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Autore: SaintPotter    08/12/2015    7 recensioni
Quando s’alzava la voce in Casa Potter, da ormai parecchi anni, piatti ed utensili di vario genere volavano per la cucina. [...] Talvolta non erano solamente oggetti a volare, bensì anche animali o persone. Il gatto di Lily Luna era stato lanciato dalla finestra della cucina dal fratello maggiore di lei, James Sirius, almeno una decina di volte (era un miracolo che Mrs. Puddy fosse ancora viva!), ma il sedere della strega stessa aveva fatto almeno il doppio dei voli. [...] Nonostante le grida ed il pericolo dovuto agli oggetti ed alle persone volanti, a Casa Potter, in qualche modo, non si riusciva mai a non stare bene. Ci si poteva sempre sentire a proprio agio, almeno un po’ amato, felice, ed impossibile risultava non farsi una risata – pure, magari, tra uno Schiantesimo e l’altro.
Bastava spostarsi nel maniero del migliore amico del secondogenito di Harry Potter per trovare un’atmosfera del tutto differente. Lì, non volavano forchette, cucchiai, cuscini, armadi, persone o gatti. [...] Lì, a pensarci bene, volavano soltanto occhiatacce.
✕ Con questa storia partecipo al contest “Ed è subito Natale”, di Christine Carter.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Harry Potter, James Sirius Potter | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Canto di Natale.

2026.

 
Quando s’alzava la voce in Casa Potter, da ormai parecchi anni, piatti ed utensili di vario genere volavano per la cucina. Perché sì, per un motivo sconosciuto, i cinque familiari si ritrovavano a litigare sempre in quella stanza.  Non in bagno, non in salotto, non in una delle camere da letto. In cucina.
Talvolta non erano solamente oggetti a volare, bensì anche animali o persone. Il gatto di Lily Luna era stato lanciato dalla finestra della cucina dal fratello maggiore di lei, James Sirius, almeno una decina di volte (era un miracolo che Mrs. Puddy fosse ancora viva!), ma il sedere della strega stessa aveva fatto almeno il doppio dei voli. Per non parlare di quelli che avevano fatto alcuni Auror, i quali lavoravano con Harry Potter, per mano del figlio citato precedentemente, o dell’altro, il secondogenito, Albus Severus.
Eri il Capo degli Auror? Bene! Non potevi invitare alcun ospite, tuo dipendente, a cena! Questa lezione era stata ben chiaramente compresa da quello che era stato il Salvatore del Mondo Magico, molti anni prima.
Nonostante le grida ed il pericolo dovuto agli oggetti ed alle persone volanti, a Casa Potter, in qualche modo, non si riusciva mai a non stare bene. Ci si poteva sempre sentire a proprio agio, almeno un po’ amato, felice, ed impossibile risultava non farsi una risata – pure, magari, tra uno Schiantesimo e l’altro.
Bastava spostarsi nel maniero del migliore amico del secondogenito di Harry Potter per trovare un’atmosfera del tutto differente. Lì, non volavano forchette, cucchiai, cuscini, armadi, persone o gatti. Di gatti, comunque, neanche ce n’era l’ombra. L’unico animale domestico era il barbagianni del giovane Scorpius Malfoy. C’era anche l’elfo domestico, Snitch, ma non era, effettivamente, un animale. Una creatura magica, semmai. Lì, non ci si Schiantava. Non si gridava. A volte, anzi, non si parlava affatto. Eppure, ci si sentiva meno al sicuro che a Casa Potter. Lì, a pensarci bene, volavano soltanto occhiatacce.
 
 
*
 
 
Astoria Greengrass – come suo marito, Draco Malfoy, aveva più volte detto in segreto al figlio – poteva essere paragonata ad una sirena. Era bella, lei, ma la sua bellezza ingannava; era talmente tanta, questa, che impediva ad occhi stupefatti di pensare che la donna potesse riuscire a tramutarsi in un leone affamato. E, a dir con esattezza, Astoria, quando s’arrabbiava, era cento volte peggio di un leone affamato. O meglio, leonessa affamata, certo. Quando non era di cattivo umore, era una persona a dir poco squisita. Poi suo marito sparava la bomba e lei doveva reagire male, ogni volta. E lui doveva spararla per forza, la bomba, perché era Draco Malfoy ed era legge che dovesse essere Mr. Odiatemi Più Che Potete almeno un minuto al giorno. Il suo carattere era migliorato da quando aveva terminato i suoi studi alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, quindi dal momento in cui il Signore Oscuro era morto e lui non era più appesantito dalle scelte sbagliate che era stato costretto a fare; tuttavia non era passato dalle stalle alle stelle. Un po’ di valori era riuscito ad acquisirli, sì, ma un ex-Serpeverde irritante doveva restare pur sempre tale.
Quella sera del 24 Dicembre, la vigilia di Natale, Draco Malfoy confermò la sua teoria della moglie-sirena. E Astoria Greengrass confermò la sua teoria di aver sposato il più grosso idiota del mondo.
 
 
«Non voglio sentir ragioni» disse l’uomo, con una calma che gelava il sangue. Posò la sua forchetta sopra il tovagliolo che affiancava il piatto, poi prese un secondo tovagliolo e con questo si pulì prima le mani e poi le labbra, le quali sarebbero dovute essere sporche di sugo, invece erano più pulite addirittura rispetto a prima che la cena cominciasse. «Domani andrò a lavorare.»
Astoria batté le mani con forza sul tavolo. Lanciò al marito un’occhiata che, se non fosse stata da lui evitata, l’avrebbe certamente folgorato. Ringhiò per la rabbia e posò anche lei la forchetta, ma lo fece con forza e non fu sul fazzoletto che la mise, ma sul piatto. Così, il rumore provocato fu più forte. Non batté ciglio, al contrario di suo figlio, Scorpius, che le sedeva accanto e non faceva altro che sbattere le palpebre, in silenzio, osservando con non troppa curiosità il battibecco trai genitori.
«Non ci posso credere! Lo stai facendo un’altra volta!» gridò. Draco alzò in alto una mano per fermarla, per dir qualcosa, ma ella continuò. «Per la quarta dannatissima volta tu scegli il tuo stupido Ufficio del Trasporto Magico anziché la tua famiglia, il giorno di Natale?»
Era una fortuna che i Malfoy abitassero in un maniero piuttosto isolato dal resto del mondo, perché i vicini non sarebbero stati molto contenti delle urla della donna. Inoltre, non avrebbero apprezzato il colorito rossastro della sua pelle, dovuto alla rabbia, se solo avessero visto. Lei sbuffò, tanto forte da far quasi volare via il suo tovagliolo.
«Be’, è mio dovere andare a lavorare. Sai, sono il Capo dell’Ufficio…» tentò di rinfacciare l’uomo con un’antipatica, odiosissima calma. «Se non vado, i miei dipendenti combineranno i soliti disastri e...»
«Dipendenti?» l’interruppe bruscamente la moglie. «Quali dipendenti? I tuoi dipendenti non lavorano il giorno di Natale, Draco! Tu! Solo tu vai nel tuo ufficio a non far niente, a sistemare fogliacci, mentre dovresti star qui con me, tuo figlio, tua madre ed i miei genitori!»
Avrebbe continuato, la donna. Avrebbe continuato se solo Scorpius non si fosse alzato da tavola e, senza spicciar una parola, non fosse andato in camera sua. Detestava quei loro litigi. E Astoria detestava che lui dovesse assistere a questi. Draco, invece… be’, lui detestava giusto il fatto che sua moglie ancora insistesse a volerlo con loro, a casa, il 25 Dicembre (e il mondo! Sì, detestava anche il mondo). Lui doveva lavorare e voleva farlo. Era un suo dovere recarsi nel suo studio ad occuparsi della sua roba, in quanto, in particolare, Capo dell’Ufficio dei Trasporti Magici.
Se qualche mago avesse avuto problemi con la scopa, con la Metropolvere, con una Passaporta o con la Materializzazione & Smaterializzazione? Il suo Natale sarebbe finito nella spazzatura? No, a questo serviva il signor Draco Malfoy!
«In realtà, comunque, non sono solo. Non ho dato il giorno libero al figlio più grande dello Sfregiato[1].» Fu con evidente soddisfazione che Draco pronunciò queste parole, figurandosi James Sirius Potter che, per la seconda volta (o terza? Chi le contava più!), era costretto a lavorare il giorno di Natale. Era un tirocinante e… be’, se voleva il lavoro, doveva obbedire al suo capo. Sempre. Ed era una sfortuna, per lui, avere come capo proprio il più grande nemico di suo padre ai tempi dell’adolescenza. O meglio, Harry così diceva, mentre Draco sembrava pensarla diversamente; per lui, Harry Potter doveva essere il suo più grande nemico e basta, senza “ai tempi dell’adolescenza”. Certo, una o più volte gli aveva salvato la vita, ma questo era solamente un dettaglio!
Astoria, nel vedere la fierezza sul volto del marito, s’arrabbiò – se possibile – ancora di più e decise di allontanarsi anche lei da tavola. Alzatasi, la donna, in piedi e mossi alcuni passi, si fermò all’improvviso e disse seccamente: «sparecchi tu!», infine andò via. Per la precisione, raggiunse suo figlio e gli parlò, ma il loro discorso non era dato saperlo a nessuno.
 
