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Autore: Alex Wolf    07/12/2015    2 recensioni
(Ambientata nel Giappone feudale)
Kunoichi, ninja donne che nel giappone antico venivano addestrate separatamente dai loro pari uomini. Sono elementi importanti in un clan quanto la controparte maschile, tant'è che il loro nome scomposto vuol dire sia "donna" che "una dei nove". Erano addestrate nell'arte della seduzione e nel combattimento corpo a corpo: spesso agivano usando veleni e armi nascoste come i Neko-te. Lavoravano puntando sui travestimenti che la loro femminilità gli permetteva di ricoprire, ed erano letali killer silenziosi.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Giappone feudale
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Ku No Ichi - Una dei Nove


 
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"Un invisibile filo rosso collega coloro che sono destinati a incontrarsi, a prescindere dal tempo, luogo o circostanza. Il filo si può allungare o aggrovigliare, ma non si spezzerà."




I rumori si confondevano fra loro, creando onde diverse che andavano a incresparsi contro i suoi timpani. Erano suoni sordi, raramente raggiungevano note abbastanza alte da essere udite ad almeno 10 metri di distanza, ma lei era talmente vicina da non avere problemi a distinguerli uno per uno.
La maschera felina che indossava, il cappuccio che la riparava da sguardi indagatori non interferivano minimamente con il suo udito sviluppato. Era stata addestrata per prestare attenzione a tutto, i cinque sensi erano talmente tanto allenati che ormai era impossibile che qualcosa le passasse davanti senza che l'avesse già analizzata, anche solo per sbaglio.
Con gli occhi fissi in un punto ben preciso, seppe che era il momento per entrare in azione. Si tolse il mantello e abbandonò la maschera avvolgendola in esso per non sporcarla. Li nascose in un albero cavo e fece sparire il nascondiglio con delle fronde.
Si confuse fra la folla, sotto il cielo nero tinto del rosso delle lanterne.
Secondo i suoi informatori il soggetto che stava cercando aveva orari ben precisi e calcolati. Non sfiorava mai il ritardo ed ogni sera era usuale coricarsi con qualche donna nel quartiere a luci rosse. In quanto kunoichi, non era insolito che le affidassero missioni in cui era importante sapersi mischiare con la gente.
Tramite l'educazione che aveva ricevuto sin da bambina, aveva imparato a sfruttare il suo lato femminile a proprio vantaggio, l'arte della seduzione non aveva segreti per lei. Non per altro era anche la sua tecnica più raffinata: nessun'uomo, nessun bersaglio era mai uscito vivo dopo un loro incontro.
Si sedette fuori da un elegante sala da tè che antecedeva le camere matrimoniali del bordello più elegante della città, il volto truccato con maestria ben in vista, il lungo kimono estivo che la fasciava con eleganza. I colori pallidi del verde acqua e dell'oro, abbelliti dall'argento e dai motivi di fiori di ciliegio rendevano la sua figura simile a quella di una divinità. Non era strano che le concedessero di mettersi in mostra li, in quanto come bella donna portava i clienti a entrare.
La collaborazione con la matrona della casa di piacere andava avanti da tempo, e nessuna dei due si era mai lamentata di nulla.
La kunoichi attraeva le proprie prede all'interno di quella ragnatela profumata di incenso e oppio, e i guadagni andavano alla proprietaria come ringraziamento. Da quando il loro contratto era stato firmato, il bordello aveva aumentato le sue entrate di molto.
Prese in mano una tazza da tè e la portò alle labbra rosse, gli occhi felini sbirciavano i passanti oltre il fumo che saliva verso l'alto. Non vedeva nessuno di interessante, solo mucchi di uomini talmente ubriachi da non riuscire a reggersi in piedi; prostitute gracchianti che si strusciavano su chiunque. E poi gemiti, risate, rumori e tintinnii di bicchieri di saké che riempivano l'aria infestandola di vita.
