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Autore: NienorDur    06/12/2015    0 recensioni
Quando ti rendi conto che i tuoi ricordi non sono altro che una fantasia e che la realtà non è che un mero inferno, vuol dire che ormai è troppo tardi per uscirne.
Due ragazzi, due passati fittizi da cui vogliono scappare; saranno l'uno per l'altro la scialuppa della salvezza e l'ancora che li porterà nell'oblio, eppure non se ne renderanno conto finché non saranno morti.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Gli Evanescenti
 
 
Capitolo I
 
 
 
 
 
 
 
 
Il treno si fermò alla stazione praticamente deserta, scese una sola persona: un ragazzo, vent’anni circa, capelli corti e spettinati, castano chiaro, la barba corta sulla mascella, la pelle era piena di lentiggini, i grandi occhi verdi risaltavano tra le piccole macchie, le labbra carnose erano arricciate in una smorfia triste.
Carino, particolare; la donna lo osservò da dietro il vetro del bancone da dove vendeva i biglietti, lavorava lì da quasi cinque anni e non lo aveva mai visto. Si sarebbe trasferito in questo paesino dimenticato da tutti? Oppure era solo per le vacanze? Eppure non era un posto adatto per un ragazzo così giovane.
Lo vide guardarsi attorno, un po’ disorientato, probabilmente si aspettava di trovare qualcuno, parenti o amici? Il ragazzo sospirò profondamente, prese il trolley che aveva con sé, mise in spalla il borsone e si diresse verso di lei.
-Salve, io stavo aspettando una persona ma… ecco, devo andare a Villa… Villa Girandola, mia nonna abita li, se c’è un pullman che ferma in zona… non so, non vengo qua da un sacco di tempo. –
Tra una parola e l’altra continuava a guardarsi in torno, spaesato ed evitava di guardarla negli occhi, con una mano giocava con qualcosa, sembrava un ciondolo ma non riuscì a vederlo bene.
-Certo, caro, la linea 25 ferma lì vicino, ma passa tra circa due ore, sai è un paesino piccolo e nessuno li usa, è un miracolo che passi per di qua! Comunque, mi sa che ti conviene chiamare qualcuno e farti venire a prendere. –
-Oh, ok… grazie. –
Lei sorrise e il ragazzo se ne andò; appoggiò i gomiti sui tavolini e la testa sulle sue mani sbuffando annoiata: quella sarebbe stata probabilmente l’ultima conversazione della giornata, sarebbe tornata a casa, avrebbe dato da mangiare al suo vecchio cane, visto un film poliziesco di serie B, preso le sue pasticche e dormito fino la mattina dopo per ricominciare tutto da capo.
 
L’aria era calda e afosa, Dante era seduto sul marciapiede fuori dalla stazione, non sapeva se chiamare o aspettare il pullman, quindi puntava sull’attendere il secondo e sperare nell’eventuale arrivo della nonna.
La maglia bianca era pezzata e appiccicaticcia, ma gli piaceva sentire il calore del sole sulla sua pelle fino a quasi bruciare, non faceva di certo bene alle sue lentiggini ma in quel momento era davvero rilassante: chiuso tutto il tempo in treno gli aveva fatto dimenticare quella piacevole sensazione di tepore.
Era da quasi cinque anni che non visitava sua nonna, tra la scuola e il resto non ne aveva più avuto occasione, non gli dispiaceva nemmeno tanto però: non aveva mai avuto un rapporto particolare con sua nonna, a dire la verità con nessuno dei suoi parenti, ma lei era l’unica che gli parlava, o meglio, l’unica che non gli aveva detto chiaramente di non voler rivolgergli più la parola.
La strada era deserta, i campi erano verdi e immobili, le cicale riempivano il silenzio; nessun segno di vita, eccezione fatta per la signora della biglietteria, cordiale, ma il fatto che lo avesse chiamato caro lo aveva infastidito.
Sentì il rumore di un’auto in lontananza, si alzò in piedi sperando di vedere la nonna alla guida della sua vecchia Ape Car gialla; mise una mano sulla fronte per provare a vedere meglio: una macchia blu, un vecchio modello si stava avvicinando.
 
