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Autore: crimsontriforce    02/03/2009    1 recensioni
Negli anni novanta, Plutone fu riclassificato come pianeta minore: Yeesha non se ne sorprese.
Storia di un parallelo affettuoso.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Atrus, Catherine, Yeesha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '4. Dalle rovine della città profonda'
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Confuuuuuuusa. Ho sempre tradotto, fra me e me, Fessura Stellata per Star Fissure e Fenditura per l'amata Cleft... ora mi salta fuori che ai vertici hanno stabilito il contrario? Sui siti buoni non m'azzardo ancora ad andare e certi scritti cafonazzi italioti danno comunque Fenditura come lo uso io? Aiuuuuuto? Mi rifiuto comunque di usare stellare per... per la Divina Provvidenza, lì: non è stellare, cioè delle stelle o relativa alle stelle... manco sono vere stelle quelle, credo, sarebbe lo stesso se fosse a strisce o a quadretti, invece è a stelle. Ergo stellata. Hmpf. :|
 

Trailer della fanfiction :|
Perdonate, o stranieri ed esploratori di passaggio, questi niubbici approcci al canone. Sono quasi alla fine del viaggio... ancora poco per chiarirmi definitivamente le idee, smetterla di andare a tentoni e soprattutto piantarla di sfogarmi nelle note. Parola di Giovane Marmotta (sezione speleologia 9_9).

Passando a cose serie e utili:
Il tema della Settima Sfida di True Colors, cui questa storia ha partecipato con un orgoglios...ehr umile secondo posto, è Futuro + solelunaopianetaacaso. Futuro anche nel senso di duun duuuuun foreshadowing, pianetaacaso nel senso di... stavo sfogliando siti di astrologia per vedere se trovavo agganci con Myst i miei fandom abbastanza forti da giustificare una partecipazione... zero totale fino a Plutone, del quale dicono che:
  1. è preposto alle energie di trasformazione
  2. Governa le forze del subconscio (ecchissenefrega) e di tutto ciò che è sotto la superficie (oh, ora c'intendiamo. Tenete i vostri sensi figurati lontani dai miei prompt XD)
  3. I suoi aspetti positivi sono rinnovamento, rinascita, fini e nuovi inizi
  4. Il suo aspetto negativo è il desiderio ossessivo di potere.
Così, come Beep Beep (cioè Yeesha, l'uccello del deserto che è palesemente un roadrunner) passa in corsa e Wile E. Coyote (cioè, di riflesso, Esher) se lo immagina come un arrostino su due gambe, io leggevo lì e in realtà vedevo:
  1. But the dream also tells of a desert bird with the power to weave this new D'ni future. We fear such power – it changes people...
  2. Have you heard of the city... the deep city... the ancient Uru? Where there was power to write worlds. For thousands of years the city lived... lived beneath the surface...
  3. We know that some futures are not cast, by writer or Maker, but the dream tells that D'ni will grow again someday. New seekers of D'ni will flow in from the desert feeling called to something they do not understand...
  4. I could write things that no D´ni had ever dreamed of. My writing smashed barriers held as absolutes for millennia. I could change things... I could move things... I could control things. I learned beyond my parents... I learned beyond all. I wrote Ages against any challengers... Masters of the Art and they were beaten. I took all that I could hold. Only death can conquer pride so strong...
E via andare. XD
Successive ricerche astronomiche/astrologiche mi hanno mostrato che il pianeta nano (ex-pianeta minore, yes I went there) entra in Scorpione, il suo segno (nonché, se posso dire, il segno di Yeesha... sfera sessuale a parte, ce la ritrovo precisa precisa), nel 1992 cioè ad attività del DRC appena iniziate se ho ben capito, e ne esce nel 2006, cioè appena dopo EoA se ho ben capito, e non lo faceva da poco prima che venisse scritta Myst. *dramatic chipmunk*
Se ho mal capito, abbiate pietà e prendete le date con le pinze.
Da Albuquerque e dintorni, il pianeta è sorto a est a inizio novembre.


Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.









Ispirazione minore




He sees no stars who does not see them first
of living silver made that sudden burst
to flame like flowers beneath an ancient song,
whose very echo after-music long
has since pursued. There is no firmament,
only a void, unless a jeweled tent
myth-woven and elf-patterned; and no earth,
unless the mother's womb whence all have birth.
(J.R.R. Tolkien, Mythopoeia)

Father and Mother loved and shared with me, their desert bird. Father shared wisdom and knowledge, and Mother shared visions and dreams. When did they come to know my destiny? Surely not from birth. As I look back, they knew so much; they saw so clearly. They planted and watered, so that I would learn to do the same. I would not realize it until long after I was to see them no longer.
(Yeesha)





1813, la Fenditura


Catherine si chinò a districare l'orlo della sottoveste da una scheggia della scaletta d'ingresso alla Fenditura. Trionfatrice senza troppo spargimento di lana, si girò a osservare il groviglio di sentieri, ponti di corda e pertugi che costituiva il rifugio, come a trarne un messaggio segreto e personale: quel luogo aveva ancora molto da insegnarle e, riteneva, almeno una confidenza da tradire. Era un'oasi protetta dai suoi strati di roccia rossa, un piccolo mondo separato dal deserto al di sopra, riparato dai venti che quel giorno ululavano preannunciando tempesta.

