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Autore: Hermione Weasley    03/12/2015    2 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15

~

 

La prima notte di viaggio era scivolata via in mezzo al nervosismo crescente di Natasha. Clint si era lasciato condurre dalle sue istruzioni – era lei, dopotutto, che sapeva dove andare – ma la donna non riusciva a tenere il suo passo e la cosa la mandava vistosamente in bestia.

Si stancava rapidamente per via della ferita, ma si ostinava a fare come se tutto andasse alla grande. Non gli chiedeva di rallentare o di aspettarla, limitandosi piuttosto a concentrarsi sui passi da fare, sul mettere un piede dietro l'altro, a ripetizione. Era stata lei a suggerire di prendere strade più imboscate e meno agevoli per evitare di fare brutti incontri lungo la via. Sapevano per certo che l'esercito si stava accentrando verso la capitale – Natasha gli aveva mostrato il biglietto sottratto al tenente che le aveva fatto visita dopo l'arresto – e le probabilità di incontrare qualcuno di quei reggimenti o almeno manipoli di truppe erano piuttosto elevate.

Si erano scambiati poche parole, ma man mano che gli ultimi strascichi aranciati del tramonto venivano cancellati dal buio incombente della notte, Natasha era sprofondata in un orgoglioso silenzio. Clint sospettava che lo sforzo fisico fosse tanto e tale da impedirle di spendere troppe energie in qualsiasi attività che non avesse strettamente a che fare con quell'imperterrito avanzare.

Talvolta, senza farsi notare, aveva rallentato per permetterle di raggiungerlo e aveva continuato a farlo anche quando lei se n'era accorta e lo aveva incenerito con lo sguardo.

Con la luna ad illuminar loro il cammino, il volto pallido di Natasha aveva assunto un colorito irreale e le occhiatacce che gli lanciava assumevano un non so che di inquietante. Più del solito, s'intende.

All'inizio si era sforzato di non irritarla, di mascherare quelle ridicole accortezze con la scusa della propria stanchezza, ma alla fine aveva deciso che non gli importava. Non l'avrebbe seminata solo per non farla incazzare, senza contare che perdersi – in tutto quel buio – sarebbe stato fin troppo semplice. Si era categoricamente rifiutato di comportarsi da idiota solo per blandire l'orgoglio di Natasha.

Lei non sembrava essere molto d'accordo con la sua decisione, e la misura costante e crescente della propria vulnerabilità era andata corrodendola lentamente. Non doveva essere abituata a sentirsi così; magari non del tutto indifesa, ma sicuramente non al cento per cento delle proprie facoltà.

Se qualcuno li avesse aggrediti – sparute persone e animali, infatti, avevano fatto la loro ricomparsa qua e là nella distanza – avrebbe fatto fatica a difendersi come al suo solito. Clint non aveva dubbi che sarebbe riuscita a cavarsela comunque, ma sapeva che avrebbe dovuto pagare un prezzo più alto per la propria incolumità.

La stizza, l'impotenza, l'inutilità della propria presenza l'avevano murata in uno spesso mutismo, tanto ingombrante da essere diventato quasi un terzo viandante a far loro compagnia durante il viaggio verso la capitale.

Il silenzio si interrompeva solo quando Natasha riconosceva alcuni scorci di paesaggio, magari una collina, un albero dalla forma particolare, un gruppetto di case – e allora gli dava informazioni logistiche sul dove fossero e quanto tempo avrebbero impiegato a raggiungere la prossima tappa. Ma più la notte progrediva e più quegli sporadici interventi erano andati esaurendosi. Doveva essersi accorta del modo in cui le risuonava la voce, affaticata e distorta e alla fine, pur di non dargli ulteriori indizi sulle proprie scarse condizioni, aveva preferito tacere.

Clint si era dovuto mordere la lingua per non chiederle cento e più volte se si volesse fermare: sapeva che l'avrebbe odiato per quello, e allora si era impegnato a non cedere alle lusinghe della propria apprensione. Contava sul fatto che non fosse poi così stupida da rischiare la vita pur di non mostrarsi debole (anche se il modo in cui si era comportata all'abbazia non gli dava a ben sperare) ed era deciso a lasciare che facesse i conti col proprio orgoglio: se aveva bisogno di fermarsi, avrebbe dovuto chiederglielo.

