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Autore: MyAceIsMe_    08/12/2015    1 recensioni
"Non so perché sai, ma, quando guardo nei tuoi occhi riesco a leggere gli stessi sentimenti che esprimono queste Anemone."
Ed è così che incontrai Kim Himchan.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Himchan, Yongguk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non voglio fare una spiegazione troppo lunga quindi …

 All’inizio questa doveva essere una One Shot , ma mi sono dilungata tantissimo, quindi forse la dividerò in tre capitoli. L’ispirazione per questa fan fiction mi è arrivata intorno alla fine di Ottobre e agli inizi di Novembre, perché in quel periodo stavo aspettando tremendamente il ritorno dei B.A:P, li stavo aspettando così tanto che ho fatto un sogno sulla BangHim, e da quel sogno mi è venuta in mente questa fan fiction.

Spero che non faccia , letteralmente, troppo schifo visto che mi ci sono data davvero da fare per farla bene, inutile dire che è la prima fan fiction che faccio. Se non capite qualcosa non abbiate paura a chiedermi il significato.

Scusate per eventuali errori.

Buona lettura

 


 

Anemone.




Non  ricordavo niente, nulla.
Aprii gli occhi, una stanza, bianca, solo dei macchinari e un Bip  poco rassicurante nelle orecchie.

Ecco cosa sentivo solo quel rumore e un forte mal di testa, nessuno era lì con me, dove mi trovavo?

Provai … provai ad alzarmi, ma giuro ero stanco, molto stanco, potevo chiamare qualcuno, urlare che io ero qui, in un posto che non conoscevo, con nessuno al mio fianco per spiegarmi la situazione, o solo per dirmi un semplice e rassicurante :”Va tutto bene”, nessuno.

Non solo nessuno ma soprattutto, niente, niente usciva dalla mi bocca, neanche un piccolo suono per far sapere agli altri che ci sei , che sei ancora lì ad aspettare qualcuno, ma niente, niente e nessuno.

A quel punto pensai :”Non ho un nome, non ho nessuno, allora chi sono io?”

Ero stanco quindi mi misi a dormire,  mi ero arreso, ci avrei pensato dopo.


 
Mi svegliai , ancora lì,  il bip c’era , il mal di testa, anche, ma con me c’era qualcuno.

Una signora con la divisa bianca mi si avvicinò piano, aveva un bel sorriso, bei capelli, sguardo dolce, pelle lattea, ma a me non piaceva.

Era una sconosciuta, poteva essere chiunque, la sua presenza non mi rassicurava per niente, forse era meglio stare soli, la compagnia di una persona di cui non si ha nessun legame o ricordo e come stare da soli, in un certo senso.

“Ciao.” la sua voce era dolce proprio come il suo aspetto, ma priva di ogni colore, se avrei dovuto scegliere un colore, per lei sarebbe stato il bianco, come quello della stanza o del suo vestito, e se avessi dovuto darle una forma, le avrei dato una linea retta, piatta e monotona, nient’altro, solo una linea.

“Lo so che sei confuso , ma lascia che ti spieghi. “mi disse, quasi sussurrando.

Ricordo e come la sensazione che provai quando mi raccontò perché ero lì.

Tristezza e smarrimento, dolore e un po’ di sollievo.

Tristezza e smarrimento: a quanto pare ero sopravvissuto a un incidente in auto ”grazie”  alla cintura di sicurezza, i miei non la indossavano; avrei voluto non averla indossata, il destino avvolte è davvero cattivo, anzi malefico, ma, non sentivo come se i miei genitori mi avessero abbandonato, più che altro sentivo come se io avessi abbandonato loro, sarei dovuto rimanergli accanto, sempre, come tutti dovrebbero fare coi loro genitori.

Da qui deriva lo smarrimento, cosa avrei fatto adesso?

Il dolore, perché non avrei potuto ricordare il loro volto, o un loro sorriso rivolto a me, ecco la parte peggiore, avevo un’amnesia, ma non solo ero diventato anche muto, bella sfiga, è?