“Atrus”, chiamò, senza ottenere risposta.
Imboccò decisa il sentiero davanti a lei.

Suo marito si era rifugiato nel letto della sua infanzia, la nicchia scavata nella pietra che era stata la sua prima, temporanea protezione dalla morte e da tutte le verità scomode sopra e sotto la terra. Lì rifletteva (o riposava: con Atrus, d'altronde, i due termini presentavano solo una lieve sfumatura di significato) appoggiato su un fianco, usando un braccio come cuscino e tenendo con l'altro un taccuino scolorito.

“Atrus.”
Scosso dai suoi pensieri, si voltò a guardarla come attraverso un sogno, o come se solo in uno di essi fosse stato possibile rintracciarlo fino a lì, con decine di mondi a disposizione. Sarebbe stato possibile in un sogno o per una sognatrice, di fatto, e già in quei termini quella perplessità quasi infantile portò un sorriso sul viso di Catherine. Ma proprio chi vive fianco a fianco col miracolo è restio a scomodarlo, quando la semplice osservazione può rivelarsi sufficiente: c'era una sola possibile soluzione di fronte a una casa vuota e a scaffali di libri ordinatamente chiusi ed era quella che l'aveva condotta senza errore fino a lì.
Si sedette al suo fianco, accarezzandogli la schiena. Osservò il diario, cercandovi indizi in merito alla malinconia del compagno, ma era molto vecchio e non lo riconobbe.
“Atrus. Ho visto sassi più entusiasti.” Sospirò. “Decidere di fare un figlio dovrebbe essere un'occasione di gioia.”
“Ne sono felice.”
“Lo vedo”, rispose lei inarcando un sopracciglio.

Atrus le prese la mano fra le sue, in segno di scusa. Si alzò e la guidò fuori, precedendola giù per il ponte spezzato che portava al suolo e sostenendola nella discesa. Si sedettero sul terriccio, nostalgici entrambi, senza confidarselo, di quei fiori blu che li avevano uniti fin dal principio e che avrebbero forse gettato un poco di necessaria allegria sulle parole a venire.

“È l'ultima svolta prima della fine di una lunga, triste strada di fallimenti”, le confidò infine. Aveva paura, ma sapeva anche di non poter restare fermo al crocevia. E Catherine vide la gioia che aveva invocato, rannicchiata e sbiadita dietro lo scoramento più cupo. Non aveva mentito, esisteva davvero. Nei mesi passati, con parole, sguardi d'intesa, Tomahna tutta, avevano cullato la speranza di un nuovo inizio ed era necessario per entrambi lasciarsi alle spalle il dolore, se non gli insegnamenti, del comune passato. Eppure le preoccupazioni avevano investito come una tempesta quel sogno così prezioso. Come nuvole sulla Fenditura, poteva vedere l'ombra di Gehn e della sua follia proiettarsi, inestinguibile, su ogni speranza che Atrus potesse portare con sé. Era una tenebra spessa e profonda, densa, le cui propaggini avevano già raggiunto un loro figlio – forse entrambi, ma Sirrus non era una colpa che fossero pronti a scaricare con leggerezza. Cos'altro aveva o avrebbe toccato tutto quel che di male Anna aveva lasciato alle Ere? Quello era il perno di un futuro incerto, e Catherine sapeva. Aveva visto la rassegnazione dietro a uno specchio, quando Atrus vi si soffermava e attendeva che qualcos'altro rispondesse al suo sguardo. Aveva letto i suoi esperimenti con l'Arte e vi aveva trovato una logica pura e agghiacciante, un'ossessiva conferma a se stesso che quella stessa logica non lo stesse abbandonando, giorno dopo giorno, per lasciare spazio al vero figlio di suo padre.
Ma la sola logica non ripara dal male, né dà spalle forti abbastanza da sostenere il fardello che il suo mite compagno aveva da tempo scelto di fare suo. In quel tardo pomeriggio di un giorno qualunque, seduti sulla terra brulla, Catherine sentì il legame che li univa scorrere limpido e rinforzato dagli anni e trovò il coraggio di sperare per due.
Colse un fiore immaginario e, con gran cura, ne attorcigliò lo stelo attorno agli occhiali di lui.

“D'ni non è un fallimento”, disse.
“Ho cercato di infondere vita artificiale a una città già morta.”
“Che ora respira, sebbene a fatica, in attesa di una nuova Era. Non li hai delusi, Atrus... sei la guida migliore.”
“Per genti lontane e facce ignote, forse”, negò con vigore. “Ma chi mi è vicino? Non riesco nemmeno a onorare l'amicizia quando mi viene offerta... che garanzie posso offrire a mio figlio? Come potrò compensare il peso dell'eredità che per necessità di cose caricherò sulle sue spalle?”