Ma non era successo niente del genere. La luce dell'alba brulicava già, in basso nel cielo, quando Clint decise che sarebbe stato opportuno cercare un luogo in cui trascorrere la giornata a riposare. Trovarono una catapecchia abbandonata e mezza nascosta da alcuni alberi e solo allora decretò: “ci fermiamo qui.”

Il sollievo fu solo un fugace bagliore sul volto congestionato di Natasha.

 

*

 

La prima sosta fu più scomoda di quanto Clint avesse preventivato. Natasha non aveva smesso di agitarsi un secondo, come se il nervosismo provocatole dalle proprie condizioni fosse un chiodo talmente fisso da impedirle di riposare.

Avevano messo insieme un magro giaciglio in mezzo all'unica stanza di cui era costituita la baracca e oscurato due delle tre finestre senza vetri per tagliare fuori la luce. Dopo aver messo qualcosa sotto i denti – gallette stantie e qualche frutto ancora troppo acerbo – si erano coricati, ma nessuno dei due era ancora riuscito a prendere sonno. L'agitazione di lei minacciava di contagiarlo e Clint non aveva per niente voglia di rimettersi a litigare: il sonno gli premeva disperatamente sugli occhi e tutto quello che voleva fare era dormire.

“Vuoi stare un po' ferma?” Sbottò improvvisamente, smettendo di darle le spalle per rimettersi seduto.

“Che c'è, hai bisogno che ti canti una ninna nanna?” Rilanciò lei, la voce sveglissima e indispettita, come se non avesse aspettato altro che un valido motivo per prenderlo a male parole.

Sapeva che era solo nervosa, che probabilmente aveva addosso una gran voglia di prendere a pugni qualcosa o qualcuno, ma la sua pazienza aveva un limite. E quel limite era pericolosamente vicino.

“Io? Sei tu che hai bisogno di rilassarti.”

“Tante grazie, Barton. Se potessi fare anche solo una delle cose che faccio di solito per rilassarmi, a quest'ora non sarei qui.”

“Chiudi gli occhi e dormi. Prima o poi il sonno arriva,” le disse, ma aveva sofferto di insonnia in precedenza e sapeva quanto non fossero vere le sue parole.

Lei, invece, aveva assunto un'aria strana. Si era immobilizzata e fissava il soffitto decrepito della sgangherata costruzione, come colta da un pensiero improvviso. Clint la osservò per qualche istante, ma quando capì che non aveva intenzione di dire un bel niente, si ributtò giù, sistemandosi su un fianco e dandole le spalle per tentare di riposare almeno un po'.

Se fosse rimasta sveglia tutto il giorno, la notte seguente sarebbe stata ancora più drammatica di quella appena conclusa. Ma tagliò fuori il pensiero – dopotutto erano affari di Natasha e non suoi. Andò ripetendoselo per un po', nella speranza che il concetto gli risuonasse anche solo leggermente più credibile di quanto non facesse in quel momento.

Aveva appena chiuso gli occhi quando Natasha parlò di nuovo.

“Dovremmo fare sesso.”

La frase era talmente assurda che Clint si chiese se non si fosse già addormentato, se quello non fosse un sogno. Non esisteva nessuno scenario realistico in cui Natasha gli avrebbe chiesto una cosa simile, per di più in quel tono pragmatico e scontato che usava quando gli dava informazioni su quale strada sarebbe stato saggio prendere.

Eppure nel naso aveva ancora l'odore di cenere che riempiva la baracca, persino quello acre e pungente degli escrementi di topo che – se tanto gli dava tanto – ormai dovevano costituire per intero le fondamenta della costruzione pericolante.

“Mi hai sentito?” Di nuovo Natasha.

Il fatto che non si trattasse di una visione onirica gli rendeva ancora più ardua la comprensione di quella proposta.

“Ti ho sentito,” confermò lui, decidendo di non voltarsi. “Tu, invece? Ti sei sentita?”

“Credi che stia delirando?”

Si dette mentalmente dello stupido perché non aveva pensato di tastarle la fronte, magari le era davvero salita la febbre e adesso andava dicendo le prime cose senza senso che le passavano per la testa.

“Non lo so. Stai delirando?”

“Hai detto che devo rilassarmi e non mi viene in mente altro.” Gli risuonò un tantino disperata, segno che era davvero esausta e che per lei quello era un modo come un altro per scaricare la tensione. Non era sicuro di voler sapere quali fossero gli altri metodi a cui era abituata...