-Ehi, tra quanto arrivi? –
-Dammi pochi minuti, tu fatti trovare giù e non pensare a quello che ti hanno detto. –
-…. –
-Tranquillo, ci sono io. –
-Va bene, grazie, ora ti lascio guidare. –
-A tra po…. –
 
La macchina gli sfrecciò davanti, destandolo dai suoi pensieri, si stropicciò gli occhi stanchi e secchi; probabilmente avrebbe dovuto bere un po’. Tirò fuori una bottiglietta dal borsone, l’acqua era tiepida, la mandò giù a fatica un po’ disgustato, forse era il caso di spostarsi sotto il tetto della stazione; si sedette su una delle panchine sotto il piccolo portico.
La schiena curva, il volto basso, stava giocando col piccolo ciondolo in metallo, in realtà era solo un frammento di quello originale, un lato era ancora tagliente; nonostante lo avesse sempre con sé, cercava di guardarlo il meno possibile: troppi ricordi che voleva semplicemente sparissero.
Il cellulare vibrò nella sua tasca, lo prese, sullo schermo c’era scritto “nonna”.
-Nonna? –
-Dan, sei già arrivato? –
La sua voce suonava più gracchiante di quanto ricordasse, ma probabilmente era colpa del telefono.
-Sì, credo dieci minuti fa…. –
-Avresti dovuto chiamarmi! Sto arrivando. –
Riattaccò senza lasciargli la possibilità di dire altro: breve, fredda, coincisa e forse era proprio per questo che era l’unica che gli parlava ancora.
Dante sospirò profondamente, appoggiò la schiena sullo schienale e si lasciò scivolare giù: era stanco, si sentiva così da troppi mesi, tutti i giorni, le notti, quando dormiva e quando no, aveva provato con dei medicinali, roba omeopatica che gli propinava sua zia, ma nulla.
Stanco e distaccato da tutto, probabilmente isolarsi in un paesino in mezzo al nulla non era la scelta migliore ma questo era l’unico posto dove lo avrebbero accolto senza fare domande.
Eppure prima c’erano così tanti posti dove sarebbe potuto andare… ora erano macerie, cenere di sogni bruciati.
In mezzo al palmo il frammento di metallo brillava, tanto da attirare l’attenzione di una gazza ladra: la vide planare, un uccello molto aggraziato, poi rallentò, portò in avanti le zampe e gli graffiò le mani portandogli via il ciondolo.
Successe tutto in un attimo, se non fosse stato per le unghie nella carne, non ci avrebbe fatto minimamente caso; eppure non disse niente, l’uccello volò via con grazia maldestra cercando di riprendere quota.
Si guardò la mano graffiata, ora il suo ultimo ricordo era volato via, letteralmente; non riuscì a fare o dire nulla, gli si strinse il cuore e chiuse gli occhi.
Come poteva una cosa così dolorosa lasciarlo così indifferente?
Sentì il rumore di un altro motore, guardò alla sua destra e vide un mezzo giallo, sicuramente l’Ape di sua nonna; si spostò sull’orlo del marciapiede ad attenderla, si avvicinò lentamente e sobbalzando, era abbastanza ridicola da vedere.
Si fermò davanti a lui, sua nonna lo squadrò per bene e lo stesso fece lui a lei: aveva cinquantacinque anni, non li dimostrava e probabilmente nessuno avrebbe detto che fosse nonna di un vent’enne, camicia a quadri, abiti forse troppo giovanili, ma a lei non era mai importato.
-Allora, vuoi salire o rimanere qui ?-
Fece cenno con la testa di salire di fianco a lei, i suoi capelli erano color miele erano raccolti in una coda di cavallo stretta.
-Ciao anche a te. –
Dante mise i bagagli nel cassone dietro e si sedette di fianco a lei.
La donna ripartì facendo un’inversione in mezzo alla strada, il ragazzo non si azzardò a contestare la manovra.
-Tua madre sa che sei qui? –
-Non credo. –
-Cosa hai detto ai tuoi? –
-Niente. –
-Non l’hanno voluto sapere o non glielo hai detto tutto? –
-Non lo volevano sapere. –
-Non so se è più cogliona mia figlia o quel cretino di suo marito, senza offesa, eh. –
-Tranquilla. –
Non si dissero nient’altro durante il tragitto, il vento che entrava dai finestrini era piacevole, seppure fastidiosa per gli occhi, li chiuse e si concentrò sull’aria che scivolava sulla sua pelle, tra i suoi capelli, sembravano delle dita fredde.
 