Conosco questo tono”, commentò lei. “È la parte di te che riservi alla carta, che non può rispondere. Io però posso. E ti dico che quarant'anni di giudizio, di saggezza guadagnata, saranno la nostra garanzia. Amore mio... non possiamo essere la fine, so che io non arriverò a vederla. E questo peso non può essere tuo per sempre.”
“Ma è... giusto?”

“Più di quanto sia stato il destino della gente di Riven, che non ebbe scelta, eppure non lo definiamo ingiusto. Tu hai deciso di rinunciare a molto perché altri potessero goderne. Questo lo chiamo giusto, e lo amo, ma non siamo eterni.”
“Il mio dubbio non riguarda le mie scelte. È per lui – o per lei”, aggiunse, cullando in sé la speranza di una bambina nonostante tutti quei timori sensati e immediati e opprimenti.
“Che capirà e seguirà per intenzione, e ci sarà una fine, o non capirà e seguirà per obbligo, e non ci sarà pace. O si ribellerà nuovamente, e l'ultima nostra svolta finirà in un dirupo”, terminò Catherine al suo posto.

Alzò la testa per guardare il cielo, scostando una ciocca ingombrante di capelli neri. Inspirò a fondo.
“La sua luce risplende sottoterra; sorgerà”, disse.
“È una rassicurazione?”
“È ciò che accade. E l'oscurità cala e impregna questi luoghi caricandosi di significati oltre i nostri orizzonti. S'insinua nel ricordo, nel passato, nella pietra, scendendo, sempre scendendo, e trova infine una singola radice che...” Scosse la testa. “No, non ancora. Accompagnami a casa, amore mio. Si fa tardi e la cena non si preparerà da sola, in nostra assenza.”

Quando furono risaliti, e la Fenditura diventata una linea sottile alle loro spalle, Catherine si voltò nuovamente verso il vulcano, mentre le raffiche di vento le buttavano senza grazia i capelli sul viso.
“La sua luce risplende sottoterra; sorgerà...”, ripeté fra sé e sé, inquieta, e tornò al fianco di Atrus.







1822, Tomahna

“Papà, cosa c'è laggiù?”

Yeesha sedeva davanti alla grande finestra rotonda del laboratorio, appoggiata alla balaustra con le gambe che sporgevano dalla piattaforma di legno. Gli spicchi di luce della vetrata gettavano arabeschi sulle stoffe ariose della tunichetta e le ravvivavano il volto, lasciandone gli occhi azzurri a unico contrasto di un panorama caldo di bronzi e marroni.
Atrus alzò gli occhi dalla scrivania e si grattò la nuca, perplesso: non l'aveva sentita entrare. La pelle arrossata e la polvere che ricopriva i sandali lasciavano intuire una giornata di giochi e corse sfrenate nel deserto roccioso, auspicabilmente sotto lo sguardo vigile di Catherine. Ma il sole era ancora alto e una curiosità molto grande doveva aver colpito la sua bambina irrequieta per riportarla prima del tempo entro i confini di Tomahna, silenziosa come una lucertola.
“Dipende. Cos'è 'laggiù', per te?”, domandò avvicinandosi a lei, grato per quel momento assolato e per tanti altri suoi pari, ripetibili, ma non infiniti: temeva già il giorno in cui avrebbe ricominciato a temere.
“Laggiù è laggiù”, rispose lei indicando con un dito paffuto.
“Nell'acqua?”
Aveva sperato, in tutta onestà, in qualcosa di intellettualmente più stimolante di un pesce.

“Oltre la terra, papà. Cosa c'è quando finiscono le stelle?”
Yeesha tracciò l'orizzonte davanti a sé.
“Altre stelle”, rispose soddisfatto. “Ognuna con i suoi mondi.”
“Quante? Quali? E dove? Come si vedono?”, chiese con rinnovato entusiasmo, issandosi sulla balaustra.
Non avesse avuto sette anni e un'innocenza tutta infantile dipinta in volto, la si sarebbe quasi potuta sospettare di avere un qualche scopo recondito, tanta era la foga con cui si era gettata sull'argomento. Atrus, tuttavia, lo interpretò solo come un interesse che disperava ormai di veder sorgere e si chinò a scompigliarle i capelli.
“Vieni”, le disse, incoraggiandola a seguirlo fino al suo banco da lavoro. Chiuse il libro su cui stava lavorando e spostò l'inchiostro oltre la portata della bambina, assieme ad alcuni gingilli sulla cui solidità non avrebbe scommesso. Lasciò che Yeesha si inerpicasse da sola sulla sedia: aveva già dato dimostrazione di esserne capace e, per contro, l'ultima volta in cui aveva provato a prenderla in braccio aveva sentito la schiena protestare con vigore. Con la piacevole sensazione dello sguardo della piccola fisso su di sé, Atrus socchiuse gli occhi e si portò una mano alla tempia, cercando nella memoria l'ultima posizione di un oggetto antico e amato. Passati mentalmente in rassegna tutti i cassetti e gli scaffali della stanza e congedatili con corrucciati gesti di diniego, mormorò due parole di scusa a Yeesha e svanì nell'ascensore.