Da quello che ricordo, la dottoressa non mi disse che mutismo era, ma i dottori pensavano che avevo adottato un tipo di mutismo selettivo causato dal trauma della perdita dei miei genitori, che il mio cervello non ricorda, ma che la mia “psiche” sente.

Il non poter dire a qualcuno il mio dolore e rivelare i miei sentimenti, non aiutava a star meglio, per niente.

Il sollievo, l’unico sentimento “positivo”  che ho provato, era causato da una piccola cosa , ma per me molto importante, il mio nome, Bang Yongguk.

Adesso che ci penso il mio nome non è il nome più bello del mondo, ma in quel momento ero felice di poter sapere che ero qualcuno, non una persona senza nome che, non si ricorda il suo passato o che non riesce a parlare, prima ero nessuno, ma adesso ero un “nessuno”  con un nome.

La dottoressa, cercò di spiegarmi il tutto molto delicatamente, forse per paura di urtare in qualche modo i miei sentimenti, ma non si può non sentirsi tristi quando qualcuno ti dice una cosa del genere e poi quanti anni avevo?

Mi disse anche questo, sette, solo sette anni, come potevo non rattristirmi a una così tenera età? Infatti, non si può.

“Yongguk, adesso sei in un ospedale, ti terremo qui per un po’ per accertarci che stai bene, poi ti porteremo in un posto migliore.”  mi sorrise e poi se ne andò.

Ed ero di nuovo solo, in una stanza bianca, con il mal di testa e con quel fastidioso bip nelle orecchie.

Avevo molto da chiedere alla dottoressa come :”Quando passerà questo mal di testa?”  oppure un innocente “Quando si mangia? Ho fame” , ma la domanda a cui ardevo di più ad una risposta era :”Come si chiamavano i miei genitori?” , una cosa, almeno una cosa di loro volevo ricordare, un nome da invocare quando si è tristi, ma a me non era concesso questo svago.


 
I  giorni all’ospedale erano gli stessi, sempre, ormai sapevo ogni dettaglio di quelle quattro mura bianche.

Rimanevo tutte e giornate a letto a pensare :”Com’è fuori di lì?” , ero sicuro che ci fossero delle persone lì fuori come me, ma cosa facevano loro?

A parte il pollo con il purèe che mangiavo ogni giorno all’ospedale, c’era qualche altra cosa di cui ci si può nutrire?  Qualcosa di più dolce e delicato, qualcosa che appena messa in bocca ti fa dire :” Wow, questo è il mio piatto preferito!” . “E io? avevo un piatto preferito?  Cosa facevo ogni giorno? Avevo degli amici?". Domande diverse ma sempre la stessa risposta, non lo so.



Mi avevano detto, che mi avrebbero portato in un posto migliore, ma comunque non potevo sapere se davvero sarebbe stato un posto migliore visto che la mia conoscenza sugli edifici si fermava all’ospedale.

Dopo giorni in quel posto ero più che contento di dovermene andare, speravo davvero di andare in un posto migliore e riscoprire cose che il mio cervello aveva rimosso.

Il timore c’era e no se n’era mai andato,
.
Vero, avevo voglia di sapere ma avvolte le cose che si scoprono non sono come ci aspettiamo e poi si rimane delusi “Io non ho voglia di rimanere deluso”.

Uscii dalla mia stanza d’ospedale accompagnato dalla dottoressa , era la prima volta che mettevo piede fuori dalla mia stanza , era tutto bianco , non potevo aspettarmi altro , quel posto era deprimente

Ero disorientato , c’erano moli corridoi e scale , non potevo far altro che attaccarmi al fianco della dottoressa e seguirla in silenzio.

In quel momento il mio timore era aumentato, guardandomi intorno vedevo persone di ogni tipo, mi sentivo circondato, tutte quelle persone, non conoscevo nessuno, tutte facce nuove, avevo paura.