Si sentì sprofondare in un baratro di incertezze. Da una parte la situazione era abbastanza ridicola e fin troppo scomoda per permettergli anche solo di pensare ad un'atmosfera adatta a quel genere di cose; dall'altra solo il fatto che si fosse messo a riflettere sulle atmosfere gli faceva capire piuttosto chiaramente cosa avrebbe davvero voluto fare. Il suo cervello proprio non l'aiutava, facendogli saettare davanti agli occhi immagini decisamente poco caste, alcune reali, altre solo frutto di fantasticherie decisamente troppo scomode per poter essere prese in considerazione.

“Se non ti va di farlo devi solo dirlo.” Natasha aveva trattenuto il respiro fino a quel momento e adesso suonava scocciata. Doveva essersi pentita dell'audacia della proposta e indispettita per il silenzio che aveva ricevuto in risposta.

“Non ho detto che non mi va di farlo.” Gli andava?

“Allora cosa c'è che non va?” Insisté.

“Non c'è niente che non va, ma dubito vivamente che nelle tue condizioni fare sesso sia la cosa più indicata.” Aveva detto la prima cosa che gli era passata per la testa. Non voleva approfittare della situazione solo perché le aveva consigliato di rilassarsi.

“Nelle mie condizioni?”

“Potrebbero strappartisi i punti o... o qualcosa del genere.”

Piombò un silenzio ostinato, interrotto solamente dal respiro accelerato di Natasha. L'aveva fatta incazzare: aveva capito di aver detto la cosa sbagliata.

“Nat?” La richiamò dopo un lunghissimo attimo.

“Buonanotte, Barton.”

Si maledì e chiuse gli occhi, ignorando in qualche modo il battito furioso del proprio cuore.

 

*

 

La tensione non fece che crescere durante la seconda tappa. Si erano incamminati nel tardo pomeriggio, dopo aver mangiato un paio di scoiattoli che Clint era riuscito a cacciare nella speranza di schiarirsi un po' le idee. Ufficialmente.

Ufficiosamente invece aveva sperato che tirare con l'arco potesse fargli dimenticare il sogno che aveva fatto, sogno che coinvolgeva Natasha e un elenco talmente lungo di cose che gli ci sarebbero volute due ore per confessarle tutte ad un prete in cambio dell'assoluzione. Sempre che il confessore avesse voluto concedergliela.

Durante il tragitto aveva cercato di non guardarla tanto spesso, perché gli bastava lanciarle una rapida occhiata e tutte le immagini di quello stupido sogno andavano a riaffastellarglisi davanti agli occhi, implacabili e talmente vivide da fargli bruciare le orecchie per l'imbarazzo. Si era svegliato eccitato e si era chiesto per tutto il tempo se Natasha se ne fosse accorta.

Riandò alla conversazione della mattinata precedente almeno un centinaio di volte durante il viaggio, la rigirò da ogni angolazione e la riprovò con battute ed esiti diversi. Ma dirle di sì non sarebbe stato giusto... anche solo figurandosela, la scena, gli rimaneva un sapore amaro in fondo alla bocca.

E poi all'improvviso, voltandosi per accertarsi che lo stesse seguendo e magari rallentare senza farsi notare, si accorse che Natasha non c'era più. Tornò rapidamente sui suoi passi e la trovò seduta sul ciglio della strada sterrata che passava in mezzo ai campi, intenta a tastarsi il fianco.

“Dev'essersi riaperta,” lo informò a voce bassa, contrariata, mostrandogli la mano macchiata. Anche se c'era solo luna ad illuminarla, Clint non stentò a riconoscere il sangue che le imbrattava le dita.

“Dobbiamo fermarci da qualche parte,” disse, guardandosi attorno. Solo fattorie e casolari a perdita d'occhio, ma trovarne uno vuoto sarebbe stato difficile.

“Posso continuare ancora per un po'.” Quel un po' le aveva fatto guadagnare un'occhiata strana. Possibile che le sue pretese si fossero fatte d'un tratto realistiche?

Restarono a guardarsi negli occhi, in silenzio, e Clint non poté fare a meno di chiedersi se stesse pensando a quella mattina, se non lo detestasse per il modo in cui l'aveva rifiutata. Non l'avrebbe biasimata, c'era già lui a detestarsi a sufficienza per tutti e due.