Ne riemerse, vittorioso, in tempo per sentire lo scatto della chiusura di un cassetto. Era certo che, nascosta dietro lo schienale, anche sua figlia si stesse risistemando nell'esatta posizione in cui l'aveva lasciata – così fu.

Barricata dietro la sedia, Yeesha chiuse gli occhi per l'emozione. Immaginò le stelle accendersi e riempire lo spazio attorno a lei, espandendosi in ogni ripiano, pertugio e provetta. In realtà, tutto quello che sentì fu lo scartocciare di un pacchetto. Aprì un occhio.
Atrus stava liberando da strati e strati di carta ingiallita un oggetto poco più grosso di un bollitore e da esso non dissimile. Appoggiata al centro del tavolo, una grezza struttura cilindrica s'impiantava su una base composta di più strati concentrici, ognuno intagliato con lettere, numeri e tacche a intervalli regolari. Yeesha osservò suo padre consultare alcune tavolette e inserirne una in una fessura laterale.
Lo vide premere un pulsante nascosto e, dopo una lenta e rumorosa accensione, le stelle esplosero di fronte ai suoi occhi ammaliati.

Facendo centro sul rudimentale proiettore, l'aria di fronte a lei si riempì di piccole stelle, grosse ognuna quanto una sua unghia e decorate con dettagli fantastici, sempre diversi, in mezzo ai quali si leggevano a stento nomi arcani: Baten Kaitos, Al Rischa, Mira, Kaffaljidhmah. Le vide muoversi con la grazia di un meccanismo a molla mentre suo padre ruotava le basi concentriche secondo chissà che complessi allineamenti.

“È bellissimo”, sussurrò.
“Lo so”, rispose Atrus, orgoglioso del piccolo oggetto più che di ogni sua invenzione. “Sai da dove viene?”
Yeesha fece segno di no.
“Dal tuo bisnonno. Di lui mi restano il nome, questo, un diario e poco più.”
“Era suo?”
“Lo costruì lui. Per Ti'ana, perché potesse ricordare il cielo di casa. Dipinse lei le stelle, al meglio della sua memoria... ma questo certo l'avrai notato.”

Yeesha non l'aveva proprio notato e si sentì un po' stupida: il tratto della sua bisnonna era unico e la tecnologia D'ni le avrebbe dovuto raccontare il resto della storia senza farsi spiegare tutto come una bambina piccola. Sbuffò e sperò che suo padre non le volesse meno bene per questo.

Le stelle rallentarono le loro orbite e si fermarono del tutto.
Questo è il cielo che sta vedendo ora chi vive molto, molto a sud da qui, sotto il nostro orizzonte, come chiedevi.”

“Da che parte siamo noi?”, chiese la bambina.
Atrus, la cui passione per il cielo notturno si estendeva per tredici Ere e perdeva pertanto un poco in dettaglio, studiò le costellazioni sull'orizzonte in cerca di sostegno.
“Qui. In questo momento, in un certo senso noi siamo oltre questa estremità. Guarda, riconosci questa?”
Scosse la testa. “E perché le stelle sono così poche?”
“Perché non se le ricordava bene”, rispose Atrus con un sorriso nostalgico. “Ti'ana ampliò questo proiettore negli anni passati in superficie, con l'osservazione diretta e scambiando quel poco che avevamo in più per delle copie di carte tracciate da avventurieri e navigatori. Ma non sono tante quante ne vediamo con i nostri mezzi. Allora, uccellino mio, hai trovato quello che cerchi?”
Yeesha osservò l'ologramma con grande attenzione. Ci infilò prima una mano, ridendo nel vederla diventare blu, poi la testa, per guardare da vicino ognuna di quelle stelle meravigliose intarsiate d'oro e di rame.
“È qui”, disse infine indicando una parte oscura del cielo. “Ma non c'è! Cosa vuol dire, papà?”
Atrus si sistemò gli occhiali. “Cosa ti fa essere essere così sicura di quel che dici? E cosa stai cercando, ad ogni modo?”
“Non lo so, papà. Ma sento che è proprio, proprio lì.”
Catherine gli aveva insegnato da anni che era inutile ribattere a risposte del genere: erano e basta. Ne prese atto e si dedicò alla domanda che gli pertineva.
“Può essere una stella molto lontana”, spiegò. “Una che non emetta una luce sufficiente a venir osservata a occhio nudo. Come quelle che non vedi in cielo e che ti ho mostrato dal nostro telescopio. Oppure...”
“Oppure?”, lo incalzò Yeesha, poco convinta dalla spiegazione ricevuta: il suo punto sotto l'orizzonte non era lontano, o non sarebbe riuscito a chiamarla così bene. Le sembrava, al contrario, che fosse poco oltre la portata della sua mano.
“Oppure ho dato per scontato qualcosa che non lo era e quella che cerchi non è una stella. Non vedo perché no... potrebbe essere un mondo. Un'Era.”

