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Autore: keinit    02/12/2015    1 recensioni
La relazione tra William e Hannibal prende una piega inaspettata a causa di... una parola
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo II -
Crescendo

 
 
La sala da pranzo era drasticamente più piccola, rispetto all'imponente sala della casa a Baltimora; una sala dove i ricordi si intrecciavano, creando dei quadri con tutte le esperienze degli ospiti che vi erano stati: Jack Crawford e la moglie Bella Crawford ( deceduta per mano dello stesso marito); la dottoressa Alana Bloom ( con cui sia William che Hannibal hanno avuto una storia, e che negli ultimi tempi si diletta in pratiche saffiche con Margot Verger, sorella del defunto e non compianto Mason Verger); il Dottor Chilton, ridotto dal Drago Rosso in un ammasso di carne bruciata che ancora si degna di respirare e molti altri.

Il forse più assiduo frequentatore della tavola di mogano posta trionfante al centro della sala ed ornata di volta in volta con piatti sopraffini era forse stato quel William Graham tanto diverso da quello che ormai aveva sotto gli occhi ogni giorno, il dottore: un uomo che si era trovato a dover giocare al gioco di Hannibal, e non aveva perso. Gli aveva tenuto testa, ed infine era riuscito a sfilargli la corona; gettandola con se ed il Re sconfitto in quell'abisso sulle coste del Maryland che avrebbe dovuto inghiottirli.

La nuova tavola in legno di quercia bianca, anche se presentava una cornucopia di vimini piena di frutti maturi al centro, era pur sempre molto piccola rispetto alla tavola cui il dottor Lecter era abituato. Per William un tavolo era soltanto un “posto dove mettersi a mangiare”, e preferiva questa versione ridimensionata: la sala da pranzo diventava così meno formale e più...intima.

Alle tredici in punto, come annunciato poco prima dall'ex psichiatra all'ex professore universitario, la tavola era perfettamente apparecchiata ed imbandita; il cuoco, fiero del proprio lavoro, si soffermò per alcuni istanti ad osservarla e spostare minuziosamente la disposizione delle posate o dei bicchieri così che non vi fosse nulla fuori posto. Questa mania per la perfezione si riscontrava anche nel completo che il dottore aveva scelto ed indossato appositamente per quell'occasione:
camicia e cravatta bianco panna con gilet, pantaloni e giacca in una sfumatura di colore definita pervinca. Controllò l'orologio: le 13:02, ed attese l'arrivo di Will. Nell'attesa, che verosimilmente non sarebbe durata poi molto dato che si trovavano nella casa, ricontrollò l'ordine e la lucentezza delle posate. Attese, poi controllò nuovamente l'orologio al polso: le 13:06. Eppure era stato chiaro, che il pranzo sarebbe stato servito alle tredici esatte, e William sapeva benissimo quanto il dottor Lecter fosse rispettante degli orari e considerasse segno di cattiva educazione, il tardare.

Ancor più cattiva educazione, però, poteva considerarsi l'indossare un outfit non consono all'occasione: William Graham aveva, difatti, deliberatamente deciso di “rendersi presentabile” sovrapponendo al pigiama ( e per pigiama si intendono una canottiera bianca e dei boxer azzurri ) una ridicola camicia di un azzurro più scuro rispetto ai boxer, con stampati...dei bassotti. L'intera camicia era tappezzata di questi bassotti stilizzati, neri e marroni, con due di questi neri a decorarne il colletto; un ricordo del loro viaggio a Bucarest. Per coprire i boxer azzurri, invece, aveva optato per dei pantaloncini color sabbia; ricordo del loro travagliato soggiorno in un motel fatiscente in Messico, con la pressante paura di essere riconosciuti e catturati. Ma quel giorno era domenica, così il dottor Lecter decise di soprassedere al buffo connubio di quella camicia troppo larga e quei pantaloncini troppo stretti.

Dopo aver tagliato e servito l'arrosto, accompagnato dai contorni e dalla salsa cremosa, Hannibal poté finalmente sedersi e cominciare a mangiare il frutto di quasi due ore del suo lavoro. La carne era succosa, la salsa non ne copriva il sapore, ma lo esaltava... E prima che potesse fare una qualunque considerazione sugli Yorkshire puddings, avendo visto di sfuggita cosa stava facendo Will, dovette intervenire.