L'aiutò a rimettersi in piedi e Natasha non protestò quando Clint le passò un braccio attorno alla vita per sorreggerla. Per i primi passi era rimasta rigida contro di lui, come indecisa se fidarsi o meno di quell'inaspettato e indesiderato appoggio.

Ma dopo qualche minuto la sentì abbandonarsi, accettare il sostegno e appoggiargli tentativamente un braccio attorno alle spalle per facilitargli le cose.

Scoprì che il buon odore di lei, la cadenza irregolare del suo respiro, a malapena percepibile, non erano poi così semplici da ignorare.

 

*

 

Il tetto del fienile aveva un buco che lasciava intravedere un fazzoletto di cielo trapuntato di stelle. Natasha si era coricata contro la parete opposta, le spalle schiacciate al legno; all'inizio Clint aveva pensato che avesse voluto mettere la maggior distanza possibile tra lui e se stessa, ma poi aveva capito che quel punto in particolare offriva la postazione migliore nel caso qualcuno – il proprietario del granaio, ad esempio – li avesse sorpresi, nascosti com'erano nel sottotetto.

Era buio quando avevano deciso di infilarsi là sopra e lo era ancora quando Clint fu di ritorno dopo una breve spedizione di ricognizione alla ricerca di cibo. L'aveva trovata con un rozzo ago in mano mentre tentava di ricucirsi da sola la ferita e non si era risparmiato una serie di coloriti insulti a cui la donna non aveva risposto. Quel silenzio, Clint aveva intuito, era un modo di dargli suo malgrado ragione.

L'aveva trascinata sotto la falla del tetto, dove la luce della luna era più intensa, e l'aveva costretta a star ferma mentre le rimetteva i punti. Non l'aveva mai fatto prima d'allora – e Natasha doveva essersene accorta – ma si era comunque sforzato di imitare quelli che erano stati i gesti del dottore sull'imbarcazione dei contrabbandieri. Alla nuova fasciatura ci aveva pensato da sola, invece, mentre Clint si occupava di mettere insieme la cena composta da un assortimento di frutta e bacche.

Si erano coricati subito dopo senza dirsi di niente, lei decisamente troppo stanca per intavolare una qualsiasi conversazione, lui con le mani che ancora gli tremavano per la sutura.

Eppure, adesso che era immobile a fissare quella porzione di cielo che andava schiarendosi progressivamente, sapeva che Natasha non stava dormendo. Teneva gli occhi chiusi e qualcosa gli diceva che avesse persino regolato il respiro per fingere la cadenza del sonno; ma era sveglia.

Restò in ascolto, indeciso sul da farsi, la testa che gli si riempiva della conversazione del giorno precedente e di tutte quelle scene indecenti che si era immaginato e che adesso lo tormentavano. Fosse stato un tantino più lucido si sarebbe sforzato di pensare a qualsiasi altra cosa, cose schifose, tristi o disgustose – qualsiasi cosa fosse in grado di far sparire quel familiare prurito tra le gambe – ma per quanto si ostinasse, provando e riprovando, la consapevolezza andava a ricadere sempre e comunque lì.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato quando si alzò per andare a raggiungerla all'altro capo del solaio. Le si distese di fianco e gli occhi di Natasha si aprirono per fissarlo, svegli e privi dello smarrimento del sopore bruscamente interrotto.

“Che fai?” Gli chiese in un soffio, il sopracciglio inarcato a sottolineare la sua perplessità.

“Non stai dormendo,” le disse. Non la stava guardando, ma lei stava guardando lui.

“Tu neanche,” obiettò.

“Voglio provare una cosa,” finì per pronunciare prima che potesse anche solo ripensarci.

“Cosa?”

“Una cosa,” ripeté, evasivo. Si voltò per cercare i suoi occhi – gli parvero più profondi e scuri del solito, pieni di domande a cui non aveva voglia di risponderle. Non adesso. “Se non ti piace, basta che lo dici e mi fermo,” aggiunse.

Quello che seguì gli parve il minuto più lungo della sua esistenza... e ce n'erano stati diversi da che Natasha era entrata nella sua vita. O forse lui nella sua. Alla fine la donna annuì, un gesto leggero e a malapena percettibile.

Clint lo prese come il via libera di cui aveva bisogno. Le sollevò leggermente la camicia per scoprirle l'agganciatura dei pantaloni; tirò delicatamente i fili annodati che li tenevano chiusi, muovendosi in modo abbastanza lento da permetterle di fermarlo se avesse sentito il bisogno di farlo.