Un'Era! Quello, sì, aveva senso!
“E possiamo andarci?”
“Nella teoria più pura, sì”, rispose Atrus. Abbassò la testa, pensieroso. “In pratica, tuttavia, no.”
“Perché no?”
“Perché non è così che si stabilisce un Legame”, disse dandole un buffetto sul naso. La risposta non sembrò soddisfarla e ne fu lieto. “La Scrittura definisce un mondo nella sua essenza. Qualunque Era io scriva potrebbe, in effetti, essere il punto che desideri. Ma come facciamo ad essere sicuri che sia proprio quello? Pensa alle possibilità che abbiamo di scegliere ogni dettaglio come a un grande albero, il più grande che tu abbia mai visto, il più grande che sia mai esistito.”
Più grande di casa su Tay?”
“Molto, molto più grande. Ora scegli una foglia. Chiudi gli occhi e arrampicati sull'albero, cercando di raggiungerla... mi credi se ti dico che nemmeno tua madre ci riuscirebbe?”, azzardò, ben conscio del rischio di venir tacciato di sacrilegio: agli occhi della piccola Yeesha il papà sapeva tutto, ma la mamma
poteva tutto (e riusciva ad ogni modo a sapere sempre il giusto, se non qualcosa in più). Ai suoi stessi occhi, in fondo, la fallibilità di Catherine era un evento remoto ed evocarla gli stava lasciando una brutta sensazione.
“Ma se io voglio andare proprio lì?”
“Si dice se io volessi, Yeesha. E staresti seguendo ben strani sentieri. Perché proprio lì?”
“Perché ci voglio andare”, rispose.
“Vuoi andare da qualche parte o solo dimostrare di essere arrivata?”, disse, aggrottando la fronte in un curioso specchio dell'espressione accigliata della figlia. Dove Yeesha mostrava caparbietà, però, la sua era unicamente preoccupazione.

“Non ti capisco, papà.”
La simmetria si sciolse con la bambina perplessa, intenta a confrontarsi con questioni più grandi di lei, e Atrus pronto a stringerla in un abbraccio di conforto. Attendeva il giorno in cui le avrebbe potuto parlare da pari, trasmettendole sentimento e pensieri con le vere parole che li rappresentavano invece di stentate semplificazioni in cui, a volte, lui stesso riusciva a perdersi.
“È un ragionamento, vedi, che non sta nell'Arte: allungando una mano, puoi raggiungere quello che vuoi. Che è fatto, spero, di contenuti e non di idee vuote! Il mio augurio per te sono i pensieri più belli di tutti, non certo una... distanza da percorrere.”
Yeesha annuì. Aveva afferrato una parola su quattro, ma le sembrava che dicesse con tutte quasi la stessa cosa che, alla radice, poteva non essere un concetto così difficile.
“Ma allora”,disse, guardando suo padre dal basso in alto. “Si possono fare tutte e due le cose, papà.”

Atrus la squadrò quasi gli avesse proposto di fare come Ahlsendar, il Grande Re, di cui le storie dicono che potesse spostarsi fra le Ere senza l'ausilio di un Libro.
“Come, prego?”, chiese, con una formalità involontaria che tradiva la sua estraneità al concetto.
“Se prima tocco quel mondo... quella foglia... quel pensiero”, formulò lei districandosi fra le metafore. “Creo un collegamento a com'è, no?”
Indubbio – sempre posto di riuscirci. Annuì.
“E se poi cambio una cosa, poi un'altra cosa, è sempre lui – però diventa anche la mia idea. Con tanta pazienza posso cambiarle tutte.”
No.
“Non voglio sentire queste parole in bocca a una signorina per bene.”
Quasi le bloccò la mano sul tavolo, con l'impulso di tenerla lontana dalla Scrittura tutta, ma sapeva che quel sentiero non aveva meta, avendolo già percorso in compagnia d'altri, in un passato lontano. Passò oltre: il gesto divenne una carezza di scuse, ma non riuscì a ritrarre la fitta d'angoscia che gli aveva serrato lo stomaco nel vedere l'esempio suo e di Catherine cadere – ancora – così lontano dall'albero. Faceva male.
Si irrigidì e chiuse gli occhi. Ordine nei pensieri. Calma.
Cosa vedi, Atrus?
Una bambina piccola che non può ancora scorgere una frazione del Tutto. Tempo, ancora tempo. E una parola sbagliata non compromette un libro, se lo scrittore se ne prende cura e le dà armonia con le sue vicine.

“E perché”, riuscì infine a chiederle con un groppo in gola, “perché tutta quest'ostinazione, uccellino mio?”
Non finse un sorriso, ma si obbligò a distendersi da un timore troppo precoce e attese la risposta tornando a guardare sua figlia con compunto affetto.

“Perché quella foglia è mia amica” fu l'approssimazione migliore che riuscì a trovare per qualcosa che lei stessa non comprendeva e, per del tempo, smise di pensarci, ammaliata dalla vita come può esserlo una bambina figlia di due scrittori di mondi.









1829, Tomahna



A Catherine mancò il respiro. Il che accadde un po' per la sorpresa, un po' per il peso di una figlia quattordicenne che le si era gettata in braccio buttandole con gran foga le braccia al collo.
“Non sei un po' grande per queste cose?”, boccheggiò senza fiato.
“Mamma! Mamma, cosa c'è laggiù?”, chiese di rimando Yeesha, con poco riguardo per i polmoni altrui come per la sua personale reputazione di giovane seria e coscienziosa. I suoi occasionali sbalzi d'energia erano terremoti che sapevano scuotere le fondamenta stesse di Tomahna.