Il mio sguardo cadde su una signora piegata sulle ginocchia, mani tra i capelli e sguardo perso nel vuoto, posso giurare di aver visto delle lacrime cadere da quel viso apparentemente già stanco. Un ragazzo gli si avvicinò abbracciandola forte, anche se non stava piangendo potevo vedere benissimo che anche lui era triste.

“Il mondo là fuori è così brutto che fa piangere le persone?”  Ero terrorizzato.

La dottoressa mi potò verso la porta principale e in meno che non si dica mi ritrovai fuori da lì, faceva freddo tutto ciò che avevo sopra alla mia maglietta era una giacchetta di cotone perfetta per quando fa freschetto, ma no per quando fa freddo.

Un signore scese  da una macchina parcheggiata davanti all’ospedale, era abbastanza vecchiotto si potevano intravedere i capelli bianchi, zoppicava un po’, mi intimoriva , era robusto.

La dottoressa si abbassò verso di me e mi prese una mano tra le sue, mi guardò negli occhi e mi sorrise.

“Yongguk, adesso devi andare con il signore, ok?. “

Annuii, ma non  volevo andarci.

“Bene, adesso vai, non far aspettare il Signor Choi, tranquillo ti porterà in un posto migliore.” disse alzandosi e dandomi delle piccole pacche dietro la schiena per invogliarmi a muovere.

Non potevo andarmene, dovevo sapere ancora il nome dei miei genitori, lei li sapeva sicuramente.

Feci dei passi in avanti ma mi fermai subito per guardarla, la guardai con gli occhi più supplicanti ch potessi fare, speravo che capisse.  Ma come può una persona capire ciò che penso guardandomi negli occhi? Nessuno può.

Il Signor Choi mi fece sobbalzare, prendendomi per un braccio e tirandomi verso la sua auto, non sembrava un uomo a cui piacciono i capricci.

La stretta era forte,  faceva male, ma anche se volevo lamentarmi del dolore, non potevo.

Aprì la portiera dell’auto e mi fece salire, puntai subito il mio sguardo al di là del finestrino, la dottoressa era ancora lì , guardava verso di me, mi venne in mente una cosa, lei non mi aveva mai detto il suo nome.

Lei è stata l’unica persona affianco a me in questo periodo, infondo mi mancherà, se avessi dovuto darle un colore adesso, sarebbe stato un bianco però questa volta un bianco un pochino più vivace e rosato.

Non era una persona importante per me, ma comunque adesso il suo volto rimarrà parte dei miei ricordi, perché lei è stata parte della mia vita anche se è una piccola parte di essa.

“Yongguk.” la voce dell’uomo era proprio come me l’aspettavo , bassa e profonda, così profonda da farti venire i brividi.

“Ti sto portando in un orfanotrofio lì ci sono altri bambini messi nella tua stessa situazione, non mi aspetto che tu mi risponda, ma ogni volta che ti faccio una domanda dovrai annuire, chiaro?”

Annuii, sarebbe stato un lungo viaggio.

Per tutto il tempo, stetti ad ammirare il paesaggio fuori dal finestrino, c’erano palazzi di tutti i tipi, alti, bassi, colorati, al altri abbastanza vecchi.

Il mondo visto così, sembrava molto bello.

Ormai eravamo usciti dalla metropoli, tutto era più tranquillo ma comunque bello.

Gli enormi palazzi di prima erano stati sostituiti da dei palazzi più piccoli, ad uno, due o tre piani, per il resto era tutto quasi uguale alla metropoli ad differenza che qui, in questa cittadina, c’era meno fracasso.

L’auto si fermò davanti a una casetta con il tetto spiovente non era ridotta malissimo anzi era anche abbastanza grande, se ti sporgevi un po’ potevi vedere il giardino, tutto sommato era carina.

Il Signor Choi venne ad aprirmi la portiera, la sua mano si strinse di nuovo ai mie polsi, tirandomi fuori dall’auto, facendomi quasi cadere.

Si fermò davanti al portone ed incominciò a bussare. Vennero ad aprire due signore, una abbastanza giovane capelli lunghi neri, mentre l’altra decisamente più grande.
“Adesso ho altri impegni tornerò sta sera, non aspettatemi. Se crea problemi chiamatemi.” e così dicendo si avviò verso la sua macchina.

