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Autore: LaMusaCalliope    05/12/2015    9 recensioni
Partecipa al concorso "Ed è subito Natale" del gruppo facebook "EFP famiglia: recensioni consigli e discussioni".
Consegna:Scrivere una storia di una persona che fa in modo che dei bambini di un orfanotrofio festeggino il Natale come si deve.
Michael è un ragazzo orfano che ha vissuto anni della sua vita in un piccolo orfanotrofio nella periferia di Londra. Sa cosa vuol dire non poter passare un Natale come si deve e così, proprio come gli anni passati, decide di trascorrere il suo Natale con i bambini dell'orfanotrofio, con l'intento di renderlo più sereno e felice.
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Era il pomeriggio della Vigilia e Michael stava impacchettando gli ultimi regali da portare in orfanotrofio. Ci andava spesso Michael, da quei bimbi che il destino aveva abbandonato, affidandoli alle esperte cure delle suore che gestivano la struttura. Erano una ventina in tutto, i bambini che ci vivevano, quelli che i genitori non li avevano più, morti troppo presto; quelli che erano stati lasciati da una giovane madre che non era ancora pronta ad avere un figlio. Michael passava con loro pomeriggi interi, a inventare giochi e raccontare le favole. Perché Michael lo sapeva come ci si sentiva; sapeva cosa voleva dire vivere senza una vera famiglia. Lui lo sapeva perché anche lui aveva passato anni della sua vita chiuso in quelle quattro mura che trasudavano umidità, aspettando l’arrivo di due persone che avrebbe potuto finalmente chiamare genitori. Nel ritorno dei suoi non poteva sperarci; se li era portati via un incidente sulla A183, mentre lui, a nemmeno un anno, era rimasto a casa della nonna in quella fredda e piovigginosa vigilia di Natale.

Michael mise il nastro all’ultimo pacchetto, quello per la piccola Amelia, che amava tanto leggere e ascoltare i suoi racconti. Aveva solo sette anni ma ne dimostrava un paio di più quando la si vedeva seduta in un angolino, concentrata sulla storia avvincente, con il nasino all’insù tra le pagine profumate dei libri.
Si affacciò alla finestra del suo monolocale a Londra: nevicava abbondantemente e tirava un vento impetuoso. Era il tempo perfetto che corrispondeva alla sua idea romantica della Vigilia. Mise i pacchetti in una sacca di iuta e uscì. L’orfanotrofio non era lontano, si trattava di camminare per soli dieci minuti a piedi, ma ci mise il doppio del tempo, rallentato come era a causa della tempesta.
Per le strade si sentiva l’odore dei dolci che cuocevano morbidi nei forni, le risate gioviali dei bambini e il chiacchiericcio degli adulti, tutto attutito dalla neve bianca che cadeva placida e si accumulava in montagnole ai lati delle vie.
Michael svoltò l’angolo, sbucando in un viottolo buio, illuminato solo dalle poche luci accese dell’orfanotrofio in fondo alla strada; davanti al cancello c’era un gruppetto di bambini, stretti nei loro cappotti e cappelli, che cantava Jingle Bells. Non appena lo videro, le loro faccette arrossate dal freddo pungente si distesero in tanti sorrisi caldi e sinceri; smisero di cantare e gli corsero incontro salutandolo e abbracciandolo.
- Miky, hai sentito come abbiamo cantato, eh? Hai sentito, hai sentito? – un bambinetto dai capelli rossicci e gli occhi verdi, con delle simpaticissime lentiggini sul naso, gli stava trotterellando intorno, assillandolo come era suo solito. Era Eddy, il più allegro del gruppo.
- Sì, Eddy. Ho sentito! Siete stati tutti bravissimi! Che ne dite se entriamo e mi aiutate a fare l’albero? – i bimbi urlarono dalla felicità e lo seguirono all’interno dell’orfanotrofio, dove li accolse un vassoio pieno di tazze di bollentissima cioccolata calda.
Suor Theresa, che si occupava dei bambini ed era a capo della struttura, gli sorrise non appena lo vide entrare e gli andò in aiuto, sollevandolo dal carico del sacco di iuta che portò in una stanza, lontano dalla vista dei bambini che già avevano iniziato ad incuriosirsi.