-Lasciatemi passare! Lo conosco! Lasciatemelo vedere! –
-Stia indietro! Non può passare! –
-Ditemi come sta… . –
Cadde a terra, l’asfalto era freddo e bagnato, le lacrime invece erano fin troppo calde.
-Mi dispiace… . –
L’ambulanza si allontanò a luci spente.
 
-Senti, sai che non sono brava in queste cose, non sono stata brava come madre figuriamoci come nonna, ma se hai bisogno di qualcosa… non so… beh, sappi solo che devi chiedere, solo non rovinarti: tu sei migliore di noi. –
Fabrizia parcheggiò in mezzo al prato e lo guardò dritto negli occhi, i suoi erano più azzurri rispetto a quelli di Dante.
-Va bene. –
Non la guardò nemmeno negli occhi, aprì la portiera e prese i suoi bagagli, avviandosi verso casa.
-Ah, ho dimenticato di dirti che il piano superiore l’ho affittato a un ragazzo qualche messe fa, dovrai dividere l’appartamento con lui. –
-Potevi dirmelo prima. –
-E rischiare di trovarti in qualche squallido locale o sotto i ponti? Ti farà bene, in ogni caso ci sta poco a casa e cucina da dio, ogni tanto mi porta delle cose buonissime. –
Dante non disse nulla e continuò a camminare, percorse il giardino; l’erba era secca sotto il sole estivo, i fiori abbondavano ai lati, tra questi una ventina di girandole erano immobili, immerse nell’afa estiva.
Sua nonna aveva una strana passione per le girandole: diceva che gli piaceva il modo in cui giravano, mischiando i colori, ma lui non era mai riuscito a coglierne il fascino.
La casa poteva essere riassunta in rettangolo, diviso a metà orizzontalmente: due appartamenti separati e autosufficienti; quello sotto era di Fab, il piano di sopra lo affittava ai turisti di solito, era strano che l’avesse affittata a quel ragazzo per così tanto tempo.
Si chiese che tipo fosse per piacere a sua nonna, ma cercò di non pensarci troppo e farsi false aspettative.
-Le chiavi sono dentro la cassetta delle lettere! –
Una delle cose belle di quella casa era che se urlavi abbastanza forte ti si sentiva da fuori, un altro dei motivi per cui non aveva più passato lì le sue estati.
Prese la chiave e aprì la porta, l’appartamento era luminoso, tutte le persiane erano aperte, percorse il corridoio, sul lato destro due porte, le camere, dall’altro il bagno. Alla fine del corridoio c’era un'unica stanza che fungeva da salotto, sala da pranzo e cucina, il disordine era visibile: vestiti, scarpe e la cucina in particolare piena di pentole e altri strumenti, alcuni sporchi, ma la maggior parte erano puliti.
Entrò nella camera vicino alla sala, sperando di trovarla vuota: quando era piccolo dormiva sempre lì. Fortunatamente la trovò libera, il letto fatto e non c’erano segni di oggetti estranei, lanciò il borsone sul letto, tolse le scarpe lasciandole in un angolo e tornò in sala con la valigia; fece spazio sulla scrivania appoggiata contro il muro a sinistra, tirò fuori il suo computer e iniziò a montare la sua postazione.
Prese una sedia dal tavolo da pranzo e si sedette davanti allo schermo, le sue mani si misero automaticamente sulla tastiera e sul mouse, era una bella sensazione, lo faceva sentire al sicuro, era l’unica cosa fissa nella sua vita. Era triste ma almeno poteva non pensare a se stesso, distaccarsi e far finta di essere qualcun altro.
Fuggiva.
Non sapeva far altro che fuggire.
Era patetico: si era appena trasferito, avrebbe dovuto disfare il borsone, sistemare qualcosa e invece era lì a giocare.
Fece per cliccare sull’icona, ma un rumore lo distrasse, un miagolio per la precisione, si girò e vide un grosso gatto arancione che lo fissava, ma era davvero enorme per essere un gatto normale, sembrava che i suoi occhi ambrati potessero scrutargli l’anima.
Doveva essere del suo futuro coinquilino, peccato che Fab si fosse dimenticata di dirglielo.
Dante porse esitante la mano, sperando di risultare amichevole e di non essere graffiato di nuovo; il felino si avvicinò circospetto e, dopo aver annusato attentamente la mano, ci si strusciò sopra.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo: non era mai stato bravo con gli animali; lo accarezzò per un po’, poi questo decise di saltargli in braccio e acciambellarsi come se nulla fosse. Dan sorrise e si dedicò al suo gioco, coccolando di tanto in tanto il grosso gatto.
 