 
*
 
 
«Allora, dov’è il mio caffè?»
«Arriva, signor Malfoy» sbuffò il giovane James Sirius Potter, a cui proprio non andava giù il fatto che dovesse lavorare il giorno di Natale per quel cafongalantuomo, oops!, di Draco Malfoy. Si chiese come potesse imparare il lavoro che veniva svolto nell’Ufficio dei Trasporti Magici portando solo caffè al suo capo, firmando al posto suo cose che non sapeva che fossero poiché, come gli veniva detto, non gli era dato saperlo, e mettendo in ordine alfabetico carte che il giorno dopo, alla fine, l’uomo avrebbe gettato tra la spazzatura.
“Al diavolo! Sembro io, qui, la spazzatura!” pensò il giovane. Non che pensasse male, perché Draco proprio tale lo considerava. Spazzatura. Doveva esserlo, in quanto figlio di Harry Potter. Così come i suoi fratelli, Albus e Lily. Albus un po’ di meno, dato che era il migliore amico di suo figlio, Scorpius. Lily, se possibile, era considerata ancora più spazzatura di James, perché lei era più piccola, più fastidiosa e, soprattutto, era ovunque. Lei odiava Draco, lui stesso lo sapeva, eppure la ragazzina dai rossi capelli era sempre un “ehilà, signor Malfoy!” di qua e un “salve, salvino, salvetto, signore!” di là. Odiosa.
James impiegò poco più di un minuto a prendere il caffè ed a portarlo all’uomo dalla chioma bionda ma non più lucente come una volta. Glielo porse e l’altro si morse la lingua quando constatò che fosse bollente.
«Ma tu – cioè, lei, mi scusi! Lei… non festeggia mai il Natale in famiglia?» osò domandargli, James. Fu la sola domanda che gli venne in mente. Draco sputacchiò nella sua stessa bevanda, prima di rispondergli che non fossero affari suoi. Il giovane parlò ancora. «Be’, intanto, se lei lavora, devo lavorare anche io!»
«Finiscila di lamentarti, Jim.»
«Sono James, signore» ripeté per la milionesima volta in tanti anni. Draco sapeva bene quale fosse il suo nome, in verità. James non poteva immaginarlo e anzi, credeva che Malfoy avrebbe imparato il suo nome proprio il giorno in cui il mondo fosse finito. Comunque, al maggiore non importava niente del suo dipendente. Non gli importava nulla della famiglia Potter, sosteneva. Il triste vero era che non gli importasse proprio niente di nessuno. Se stesso a parte, naturalmente.
«Vado un attimo a scrivere gli auguri a zio Charlie, che è in Romania e…»
«Proprio adesso? No, adesso non si può! Tieni!» disse Draco mettendogli in mano il bicchierino vuoto, ché il caffè aveva già sorseggiato alla svelta. «Vai a controllare il reparto della Metropolvere! Vedi che sia tutto in ordine! Corri!»
«Ci sono andato tre minuti fa ed era tutto a posto!» ribatté il mago più giovane. Draco lo zittì con un cenno della mano e con un secondo cenno lo cacciò dal suo studio. James filò via, chissà se veloce quanto la luce per lo spavento o per pura noia. O perché, se avesse avuto dinanzi ancora quell’uomo, per la rabbia gli sarebbe saltato addosso e gli avrebbe infilato la bacchetta magica in un occhio. Meglio, a tal punto, restare nel reparto della Metropolvere per più tempo possibile! In pace (più o meno), lontano da lui.
 
Il Capo dell’Ufficio dei Trasporti Magici spedì due, tre, quattro gufo ad alcuni dei suoi dipendenti (no, tranquilli! Non auguri di Natale! Il mondo non stava per cascare!), si Materializzò e Smaterializzò più volte (faccende burocratiche!) e poi, tornato nel suo per niente caldo studio, si sedette alla scrivania ed iniziò a compilare alcuni moduli. Passarono ore e, prima che potesse accorgersene, Draco Malfoy cadde tra le braccia di Morfeo. Be’, per modo di dire, naturalmente! Perché fisicamente era tra le braccia di… oh, niente braccia! Aveva il suo testone posato sulle carte varie, il busto era piegato in avanti e le braccia cadevano nel vuoto, tra la scrivania e la sedia. Ah, e russava. Draco Malfoy russava nel modo più spaventoso che si potesse immaginare.
 