- Michael, che bello vederti. Gli scatoloni con le decorazioni e l’abete sai dove trovarli. Vado a chiamare Ester per darti una mano. -
Suor Theresa salì le scale e sparì, lasciando Michael davanti alla porta dello scantinato, rosso e agitato. Ester era l’unica ragazza ancora ventenne che non aveva abbandonato l’orfanotrofio. Erano cresciuti insieme quei due e da piccoli si erano divertiti un mondo ad inventare storie e avventure per mascherare la triste realtà che li circondava. Quando era all’orfanotrofio, Ester era stato il suo raggio di sole nell’oscurità, aveva reso felici i suoi giorni tristi. Il ragazzo aveva capito che, col tempo, quella che credeva amicizia si era trasformata in un amore segreto che ancora, dopo tutto quel tempo, viveva in lui.

Micheal entrò nello scantinato. C’era puzza di chiuso. Accese la luce. Era pieno di legna da ardere, sapeva quanto Suor Theresa amasse fare scorta ma non aveva mai visto così tanti ciocchi di legno in un solo posto finora. Poi, in un angolino buio circondato da nastri rossi, c’era il piccolo abete; non di quelli veri che si vanno a tagliare con un’ascia in spalla il giorno della Vigilia, quello l’orfanotrofio non poteva permetterselo. Quello che Michael aveva davanti era un abete di piccole dimensioni con i rami e tutto il resto fatto di plastica e materiale sintetico. A vederlo così, spoglio e senza lucine colorate, dava un senso di tristezza.
Michael lo tirò su e lo portò in una stanza dove i bambini stavano bevendo la cioccolata.
- Bambini, è il momento di decorare l’albero! Chi mi dà una mano? Venti piccole manine si alzarono in aria, scattando. Michael li divise in gruppetti e assegnò ad ognuno di loro un compito: chi doveva districare i rami, chi i fili d’angelo, chi raggruppava le palline rosse separandole da quelle blu e verdi; Michael e Ester si occuparono delle lucine colorate, avvolgendole attorno all’albero. Suor Theresa aveva acceso la radio intanto e nell’aria si erano diffuse le note delle più belle canzoni natalizie.
I bambini si divertirono tantissimo, soprattutto quando venne la volta dei fili d’angelo, la piccola Susy se ne era legato uno sulla testa, come se fosse una coroncina. Michael la prese in braccio e iniziò a volteggiare sulle note della canzone in sottofondo, la bimba che rideva felice tra le sue braccia.

Per tutta la serata decorarono l’orfanotrofio con ghirlande e con palline colorate; quando Michael se ne andò era ormai tarda notte e la neve cadeva ancora. Ester lo accompagnò alla porta, accostandola alle sue spalle per non svegliare i bambini che già dormivano beati nei loro lettini.
- Sei stato carino a passare oggi. I bambini ti adorano. – gli disse la ragazza, sorridendo timidamente.
- E io adoro loro. So cosa vuol dire stare qui dentro e voglio che loro passino questo periodo nel migliore dei modi. – Ci fu una pausa che aspettava di essere interrotta da quelle parole che si ripetevano da ormai due anni. – Vieni via, Ester. Puoi vivere a casa mia, non saresti un peso e questo lo sai. Siamo grandi e possiamo gestirla insieme. – ma Ester già scuoteva la testa con un sorriso amaro. Lo guardò dritto negli occhi e Michael sentì di nuovo le farfalle nello stomaco, un effetto che aveva imparato ad amare.
- Non posso abbandonarli, te l’ho già detto. La piccola Susy, Eddy… ne soffrirebbero troppo. – gli lasciò un tenero bacio sulla guancia, sussurrando “buonanotte” e si richiuse la porta alle spalle, sparendo all’interno di quel triste edificio per l’ennesima volta.