Ma non successe niente del genere: Natasha continuò a guardare alternativamente lui e le sue mani, come se non capisse dove volesse andare a parare. La vide sgranare un poco gli occhi quando fece sparire le dita oltre il bordo dei pantaloni, delicato e deciso insieme. La pelle del suo basso ventre era morbida, liscia e calda sotto i polpastrelli; gli bastava toccarla perché si punteggiasse di brividi, perché Natasha trattenesse il respiro.

Scese lungo la curva dell'interno coscia per poi addentrarsi verso l'inguine, senza fretta. La sfiorò, delicatamente dapprima, e poi in modo un po' più ruvido quando capì che le piaceva, che aveva dischiuso le gambe per lasciargli più spazio e agevolargli le cose.

Non aveva esattamente preventivato che lo sguardo di lei gli facesse quell'effetto. Che le sue labbra si separassero in quel modo per lasciar passare i suoi sospiri, che le guance le si colorassero, che gli occhi le si facessero più lucidi, che i suoi fianchi si muovessero a ritmo con la sua mano, che la voglia di farla impazzire potesse farsi così intensa e totalizzante. Se si soffermava a pensare a cosa stavano facendo poco prima (fingere di dormire) e quello che stavano facendo ora (non... fingere di dormire?), si sentiva un tantino ubriaco.

Si interruppe solo per un attimo e come in trance, avvicinandole le dita alla bocca. Non dovette dire niente perché l'aprisse un po' di più, perché gli lasciasse inumidirsi i polpastrelli sulla sua lingua prima di far risparire la mano tra le sue cosce.

Mentre faceva scivolare un dito dentro di lei, sentendola irrigidirsi un poco, gli parve impossibile che qualcuno fosse capace di resisterle. La curva sinuosa del suo corpo, il modo in cui piegava il capo all'indietro contro l'assito del soppalco, quello in cui si rilassava, permettendogli di andare un po' più a fondo, a muoversi lentamente dentro di lei, in quel calore umido e dannatamente invitante.

Avrebbe potuto guardarla per ore mentre si sforzava di trattenere il respiro, di bloccare l'aria che voleva sgorgarle tra le labbra sotto forma di gemiti sottili, mentre andava incontro ai suoi movimenti coi propri, per chiedergli di più, più forte, più veloce, più deciso.

Più intensificava le sue attenzioni e più l'espressione sul suo viso si faceva deliziosa, così diversa dalla Natasha a cui si era abituato, eppure così simile a quella che aveva immaginato, che gli aveva fatto compagnia nei suoi sogni. Sprofondò il viso nell'incavo del collo di lei, inizialmente con l'idea di baciarla, ma quando si trovò a sfiorare quella pelle così morbida con le labbra non poté far altro che morderla senza farle male e succhiarla e sentirla tremare in tutto il corpo.

Gemeva soffocata, adesso, e gli aveva afferrato il polso per esortare i suoi movimenti, forse per manovrarlo a suo piacimento. Si lasciò condurre e smise di guardarla, perché – intuì – era così che si sentiva più libera.

“Sta' ferma,” le sussurrò in un orecchio; si stava agitando troppo e non voleva che i punti saltassero di nuovo.

Sembrò bastare quello perché i suoi muscoli si irrigidissero e il respiro le si mozzasse in gola. Un sospiro distorto le sfuggì prima che la bocca si richiudesse, i denti affondati nel labbro inferiore a ristabilire frettolosamente l'ordine. L'orgasmo la scosse inaspettatamente, come un'onda impetuosa che si ritirò dopo pochi attimi, lasciandosi alle spalle un piacevole intorpidimento. La sentì rilassarsi e allentare la presa sul suo polso, che pure non smise di trattenere.

Aspettò un poco prima di rialzare il capo e concedersi di guardarla – la sensazione andò a finirgli dritta tra le gambe con più decisione di quanto si fosse aspettato. Natasha aveva riaperto gli occhi e lo osservava con soddisfatta vacuità.

Sarebbe rimasto lì per sempre, ma lei aveva ripreso a fargli salire la mano sul braccio e alla spalla, mentre con l'altra accennava a tirargli fuori la camicia dai pantaloni. Si ritrasse, allora, bloccandole le mani con le sue e scuotendo a malapena il capo.