D'ni, fu tentata di risponderle Catherine guardando in direzione del vulcano, ma il senso dell'orientamento della ragazza era valido quanto quello paterno ed ebbe la netta impressione che una tale risposta avrebbe insultato l'ingegno di entrambe. Ricambiò invece l'abbraccio, cullandola a sé come non faceva da qualche tempo, e si abbandonò al vuoto.

“C'è un re sotterraneo, in cielo”, rispose.
La sua perplessità si scontrò con l'entusiasmo suscitato dalle stesse parole nella figlia, che sembrava aspettarsi una risposta del genere e sapere che non l'avrebbe potuta ottenere altrimenti che lì, e tuttavia essere stata sorpresa da un risultato che andava oltre ogni sua più rosea aspettativa. Quella felicità irraggiava di una luce più vitale la serra in cui Catherine, terminate le incombenze del giorno, si era ritirata per cercare riparo dai primi freddi autunnali.
“Ti osserva”, specificò, con lo sguardo ancora incantato da un punto invisibile sotto l'orizzonte.

Quest'ultima informazione bloccò Yeesha come un animale braccato: “Perché?”
Storse la bocca in un aperto disappunto. Non le piaceva l'idea che un perfetto sconosciuto (chiunque tranne suo padre, in verità, ma poteva fare eccezioni) intaccasse la sua libertà, anche di una sola frazione.
“E io cambio Era e non mi osserva più”, commentò risentita prima ancora di ricevere risposta.

Catherine le sorrise con gli occhi e con il cuore, uno dei suoi sorrisi pieni che Yeesha ricordava dall'infanzia e di cui gli ultimi anni erano stati anche troppo avari. Si strinse a lei: non aveva veramente intenzione di cambiare Era. Solo che...
“Non è così facile”, le disse Catherine. “È nelle stelle!”
“Proprio per questo!”
“Ma davvero. E dimmi, piccola mia, sai cos'è una stella? Lo sai davvero?”
“È un corpo celeste che brilla. E che sta fermo nel suo angolo di cielo. Io no! Io posso cambiare angolo, tempo e ramo!”
Catherine la zittì con un dito sul naso.
“Lo so, lo so. Te ne correresti via come un uccelletto, come facevi da bambina. Ogni tanto mi chiedo quanto tu sia veramente cambiata, sai, Yeesha? E scapperesti con buona intuizione, ma basi fallaci. Mi raccontava la tua bisnonna che qui in superficie tutti i popoli guardano le stelle da tempo immemore, in cerca di consiglio. Ora io ti chiedo: quest'Era è più speciale delle altre?”
“Suppongo... suppongo di no.”
E supponi bene. Su Riven facevamo lo stesso. Su Tay, è la prima parola che ho sentito pronunciare.”
Twan”, annuì Yeesha.
O estrella, o cinque parole diverse per età e attrazione gravitazionale donate a chi aveva il privilegio di vederle solo su mondi lontani.” Dal naso, su cui era saldamente posizionato, il dito scese a carezzare la guancia della ragazzina. “Le stelle sono uniche e irripetibili, come ogni Era che vi orbita intorno, in questo e altri cieli. Così è unico e irripetibile – e personale, in verità – il tessuto di immagini che intrecciano nella mente di coloro che, la notte, alzano lo sguardo e vedono oltre.”
“Penso di capire. Ma, mamma, 'personale'?”

“Quella che qui chiamano il Carro?”, le confidò con l'aria da cospiratrice che all'occasione sapeva ben ripescare dalla memoria. “Non ci posso fare nulla: per me è una padella...”
Yeesha annuì solenne. Se per sua madre era una padella, da quel giorno in poi anche per lei non avrebbe avuto altro aspetto.
“Ma il senso che si cela dietro alla moltitudine di simboli?”, riprese, seria. “No, bambina mia, quello è uno solo, lo stesso che vedi nel Tutto.”

L'immaginazione allenata di Catherine le fornì un'immagine distinta di quella che sarebbe stata l'espressione di Atrus se le avesse sentite parlare così: lo vide mentre si allontanava a testa bassa, alzando le spalle sconsolato. Non si sarebbe sorpresa di sapere che era, in effetti, successo due minuti prima.

“Quindi, il mio re...”
“Probabilmente non sarebbe più un re, ma continuerebbe a guardarti.”
“E cosa fa oltre a guardarmi?”, chiese Yeesha, che da una parte sperava che il suo celeste ammiratore fosse almeno abbastanza occupato da lasciarle degli spazi privati, dall'altra si rendeva conto, passata la stizza iniziale, di essere stata lei la prima a guardare in quella direzione e voleva vederci chiaro.
“Veglia. Sul regno dei morti.”
Catherine rispose a malincuore, ma non mentì, anche se aveva visto dove il discorso si stava dirigendo e avrebbe dato molto per poterlo sviare.
“Veglia...”, ripeté Yeesha in un sussurro. “Cos'altro vedi, mamma? Raccontamelo, per favore.”
“Bambina mia... vedo un regno buio e vuoto, nelle profondità della terra, lontano dalla vita. Rocce, metalli, una radice secca – e un corteo di morti a seguire i suoi passi. Amministra loro il giusto giudizio. Questo è quel che vedo.”