« È un Chianti del 2008, costa quasi 130 dollari. Dovresti gustarlo, non trangugiarlo. »

Il volto dell'ex professore intento a versarsi un altro bicchiere di vino non si scompose minimamente. Anzi, commentò: « Siamo americani, viviamo in Francia, hai cucinato inglese e stiamo bevendo italiano? Qualcuno qui è confuso, e per una volta non sono io. »

Il tempo assieme non aveva certo addolcito il più giovane; che anzi provava quasi una sorta di sadica soddisfazione nel vedere l'espressione contrita dell'ex psichiatra, quando gli ricordava che lo aveva quasi indotto alla follia per vedere sino a che punto sarebbe arrivato. C'era quasi riuscito, ovviamente, ma altrettanto ovviamente William reagì con una fiera resistenza. Forse, ripensandoci, fu proprio quella, ad accendere l'interesse del dottor Lecter per quel suo paziente così particolare; nella sua sconfinata empatia aveva trovato la forza per resistere all'influsso che Hannibal cercava costantemente di esercitare su di lui.

« Non sono confuso, William. » il tono era velatamente sorpreso, mentre il dottore si obbligava a non guardare il compagno per non dargli la soddisfazione di aver colpito una nota dolente « Reputo solo che il Chianti ed il Roast Beef siano perfetti, assieme. Mi ricordano noi. »

L'attenzione del giovane si spostò dal proprio bicchiere contenente il liquido color rubino sino al volto concentrato nella degustazione, dell'amante. Avidamente aspettava una risposta a quel quesito rimasto in sospeso; che trovò voce quando, dopo una sorsata di quel dolce nettare, il dottor Lecter riprese: « Veniamo da realtà lontane, eppure riusciamo a coesistere. Ci fondiamo l'uno nell'altro, ci arricchiamo... Alle volte stoniamo, certo. Ma non è forse questo il bello di essere diversi? »

Ammutolito da una risposta tanto esauriente, Will non poté fare altro che continuare a mangiare. Ora che si obbligava a non guardare in direzione dell'altro in una sorta di muta protesta al suo sapere tutto, riuscì ad assaporare appieno la consistenza e la dolcezza della carne, che si univa alla sapidità dei contorni, smorzata a loro volta dalla salsa avvolgente e lievemente speziata che lasciava sulla lingua una sensazione di pizzicore. “Ha usato del pepe” convenne William, ma di certo non rivelò i propri sospetti allo chef.

Ma, concentrato com'era sull'assaporare quel delizioso cibo, l'ex consulente dimenticò una regola fondamentale tra le mura di casa Lecter, anche se adesso erano divenute, in via non ufficiale dati i nomi falsi sui passaporti e le carte di identità, le mura di casa Lecter-Graham: i gomiti sul tavolo.

Se c'era qualcosa che Hannibal odiasse più dei fazzoletti sporchi sui tavolini o dei coltelli per misurare lo spessore del grasso dei maiali nelle sue poltrone italiane in pelle erano i gomiti poggiati sulla tavola durante il pasto. Perciò, accortosi della cosa smise di mangiare e guardò il più giovane, nella vana speranza che capisse. Convenuto che il giovane stesse obbligandosi a non guardarlo, allora lo chiamò « William? »

Ma non ottenne che un grugnito in risposta.

« Will: smetti di mangiare e guardami, per favore. »

Con l'espressione scocciata di un bambino cui si è impedito di continuare a giocare prima di aver finito i compiti, il giovane uomo ingoiò l'ultimo boccone di roast beef con una sorsata di vino, e finalmente guardò coi propri occhi azzurri il volto impassibile del dottore. « Cosa? »

Appellandosi al proprio autocontrollo, messo a dura prova dai clienti cui aveva a che fare e con le stravaganti ed improvvise prese di posizione del giovane compagno, decise per un appoggio pacato: « I gomiti sul tavolo, toglili. »

Certamente non era un ordine, forse una richiesta unita ad un ammonimento: ma il giovane obbedì quasi all'istante e fu quasi tentato di chiedere scusa. “Sono solo dei gomiti su una stupida tavola, non devo chiedergli scusa proprio per niente” si convinse: ma quello sguardo e quel tono che trasudavano autorità e controllo lo mettevano a disagio. William abbassò di nuovo gli occhi sul proprio piatto, mangiando civilmente ed assaporando ogni sorso ed ogni morso di ciò che portava alla bocca.

« Bravo, piccolo mio. » Si lasciò sfuggire Hannibal.