 
*
 
 
Erano ormai le dodici e un quarto del mattino e lo studio di Draco Malfoy era tutto un ronf e uno zzzzz. Un gufo bussò alla finestra che, col vento, s’era chiusa, ma non venne udito. Lasciò fuori la lettera che portava in becco e volò via; questa venne ricoperta dalla neve e si poteva soltanto sperare che non fosse importante. Probabilmente, non lo era, per Draco. Comunque, si trattava di Astoria Greengrass che insisteva un’ultima volta e chiedeva al marito di lasciare il giorno libero a James e di tornare a casa per festeggiare il Natale. Se anche avesse letto quella lettera, l’uomo non avrebbe cambiato idea. Lui voleva lavorare, ancora, perché doveva farlo. Il suo compito era quello di lavorare e lui, i suoi compiti, li doveva fare bene. No, in maniera eccezionale. Draco Malfoy doveva lavorare il giorno di Natale. Punto.
Arrivò un secondo gufo e anche questo bussò alla finestra, ma niente. Ne arrivò un terzo, poi un quarto ed infine un quinto. Toc, toc, toc, faceva. E zzz zzz zzz rispondeva il mago. Ne arrivò un sesto, di gufo. Bussò una, due volte. Pausa. Tre volte. Pausa. Quattro. Poi di seguito cinque, sei, sette, otto. Che rumore fastidioso! Ma egli continuava a dormire, stanco del suo… far nulla, se non dare ordini inutili a James Sirius Potter.
«Ti svegli sì o no?» strillò qualcuno all’orecchio del biondo. Quest’ultimo saltò prima su e poi giù dalla sedia, gridando per lo spavento. Fu preso così alla sprovvista che nemmeno fece in tempo a sfoderare la sua fidata bacchetta magica. Come una pera cotta, Draco cascò sul suo stesso pavimento, mentre indietreggiava per star lontano da una ragazzina dai capelli rossi che era appena comparsa. Era molto, molto simile alla fastidiosa e piccola Lily Luna Potter, ma non era lei. Portava una coroncina di fiori in testa, aveva un vestitino giallo stretto da una cinta marroncina all’altezza dell’ombelico e ai piedi non portava nessun tipo di calzatura. Pareva opaca, quasi quanto un fantasma. I fantasmi che Draco ricordava aver visto a scuola quand’era ragazzo, però, erano più… scoloriti. Comunque, non poteva certamente sbucare all’improvviso nel suo studio un fantasma che mai aveva vissuto in quell’edificio. Se non l’aveva mai vista lì, non poteva trattarsi di un fantasma. Non fece in tempo a chiederle cosa o chi fosse, poiché la bimba immediatamente si presentò come uno spirito, come il fantasma dei Natali passati. Draco, che mai in vita sua era stato così tanto confuso, aggrottò la fronte in una maniera quasi buffa. Lei si mise a ridere e capì lo stato dell’uomo, ma non volle aggiungere altre spiegazioni. Pimpante, disse dell’altro.
«Perché non apri un po’ la finestra? Qualcuno ha messaggi da riferirti, Capo!»
Malfoy non fu molto sicuro se fosse giusto o meno ascoltare quello spirito (“ma poi… uno spirito? Perché? Insomma, che razza di sogno era questo? No, anzi, che razza di incubo era questo?”), tuttavia lo vedeva anche lui, con i suoi occhi color ghiaccio, il gufo che continuava a bussare alla finestra. Andò ad aprire quest’ultima ed una folata di vento entrò nella stanza, lo travolse e lo fece starnutire.
«Salute!» rispose subito lo spirito.
«Non dirlo. È maleducazione» rispose Draco, non troppo convinto, mentre richiudeva la finestra, noncurante dell’animale che per poco si tagliava le sue ali ricoperte di neve per colpa delle ante assassine. Gettò la lettera sulla scrivania e, quando la bimba dai capelli rossi gli chiese, sorpresa, se non la leggesse, lui rispose in questo modo: «saranno i soliti dipendenti che chiedono un aumento dello stipendio» Mosse la mano in un gesto di noia. «Oppure…» ci pensò su per qualche secondo, dopo terminò la frase. «Zabini ed i suoi stupidi auguri di buon Natale.»
«Vediamo, no?»
Draco non ebbe voglia di ribattere, quindi aprì la lettera e diede un’occhiata veloce. «Come non detto: aumento di stipendio.»
«Ouch» rispose lo spirito, credendo che un po’, in fondo, Draco ci fosse rimasto male per gli auguri di buon Natale non ricevuti. Non poteva conoscere, però, i suoi sentimenti, le sue sensazioni e le sue emozioni. Almeno, secondo il biondo.
Si sedette di nuovo davanti alla scrivania, batté le mani e finalmente chiese: «allora, cosa c’è? Problemi con qualche mezzo? Cosa posso fare per te?»
«In realtà» iniziò, lo spirito. «Io posso fare qualcosa per te!»
«Per… per me? Oh, ti prego! Non ho bisogno di niente e nessuno! Ho tutto quello che mi serve! Ho tutti i miei fogli e… dove è finito il figlio dello Sfregiato?»
«Parli di James? Credo sia andato a casa, dalla sua famiglia. Lo spero per lui!
È Natale, Draco. Questa festa è fatta per stare con i propri cari. Dovresti saperlo!»
«Ho tutto l’anno per stare con la mia famiglia!»
«Tu credi?» domandò con un certo fare misterioso che mise la pelle d’oca all’altro. Irritante. Questa cosa dai capelli rossi ma scoloriti doveva essere cento volte peggio di Lily Luna Potter!
«Certamente! Io e mia moglie viviamo nella stessa dimora e posso andare a trovare mio figlio nel suo appartamento o all’ospedale, dove fa tirocinio, quando mi pare e piace! E anche quel Potter può stare con la famiglia in altri momenti! Comunque, non sono qui per farmi dare una mano in non ho capito che da uno strano spirito sconosciuto e ancora non cresciuto!»
Non cresciuto? Per favore, era solo che si portava parecchio bene i suoi infiniti anni!
«Lo so, sei qui per lavorare, Draco, e…»
«E chi ti ha detto il mio nome?»
Lo spirito gli si avvicinò timidamente, aprì le labbra opache per dir qualcosa, probabilmente con dolcezza, ma lui, immediatamente che lei gli fu vicino, a gran voce, quasi bruscamente, domandò: «e cos’hai, qui, sul viso?»
«Parli delle lentiggini?»
«Come diavolo fai ad avere le lentiggini? Non puoi averle! Tu non sei un essere umano! Sbaglio?»
Lo spirito fece un grosso sospiro (che pazienza!) e prese Draco per braccetto. Lui, in tutta risposta, la guardò sì spaventato, sì indignato dal fatto che avesse osato toccarlo. Uno: non aveva il suo permesso. Due: non era un essere umano. Tre: non aveva il suo permesso!
La bimba disse con voce tenera il nome dell’uomo per calmarlo, ma la sua reazione fu la seguente: «No! Non mi toccare! Non so cosa sei e chissà in quale modo mi vuoi imbrogliare! No! Ferma! Non dirmi nulla, se non cosa sei davvero e cosa Salazar vuoi da me!»
«Adesso te lo mostro. Tu, però, devi star tranquillo.»
Inutile dire che Draco non fu affatto tranquillo quando si ritrovò a levitare per il suo ufficio, con uno strano spirito che lo guidava in un posto a lui sconosciuto, tenendolo a sé per il braccio. Non fu affatto tranquillo neanche quando ormai neanche nell’ufficio fu più, ma in una nebbiolina bianca, cieco riguardo la sua meta. Non seppe nemmeno che la sua meta, in vero, non fosse un luogo, ma un tempo.
 
 
«Non sbirciare! Non… Ah! Ti ho visto! Chiudi gli occhi, Draco!» rimproverò Narcissa, con amore, il figlio. Scosse davanti al suo faccino il dito indice e sorrise quando vide che gli occhi grigi del bambino furono finalmente chiusi. Lo guidò sino al salotto, ch’era addobbato con lucine, ghirlande ed oggettini vari dei colori rosso, verde e bianco, tenendolo delicatamente per le spalle. L’albero era la parte più bella in assoluto di quella stanza ed era anche la più luminosa. Sotto questo, tantissimi regali per l’unico figlio di Lucius e Narcissa Malfoy rendevano perfetta l’atmosfera ed aspettavano di essere scartati. Erano almeno una quarantina. Ah, quanto volevano viziarlo! Un sottofondo musicale donava magia. Narcissa fece un grosso sospiro, soddisfatta del suo lavoro, e disse al figlio di aprire gli occhi. Draco li spalancò e in quel momento si sentì il bambino più fortunato del mondo, vedendo dinanzi a sé un tale spettacolo e sentendo il calore della madre che ancora aveva una sua mano posata sulla sua spalla. Ruotò un po’ la testa e vide il padre; fu ciò a far distendere le labbra del piccolo Draco in un enorme, sincero sorriso. Questo sorriso, ahimè, fu il più breve, forse, della sua vita, perché il padre ne aveva uno ancora più grosso e sembrava non essere dovuto al Natale. Lucius corse verso Narcissa gridando, tra l’allarmato ed il gioioso, di averne trovato uno, che fra l’altro era anche dalla loro parte. Non specificò uno chi o uno cosa, poiché la moglie lo sapeva. Lo gridò più volte, ignorando del tutto il figlio, sino a quando ordinò a lei di portarlo via. Draco non ebbe il tempo di realizzare, ché venne trascinato dalla madre, con viso preoccupato, nella sua stanza, al piano di sopra. Non gli venne detto nulla, se non di restare lì e di non far troppo rumore. Il bambino annuì; sulla soglia della porta della sua camera, vicina alle scale che portavano di sotto, scorse la figura di uomo barbuto con uno strano tatuaggio sul braccio e la porta, davanti al suo volto, si chiuse rumorosamente.
 