Guardai le due signore, la più giovane mi guardava sorridente , quella più grande non mi guardava neanche ma lo stesso riuscì a prendermi per il braccio e a tirarmi dentro l’edificio, mentre a più giovane chiuse il portone.

“Seguimi.” mi ordinò la più grande, mentre incominciò a salire le grandi scale di legno seguita dalla più giovane che prima di salire mi accennò ad un sorriso.

Non avevo altra scelta che seguire le due donne.




L’orfanotrofio era grande, più volte ci capitò di salire diverse scale e svoltare per diversi corridoi, pensai davvero di star girando in tondo, era tutto uguale, anche il più esperto si sarebbe perso.

“ Questa è la tua stanza, ti chiameremo noi per il pranzo. “ mi comunicò la più grande per poi chiudersi la porta alle spalle.

Nella “mia” stanza non ero solo, c’erano almeno un’altra decina di ragazzi, di cui nessuno s ne fregò più di tanto di me.

Mi sentii di nuovo un niente e nessuno, un niente e nessuno con un nome ovviamente, ma non potevo dirlo, quindi, sì , in quel momento mi sentii niente e nessuno per la seconda volta nella mia vita.

E come un completo nessuno me ne andai verso l’unico letto vuoto, l’ultimo, quello vicino alla finestra, guardai gli altri giocare e divertirsi insieme, solo quello.
Rimasi così , finché  la signora più giovane venne a chiamarci per il pranzo.

Vidi tutti i ragazzi uscire di corsa  dalla stanza, non mi avevano neanche aspettato

“E adesso come faccio a trovare la mensa?” 

Scesi dal mio letto e mi avviai verso la porta , c’erano due rampe di scale , una che portava a sinistra e una a destra.

Non so perché ma la destra mi convinceva di più. Scesi quelle rampe si scale e mi trovai in un salone, con divani e poltroncine, alla fine della stanza c’era una porta, quindi provai ad aprirla, poteva essere la porta che portava alla mensa.

Aperta la porta mi ritrovai solo una cosa davanti, il muso rabbioso della donna più grande di sta mattina.
Prevedevo guai in vista.

“ Cosa ci fai TU qui!?! I RIBELLI qui non sono TOLLERATI!” mi afferrò e mi trascinò verso le scale da cui ero venuto.

“ Si mangia all’ora in cui si deve mangiare, tu sei fuori orario e quindi.. NON MANGERAI! “ mi spinse dentro la mia stanza facendomi cadere con le ginocchia per terra e chiudendo prepotentemente la porta dietro di me.

Ero di nuovo in quella stanza, ormai vuota, andai di nuovo sul mio letto, l’ultimo vicino alla finestra, mi sedetti e mi misi a guardare fuori.

“Adesso, capisco la signora che piangeva in ospedale, il mondo non è poi così bello.”



Nel pomeriggio ci era concesso di uscire e andare fuori n giardino a giocare.

Se nella stanza in cui stavo c’erano una decina di persone, in giardino ce n’erano molte di più, e credo che non fossero neanche tutte, alcune rimanevano dentro per avere le stanze a loro disposizione.

Non volevo rimanere un altro minuto in più in quella stanza, quindi me ne uscii molto volentieri.

Ero sceso per non rimanere di nuovo da solo, ma niente cambiò, tutti avevano i propri gruppi di amici e io non facevo parte di nessuno di quelli.

La maggior parte dei ragazzi era intorno alle altalene ad aspettare il loro turno, mentre glia altri erano a giocare vicino le altre giostre.

Nessuna giostra mi attirava.  Ma il mio sguardo venne attirato in un angolo del giardino pieno di fiori, non avevo ma visto così tanti colori tutti insieme.

Giallo, blu ,rosa, rosso, non capivo perché gli altri ragazzi non venivano attirati anche loro da quei bei fiori, erano molto più belli delle giostre.