Quando quel pomeriggio Michael si svegliò, dopo una mattina passata a decorare la sua di casa, si sentì riposato e felice. Uscì con calma dall’involucro caldo di coperte e lenzuola, indossò le pantofole e guardò fuori dalla finestra: la neve della sera prima, e anche della mattina, si era tutta depositata ai lati delle strade dove c’erano bambini felici che giocavano, costruivano pupazzi o si trascinavano dietro uno slittino, salendo su un’alta montagnola e poi scivolare giù.
Michael sorrise nel vedere quella spensieratezza e felicità. Solo allora si ricordò che era il giorno di Natale e quindi lo aspettavano all’orfanotrofio per la cena. Volò in bagno e aprì i rubinetti del lavandino, facendo scorrere l’acqua fino a che non arrivò calda. Si fece la barba velocemente e poi una doccia. Sarebbe dovuto essere all’orfanotrofio alle sei e gli rimanevano solo venti minuti per prepararsi e andare. Non appena fu vestito iniziò la caccia al regalo per Ester; gli aveva cambiato posto quella mattina ma ora non ricordava  dove l’avesse messo. Dopo che furono passati dieci minuti e lui aveva già iniziato a mettersi le mani nei capelli, spettinandoli, ebbe il lampo di genio. Si catapultò nella sua stanza e guardò sotto il letto: il pacco era lì, viola e con i nastri bianchi. Lo tirò fuori e controllò l’orologio, ancora cinque minuti. Indossò velocemente il cappotto e il cappello e si diede uno sguardo allo specchio: i capelli scuri spuntavano da sotto il berretto di lana, finendogli davanti agli occhi ancora più neri e il cappotto stretto gli fasciava il corpo magro e poco atletico. Ripensò a quando, da bambino, osservava la sua immagine allo specchio, vedendovi riflesso un supereroe che avrebbe salvato Ester dalla solitudine e dalla tristezza. Michael scosse la testa al ricordo della sera prima e uscì di casa a passo veloce, dirigendosi verso l’orfanotrofio.

Quando il campanello suonò, Suor Theresa si reggeva in bilico tra due vassoi pieni di carne e verdure.
- Ester vai ad aprire. Sarà sicuramente Michael. Portalo in cucina! – La ragazza fece ciò che le era stato detto. Michael era davanti a lei, le guance rosse per il freddo, i capelli che spuntavano dal cappello in disordine a causa del vento, tra le mani la busta col costume di Babbo Natale e una scatola di una pasticceria. Michael sorrideva con quel suo sorriso furbo che l’aveva sempre affascinata, con quegli occhi sempre allegri ma che celavano una punta di tristezza. Ester ricambiò il sorriso e lo fece entrare, alleggerendolo della scatola con il dolce, senza riuscire a resistere ad aprirla: era una torta semplice, ricoperta dalla pasta di zucchero rossa, la sua preferita.
- Tu sì che mi conosci, amico mio. – si diressero in cucina, dove Ester posò la torta.
- Ester, ricordati che è per i bambini. Non mangiarla tutta. – la ragazza alzò gli occhi al cielo e prese un coltello. – Avanti, Miky. Solo un pezzettino. Ti ricordi, quando eravamo piccoli ne rubavamo fette intere a Suor Theresa. E lei come si arrabbiava! “Non è solo per voi, dovete imparare a condividere …” – fece una perfetta imitazione mentre parlava con la bocca piena di dolce. E come chiamata in causa, ecco che la suora fece capolino dalla porta della cucina senza più alcun vassoio a riempirle le mani.
- Eravate così piccoli, all’epoca. Eppure, sembra quasi ieri quando vi rincorrevate su per le scale o quando, insieme agli altri bambini, passavamo insieme il Natale. – Suor Theresa si asciugò una lacrima solitaria che le era scesa sulla guancia ormai solcata da leggere rughe, sintomo che la vecchiaia era ormai inevitabile. Quel momento venne interrotto dall’arrivo di Amelia che, sempre con il naso tre le pagine di un libro quasi finito, affermò con risolutezza: - Ma quando arriva Miky? Ho fame e poi questo libro l’ho finito e ho bisogno di sapere come inizia l’altro! –
I tre nella stanza si guardarono e sorrisero. Alla fine fu proprio Michael a intervenire, correndole incontro e abbracciandola. La bimba lanciò delle proteste non appena il libro cadde a terra, ma iniziò subito a ridere di gusto quando Michael prese a farle il solletico. Le diede un sonoro bacio sulla guancia, facendola ridere ancora di più.
