei riuscire a dirti che mi dispiace. Perché so che, se adesso sei sola, la colpa non è solo della mamma. Non è colpa di Gale, né della guerra, che come tutte le battaglie distrugge ogni cosa e se la prende soprattutto con chi non c’entra niente. La colpa è anche mia, perché sono stata io a infiltrarmi nelle squadre di soccorso nonostante avessi solo tredici anni. È colpa mia perché l’ho fatto di nascosto dalla mamma, che si sentirà per sempre in colpa per non essersene accorta in tempo. Così come si sentirà in colpa Rory, perché non è riuscito a fermarmi. E Gale, che ha fatto di tutto per proteggermi, ma poi qualcosa gli è sfuggito di mano. E te, che sei convinta di aver dato inizio a tutto questo, rifiutandoti di morire ai primi Hunger Games.

Non mi piace tutto questo: non volevo morire. Non volevo essere il motivo delle lacrime e del dolore di tutte queste persone. Ma se proprio devo essere morta, sono contenta di poterti ancora vedere, di starti vicina anche se tu non mi senti. Se proprio devo essere morta, sono felice di poterti parlare un’ultima volta, per dirti quello che non ho fatto in tempo a dirti quando sono arrivati i paracadute.

Te lo dico adesso, anche se so che non puoi più sentirmi: andrà tutto bene, Katniss.

Solo questo; andrà tutto bene.

Arrivederci, sorellona.

Prim

 

Note Finali.

Non sono capace di scrivere lettere e non ho idea del perché sia finita a scriverne quattro, ma la canzone mi ha fatto tanto pensare a due delle mie OTP più grandi (Rory/Prim e Katniss/Gale) e il testo mi ricordava più una conversazione a distanza e a senso unico, piuttosto che un dialogo botta e risposta. Così, ho sfruttato l’idea delle lettere.

 Ho faticato un po' con l'IC dei personaggi, un po' perchè sappiamo pochissimo del post-rivolta e un po' perchè scrivere una lettera è diverso dal parlare. Soprattutto quando si  scrivono lettere che non verranno mai spedite (come quelle di Rory e di Katniss) e nelle quali possono magari comparire pensieri che non verrebbero mai fatti ad alta voce. Inoltre, scrivendo del post-rivolta vengo sempre molto influenzata dal mio head-canon personale e questo si riflette nella caratterizzazione dei personaggi. La lettera di Prim forse è un po' troppo matura per una tredicenne, ma siccome è stata ‘formulata’ post-mortem, in un certo senso trovavo che un tale registro le si adattasse di più. Inoltre, anche lei è dovuta crescere molto e in fretta nel corso dell'ultimo libro e per questo sin da dopo i bombardamenti mi è sempre parsa una ragazzina molto matura e piuttosto intelligente. E niente, spero che le lettere risultino comunque abbastanza credibili!

C.I.A.O.!

Laura

 

 



[1]  Il n° 4 era il numero portafortuna del signor Hawthorne e Rory ha ereditato la sua fissazione per questo numero e, soprattutto, per le parole da quattro lettere.

[2] Riferimento alla citazione “Questa è la mia vita e vorrei che sapessi che sono felice e triste allo stesso tempo e sto ancora cercando di capire come potrebbe essere.” [Noi siamo infinito]

[3] – Quando non puoi dire una cosa gentile, è molto meglio starsene zitti [Bambi]

[4]  A volte non ti accorgi nemmeno che qualcosa è cambiato; credi di essere sempre tu, che la tua vita sia sempre la tua vita... e invece un giorno ti svegli, ti guardi intorno e non riconosci niente. Assolutamente niente [Grey's Anatomy]

   
 
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