“Non ce n'è bisogno,” le disse. “Dormi.”

Non seppe dove diavolo trovò la dignità per alzarsi e tornare al suo posto, ma lo fece, sotto lo sguardo confuso di Natasha che però non disse niente. Si riaccoccolò al suo posto, tentando di ignorare la propria eccitazione, sforzandosi di pensare a qualsiasi cosa che non fosse il calore umido di lei, i colori accesi del suo viso congestionato.

 

*

 

Si erano rimessi in cammino nel pomeriggio, quando Clint si fu accertato che i proprietari del fienile – e della fattoria adiacente – non fossero nei paraggi. Sgattaiolarono via, tagliando attraverso i campi battuti dal sole, stando alla larga dai fossi ombrosi in cui i contadini riposavano dopo il lavoro.

Avevano di nuovo deviato verso sconnesse strade secondarie, infilandosi tra la vegetazione tutte le volte che Clint avvistava qualcuno proveniente dalla direzione opposta: dopotutto era ancora un ricercato e lasciarsi coinvolgere in uno scontro in piena regola non gli andava affatto.

Natasha si era rivelata essere taciturna come sempre – non che Clint si aspettasse che gli avvenimenti della notte precedente l'avrebbero cambiata radicalmente. La sua andatura era più rapida, però, e più agevole del solito. Provava un certo piacere nel vedersi rivolgere certi rapidi sguardi confusi, quando lei credeva che non fosse attento o che stesse guardando altro.

All'inizio gli era sembrato di avere la situazione in pugno, ma poi si era ritrovato a ripensare alla sera precedente e a mettersi in difficoltà da solo. In quei casi prendere casualmente a calci i sassi sulla strada e fingere interesse per gli insetti che andava scovando era un buon modo di distrarsi. Aveva gongolato, poi, quando aveva realizzato che Barney – quello che ricordava lui, almeno – a sentirsi raccontare l'impresa, gli avrebbe tirato una manata sulla spalla e si sarebbe complimentato insultandolo contemporaneamente (Barney in questo era un maestro), prendendolo in giro per il suo indefesso altruismo.

Quel pensiero invece che agitarlo aveva il sapore della pacificazione. Forse il fratello con cui era cresciuto non esisteva più in carne ed ossa, ma viveva nella sua testa e interveniva tutte le volte che le cose si facevano troppo seriose o troppo scomode. Un pezzo di Barney sarebbe sempre stato con lui, che Clint l'avesse voluto oppure no. E adesso, adesso che finalmente aveva distrutto la barriera che aveva eretto in tutti quegli anni per arginare il senso di colpa, i ricordi fluivano liberi, gli aneddoti riprendevano vita davanti ai suoi occhi, e le voce di quel fratello tredicenne e impertinente gli risuonava nella testa, pungente proprio come era suonata alle sue orecchie bambine.

Era stato al calar della notte che avevano sentito un buon profumo d'arrosto nell'aria. Avevano deciso di dirigersi in quella direzione, magari trovare il modo di rubare un po' di carne col favore delle tenebre. Ma quando il chiacchiericcio di fondo era andato intensificandosi e non appena si erano accorti che era verso un accampamento militare che stavano andando ad infilarsi, si erano arrestati di colpo. Erano tornati sui loro passi senza aver bisogno di deliberare un bel niente e si erano affrettati a reimmettersi su una strada meno pericolosa.

 

*

 

Proseguirono fino all'alba, finché non decisero di fermarsi in quello che aveva l'aria d'essere il capanno degli attrezzi di una chiesetta sgangherata. Dovettero forzare l'ingresso e l'interno era così polveroso e in modo talmente uniforme da convincerli che nessun prete o altro essere umano avesse più messo piede là dentro da diverso tempo a quella parte.

Consumarono la loro cena in silenzio – formaggio e pane stantio che erano riusciti a sottrarre dal carro stracarico di un contadino panciuto, troppo preso a sbraitare contro il suo domestico per prestar loro attenzione. Ne avevano visti diversi lungo la strada: tutti impegnati a raggiungere la capitale per la festa della corona, a vendere i propri prodotti e magari a farne dono a qualche potentato del regno per ingraziarselo.

Clint si rammaricò che gli unici rabboniti da quel pane fossero due pseudo criminali spiantati, ma poi ripensò al modo in cui il contadino aveva maltrattato il suo garzone e si sentì un po' meno in colpa.