La stessa espressione aveva il Draco ch’ormai s’era fatto uomo. Lo spirito gli schioccò davanti al viso le dita, perché lui si riprendesse. Pareva essere stato Pietrificato mentre era ad un funerale. Lui strizzò gli occhi, poi riuscì a cacciare dal volto quel non so che di triste e riuscì a fingere di star bene. Non andava più tutto bene. «Eh? Sì?» furono i suoni che emise.
«Tutto bene, Capo?» chiese lo spirito.
Draco Malfoy, dopotutto, era un uomo intelligente. Idiota, di coccio. Ma intelligente. Sapeva benissimo cosa fosse successo, anche se non aveva compreso come fosse potuto arrivare a rivivere quella situazione. Il come, però, non importava poi troppo. Nel mondo della magia, tutto era possibile. L’unico quesito che pose fu: «perché mi hai portato qui?»
Lo spirito sorrise e Draco decise che quel sorriso fosse insopportabile, quindi si voltò verso la porta che si era appena chiusa dinanzi il viso di lui, sia quand’era un bambino, sia adesso. Ma, quando si voltò, vide che non v’era più alcuna porta; di nuovo, invece, quella nebbiolina che già iniziava a detestare. Come se fosse difficile, per Draco, detestare qualcosa!
«Vedrai» fu la risposta che ottenne.
«Ho già visto e non ho capito. E poi… dove stiamo andando, adesso?»
«Quanto sei impaziente, Capo!»
La nebbiolina cominciò a sparire; fu difficile accorgersene, poiché tutto il resto, attorno, era bianco. Era… neve. C’era neve ovunque. A terra, che scendeva dal cielo… dappertutto.
«Quella è stata la prima volta che i tuoi genitori ti hanno deluso, non è vero? Il giorno di Natale.»
Draco non si aspettava che lo spirito potesse dire una cosa del genere. In realtà, non si aspettava proprio che prendesse a parlare. Erano passati solo alcuni istanti, eppure a lui gli erano parse infinite ore, mentre la neve continuava a cadere e le immagini si facevano sempre più nitide.
La risposta alla domanda la conosceva, l’uomo. Tuttavia, non aveva la minima intenzione di condividerla con lo spirito. Quest’ultimo non insistette soltanto perché anche lui, o lei che fosse, conosceva in verità questa risposta. Lo spirito iniziò a camminare – o meglio, a fluttuare a pochi centimetri dal terreno – per una stradina e il mago lo seguì.
«Non ci hanno visto, vero?»
«Vero. Non ne sono in grado.»
«Ora dove mi vuoi portare? E non mi dire che tra poco lo vedrò» avvertì, quasi ordinò, Malfoy.
Lo spirito, che non poteva più rispondere a quel modo, poiché gli era stato appena proibito, decise di rimanere in silenzio e proseguire per quella strada. Draco, invece, non volle rimanere in silenzio e continuò ad insistere, ed insistere, ed insistere. Parlò praticamente da solo.
 
 
«Io credo soltanto che sia roba da matti far entrare uno studente del primo anno nella squadra di Quidditch! Come Cercatore, poi!»
«Lo so, Draco, è quello che ripeti da mesi! Non è che sei geloso?»
«Geloso, io? Di… Potter, poi? Dio, Tiger, certe volte sembra che tu non abbia nulla in quella zucca vuota che chiami testa!»
«Sarà» rispose l’amico di Malfoy, alzando le spalle. «Forse è meglio che parliamo d’altro. Hai già pensato ai regali di Natale per i tuoi?»
«Regali?» fece l’altro, sbigottito. «Sono i miei che li comprano! Comunque, nemmeno lo festeggiamo nel vero senso della parola, il Natale!»
«Di solito anche i miei genitori ricevono qualcosa…» rispose Tiger, incerto. Aveva il naso rosso per via del raffreddore, portava la sciarpa di Serpeverde ed un cappello viola che non c’entrava nulla col resto dei suoi abiti. Starnutì e si pulì il naso con la manica della giacca.
«Sei serio? Cadi così in basso? Sai, hai ancora tanto da imparare! Ti darò qualche dritta mentre faremo i bagagli!»
«Oh!» risuonò Tiger, come se improvvisamente il morto fosse tornato a vivere. «Quindi torni a casa, per le vacanze!»
«Sì» confermò Draco, pensandoci un po’ su. «Ho il pranzo in famiglia, il 25! Ma è quasi un pranzo come tutti gli altri… cambia il fatto che, prima di iniziare a mangiare, diciamo tutti “buon Natale”. O quasi tutti. A volte. Già…» Il suo sguardo s’era pian piano abbassato. Lo rialzò sul volto del compagno di Casa e classe. «E che la presenza di tutti è obbligatoria. Comunque, ogni anno trovo dei regali fenomenali! Non so chi me li regali, so che li trovo sotto l’albero e poi scappo in camera mia a fare le mie cose! Grandioso, no?»
Tiger, evidentemente, non seppe se si trattasse di una domanda a trabocchetto o meno (comunque, non era mai stato troppo sveglio), quindi si limitò a mettere su un grosso sorriso e ad annuire. Oh, e starnutì ancora! I giardini della scuola erano pur sempre gelidi.
«Qui» sentì, per qualche motivo, di voler aggiungere, il ragazzino di undici anni, «è pieno di feccia! Se tu e Goyle rimarreste…»
«Io e i miei volevamo farci un viaggetto!»
«Sì, lo so, lo so… be’, tanto mi divertirò un mondo, io, a Natale! Più di te, questo è naturale!»
Naturale era che Draco volesse sempre vincere. Almeno, a parole.
I due amici varcarono l’entrata del castello, per dirigersi poi nei Sotterranei. Questi erano freddi, in inverno; i Serpeverde erano davvero sfortunati per il fatto che i loro dormitori si trovassero lì. Il raffreddore di Tiger non sarebbe passato presto.
 
«Non vorrai portarmi nei Sotterranei? Si gela, lì!»
«Ssssht!» lo zittì lo spirito, continuando a camminare con il mago alle calcagna. Non entrarono nel castello, ma proseguirono per il corridoio innevato. Pareva lo stesso luogo, invece non si trattava più dei giardini di Hogwarts, ma di una delle strade di Hogsmeade. Anzi, neanche. Era un po’… fuori dal paesino. Si trovavano di fronte alla Stamberga Strillante, la casa che si diceva infestata da molti fantasmi. Ed erano passati due anni. Draco non se ne accorse.
 
 
«Guarda che razza di perdenti, Goyle!» ghignò un ragazzino dalla lucente chioma bionda. «La Mezzosangue che gioca a palle di neve con lo Sfregiato e Lenticchia[2]
Lui, Goyle e Tiger iniziarono a ridere di gusto, avvicinandosi alle loro vittime. I bulli erano sorridenti, i Grifondoro di meno.
 