-A te piacevano i draghi, giusto? –
-Sì, perché? –
-Guarda cosa ho trovato! –
-È bellissimo… grazie. –
Fece il nodo al laccio intorno al suo collo, il suo sorriso era bellissimo; non poteva sperare in una reazione migliore.
 
Davanti al pc perdeva sempre la cognizione del tempo: ormai erano quasi le undici. Era lì dal pomeriggio e non mangiava praticamente dalla sera prima, non aveva poi così tanta fame, ma preferiva non andare a dormire a stomaco vuoto.
Spostò il gatto che non si era mosso per niente, lo invidiava, e guardò  in frigo se c’era qualcosa di commestibile.
 
 
*                                                                                     *                                                                                          *
 
Fab osservò attentamente il ragazzo davanti a lei: capelli lunghi e ramati, barba folta e curata, occhi castano scuro, zigomi pronunciati e labbra sottili, un bel giovane, troppo per lei, ma non si poteva mai dire.
Indossava una camicia e dei jeans, sembrava una persona a modo, affittargli l’appartamento superiore gli sembrava un buon accordo, contando che dei soldi extra gli facevano comodo e che nessuno affittava da quasi tre anni ormai.
Ragazzo sveglio, affidabile, forse con troppa fiducia nel suo aspetto fisico, ma almeno aveva due lavori e si stava anche impegnando a studiare a detta sua; un programma massacrante: dal lunedì al venerdì tutto il giorno in un ristorante, il fine settimana lavorava la sera in un locale e tra tutto questo riusciva a studiare.
Se non ricordava male era Gabriel il suo nome, seduto dal lato opposto del tavolo girava metodicamente il cucchiaino pieno di miele nel suo tè, mentre lei finiva il suo caffè.
-Ah, ho un animale domestico, un gatto, Maine Coon per la precisione, affettuoso, pulito e silenzioso, è un problema? –
-Nah, nessuno problema, basta che non mi lascia merda in giro e siamo ok, ah e niente feste giganti o porcate simili, puoi portare chi ti pare a casa finché non disturbi me. –
-Perfetto, grazie, Fab, sei una donna stupenda. –
Il ragazzo le fece l’occhiolino e bevve dalla sua tazza.
-Fabrizia. –
 