- Vuoi sapere come inizia il libro successivo? – le chiese. La bimba annuì convinta, pronta ad affrontare qualsiasi cosa. Michael prese un respiro profondo, facendo aumentare l’ansia della piccola.
- Facciamo che te lo raccontiamo io ed Ester appena finita la cena, insieme agli altri tuoi amici. – Michael la poggiò a terra, raccolse il libro e glielo diede. Amelia corse dagli altri bambini, saltellando allegra con il suo nasino sempre più immerso nelle profumate pagine del libro.

La cena fu, come gli anni passati, l’evento più divertente della giornata. I bambini mangiarono educatamente il loro Haggis che Suor Theresa era solita preparare per Natale, ma fu festa non appena arrivarono le patatine fritte e le cotolette.
- Avanti, bambini. L’Haggis non è poi così male! – ma le occhiatacce che i bimbi le rivolsero valsero come risposta. La suora alzò gli occhi al cielo, ma sorrise nel vedere i suoi ragazzi divertirsi; accadeva così poco spesso che sorridessero felici, senza il pensiero dei loro genitori che li avevano abbandonati. Adorava il suo lavoro, adorava donare felicità a quei poveri bimbi che non avevano nessuna colpa. Il suo sguardo si posò su Michael e Ester che ridevano e scherzavano: li aveva cresciuti lei quei due e le dispiaceva che Ester rimanesse chiusa in quelle mura che ormai non le appartenevano più. Aveva più volte parlato con la ragazza, cercando di convincerla, insieme a Michael, che era giusto che si facesse una vita al di fuori dell’orfanotrofio. La risposta era sempre la stessa: non voleva abbandonare i bambini. Come poteva darle torto? Lei era la prima a non avere nessuna intenzione di lasciarli in balia del destino, quei poveri orfani che riponevano in lei così tanta stima e fiducia. Guardò quelle piccole pesti mentre chiacchieravano, ridevano, giocavano, si rincorrevano; facevano tutto con una tale spensieratezza e allegria che Suor Theresa si chiese con quale coraggio le giovani donne che arrivavano alla loro porta abbandonassero i loro fagottini profumati e sereni, con quale coraggio dire loro che i genitori non sarebbero tornati a prenderli perché erano morti, perché non li desideravano affatto?
Eddy le si avvicinò, in mano aveva un fazzolettino e sopra, per metà insanguinato, c’era un piccolo dentino bianco.
- Suor Theresa! Mi è caduto! Ora passa la Fatina dei Dentini, vero? – la guardava con quel suo visetto sorridente e con una finestra proprio sul davanti, dove mancava il dente, speranzoso nella visita della Fatina e di un bel regalo. La suora ricoprì il dentino e lo mise al sicuro nella sua tasca; sorrise al bimbo.
-Ma certo! La Fatina dei Dentini verrà e, solo se avrai fatto il bravo, ti lascerà sotto il cuscino una monetina. – il bimbo gonfiò il petto d’orgoglio e affermò con assoluta sicurezza: - sono stato bravissimo, Suor Theresa. Lo giuro, mano sul cuore! – la suora rise, accarezzando la zazzera rossa di capelli che Eddy si ritrovava in testa.
- Lo so che sei stato un bravo bambino! – lo abbracciò forte e non appena lo lasciò, il bimbo corse saltellando dai suoi amichetti, mostrando fiero il buco sul davanti che aveva in bocca.

Dopo la cena, Ester e Suor Theresa furono impegnate in cucina a preparare muffin, mentre Michael rimase nell’enorme salone centrale, circondato dai bambini dell’orfanotrofio che lo guardavano ammirati mentre raccontava il finale della storia.