Era la prima volta che usava la parola “piccolo” nei confronti di Will; ritenendo che la cosa avrebbe potuto offenderlo aveva deciso di impedirselo. Il sottolineare che gli appartenesse, poi, non era proprio nel suo stile: velatamente glielo faceva intendere, con degli sguardi e delle parole dal significato ambiguo e delle piccole attenzioni, come con dei delicati morsi sulla collottola o sulle spalle duranti i rapporti.

Il giovane uomo rimase per qualche istante con la forchetta contenente della carne e della salsa a mezz'aria, vicinissima alla bocca; la guardava, ma non riusciva veramente a vederla: perché quella frase gli suonava così... intima?

Certo: vi erano dieci anni di differenza, tra loro; ma l'ex professore non era mai arrivato a quantificarli e considerarli, nel loro rapporto. Eppure sapeva che c'erano, e che pesavano su di loro costantemente.

Forse per effetto del vino, più probabilmente per quel turbinio emotivo che una semplice frase di Hannibal aveva causato, ma le guance del più giovane cominciarono a tingersi di rosso. Abbassò, quindi, la forchetta che ancora arpionava gli ultimi bocconi di quello squisito pranzo sino a poggiarla sul piatto sottostante, poi tornò con lo sguardo a cercare quello dell'altro.

Hannibal lo stava guardando, poiché si era reso conto che quella sua improvvisa frase aveva creato una qualche sorta di effetto, in William: se positivo o negativo, questo effetto, ancora non riusciva a capirlo. Quando vide quegli occhi azzurri, la midriasi ( la dilatazione della pupilla ) era evidente: quelle incaute parole avevano dunque sortito un effetto probabilmente positivo. Il dottore sperò di essere nel giusto, mentre avvicinava la grande e calda mano verso la guancia coperta di barba incolta dell'altro: quando incontrò la pelle prese a disegnare dei cerchi concentrici con la punta di alcune dita.

Con la mano destra di Hannibal premuta sulla guancia sinistra, intenta a carezzare la pelle diafana e qua e la coperta peluria, Will si rese conto di quanto fosse piccolo in confronto a lui. Fisicamente era poco più basso e meno muscoloso del compagno, che d'altro canto sapeva esercitare una forza fuori dal comune; era anche meno preparato per quanto riguardava l'arte, la storia, la cultura e qualsiasi ambito che potesse interessare all'egocentrismo del ( forse? ) ex Squartatore di Chesapeake.

Delle volte si ritrovava a pensare ad Hannibal come uno di quei grossi felini che l'evoluzione ha perfezionato, ed a se stesso come un cucciolo smarrito che ha bisogno di una guida. Le arti di combattimento erano, in quella creatura enigmatica, portate ad un livello quasi inumano; così come le abilità nelle musica e nel disegno, ed ancora nella cucina e nella retorica.

Se c'era qualcosa che mancava, però, al dottor Lecter, questa era una controparte che lo completasse: se da un lato era il Wendigo, il Cacciatore perfetto ed il letterato per eccellenza, dall'altro si sentiva solo.

Era stata la solitudine, il bisogno di essere compreso, a spingerlo verso William; ed una volta avvicinatosi troppo, fu come essere un incauto asteroide che, passando vicino ad un pianeta, viene catturato dalla gravità di quest'ultimo ed è destinato a precipitare. Ed Hannibal precipitò in William, precipitò con William, poiché solo precipitando si sarebbe potuto fondere a lui, e non essere più solo.

Ma quel frutto che avrebbe dovuto mettere fine a quel vuoto che sentiva dentro era ancora acerbo: il dottor Lecter avrebbe dovuto curarne la crescita, occuparsi di lui e proteggerlo da quegli incauti viaggiatori che, trovandoselo vicino, provano a coglierlo incuriositi dalla sua luminosità.

Sorprendendo se stesso ed il dottore che gli era di fronte, il giovane uomo richiuse gli occhi e portò una mano a carezzare quella che era poggiata alla propria guancia; per carezzarne, riconoscentemente per quelle attenzioni, il dorso.

« Dillo ancora, daddy. »
 
Ed ecco qui il capitolo 2! 

Avevo detto che sarebbe uscito verso pomeriggio inoltrato/sera, per motivi che non dipendono da me mi sono ridotto a questo momento, scusate.
Ringrazio, come sempre, chiunque abbia deciso di leggere questa mia storia, e ringrazio la beta reader ( le faccio leggere un capitolo alla volta  )
Per il terzo capitolo dovrete aspettare domani, cercherò di uploadarlo appena torno a casa.

Al prossimo capitolo! 
   
 
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