Avrei tanto voluto prendermene uno o due per portarmeli su in stanza, ne toccai uno blu con delle sfumature sul viola, l’avrei portato con me.

“NON FARLO!” urlò una voce, che dallo spavento mi fece ritirare subito la mano dal fiore.

Mi girai più volte per vedere chi aveva urlato , ma non vidi nessuno, quindi pensai che fosse uno dei bambini più in là che giocavano nel prato.

Feci per girarmi e provare a prendere i fiori, ma davanti a me non c’erano più i bei fiori di prima, ma mi si era piazzato davanti un ragazzino con occhi neri, molto neri, profondi come un buco nero, rimasi a fissarlo per un po’ , più rimanevo a guardarlo negli occhi più mi sentivo cadere in quella profondità, mi assorbivano, completamente.

“Mi dispiace averti spaventato ma questa è una così bella Anemone…” disse indicando il fiore che stavo provando a prendere. “ Perché strapparla via dalla sua casa? Morirebbe soltanto se tu l’allontanassi da dove è nata.” fece una pausa e si mise a guardare il fiore,  “ Bè, poi, dipende, se il fiore vuole andarsene da casa è una sua decisione , ma i fiori non possono né parlare né muoversi, quindi sì se la strappassi morirebbe.”

Annuii solamente, ma quel ragazzo capì lo stesso, mi guardasti con fare interrogativo, passò poco prima che riparlasse.

“Per caso il cane ti ha morso la lingua?”

Annuii, in un certo senso era vero, gli indicai più volte la mia gola.

“Ahhh… Quindi tu sei come questa Anemone! Anche a lei è successa la stessa cosa.” si abbassò verso la pianta e con un cenno della mano mi incitò a fare lo stesso.

“ Vedi, a questa Anemone manca un pezzo, la foglia gli è stata strappata via da un cane randagio che era riuscito ad entrare , per fortuna non è niente di grave!”

Il ragazzo si girò verso di me, e mi guardò con occhi sognanti.

“Vuoi sapere una cosa interessante?”

Annuii, perché era l’unica cosa che potevo fare,  ma davvero volevo sapere cosa mi diceva e po era la prima persona che mi parlava da quando ero in orfanotrofio.

“Non so se lo sai, ma ogni fiore ha un significato, e per me l’Anemone è un fiore triste. E tu ti starai chiedendo “perché”? “

E infatti era proprio quello che mi stavo chiedendo, “perché l’Anemone è un fiore triste? E poi i fiori possono essere tristi?”

“Questo fiore simboleggia l’abbandono, la desolazione, l’amor tradito ma può simboleggiare anche la speranza e l’attesa. Però per me questo, è un fiore triste. Prima che ritornassi qui all’orfanotrofio, ero stato affidato a una famiglia di fiorai, avevano un bellissimo negozio, pieno di fiori! Il signore a cui ero stato affidato mi ha insegnato un sacco di cose! Sfortunatamente, poi, il negozio incominciò a fallire accumulando così debiti, quindi non  potevano più badare a me e mi hanno riportato qui.”  si lasciò scappare un piccolo sospiro, ma poi si riprese e continuò a parlare.

“So che le Anemone si regalano a una persona quando gli si vuole dire “Mi manchi” , “Torna da me”, non per forza al proprio amore, ma anche ad un amico o ad un parente. Non so perché sai, ma , quando guardo nei tuoi occhi riesco a leggere gli stessi sentimenti che esprimono queste Anemone. “
 
Ed è così che incontrai Kim Himchan.



Da quello che mi raccontò Himchan, lui era stato portato in questo posto all’età di 3 anni , mai visti i suoi genitori, sa solo che lo hanno trovato davanti alla porta dell’orfanotrofio, niente di meno niente di più.

Ma a quanto pare a lui non importava essenzialmente, Himchan era speciale, viveva in un mondo tutto suo e non se ne importava del pensiero degli altri, bastava che lui fosse  felice, per lui non era importante se rimaneva da solo, questa era una delle tante differenze tra me ed Himchan.