I simboli che sua madre aveva evocato si affollarono di fronte ai suoi occhi, unendosi, mescolandosi, tingendosi di una luce aranciata là dove risuona il respiro di città morte.
“Mi chiama?”

“Tuo padre non vorrebbe che ti parlassi così.”
“Ma mi chiama? È il mio destino, mamma? È D'ni?”
Si sentì trascinata da un torrente di possibilità, di solchi passati che s'intrecciavano portandola sottoterra fino a raggiungere il suo re e sedere su quel trono per diritto di nascita, custode di sussurri e memorie spezzate. Tremò, da tanta era la pressione che una simile spinta esercitava sulla sua immaginazione.

“No.”
La voce di Catherine era tagliente e la riportò alla realtà.
“No, mamma? Ma l'hai appena mostrato.” Si sentì scissa: sollevata dal poter resistere al torrente, ma incompleta per dover restare alla fonte e limitarsi a indovinare, immaginare, sognare il suo flusso.
Sì, è D'ni, solo un folle non lo vedrebbe. E sì, era destino che questo accadesse... nient'altro. D'ni ti chiama in questa e mille altre forme e 'destino' è una buona parola per descriverlo. Forse ne esistono di migliori, io non ne conosco. Ma il tuo futuro è dove tu vuoi che esso sia: quando, come, se rispondere alla sua chiamata è una scelta solo tua. Né io né Atrus possiamo compierla per te, né certo un segno nel cielo.”
“Non credevo che il destino funzionasse così”, disse la ragazza. “Credevo che desse delle risposte. E lo sento così forte lassù che credevo... credevo che la mia fosse chiara, anche se non sapevo cos'era. Lo speravo, almeno.”
Nulla è semplice se non l'occhio che osserva. La mia comprensione è così piccola, così limitata”, sussurrò Catherine. “Vedo, ma vedo solo il limite del mio sguardo. Comprendo, e capisco solo qual è il confine della mia ragione. E così è per tuo padre, così fu per la tua bisnonna e così sarà per te. Eppure in queste umane restrizioni so che non tutto è scritto... ricordalo, Yeesha, ricordalo sempre. La trama, ma non l'ordito. L'azione, non già la reazione. Impara a distinguere fra ciò che accade e ciò che deve accadere e cerca il tuo ruolo nel mezzo, con un sorriso.”

“Ricordalo, Yeesha”, le sussurrò stringendola a sé. “Ricordalo sempre.”






1992, la Fenditura


Yeesha si rigirò nel letto che fu di suo padre, col pugno serrato come a stringere la lettera, sempre quell'unica benedetta lettera, per strizzarne ogni oncia di rimprovero, affetto e speranza e farli suoi. Ma i suoi occhi chiusi quella notte non ne stavano ripercorrendo le righe: erano fissi su un punto ignoto all'orizzonte.

Si alzò, rabbrividendo per il gelo spietato e secco, ed esitando sulla soglia trovò conforto nella fessura stellata sopra di lei, con le mille luci del cielo terrestre che si riversavano tutte entro i confini frastagliati della Fenditura, di casa. La accarezzò con una mano e uscì.
Si arrampicò fino alla superficie e si sedette sul bordo di pietra rossa, con una gamba tenuta stretta al petto e l'altra lasciata a penzolare, sfiorando ancora il buon legno della scala levigato dall'uso. Il suo ospite non l'avrebbe fatta attendere.

***

“Oh”, disse infine al suo apparire, brusca, con la scontrosa confidenza che si concede a un vecchio amico che dopo anni di silenzio si ripresenta alla porta. “Sei tu.”

Yeesha si alzò con una lenta giravolta compiaciuta che terminò in un inchino rivolto a est, senz'altri spettatori che il deserto notturno e il cielo al di sopra.
Regeltavok Oorpah, libro nono, versetto sesto: colui che trova uno specchio e se ne innamora diventa lo specchio, e perde se stesso”, recitò ad alta voce piroettando ancora e sorridendo al cielo. “Colui che getta lo specchio ha rigettato sé, ed è ugualmente perduto.” Inspirò a fondo. “Riflettere, far riflettere, questo è il suo scopo.”
Si lasciò cadere con la schiena sulla sabbia, sentendo su di sé la luce lontana e riflessa di un mondo invisibile a tutti fuorché alla scienza orgogliosa e agli animi affini, sorto certo non per appagare la prima – neanche per lei, in fondo. Era sorto con lei.

“Benvenuto”, gli disse. “Vieni, ti mostro la fine.”