Finirono rapidamente di rifocillarsi e poi misero insieme un giaciglio per le ore successive. Si erano coricati distanti senza riuscire a prender sonno. Era stata lei a muoversi per prima e a riposizionarsi accanto a lui – non dovette dire niente per fargli capire che avrebbe voluto che rifacesse la stessa cosa della notte precedente.

Clint l'accontentò, beandosi del buon profumo della sua pelle, della leggera patina di sudore che le ricopriva il collo. Stavolta dovette trattenersi per non cedere alla tentazione di baciarla.

Natasha gli si era stretta contro, appoggiando la fronte sulla sua spalla per impedirgli di guardarla in faccia. I loro corpi erano stati vicinissimi, ma quando lei accennò a ricambiare il favore, Clint fece di nuovo cenno di no col capo, ricevendo in cambio l'ennesima occhiata confusa.

Eppure Natasha non tentò di convincerlo: sembrava stranita e, a tratti, aveva negli occhi soddisfatti un'arrogante aria di sfida, come se fosse convinta che quella fosse tutta una pagliacciata per impressionarla e che prima o poi sarebbe tornato a batter cassa, a riscuotere ciò che gli era dovuto. Ma durò solo pochi attimi, poi il suo sguardo si placò – per quanto potesse essere placato lo sguardo di Natasha – prendendo tacitamente atto del suo diniego.

Si addormentarono in fretta, lei più di lui.

 

*

 

La quarta notte di viaggio durò meno del solito. Evitare la carovane di gente, carri e animali, dirette alla capitale era diventato praticamente impossibile. Si erano dovuti accodare ai viaggiatori notturni – lunghi serpenti scuri che seguivano l'andamento della strada – tenendosi comunque in disparte sul lato della via, i cappucci calati sugli occhi per impedire che il chiaro di luna facesse troppi danni.

Non era ancora l'alba quando le sterminate mura di cinta della città si delinearono sul fondo della strada, grosse torce a punteggiarne il sinuoso snodarsi. I soldati a guardia delle porte ancora chiuse erano numerosi: avrebbero sicuramente perquisito chiunque entrasse nella capitale, controllando il carico e chiedendo di specificare le ragioni della visita.

“Non passeremo da lì,” gli disse Natasha, tirandolo leggermente in disparte.

C'era un bambino che piangeva disperatamente da qualche parte alle loro spalle. Qualcun altro cantava sommessamente davanti a loro, e pigre conversazioni non avevano smesso un attimo di formicolare tutt'attorno durante l'avanzata. Sembrava che la grande festa in maschera organizzata dal re al palazzo reale fosse l'argomento di conversazione preferito: il sovrano avrebbe scelto venti popolani perché partecipassero al sontuoso evento. La donna pettoruta accanto a loro giurava che l'onore fosse capitato a sua cugina cinque anni prima, un vecchio più avanti assicurava che lui c'era stato personalmente per ben due volte, altri ancora avevano condiviso le esperienze trasmesse loro da amici di amici di cugini e parenti lontani. Poi tacevano e malignavano sull'improbabilità l'uno del racconto dell'altro.

“Ah no?”

“C'è una scorciatoia.”

Si mimetizzarono tra la gente assiepata attorno alle mura, come in una sorta di patetico assedio che i soldati del re avrebbero potuto schiacciare ad occhi chiusi. Se solo il re li avesse avuti ancora dalla sua parte, s'intende.

Raggiunsero le mura, possenti ed enormi e le seguirono finché invece della pietra non incontrarono una mezzaluna di sbarre: una grata.

Inspirò a fondo e l'odore forte e nauseabondo che gli riempì le narici fu tutta l'informazione di cui ebbe bisogno.

Poteva esserci un modo migliore di salutare il giorno nascente che con una bella passeggiata nelle fogne?



Note: ultimo capitolo di *pausa* dedicato al viaggio fino alla capitale... niente di meglio di un sano passatempo per ingannare le ore, no? *ahem* Diciamo anche che è l'ultima chance per i nostri di conoscersi, perché dal prossimo capitolo si chiariranno molte cose e l'azione prenderà il sopravvento.
Intanto ringrazio chi legge & commenta, che mi fa sempre piacere, e la sociabeta Eli :*
Alla prossima settimana!
(◡‿◡✿)
 

 
  
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