- … E il cavaliere corse verso il drago, la spada dritta davanti a se, pronto a scagliarsi contro l’enorme bestia. – i bimbi trattennero il fiato – Poi venne avvolto da una fiammata violenta, sembrava essere letale, ma il cavaliere era dotato da una resistente armatura impreziosita da bellissime pietre colorate che lo protesse dal caldo del fuoco. Il drago non si arrese: doveva impedire a quell’omuncolo di entrare nella torre e salvare la fanciulla. – si levò in alto una manina, quella di Amelia.
- E ci riesce alla fine? – chiese impaziente. Michael le sorrise. – Aspetta e lo saprai! Il cavaliere era sempre più vicino, la creatura sempre più infuriata. Dalla finestra della stanza più in alto della torre, la principessa osservava la scena, preoccupata per la sorte del suo salvatore. – tutte le bimbe dell’orfanotrofio erano col fiato sospeso – la fanciulla tentò una mossa disperata: afferrò un lenzuolo e lo lanciò sulla testa del drago, distraendolo per quei secondi che però permisero al cavaliere di impugnare la spada e conficcarla dritta nel cuore della bestia. – ci fu un applauso generale per le gesta del cavaliere e fu in quel momento che intervenne Ester.
- il prode cavaliere salì i gradini della torre, distruggendo la porta della stanza della fanciulla con un solo fendente. Lei era lì che lo attendeva, le braccia pronte per stringersi al suo salvatore. Non ci fu bisogno di parole, i due sembravano conoscersi da sempre. Il cavaliere prese in braccio la ragazza e la portò in salvo, fuori dalla torre, sistemandola sulla sella del suo fedele destriero. Quando anche lui fu salito, incitò il cavallo al trotto e si allontanarono così dalla prigione della fanciulla e dal corpo del drago ormai morto. I due si sposarono non appena arrivarono al castello di lui e vissero per sempre felici e contenti. – ci fu un mormorio di delusione tra i bambini e Eddy prese la parola: - Ma quindi non ci sono combattimenti e sangue e cose così? – Amelia lo guardò come se avesse appena affermato che il cioccolato non è il cibo più buono del mondo.
- È una storia d’amore, Eddy. Finisce che tutti si amano! – poi, dopo che Eddy ebbe sbuffato e incrociato le braccia al petto, la bimba si rivolse a Ester e Michael. – Quei due della storia siete voi? Vi sposerete e vivrete per sempre felici e contenti? – i ragazzi arrossirono violentemente e balbettarono delle giustificazioni, alla fine riuscirono a dire che no, non si trattava di loro. Amelia però non era del tutto convinta, Ester poteva vederlo dal suo sorriso e dal luccichio negli occhi. Doveva ammettere che la bambina l’aveva sorpresa con quella insinuazione; “per nulla scontata” aveva aggiunto mentalmente. Tra lei e Michael c’era sempre stato quello strano rapporto che non poteva essere amicizia ma nemmeno potevano essere detti fidanzati. Da parte sua, almeno da qualche tempo, il sentimento che provava nei confronti del ragazzo era mutato e degenerato in un folle amore. Non sapeva come era arrivata a quello, sapeva solo che d’un tratto la compagnia di Michael si era resa sempre più necessaria e la voglia di abbandonare l’orfanotrofio per andare a vivere da lui più insistente che mai; ogni volta che le riproponeva la sua idea, Ester combatteva una dura battaglia per desistere, per dire che non poteva abbandonare i ragazzi. Ma come aveva bisogno dei bimbi, aveva bisogno anche di Michael, della sua voce, della sua risata contagiosa, delle sue braccia che la stringevano. Si riscosse dai suoi pensieri, cercando di allontanare dalla mente la loro immagine mentre, in un ipotetico futuro, ridevano e si tenevano per mano.
- Ieri Babbo Natale è venuto a portare i regali? – chiese Michael ai bimbi che annuirono sempre più felici.
- Sì! È venuto a trovarci, lo sai? E ci ha dato tanti pacchettini e regali! Noi li abbiamo messi sotto l’albero. Vieni, ti facciamo vedere – un bambino di otto anni, Simon, trascinò Michael, cercando di farlo alzare. Lo portò fino all’altra stanza, quella con l’albero di Natale. Passando vicino a Ester, il ragazzo le fece l’occhiolino, sorridendo.