«Ehi! Ricordo questa giornata!» gridò allo spirito.
«Fai silenzio!» ribatté l’altro.
«Perché, possono sentirmi?»
«No» rispose, meno vivacemente. «Ma ascolta e basta!»
«A che pro? Ricordo già tutto! Si trattò di una giornata parecchio inutile, insignificante.»
«Se fosse stata insignificante, ora non la ricorderesti.»
Se avesse visto, il Draco del passato avrebbe potuto giurare che quello del presente avesse fatto la linguaccia allo spirito. Gli avrebbe tenuto anche il broncio, se solo ciò avesse infastidito lo spirito. Ma questo non faceva altro che sorridere!
«Ho solo una buona memoria!» fu la risposta, a suo parere adatta, che venne in mente solo troppi secondi dopo a Draco.
«Ah sì?»
«Certo. Comunque, se scegliessi di fare un bel viaggetto nel tempo, non vorrei tornare a questo momento. Ho avuto fin troppi contrasti simili con Potter ed i suoi amichetti, questo è solo uno dei tanti!»
«Non è forse, questo, il giorno in cui hai fatto piangere – e non per la prima volta – la ragazza?»
«La Mezzosangue?»
«Hermione Granger. Mi pare di vedere che è l’unica ragazza. Parecchio carina, aggiungerei. Non trovi?»
Draco si avvicinò al gruppo di tredicenni e fissò la ragazzina con disgusto. Spostò lo sguardo sul volto proprio più giovane e allo spirito scappò un sorriso quando capì che questo fosse più schifoso di quello di lei, poiché pieno di crudeltà. Che la sensazione di vomito in Draco-adulto fosse provocata dalle azioni e parole sue e non dal visino di Hermione?
«L’ho sempre trovata parecchio bruttarella, in realtà. Ha i capelli molto crespi, sembra quasi siano pieni di pidocchi, e la sua pelle… non mi garba affatto! Brutta! Inoltre, è una Mezzosangue. Schifosa Mezzo…»
Il Draco tredicenne pronunciò le stesse parole nel medesimo momento. Poi, l’uomo si voltò ed incrociò le braccia, camminando verso la direzione opposta. Pareva non volesse assistere alla scena. Lo spirito lo seguì.
«Non vorrai perderti questo momento? Forza! C’è qualche problema?»
La risposta che palesemente desiderava era un “sì”. Draco non gli regalò questa vittoria.
«Spero tu voglia dirmi di no, perché ho ancora molto da mostrarti!»
«E cosa vorresti mostrarmi? Ancora episodi molto vicini al Natale in cui me ne frego altamente dei festeggiamenti ed inizio ad insultare chiunque creda che questa festa valga qualcosa? Gente che è giusto venga insultata, fra l’altro.»
«E…» aggiunse timidamente lo spirito. «… episodi in cui perdi qualcosa o qualcuno a cui tieni, oppure...»
«Ma che razza di spirito sei? Quello che vuole farmi venire i sensi di colpa? Tanto non mi verranno, stanne certa! E poi, spirito del cavolo, non mi sembra di aver perso nulla, quel giorno in cui la Mezzosangue si mise a piangere!»
«Non eri segretamente innamorato di lei, Draco?»
Draco ringhiò forte, senza confermare la tesi o rinnegarla. Camminò sulla neve con maggiore velocità, con lo spirito che gli stava dietro, e, nonostante credette di camminare ad Hogsmeade, in breve tempo si ritrovò sulla strada di fronte ad una delle entrate babbane del Ministero della Magia.
Si voltò verso lo spirito per ringhiare dell’altro e per aggiungere che aveva capito, aveva capito il suo piano – o almeno credeva di aver capito – e che sapeva che tutto ciò l’avesse organizzato sua moglie. Però, inaspettatamente, la ragazzina opaca dai capelli rossi non fu più dietro di lui.
«… spirito? Dove sei finito?»
Sbatté le palpebre, il resto del corpo immobile, in piedi sulla neve, col vento che solo i capelli faceva spostare a destra ed a sinistra. Faceva anche rumore, sempre il vento. Era spaventoso. Soprattutto perché tutto, intorno, taceva. Draco pensò che forse fosse meglio che lo spirito fosse sparito, così si voltò per proseguire il suo cammino verso il suo ufficio – ora la strada non più gli era nuova – ma quando si girò si trovò davanti qualcuno che mai si sarebbe sognato di rivedere; per poco non gli sbatté contro, si fermò prima dello scontro. (Lo scontro non ci sarebbe stato, in verità. Si trattava di uno spirito, il fantasma dei Natali presenti.)
Albus Silente gli sorrise e gli disse subito quanto gli mancasse, da quando era morto, mangiare le sue adorate Gelatine Tutti i Gusti +1. «Non ne ho mai mangiata una al pompelmo» aggiunse, riflettendoci su un secondo.
Draco Malfoy diventò improvvisamente bianco come la neve che stava sotto i suoi piedi.
«Vuoi dirmi perché hai lo stesso colore della mozzarella, Draco?» domandò con gentilezza. Arricciò le labbra. «Pensandoci, non ho mai assaggiato neanche una Gelatina al gusto di mozzarella. Tu sì?»
Sentì di non essere in grado di aprire bocca. Nessuna parola sarebbe stato in grado di pronunciare. Dopotutto, era stato lui, Draco, ad uccidere Albus Silente. Be’… più o meno. Lui l’aveva Disarmato e Severus Piton aveva dato il colpo di grazia. Ma lui l’aveva Disarmato!
L’aveva fatto perché costretto, perché aveva scelto di fare come i suoi genitori avevano deciso per il loro bene, l’aveva fatto perché altrimenti Lord Voldemort l’avrebbe assassinato. Non avrebbe voluto farlo, ma aveva deciso di essere costretto a farlo.
Respirò con fatica.
«Orsù, Draco! Sono io quello morto! Devo insegnare a te come si respira?» Albus Silente batté le mani un paio di volte. «Inspira ed espira lentamente! Dentro l’aria, fuori! Deeentro…»
Ma che diavolo…
«Allora» proseguì il fantasma del vecchio mago, ora che Draco gli pareva più tranquillo – gli pareva, ma non lo era. «Vuoi seguirmi?»
«Signore… io…»
«Non è il momento per pentirsi di avermi ucciso! Tanto, prima o poi, la mia ora sarebbe arrivata. Oh, dicevamo? Sì… vuoi seguirmi?»
La voce di Draco tremò, quando disse: «avevo altri impegni per il giorno di Natale.»
«Certamente, lo so! Tu devi lavorare! E chi lo scorda?» rispose Albus, prima di scoppiare in una insensata risata improvvisa. «Vieni con me, ragazzo!»
Come se Malfoy fosse ancora un ragazzo!
Peccato! Draco era davanti al Ministero, era così vicino al suo studio… e doveva così allontanarsi?
 
 
«Ahia! Se ti prendo, Albus, giuro che ti sgozzo il gufo!»
 