Sospirò, annoiata. Perché era scesa in strada un'ora prima del necessario? Conosceva già a memoria quel luogo, non aveva bisogno di analizzarlo ancora. SI maledisse, ignorando ogni uomo che passava e richiedeva i suoi servigi. Era ben poco disposta a offrirglieli. Sebbene fosse li per una missione, era una bella donna e non si sarebbe di certo accontentata di uno qualunque, sporco e rozzo. Lei puntava più in alto, dove la vista era migliore la vita comoda.
Si domandò quanto ancora la sua preda ci avrebbe messo per raggiungere quel punto di strada. Era impaziente, voleva finire il lavoro il prima possibile.
Sventolò il tessen un paio di volte, nascondendo il corpo in ferro verso di lei. Il ventaglio muoveva folate di vento tiepido abbastanza da rinfrescarla, che portava con se odori decisi, musiche allegre e gemiti soffocati. E poi eccolo li.
Si accingeva a camminare come un sovrano fra i plebei. I lunghi capelli scuri legati una coda alta conferivano al suo volto angoli marcati e seducenti, gli occhi neri che ballavano sulle curve delle donne le portarono alla mente l'idea che quella sera lui fosse in cerca di giochi non proprio casti.
Sorrise, la donna. Si prospettava una nottata movimentata.
Come richiamata da una forza maggiore, si alzò lasciando che il kimono le cadesse oltre i piedi e creasse un'aura attorno a lei. Chiuse il ventaglio con un colpo secco e silenzioso e lo posizionò all'interno di una manica larga, poi incrociando le braccia nascose le mani agli occhi.
Mentre avanzava in direzione della preda le sue dita si muovevano veloci, analizzavano tutte le armi pronte all'uso. La prima cosa che i polpastrelli sfiorarono furono le cinghie di pelle sottile connesse ai neko-te, poi una fiala di veleno e infine due semplici kunai.
«Donna», si fermò in mezzo alla strada, «questa sera voglio passarla con te.» L'uomo che l'aveva fermata era proprio chi desiderava che fosse.
Si ergeva su di lei con la sua figura alta e allenata, e i profondi occhi neri carichi di malizia. Teneva una mano sulla sua yari, l'altra era posta in direzione del corpo della finta prostituta. Esaminando la pelle con velocità e senza tralasciare nulla la kunoichi non ebbe difficoltà a capire che quello che gli avevano detto su di lui era vero. Si trovava davanti ad un mercenario: sui palmi la pelle era visibilmente più ruvida e rovinata segno che ricorreva alla spada la maggior parte del proprio tempo, aveva cicatrici da taglio delle più svariate misure che si ramificavano sulle braccia, e doveva essere anche un amante formidabile combattuto fra tutte le donne del quartiere a luci rosse viste le occhiate che le stavano lanciando. Le si presentava l'occasione perfetta per rimanere sola con lui.
«E io, che ci guadagno?» Sapeva che nei suoi occhi stava brillando una luce abbagliante, perché si rifletté anche nel sorriso della preda ignara.
«Una notte con me, e un lauto compenso» affermò quello, lasciando una sacca di monete a sventolarle davanti agli occhi truccati. Lei sorrise, avvicinandosi al corpo di lui. Poggiò le mani sul suo petto facendole scendere fino a sfiorare il cavallo dei suoi pantaloni. Era silenziosa, e sapeva che quel movimento era ben nascosto dalle lunghe maniche de suo abito. Adorava giocare sporco.
«Andiamo, mio signore.» Lo prese per mano conducendolo verso la morte.



«Capo villaggio», il richiamo lo portò ad alzare le palpebre. Oltre il fumo della sua pipa gli occhi del capo villaggio si poggiarono contro i corpi degli jonin presenti davanti a lui. Erano tutti molto giovani, ma tanto esperti che l'età passava in secondo piano. E lui, bè, si fidava di loro. Tutti loro.
