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Autore: nettie    03/12/2015    1 recensioni
“tac tac tac.”
Ed era subito grande gioia, una fonte inesauribile d’amore, accorrevo alla porta e l’aprivo ancor prima che lei suonasse o potesse anche solo pensare di infilare la chiave nella serratura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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Non potrò mai dimenticare il ticchettio dei suoi tacchi, quel ticchettio che ogni singola sera annunciava il suo rientro a casa. Il tacco è la scarpa femminile per eccellenza, e ne puoi trovare di tutti i tipi in giro: lei ne aveva tanti, ma tanti che a stento riuscivano ad entrare nella scarpiera. Di tutte le altezze, modelli e colori: era una vera e propria esplosione di femminilità. Ne andava più che fiera: curava ogni singolo paio con cura maniacale, li mostrava fieri alle amiche, e Dio solo sa quanto fosse bella ogni volta che si ritrovava ad indossarli, e con quale classe sapeva camminare su quei due spilloni! Una classe inaudita che ogni singola volta rapiva non solo il mio di sguardo, ma quello della maggiorparte della gente attorno a noi. Il rumore che creava ogni volta che ci camminava era non indifferente, ma io ne ero malato, era una dipendenza, una specie di droga che mi ha trascinato giù. Era un ticchettio costante, dal tono dolce ma allo stesso tempo austero, e a lungo andare diventava così terribilmente sensuale, mai monotono: il suono di Donna.

Quel ticchettio era ormai diventata una dolce abitudine della quale non potevo fare a meno. Tutti i giorni a tutte le ore, ogni singola sera prima che lei aprisse la porta di casa sentivo il suono dei suoi passi riecheggiare per la tromba delle scale.

Mi dava quasi fastidio il fatto che lei, gli ultimi tempi, indossasse delle usurate scarpe da ginnastica per sentirsi più comoda, per alleviare quei costanti dolori che sentiva ormai in tutto il corpo, quei dolori che alla fine l’hanno portata via da me. Non che mi desse quasi fastidio - più che altro, è stato terribilmente doloroso vedere una donna così bella appassire piano piano e nel peggior dei modi, appassire fra le mie braccia senza che io abbia mai potuto fare niente. Le carezzavo i capelli ogni singola notte prima che si addormentasse, il suo fiato era pesante e il respiro si faceva via via sempre più irregolare, mi svegliavo costantemente per accettarmi del suo stato, ormai non dormivo bene da anni. Era un continuo ed estenuante dormiveglia, notti cariche di preoccupazione e dolore che bene o male superai tutte, fino all’ultima.

 

Ricordo ogni singolo giorno come se fosse ieri.

 

“tac tac tac.”

 

Ed era subito grande gioia, una fonte inesauribile d’amore, accorrevo alla porta e l’aprivo ancor prima che lei suonasse o potesse anche solo pensare di infilare la chiave nella serratura. L’accoglievo con il migliore dei sorrisi e lei si fiondava immediatamente fra le mie braccia, togliendosi allo stesso tempo con un gesto ormai meccanico ed abituale i vertiginosi tacchi sui quali era abituata a camminare da ormai anni interi. Era a dir poco idilliaco il sorriso che mi rivolgeva ogni volta che tornava a casa varcando la soglia di quella porta, e magicamente le nostre labbra finivano per unirsi le une alle altre, quel bacio che ormai segnava l’inizio della serata, quella vera.

Era tutto un susseguirsi di abitudini più che dolci, quelle abitudini che ti entrano nel cuore senza che tu te ne accorga minimamente, ma erano di quelle abitudini che quando si assentano sembra che tu non abbia più niente da fare in tutta la tua vita. Erano le nostre abitudini, e ora più che mai ne sento una profonda nostalgia che nasce nello stomaco, giù, sale e non può far altro che trasformarsi in lacrime amare - amarissime.

Non ricordo la mia donna con altre paia di scarpe, in vent’anni di meravigliosa conoscenza. Era piccola e magra, ogni singola curva si trovava al posto giusto e più che una semplice donna come tante sembrava una deliziosa bambolina con un viso dai tratti diafani e la pelle di porcellana. Aveva gli occhi grandi e scuri, tondeggianti, quasi simili a due pozzi di petrolio nei quali sarei annegato volentieri. Quante giornate perse a guardarla negli occhi ed ammirare ogni singola sfumatura del suo sguardo, quante?

Ricordo i vestiti in pizzo che era solita indossare nella bella stagione, ricordo ogni singolo paio di sandali con la zeppa vertiginosa, ricordo l’odore di fresco che lasciava ogni qualvolta passasse. Ricordo i suoi riccioli biondi come mio unico e prezioso tesoro, ricordo le sue mani piccole ed affusolate, il nasino all’insù e le guance rosee. Ricordo ogni singolo cambiamento che fece nel corso della nostra vita; il primo lavoro, la prima casa, il primo regalo e le prime promesse. Tengo tutto stretto al petto come se i ricordi dovessero sbiadire all’improvviso ed abbandonare il mio animo già assai tormentato, e ogni singolo frammento non fa altro che accrescere il dolore, forse il rimpianto che si cela in me. Chiudo gli occhi e stringo i pugni per mandare indietro le lacrime, so bene quanto lei non vorrebbe vedermi piangere, ma come posso reprimere i sentimenti quando mi trovo in una casa buia e polverosa, solo, sofferente?

Da quando non se ne è andata, niente è più lo stesso. Tornare a casa dal lavoro ha perso tutto il suo gusto, e ogni singolo giorno, al tramonto del sole e al sorgere della luna, mi ritrovo seduto al centro di un divano sperando di sentire per un qualche strano miracolo il suo suono, quel ticchettio al quale sono stato appeso per anni interi come se fosse l’unica cosa che mi desse energia per vivere. Mi sento un povero illuso perché non ho fatto altro che farmi false aspettative fino all’ultimo, perché non ho mai smesso di credere che ce l’avrebbe fatta, che prima o poi avrebbe vinto contro quel maledetto malessere che l’ha consumata troppo velocemente. Mi sento tristemente tormentato e non riesco a trovar pace da giorni interi, mesi che fanno male più di una spada nel petto.

Allora non mi rimane nient’altro che far fuoriuscire le lacrime che tanto hanno chiesto attenzione, insistentemente, senza ripensamenti di ogni genere.

 

“tac tac tac”.


 
   
 
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