Nerdaggine & Credits:

@ fanfiction tutta: la sindrome di Exile, o delle mani legate che dir si voglia, colpisce un po' tutte le mie fanfiction su Myst, ma questa in particolare. Spero che non sia pesante e spero anche che non sembri inutile: nulla di fatto e nulla di aggiunto, alla fine, salvo un parallelo talmente calzante che non bisogna neanche far nulla per farlo funzionare (e la noia resta in agguato), ma restano tre quadretti di famiglia e un micro-delirio in solitario cui mi sono affezionata.
@ Catherine che lo trova a colpo sicuro: Saavedro parla di porte aperte. Suppongo valga anche per quelle chiuse. A meno che uno non sia uber come il Grande Re, nel qual caso.... oh ciao Yeesha! XD
@ Gehn come unico 'errore' di Anna, implicando che, ehm, l'altro non lo fosse: sto prendendo un azzardo grosso come Gahreesen a metterlo in bocca a Catherine. Finora ho trovato riscontro di quasi qualunque bizzarria mi passasse per l'anticamera del cervello (questa stessa fanfic è stata abbozzata due giorni prima che in EoA trovassi la pagina di diario che la sottende), ma boh... [vedasi trailer iniziale] eventualmente correggerò!
@ amicizie non onorate: sembra Saavedro ma non è, essendo la prima parte ambientata poco prima di Exile... ma già gente come Emmit, Branch, Will, Pran aveva sofferto in modo simile mentre Atrus non si accorgeva di nulla, non dimentichiamoli solo perché non c'è Brad Dourif a dar loro stile. E, oserei dire, la stessa amicizia con lo/a Straniero/a è stata un po' trascurata in quegli anni lì, visto che in tutto il Book of D'ni (che copre un lasso di tempo non indifferente) non se ne fa cenno e Exile è la prima visita a Tomahna. E probabilmente non si erano proprio visti da fine Riven, in effetti.
@ finale della prima parte: mbeh? Yeesha l'avrà pur presa da qualcuno quella retorica, no? I write dreams, and they are real e tutto quel genere di cose.
@ occhioni blu di Yeesha: ho detto blu, Ubisoft, blu. Quel paragrafo esiste solo per affermare questa semplice verità: BLU. Porca paletta.
@ Aitrus: beh, lol. Scoperto dopo del doppio segnatempo in possesso di Gehn, con quel richiamo alle ore e alla vita di superficie. Il mio proiettore-bollitore si sente moooolto più canonicamente giustificato e ne è molto fiero, motivo per cui sarà presto sbattuto in cantina 'to return to Leastness'.
@ tendenze astronomiche di Atrus: invento, ma non mi pare un azzardo, dato che il signore ha chiamato i suoi figli quasi come due stelle (Sirius e Achernar) e si premura di costruire osservatori astronomici da far invidia all'ESA ogni volta che mette su casa. E poi ama profondamente ogni aspetto della creazione, questo è ovvio anche senza andare a pescare frammenti tradotti di preghiere in D'ni dal calendario '96...
@ tredici Ere: numero ovviamente sparato a caso, partendo dal presupposto che, fra quelle che ha scritto, non da tutte il cielo sia visibile e che non in tutte abbia passato abbastanza tempo da interessarsene.
@ botte di vita di Yeesha: la mia impressione dal Viaggio + parziale del diario di EoA (sono alla prima pagina post-riassunti) è che lei sia partita per D'ni come una perfetta somma degli insegnamenti dei genitori, ma che, pur se adottata in piena buona fede, quell'impostazione fosse artefatta. In seguito, dopo aver lasciato sfogo al suo lato più primordiale, si è ricostruita finendo per essere veramente il punto d'incontro e la sublimazione di Atrus e Catherine (e di un po' della svitataggine di famiglia), ma a modo suo (che, ci tengo a sottolineare, è fighissimo e se il resto del mondo non gradisce la adotto io...).
@ Plutone sempre sotto l'orizzonte: in realtà da aprile a settembre non lo era, da lì, ma per corrispondenza simbolica Yeesha ne sente la presenza solo quando la sua posizione richiama D'ni e lo stato sotterraneo, dormiente, in attesa, della ragazza stessa. Non mi sto nascondendo dietro un dito perché pianificando la fanfic ho letto male il planisfero, malpensanti... mi sto nascondendo dietro un piccolo pino, il che è COMPLETAMENTE diverso! è_é
@ Plutone: ero tentata di citare Proserpina, ma non mi sembrava giusto relegare 'l'uccello del deserto col potere di tessere il futuro di questa nuova D'ni bla bla' (per tacer delle questioni di Grower e no che Grower che non ne so ancora abbastanza) a semplice consorte. Tuttavia, se la fine del Viaggio dovesse rivelare cose che... [vedasi trailer iniziale] ...alla peggio correggo! *sob*
@ due frasi di citazione spudorata da Phil: Phil? Phil chi? Eh? Eh?? Non conosco nessun Phil, io =| *nasconde dietro la schiena un Libro di Relto da cui spunta un grosso pino*
@ Regeltavok Oorpah: citazione inventata ad hoc, chiaramente, ma il nono libro è lo stesso di quelle di Teledahn e Kadish Tolesa, che trattano temi simili! Una copia completa non è consultabile online, mmmmh?
@ Revelation che aleggia: Ebbastaaa! XD

   
 
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