Simon aveva ragione. Babbo Natale, meglio conosciuto come il signor Frank, un panettiere dal girovita abbondante che lavorava in un edificio non molto lontano dall’orfanotrofio, era passato e aveva lasciato la sua buona dose di regali; Michael riconobbe quelli che aveva impacchettato lui stesso il giorno prima. Alcuni erano doni che facevano le poche persone ancora capaci di carità, perlopiù vecchine gentili sempre disponibili ad aiutare il prossimo. Suor Theresa si avvicinò a Michael e sottovoce, senza farsi sentire dai bambini, disse:
- Abbiamo ricevuto una donazione di un paio di migliaia di sterline, quest’anno. È una cosa buona, potremmo permetterci più cure per i ragazzi e magari anche qualche libro in più sai, per l’istruzione. – Michael annuì. Era raro che l’orfanotrofio ricevesse una donazione di una somma così ingente di denaro, e quando accadeva si era sempre avuta una svolta: due anni prima, grazie ad una donazione da parte di un lord che viveva nelle campagne, l’orfanotrofio era stato ristrutturato per intero e ritinteggiato. In quel periodo infatti, tutti i bambini erano stati smistati in varie case, compresa quella di Michael che aveva ospitato Ester e altri tre.
- Che ne dite se scartiamo i regali? – ciò che successe in seguito alle parole di Suor Theresa fu indescrivibile: carta da regalo che volava ovunque, risate di gioia e soddisfazione ma anche sorrisi di circostanza per un regalo non gradito ma comunque utile, battiti di mani, suoni allegri dei vari giocattoli che venivano messi in funzione. Michael osservava quella scena come incantato, non poteva credere che tutta quella felicità, in minima parte, fosse merito suo. Quei bambini erano felici e spensierati come solo a Natale e lui non poté fare a meno che sentirsi realizzato; vedere la faccetta allegra e emozionata di Amelia mentre accarezzava la copertina del suo nuovo libro, le manine esperte e un po’ paffute di Eddy che montavano e smontavano i Lego, le macchinine che venivano fatte partire, i cappelli nuovi indossati, gli dava un senso di soddisfazione e serenità impareggiabile. Era così assorto dalla contemplazione di tutta quella felicità che non si era accorto di Ester, in piedi vicino a lui, con al collo la sciarpa che le aveva regalato; l’aveva scelta di un bel viola, il colore preferito di lei, e di lana perché sapeva quanto lei amasse stare al calduccio quando fuori gelava. La ragazza gli diede un bacio sulla guancia, quindi gli porse un pacchettino colorato. Michael lo prese e, con una lentezza piena di venerazione, lo aprì. Dentro vi era una collana di cuoio spesso a cui era legato un plettro d’argento. Da anni si era appassionato alla chitarra e, già dall’orfanotrofio, passava interi pomeriggi a suonarla, riproponendo brani di autori famosi, arrangiandoli alle sue capacità, un tempo scarse ma che col tempo si erano perfezionate.  Ricordava ancora le sere passate davanti al camino d’inverno, vicino ad Ester a suonare le loro canzoni preferite, a inventare arpeggi o semplicemente a parlare con la presenza rassicurante dello strumento tra le sue braccia. Quante volte era andato all’orfanotrofio e aveva intrattenuto i bambini con la chitarra, a quanti aveva insegnato le basi da cui lui stesso aveva iniziato? Quel regalo gli aveva fatto rivivere tutto questo e molto altro. Ringraziò Ester abbracciandola, stringendola come mai aveva fatto prima, trasmettendole tutta la gratitudine e l’affetto che provava nei suoi confronti. Ester lo aiutò a legare il cuoio dietro il collo, lo prese per mano e insieme, proprio come tanti anni fa, rimasero fermi a vedere quanto la magia del Natale aveva fatto in quelle ore, rendendo felici dei bambini che il destino aveva deciso di abbandonare alla tristezza e alla solitudine. Ma quei bambini non sarebbero mai stati da soli finché Michael fosse stato vivo. Era una promessa.


       

   
 
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