«Simpatico, Harry Potter, che dà il mio nome a suo figlio!» esclamò con vivacità il fantasma del vecchio mago. Al suo fianco, Draco Malfoy, fuori la finestra del salotto della Tana, sbuffò. Il vetro si appannò. Nessuno, comunque, ci fece caso. L’insopportabile Lily Luna Potter stava inseguendo suo fratello e l’uomo dalla bionda chioma pensò che non aveva nessunissima voglia di vedere quella ragazzina. Aveva di meglio da fare. Aveva da compiere il suo lavoro.
«Scorp! Prendi!» rispose presto il fratello, lanciando al suo amico la bacchetta magica della sorella. Scorpius l'afferrò al volo, poi corse via, con Lily alle calcagna.
«Merlino! Fate attenzione, ragazzi!» urlò Hermione Granger quando Scorpius Malfoy la travolse e, pochi secondi dopo, la nipote dai capelli rossicci fece lo stesso. Infine, anche Albus li imitò.
«Almeno i ragazzi si divertono» tentò di giustificare Ginevra Weasley, sospirando. Era seduta sul divano al fianco di Astoria Greengrass, che stava accanto a Hermione. Le donne tirarono un sospiro (il secondo per Ginny) nello stesso momento. Un po’ per il sollievo che i ragazzi “andassero d’accordo”, un po’ per la resa nei confronti di Harry Potter e Ronald Weasley che avevano vinto contro le mogli ed erano riusciti a convincerle che toccasse loro finire di mangiare i dolci preparati da Nonna Molly e un po’ per la disperazione. Il gufo di Hugo ancora faceva rumori molesti… Dio, fosse dannato!
Giovani madri a parte (che, in cuor loro, sapevano che tutto stesse andando bene e che, ancora in cuor loro, sapevano di essere sinceramente e semplicemente felici), tutti erano fin troppo allegri. Persino Rose, che stava leggendo il suo romanzo strappalacrime.
«Ti ringrazio, Ginny, per aver deciso di invitare anche me e Scorpius.»
«Figurati! Siamo lieti di avervi qui! Soprattutto Lily, a quanto vedo!» disse Ginevra ad Astoria, più che convinta che Lily avesse una cotta per il biondo giovane Malfoy da lungo tempo.
«Mio marito…» provò a continuare l’altra. Però, una smorfia di disgusto le impedì di dire di più.
«Sappiamo come è fatto Draco. Non preoccuparti, Astoria.»
«Scorpius avrebbe voluto che lui ci fosse. E avrei voluto anche io. Purtroppo, non gli importa niente di nessuno. Non sa cosa voglia dire amare qualcuno, lui.»
 
«Che cosa?» sbottò Draco, fuori la finestra, il quale era stato ben attento alle parole dette dalla moglie. «Intanto, sono io quello che porta i soldi a casa per mantenerli! Solo perché devo lavorare, oggi, dice che non sono in grado di amare?»
«Be’, signorino…»
Come, ancora, se Draco fosse un ragazzino!
«La dice grossa, lei, perché non sa che dire! Ma ti prego! Non sono con loro e quindi non so amare! Che diavolo c’entra questo con l’amare?!»
Per la rabbia, strizzò gli occhi. Erano di ghiaccio, era vero, ma per un istante, quando li tenne spalancati, sembrarono di fuoco. Ringhiò forte. Nessuno, lì fuori, l’avrebbe sentito, naturalmente.
 
«È arrivato il momento del duello padri contro figli!» gridò Harry. Ginny Weasley odiava quel gioco, ma ormai, dopo qualche anno, era diventato una tradizione e in molti non volevano rinunciarci. Prima che lei, come sempre, potesse dire qualcosa, il marito si sbrigò ad aggiungere: «nulla di pericoloso, si sa!»
Ginny avrebbe voluto ribattere, ma sapevano tutti che fosse inutile insistere contro Harry Potter, quindi sbuffò e, mettendosi scomposta sul divano, decise di lasciar perdere. Ronald si avvicinò a suo figlio Hugo, Harry fronteggiò James e Albus. Scorpius, senza Draco, fece per dire qualcosa, un po’ imbarazzato, ma il marito di Hermione Granger, immediatamente, lo invitò a sfidarlo. Ormai, tanto, era della famiglia. Nonostante fosse un Malfoy (e nonostante alcuni anni prima Ron odiasse Scorpius, poiché credeva fosse la copia sputata di suo padre).
 
«Oh oh!» esclamò Albus Silente con una voce molto somigliante a quella di Babbo Natale. «Deve essere brutto farsi portare via dallo stesso uomo la donna ed il figlio!»
«Taci, vecchio!» rispose bruscamente Draco. Il pentimento per averlo ucciso, anni prima, pareva essere sparito. Draco continuò ad osservare cosa accadeva dentro La Tana, in silenzio. Strinse le mani a pugni, le unghie che graffiavano i palmi. Albus non lo interruppe più. Ciò non lo infastidì affatto. Però, doveva ammettere che la vista non fosse delle migliori. Mai, Draco Malfoy, aveva tanto odiato la famiglia Potter-Weasley.
«Lo vedi quanto sono felici senza di te?» domandò una voce gelida.
In un altro momento, il biondo si sarebbe accorto che la voce non fosse ulteriormente quella di Silente, ma il suo essere estremamente impegnato a morire di invidia e rabbia al tempo stesso – più rabbia, direbbe, l’orgoglioso – lo fece distrarre e quindi non si accorse di nulla. Quando si voltò, però, capì che Albus Silente tornato dopo la morte non fosse la visione più spaventosa di sempre.
Suo padre, Lucius Malfoy, che ancora era in prigione, gli sorrideva con amarezza. Be’, il suo spirito, più che altro! Il fantasma dei Natali futuri.
Sentì improvvisamente freddo e non fu per il clima. Draco volle scappare. Ci provò, mosse alcuni passi veloci, ma lo spirito si materializzò, in pratica, di fronte a lui.
«Cosa vuoi, da me?»
Lo spirito non gli parlò, non più. Non avrebbe ulteriormente aperto bocca. Avrebbe solo disteso le labbra in acidi sorrisi.
«DIMMI PERCHÉ SEI QUI!» urlò a lui, Draco. Divenne rosso sul volto. Gli venne voglia di piangere. Non lo fece, naturalmente. Scoprendo che ad ogni suo passo lo spirito indietreggiava, iniziò a correre in avanti. Ad un tratto, inciampando su qualcosa che non c’era, perciò evidentemente sui suoi stessi piedi, il mago cadde sul terreno. Si rialzò in fretta. Odiava il fatto che il fantasma – che non era quello del padre, poiché ancora in vita, ma che le sue sembianze aveva – non gli rispondesse. Gli urlò di dire qualcosa. Non riuscì a spostare lo sguardo dallo spirito ad altro, tanto l’odio che provava nei suoi confronti. L’odiava perché il suo aspetto era quello del padre, giusto per ciò. E Draco odiava suo padre, dalla fine della primavera del 1998. O probabilmente da prima ancora.
Se riuscì a guardare altrove, fu solo perché il vento lo costrinse a farlo, troppo forte. Quando altrove guardò, vide neve e nebbia. Si ruotò. Vide ancora neve e nebbia. Bianco, bianco ovunque. Non c’era niente. Il nulla.
«Dove mi hai portato?» chiese, spaventato e arrabbiato. L’altro fu zitto. «Dove cazzo mi hai portato?» fece quindi più forte. Allora, scoppiò in lacrime. Lacrime dovute alla rabbia.
Fra una lacrima e l’altra, impiegò vari secondi per accorgersi che la neve e la nebbia fossero sparite. Adesso, vedeva ombre. Soltanto nero, intorno ad una fiamma gialla e rossiccia.
La stanza in cui si trovava era totalmente vuota e triste. Era bianca, ma in ombra non pareva di questo colore. La finestra era chiusa, con le tende verdastre strappate. C’erano solo scatoloni, sul pavimento. Su uno di questi, una candela illuminata. A terra vi era in più soltanto una foto incorniciata, ma il vetro era spaccato. La foto ritraeva la famigliola Malfoy al completo: Draco, Astoria e Scorpius, nel maniero. Erano felici. Sulla foto, però, c’era un taglio, proprio sopra il volto dell’uomo. C’era un materasso, accanto la porta. Un materasso nuovo. Di un letto singolo. Fu difficile riconoscere la camera da letto di Astoria e Draco, così vuota. E così scolorita.
«Cosa è successo?» domandò al fantasma dei Natali futuri. Ancora provava un forte sentimento di contrasto per quello, ma la nuova vista era più interessante. In senso negativo, naturalmente. Lo spirito, comunque, non disse niente.
Draco compì qualche passo in avanti, ma la stanza era sempre uguale. Nulla di nuovo, solo scatole, un materasso, una candela e la foto. Raccolse quest’ultima, piegandosi un po’ sulle ginocchia. Piegato rimase mentre l’osservava. Non disse a voce alta i suoi pensieri, chissà quali questi fossero. Allo spirito pareva non importare più di tanto. Si mise dritto, Draco, alcuni istanti dopo, molto lunghi, mantenendo ancora la foto tra le mani e stando attento al vetro rotto e tagliente.
«Dove è l’arredo? Ci stiamo trasferendo?»
“Non tu” avrebbe risposto lo spirito, se solo avesse scelto di parlargli ancora. Non rispose, invece, e camminò via, in attesa che il biondo lo seguisse. E questo, seppure non si fidasse più del padre, lo seguì. Forse perché non si trattava del padre, in verità. O forse perché la curiosità era troppa, come la paura che provava.
Il salotto era ancora uguale, sembrava. Mancavano alcuni oggetti. Mancavano le fotografie di Scorpius, di Astoria, mancava la poltrona su cui lei soleva sedere, in inverno, dinanzi al camino. E mancava lei, col figlio. La luce del lampadario era spenta. Draco non l’accese.
Sopra il camino, non la solita ghirlanda natalizia era appesa. Un foglio, invece, portava un messaggio. Venne letto immediatamente.
 