Si traferì al secondo piano il giorno stesso, gli anticipò addirittura i primi quattro mesi. Mai nessun problema e ogni tanto la mattina le lasciava pronta una torta o qualche pietanza da finire di cuocere in forno.
L’arrivo di Gabriel fu una bella novità nella sua vita monotona, adornata dalle serate a casa con le altre sue amiche a spettegolare oppure a bere e giocare a carte, con qualche sporadica chiamata dal suo ex-marito e dall’avvocato, ma l’importante era che arrivasse l’assegno mensile.
Da giovane aveva amato quell’uomo, un sentimento forte e coinvolgente, ma, con la nascita della bambina e tutti i problemi allegati, questo l’aveva tradita.
Spesso rimpiangeva di aver corso così tanto nella sua vita, fino a trovarsi a cinquant’anni  con ancora una vita davanti ma a comportarsi come una pensionata; e sua figlia aveva fatto lo stesso errore, fortunatamente col marito era andata meglio, ma si sono entrambi dimenticati di curare il figlio.
Ah, adorava suo nipote, vispo, sempre allegro e curioso, erano anni che non lo vedeva per colpa della figlia; in qualche modo Gabriel glielo ricordava, forse perché avevano quasi la stessa età; Dante doveva avere circa 4 anni in meno di lui.
 
-Ciao, nonna… so che è da tanto che non ci sentiamo, ma è un problema se tra qualche giorno vengo da te? –
-Oh, certo, Dan, tua madre ti vuole cacciare di casa o scappi di tua spontanea volontà? –
-… . –
-Va bene, vieni quando vuoi. –
 
 
*                                                                                     *                                                                                          *
 
Gabriel aprì la porta della casa, era stremato: lavorava dalle cinque, puzzava di cibo e sudore; si passò la mano tra i capelli mossi e appiccicaticci, togliendo l’elastico che li teneva raccolti in uno chignon spettinato, lo mise al polso e chiuse la porta appoggiandosi con la schiena, lasciandosi scivolare giù fino a sedersi per terra.
Le gambe piegate, le braccia poggiate sulle ginocchia, la testa rivolta verso l’alto, chiuse gli occhi assonnati, si concesse qualche secondo per riprendersi, ma doveva finire di studiare.
-Gordon, vieni qui, micio. –
Vide la palla di pelo arancione  correre verso di lui miagolando, si strusciò contro le sue gambe facendo le fusa.
-Andiamo a cucinare qualcosa. –
-Ehi, coinquilino, vieni a farti una birra con me! –
Si era dimenticato che oggi sarebbe arrivato il nipote di Fabrizia, sospirò profondamente e si grattò la folta ma corta barba; sperava di non trovarsi davanti un ragazzino insolente, stupido e con in mente solo l’alcool e a giudicare da quello che gli aveva appena detto per ora ci aveva preso per metà.
Si alzò prendendo in braccio il felino che si sedette sulla spalla come un gufo, entrò nella sala e vide il ragazzo seduto sul divano ad elle sulla destra, gambe aperte, braccia sullo schienale, in mano una birra e sul pavimento altre tre. Non lo vide bene in volto: l’unica luce proveniva dal computer  dall’altro lato, ferma sul menù di gioco.
-Non riesco ad ammazzare quel diavolo di drago…  maledetta modalità incubo, tu giochi? –
Indicò il computer con la mano libera e fece un cenno con la testa.
Strano modo per iniziare una conversazione, eppure sembrava funzionare, forse lo aveva giudicato in modo affrettato.
-Giocavo, ora non ho più il tempo, ma posso provare, sono un po’ arrugginito… posso cambiare strategie e altro? –
-Fai pure. –
Gabriel si sedette e osservò le sue impostazioni.
-Ti stai portando dietro la squadra sbagliata… . –
-Puoi cambiare tutti, tranne il mago. –
-Ma è un negromante, un supporter sarebbe più comodo… . –
-Questioni sentimentali. –
-Uh…  capisco. –
Gordon si allungò sulle sue spalle e iniziò a fare le fusa; Gabriel si mise comodo e sgranchì le spalle: era da un sacco che non prendeva in mano un mouse e una tastiera, gli era mancato. Sostituì parte delle armature e delle armi, cambiò due compagni e tutte le loro azioni, quelle di prima non erano male, ma erano fine a loro stesse, non collaboravano bene con gli atri.
Sentì l’altro alzarsi dal divano e trascinare una sedia di fianco a lui, si sedette e stappò altre due bottiglie di birra, gliela appoggiò di fianco  e avvicinò il volto allo schermo per controllare i vari cambiamenti.
-Mh… interessante… -
Bevve un altro sorso di birra e poggiò il braccio sulla sua spalla facendo spostare il gatto; Gabriel fu sorpreso da quel contatto fisico, ma Gordon sembrava non approvare il fatto di doversi cercare un altro posto per dormire.
-Inizio le danze o le lascio aprire a te? –
Gabriel si morse il labbro e lo guardò, peccato che la sua attenzione fosse rivolta verso il gioco.
-È la tua squadra, fai tu, non saprei come gestirla. –
Leggermente frustrato prese la birra, bevve un lungo sorso e iniziò la battaglia, finì in pochi minuti, certo, entusiasmante e complessa, ma veloce.
 -Woa…  complimenti sei stato meraviglioso! –
-Me lo dicono spesso, comunque io sono Gabriel. –
-Io sono Dan, complimenti ancora, penso che userò sempre queste impostazioni. –
-Non ti conviene, contro altri tipi di nemici ti sarebbero inutili… ma te li posso posizionare come preferisci. –
-Interessante… . –
Dan finì la sua quinta birra, la testa ciondolava e lo sguardo era vacuo, aveva sicuramente bevuto a stomaco vuoto.
-Ti va di mangiare qualcosa? Tipo, delle belle fette biscottate con marmellata fatta da me e un po’ di tè allo zenzero? –
-Non ho capito niente di quello che vuoi farmi mangiare ma se me lo dici con quella voce potrei mangiarmi di tutto. –
-Attento a quello che dici o potrei davvero approfittarmene. –
Si alzò e si diresse verso la cucina ad angolo dietro di loro, accese la lampada li vicino, prese un pentolino e lo riempì d’acqua, immerse delle fette di zenzero prese dal frigorifero assieme alla marmellata e lo mise sul fuoco; spalmò la marmellata sulle fette biscottate e le mise in un piatto che pulì maldestramente con uno straccio.
Dan sembrava un tipo apposto, simpatico e carino da quando aveva acceso la lampada.
-Per cosa sta “Dan”? Daniele, Danilo? –
-Dante. –
Il ragazzo si spostò al tavolo spostando pentole e piatti per ricavarsi un angolo dove mangiare.
Gabriel gli porse la tazza calda e il piatto.
-Penso che ci divertiremo molto a convivere. –
 