Lasciò uscire il fumo dalle labbra un'ultima volta prima di poggiare la pipa e concentrarsi. Capendo che l'anziano era disposto ad ascoltare, la sentinella schiarì la voce e iniziò: «Saggio anziano, è successo un'altra volta. Abbiamo trovato il cadavere di un uomo poco fuori città, nel quartiere a luci rosse. Anche questo soggetto presenta graffi sulla schiena, e gli sono stati cavati gli occhi. »
«Mhh...» Fuori dalla finestra ruggì un tuono. Attirato dal rumore della pioggia che iniziava a battere sui vetri l'uomo si alzò e si affacciò liberando lo sguardo sui tetti delle case di Kakunodate. Erano solo un ammasso di forme differenti, che prendevano vita alla luce dei fulmini. «Capisco.» Silenzio. «La squadra dei Nove cosa dice?»
«Non sono ancora riusciti a prendere l'assassino» affermò l'uomo.
«Che sia un ninja traditore che tenta d'inviare un messaggio al Capo Villaggio?» chiese Makoto, incrociando le braccia al petto. «Nah, non credo.» Katashi si grattò la fronte. «Sta dando troppo nell'occhio, un ninja che vuole lanciare un messaggio solo a noi porterebbe i cadaveri davanti alla nostra porta e non li lascerebbe nel luogo dell'assassinio, dove tutti possono vederli», si guardò attorno, «questa, almeno, è una mia supposizione.»
Il saggio anziano voltò il corpo nella loro direzione, congiungendo le mani dietro la schiena. Si sentiva vecchio ormai, stanco e appesantito da tutto il lavoro che gli gravava sulle spalle.
L'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era un assassino a piede libero per il suo villaggio.
«Già, lo credo anche io» affermò Chiyo, «ma questo non toglie che potrebbe iniziare a lasciarli in giro proprio perché vuole che la gente li veda. Perché vuole che inizi ad avere paura e dubitare di noi. Allora, sarebbe un grande problema.»
«Questo di certo non migliora le cose.» Mamoru spostò il lungo bastoncino che teneva fra le labbra da una parte all'altra, con la stessa calma di sempre.
L'ennesimo lampo illuminò a giorno la stanza in cui si erano riuniti, donando ai volti dei presenti sfaccettature diverse dal solito. Alcuni visi rimasero immobili totalmente indifferenti, senza espressioni, in altri si poteva leggere la curiosità scritta in faccia e in altri ancora il nervosismo.
Non era mai capitato che a Kakunodate ci fosse qualcuno così bravo da nascondersi persino alla squadra dei Nove. Anche il capo villaggio, sebbene lo tenesse nascosto, iniziava a sentirsi turbato da quelle rivelazioni. Un killer nella loro cittadina era qualcosa di inaudito.
Asuma attirò l'attenzione di tutti poggiandosi malamente al muro. Le larghe spalle scontrarono la parete imponendo un suono sordo e prolungato nella stanza piena di ninja. «Questo assassino, il modo in cui uccide, dovrebbero farci capire qualcosa sul suo modus operandi. Ragioniamo.»
Calò il silenzio, rotto solo dai respiri dei jonin presenti. Non era mai capitato che i jonin del villaggio di Kakunodate dovessero ragionare per ben tre settimane per riuscire ad arrivare a una conclusione. Ma quella sera, sembrava che qualcosa cominciasse finalmente a girare. Quella notte, forse, sarebbero arrivati ad avere una risposta.
«Abbandona i cadaveri sul luogo dell'assassinio, quasi sempre nei dintorni del quartiere rosso. La maggior parte delle volte cava loro gli occhi ma non vi è mai tracce di sangue ne sul corpo ne nelle zone circostanti. Ci sono solo segni di graffi sulla schiena. Si dimostra...»
«E' preciso» intervenne improvvisamente Chiyo. Asuma le sorrise, annuendo.
«Questo vuol dire che quello che fa è calcolato», intervenne Makoto.
«Lascia le cose così perché sa che le troveremo. Vuole mettere in mostra il suo operato.» Da dietro la maschera, il vecchio anziano intravide un sorrisetto sulle labbra di Katashi. «Ciò singifica che è stato addestrato. E' un sicario.»
  
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