“Ciao, Draco.
Vorrei dirti che questa è stata una decisione difficile, ma ti mentirei, e la nostra relazione si è sempre basata su pochi valori importanti tra cui la fiducia. Perciò non ti mentirò.
Io e Scorpius abbiamo deciso di andarcene. Staremo da mia madre, finché non troveremo una casa tutta per noi. Ho già trovato un lavoro, quindi non devi preoccuparti di darci alcun denaro. Hai lavorato, hai lavorato tanto e meriti quei soldi. Li meriti tutti tu, soltanto tu. I soldi sono tutti per te. E lo saranno finché non capirai i tuoi errori e non ti deciderai a risolvere la situazione. So già che non lo farai mai, perciò presumo che quel denaro sarà tuo per sempre.
Io e nostro figlio abbiamo deciso di andarcene perché sono passati tanti anni, ormai, e tu ci dai tanto, ma nulla di ciò che ci dai è ciò che noi vorremmo veramente. Vorremmo amore. Vorremmo essere una famiglia. Tu, però, pensi solo a te. Pensi al tuo stupido lavoro. E a tutto ciò che ti conviene. Io non voglio un marito così e, soprattutto, non voglio per mio figlio un padre così. Lui non ha bisogno di un padre che va a lavoro ad ogni Natale perché non gli interessa di lui e di sua madre, perché loro non sono importanti, importanti quanto il suo ufficio e le sue carte.
Non si tratta solo del periodo natalizio, tuttavia. Si tratta di sempre, Draco. A te non importa. Non importa niente di nessuno, se non di te.
Draco, io non ho bisogno dei tuoi soldi, io ho bisogno di te. Tu, però, non hai bisogno di me. E di Scorpius. Noi, allora, cercheremo di non aver più bisogno di te.
Stai a lavoro, questo Natale, tanto a casa non troverai nessuno. Abbiamo già portato via le nostre cose.
Mi dispiace, anche se poi non troppo, poiché questa storia va avanti da tanto tempo e siamo stanchi. A breve ti arriverà una mia lettera, lì v’è scritto tutto per quanto riguarda il divorzio. Fingi che già ci sia stato. E rispondimi via gufo, poiché non ho intenzione alcuna di vederti.
Vorrei solo che avessi tentato di amare un po’ di più la tua famiglia.
Astoria.”
 