-Dove hai intenzione di andare?! –
-Lontano! –
-E cosa credi di combinare? Credi forse di diventare un cuoco famoso da un giorno all’altro? È solo uno stupido sogno, vai a lavorare con tuo padre come ogni persona sana di mente farebbe! –
-Una persona sana di mente se ne andrebbe da questo lerciume! Michael, andiamo. –
-Michael, se vai con tuo fratello non potrai mai più tornare a casa dai tuoi genitori. –
-Gabriel… mi dispiace. –
 
 







_____________________________________________
Uff, mi cimento di nuovo in qualcosa di lungo sperando di finirlo...
Spero che questo primo capitolo vi abbia incuriosito sulla loro storia, lasciandovi interrgotativi a cui potrete trovare risposte solo più avanti...
Grazie per aver letto!

Avviso:
Il rating potrebbe cambiare con l'aggiornare della storia causa eventi futuri su cui sono indecisa per la parte descrittiva;
in relazione a questo potrebbero aggiungersi degli avvertimenti.
Cercherò di pubblicare il più regolarmente possibile, tra le tre e le quattro settimane circa, causa scuola ed elementi di forza maggiore.

Infine vorrei ringraziare delle persone fondamentali nella creazione di questa storia:
-Lorenzo che mi ha aiutata con la definizione di punti cruciali per la narrazione
-Delta_Machine che legge la storia senza sapere assolutamente nulla della trama finale ed è sempre più confusa
-Kaleido, senza di lei probabilmente questa storia sarebbe ancora nella mia testa e soprattutto, senza un titolo.
   
 
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