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Autore: ArtemisiaSando    02/12/2015    0 recensioni
[Ryse: Son of Rome]
Ancora una volta un incipit per una nuova sezione. Questo racconto è ispirato alla recente opera videoludica Crytek: "Ryse: Son of Rome".
Roma. Epoca neroniana. Marius Titus è un giovane aspirante soldato, nato e cresciuto in una nobile famiglia romana presto conoscerà il sapore amaro della guerra e della sconfitta in terre lontane, ma non tutto è ancora perduto. Un incontro cambierà il suo destino per sempre...
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Decimo

 

Per anni il ginnasio era stato la sua casa, era vissuto nella spartana bellezza di quel pavimento in marmo colorato, di quel colonnato spoglio, pochi affreschi per un luogo duro, un luogo che, come era accaduto per suo padre, l’avrebbe portato alla grandezza. Il clangore dell’acciaio, il cozzare sordo degli scudi l’avevano cullato ed ora, tornare a combattere in quel grande santuario di guerra, lo riempiva di una strana leggerezza.

Marius era sempre stato un animo feroce, nell’arena si era sempre nutrito di passioni irose, non si era mai risparmiato, andava fiero delle sue cicatrici, di come si erano impresse nella sua carne. Eppure era nervoso quella mattina fronteggiando Leontius. Aveva qualcosa da chiedere, qualcosa che forse avrebbe distrutto l’immagine della sua famiglia, ma più importante avrebbe potuto minare il rispetto che suo padre nutriva nei suoi confronti.

Tentennò più d’una volta sotto i suoi attacchi, subendo in silenzio i concitati rimproveri, sapeva quanto quegli scontri significassero per suo padre, il suo mentore e generale, ma non poteva fare a meno di essere distratto. Vedeva chiaro l’orgoglio di Leontius scintillare nel fondo delle iridi azzurre, nonostante la propria trascuratezza di quella mattina, nonostante lo scudo avesse ceduto e tremato sotto i suoi assalti, suo padre non aveva smesso di incitarlo, di far leva su quella sua furia.

Per la terza volta, da quando era tornato, lo sopraffece, eppure sorrideva Leontius mentre insieme si accostavano alla rastrelliera in legno spoglio, il respiro ancora pesante, abbandonando scudo e gladio.

- Triste, ma fiero giorno, quello in cui infine il figlio supera il padre. -  sospirò, lo sguardo ancora saldamente allacciato al suo mentre Marius liberava la corta zazzera castana dall’elmo sudato.

Nonostante il tumulto che albergava nel suo cuore, il ragazzo non riuscì a trattenere un sorriso, infondo doveva a lui quella sua determinazione, la chiara consapevolezza di volere per lei, e per se stesso, un futuro migliore.

- Hai di certo destrezza con la spada, ma non avere mai fretta di sguainarla, Marius. Porgi sempre la mano prima. – continuò più dolcemente, riponendo il gladio con un rispetto che raramente Marius aveva visto negli occhi di altri generali con cui aveva prestato servizio.

Annuii,  cosciente che era stato un uomo con gli stessi principi di suo padre ad aver salvato la donna che amava, ad averla condotta da lui.

- Cammina con me, figlio. – sorrise precedendolo sulle scale in marmo chiarissimo che conducevano fuori dal ginnasio, verso la parte superiore della villa. Era in quelle stanze che un tempo suo padre aveva ricevuto le alte cariche dell’esercito e della propria legione, quelle stesse scale dove Marius aveva sognato e giocato da bambino, ansioso di poter prendere finalmente parte a quel mondo lontano, baciato dalla gloria e dall’onore di mille battaglie.

- Ho sentito voci di grandi cambiamenti a Roma. – esordì infine seguendolo oltre le porte inferriate, verso il tablino. Tre inverni erano trascorsi dalla sua partenza eppure nulla sembrava essere cambiato, l’armatura di suo padre era ancora là, in bella mostra all’entrata dello studio, vicina come un tempo era stata enorme, lontanissima ai suoi occhi.

Si fermò a guardarla con un rispetto che non aveva dimenticato, i begli occhi verdi accarezzarono ancora una volta le piastre levigate, le cerniere lucide, il cimiero elegante ed il cuore sembrò affondare un poco nel petto. Non vi sarebbe stata sconfitta più grande per lui che perdere l’amore e la stima di suo padre, quello che per lui avevano significato. Eppure doveva tentare.

Posò l’elmo sullo stesso ripiano in nero legno laccato, quasi finalmente a reclamare un posto per se stesso in quell’olimpo di gloria che un tempo aveva tanto bramato e seguì Leontius verso i suoi archivi privati, le insegne politiche col suo nome ed il leone ruggente simbolo della sua famiglia ancora esposte sulle pareti spoglie.

   
 
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