Il folle grida, il triste piange. Il disperato fa entrambe le cose. Draco fece, allor, esattamente ciò. La fotografia gli cadde dalle mani ed il poco vetro non infranto morì subito. Ora, era come se non esistesse più nulla. Vetro del tutto distrutto, come la famiglia. Oppure come il cuore dell’uomo, che si pensava fosse di pietra. Invece era di ghiaccio, doveva solo sciogliersi.
«No! Spirito, questo non è mai successo!» urlò, tentando di capire. Il calendario, sopra il camino, segnava l’anno 2033. Lo notò. «Deve accadere per forza? Posso cambiare il futuro?»
Pareva in preda al panico. Certo, Draco Malfoy non era mai stato un tipo troppo coraggioso.
«Che cavolo, parlami! Posso fare qualcosa? Cosa? Cosa? Diamine! Cosa devo fare?» Non ebbe risposta. «Dimmi qualcosa!»
Eccola. La vedete, la lacrima di Serpe che cadde? Fu più trasparente della camera in cui si trovava, più fredda. Era anche pesante. E dolorosa. Fece gonfiare, insieme alle sue figlie, gli occhi glaciali dell’uomo. E vennero le nipoti della prima lacrima.
«Non può accadere!»
Sapeva di essere un idiota. Non pensava che il suo esserlo potesse causare tanti dolori a lui. Non aveva mai creduto che qualcuno potesse arrendersi al suo egoismo. Non credeva che qualcuno potesse arrendersi con lui, che finisse con il lasciarlo andare, perché non ne valeva la pena. Perché lui avrebbe lasciato andare chiunque altro ed aveva già lasciato la famiglia, per molti anni. Lo aveva fatto ogni Natale. Meritava, in fondo, di piangere. E di sentirsi così male da riuscire a mala pena di respirare. E di credere di non poterlo fare ancora a lungo.
«Non posso averlo fatto!» singhiozzò. «Li amo! Io amo entrambi con tutto me stesso! Ho sempre agito alla maniera sbagliata, spirito, ma per loro e perché avevo paura! Avevo paura di deluderli!» Incrociò tutte le dita delle due mani, come se stesse pregando, pieno di passione. Continuò a piangere. Piangere era quella cosa che Draco Malfoy aveva fatto pochissime volte nella vita. Piangere gli faceva male perché lo faceva sentire debole. Eppure, a smettere di farlo non era in grado. «Avrei voluto essere un padre esemplare per Scorpius! Un marito perfetto!» riprese. «Pensavo che gli amici di mio figlio, guardandomi, avrebbero pensato “wow, di chi è padre quell’uomo, grande lavoratore, che per la famiglia vuol avere così tanti soldi che, se questa volesse, comprerebbe anche la luna?” e che lui, soddisfatto, avrebbe risposto “il mio”. Pensavo che volessero qualcosa di grande, di grande come la luna. Non amore. Pensavo…»  “che non ne avessero bisogno, da me”. Tirò su col naso. «…ho sbagliato tutto quanto.»
Povero, povero Draco!
«Come rimediare ai miei errori? Come… spirito? Spirito, dove sei? … padre?»
Lo spirito non rispose. E non l’avrebbe fatto, comunque, all’ultima chiamata, perché non era Lucius Malfoy, non era suo padre. Era sparito. Andato. Draco si guardò attorno e vide che era solo. Le lacrime, pian piano, iniziarono a finire. L’ultima parve più leggera. La toccò con un dito, ma non la sentì bagnata. Non sentì nulla. Sentì solo un toc, toc, toc alla finestra. La finestra del suo ufficio.
Aprì gli occhi. Aveva la testa posata su un libro che era sulla sua scrivania, vide che si intitolava Canto di Natale. Non l’aveva mai sentito, prima di quel giorno, ma sapeva per certo che fosse babbano. La pagina a cui era aperto era l’ultima. E… ma certo! Certamente! Stava leggendolo, prima di addormentarsi! Forse.
Il toc, toc, toc continuò e Draco scattò in piedi, ancora confuso.
«Il gufo!» esclamò, avvicinandosi in fretta alla finestra ed aprendola. Il gufo gli lasciò una lettera, firmata “dalla tua Astoria”. Draco saltò dalla gioia, notando quell’aggettivo possessivo. «Sì, sì, sì! La mia Astoria!» gridò pure. Ma non poteva essere così felice. Non ancora. Doveva renderla sua del tutto e doveva far sì che anche Scorpius fosse suo figlio, suo e non di Ronald Weasley.
«Grazie, bello!» disse al gufo, chiudendolo fuori la finestra e gettando sulla scrivania la lettera. Non aveva intenzione di leggerla. Aveva voglia di andare da lei e basta, di dirle di persona che quel giorno non dovesse lavorare. Si disse che avrebbe risolto ogni problema, anzi no, non lo disse a sé stesso, lo gridò alle pareti del suo ufficio. Lo gridò tre volte, poi quattro, poi cinque, poi… eh?
Toc, toc, toc!
Ancora?
Si voltò e non vide gufi alla finestra. Il suono, capì, proveniva dalla porta. Quando gridò “avanti”, James Sirius Potter entrò e aprì la bocca per dire qualcosa. Draco gli impedì di farlo, fu più veloce a dire la sua.
«Ma sei idiota?» disse, rude. «E non dire a tuo padre che ti ho chiamato così, o ti caccio.» Aggrottò la fronte. «Anzi, diglielo pure, non mi interessa! E poi…»
«Ho fatto quello che mi ha detto di fare! Io…»
«Osi interrompermi? Dicevo – perché diamine sei ancora qui?»
«Ecco…»
«È Natale! Vai a casa, ragazzo!»
James sgranò gli occhi; avrebbe voluto allungare una mano verso la fronte di Draco, ma capì che fosse meglio non farlo. Gli chiese, lo stesso, se stesse bene.
«Benissimo!» Fu la risposta che ottenne. «Ora vai, James. Lo Sfregiato ti attende!»
«James! Esatto! Ah-ah! Sa come mi chiamo! James!»
«Hai tre secondi per sparire dalla mia vista. Poi ti Affatturo.»
«Corro! Buon Natale, signor Malfoy!» esclamò un gioiosissimo James Sirius Potter, scappando via dallo studio di Draco prima, e chiudendosi la porta alle spalle, e dal Ministero poi.
Un altro toc, toc, toc.
«Ancora?» gridò Draco, senza aprire la porta. «Ti ho detto che puoi andare a casa, Jammolo!»
Stavolta finse di non ricordare il suo nome. Come al solito, in fin dei conti.
La porta si aprì ed un ragazzo nient’affatto somigliante a James entrò nell’ufficio di Draco.
«Si chiama James, papà.»
«Scorpius? Che ci fai qui?» domandò il padre. Sarebbe andato da lui, ci sarebbe andato immediatamente, ma… lui era lì. Perché?
«Non hai ricevuto la lettera della mamma?»
Draco inarcò un sopracciglio. Adesso sì che era confuso! Scorpius riprese a parlare.
«La lettera! Quella in cui ti ha scritto che…»
«Finalmente!» esclamò Astoria, entrando nella stanza anch’ella. Tirò un grosso sospiro, sollevata. «Neanche un buco! Lo sapevo che raggiungerti con un mezzo di trasporto babbano non fosse la mia idea più geniale!»
Draco Malfoy fu stupito del fatto che la moglie fosse venuta col figlio in auto (perché sì, era riuscita da poco a prendere la patente. Voleva provare il brivido di viaggiare come facevano i Babbani, diceva), ma non fece commenti su ciò, perché più di tutto era stupito del fatto che fossero venuti. Avrebbe sorriso a loro, se solo la sua mascella non si fosse bloccata in una enorme espressione di stupore.
«Che ci fate qui? Non eravate con i Weasley ed i Potter?»
Astoria arricciò il naso. «Weasley e Potter? Da quando festeggiamo insieme a loro il Natale?»
«Credevo…» balbettò il marito. Lei scosse il capo.
«Ti prego! A Natale si sta in famiglia! Ecco perché siamo qui!»
«Aspetta!» rispose prontamente. Guardò la moglie, poi il figlio. Aveva molto da dire loro, ma non sapeva da dove iniziare. «Sono uno stupido, ragazzi. So di aver sbagliato tutto ed ecco perché stavo per andarmene da qui e venire da voi!»
«Andarsene?» chiese lei, interrompendolo. «Ma tesoro, tu oggi devi lavorare.» La sua affermazione fece trasformare la testa di Draco in un grosso punto interrogativo. Astoria continuò. «E noi lavoriamo con te!»
Scorpius si avvicinò al padre, gli diede una pacca sulla spalla e prese alcuni fogliacci, per poi chiedergli dove dovesse metterli. La madre lo imitò. In brevissimo tempo, la famiglia iniziò a darsi da fare e, giusto una decina di minuti dopo, allo sventolio della bacchetta della Greengrass, una ventina di addobbi natalizi in volo entrarono dalla porta e si posarono in luoghi strategici nell’ufficio del mago adulto.
«Direi che questo va al suo posto!» esclamò Astoria quando si ritrovò fra le mani il libro Canto di Natale. «E qual è il suo posto?»
Draco, riflettendoci, pensò che non lo sapeva. In effetti, non aveva mai visto quel libro nel suo ufficio. Non l’aveva mai visto e basta. Pensò che sarebbe stato benissimo nella libreria, così lo prese dalle mani della moglie, con delicatezza, per posarlo nel luogo prescelto. Un biglietto cadde sul pavimento, sfuggendo tra due pagine profumate di nuovo. Sopra c’era scritto solo “Buon Natale. –Harry Potter.”
Scosse la testa un paio di volte, Malfoy. Sorrise, poiché di motivi per farlo, vide, ne aveva molti.
«Grazie, Sfregiato» sussurrò, decidendo che quello sarebbe stato il suo nuovo romanzo preferito.
 
 
 

Note:

  1. “Lo Sfregiato” è il nome con cui Draco Malfoy soleva chiamare Harry Potter.
  2. “Lenticchia” è il nome con cui Draco Malfoy soleva chiamare Ronald Weasley.
  3. Con questa fan fiction partecipo al contest “Ed è subito Natale”, di Christine Carter. Nel regolamento c’è scritto “la storia deve essere letta come originale, quindi, anche se i personaggi appartengono a qualche fandom, la storia deve essere staccata da eventi importanti, in modo che qualcuno che non conosce il fandom la possa leggere”. Be’, spero che tutti quelli che non conoscono Harry Potter ci abbiano capito qualcosa!
  4. La consegna era di scrivere la storia di una persona che deve lavorare il giorno di Natale, spero di aver fatto un lavoro accettabile.
  5. Per gli altri partecipanti al contest che devono recensire la storia: non odiatemi solo perché è troppo lunga!
  6. Ho scritto questa cosa in frettissima, spero non sia una cagata assurda. Se lo è, siete liberi di farmelo notare! Per ogni recensione regalo un cucciolo di Draco Malfoy, giuro.
  7. Non ho mai scritto note simili alla fine di una storia e mi sento stupida. Se devo fare la stupida, devo per forza dire il seguente: WOW, SONO RIUSCITA AD INSERIRE NELLA STORIA TUTTE E TRE LE MIE TRE SHIP PER DRACO: DRASTORIA, DRAMIONE E DRARRY! Come dicono nella mia città, “DAJE!”
  8. Mi sembra giusto dire che, come si può capire sia dal testo, sia dal titolo, questa storia è un incrocio, diciamo, tra Harry Potter e Canto di Natale.
   
 
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