Un’altra differenza era che lui parlava tanto, io non parlavo proprio, ma era bello sentire la voce di qualcuno invece di stare da solo capace di ascoltare solo i propri pensieri tutto il tempo, nella mia testa rimbombava solo e sempre la mia voce, ma adesso nella mia mente si poteva sentir rimbombare anche la voce di Himhan, molto più bella della mia, mi faceva sentire vivo e non dimenticato, come la maggior parte delle volte mi sentivo.

Himchan era stato mandato in varie famiglie nel corso dei suoi anni nell’orfanotrofio, ma lo avevano sempre rimandato in dietro per vari problemi riguardanti Himchan stesso e il suo carattere “troppo strano” per le persone.

Il tempo in giardino con Himchan passò velocemente, dovevamo rientrare quindi mi salutò con un grande sorriso per poi andare nella sua stanza.

Io non avendo capito ancora la strada per la mia di stanza, mi limitai a seguire la massa di ragazzini nell’orfanotrofio, finché, dopo parecchi corridoi e dopo essere entrato in varie stanze per poi uscirne imbarazzato perché non era la mia, riuscii a ritrovare la mia stanza.

E di nuovo come prima mi rimisi sul letto a guardare gli altri giocare, ma stavolta ero felice, perché, forse avevo trovato una persona di importante.

Stetti sul letto tutto il tempo, finché la signora più giovane  ci venne a chiamare per la cena, e di nuovo mi feci trovare impreparato, tutti i ragazzini erano corsi giù per le scale senza di me, ovviamente.

Ma avevo davvero fame non avrei permesso a quella signora cattiva di non farmi mangiare un’altra volta, quindi mi sbrigai e scesi velocemente dal mio letto.

Non ebbi neanche il tempo per mettere il piede fuori dalla porta, che la faccia sorridente di Himchan mi si parò davanti.

“Hey! Nei primi giorni in cui mi hanno portato qui non riuscivo mai ad orientarmi, quindi ho pensato che ti potesse servire una mano.”

Mi allungò un braccio ancora con un sorriso stampato in faccia, non ci pensai due volte a dargli la mano.

“Su sbrighiamoci.” Urlò mentre mi tirava giù per le scale . “Siamo già in ritardo, la Mechbeth si arrabbierà. Ah, ovviamente se non lo sai la Mechbeth è quella signora vecchia e cattiva, mentre la ragazza che la segue sempre, noi la chiamiamo “La Dama” perché gli sta sempre a fianco, ma se non mi sbaglio il suo vero nome è Katrhin Lee.”

Eravamo arrivati, non si sa come, sani e salvi alla mensa e Himchan continuava a trascinarmi di qua e di là, alla ricerca di un tavolo libero.

“Eccoci qua” disse mentre mi faceva accomodare su una sedia.

“ Siamo stati fortunati a non aver incontrato la Mechbeth! “ si fermò per riprendere fiato e poi ricominciò “Vado a prendere qualcosa da mangiar  ritorno” mi sorrise per poi darmi le spalle e avvicinarsi al tavolo pieno di cibarie.

Appena Himchan se ne andò mi avvolse un profondo senso di sconforto, nessuno a parte Himchan in quel posto mi aveva rivolto la parola , Himchan era l’unico, sempre.

“Spero che ti piaccia, non so i tuoi gusti quindi…” disse Himchan raggiungendomi con de vassoi pieni di cibo.

Si era preoccupato per me e per i miei gusti, riuscivo a vedere che gli dispiaceva non sapere se il cibo che mi aveva portato mi sarebbe piaciuto. L’unica cosa che potevo fare per rassicurarlo era un cenno affermativo con la testa e un sorriso rassicurante.

Vidi Himchan tranquillizzarsi e sedersi, per poi ritornare a parlare.

“Da quando ci siamo incontrati, cioè oggi pomeriggio, non ti avevo mai visto sorridere, mi piaci di più così.” Quella sera andai a dormire felice finalmente avevo qualcuno al mio fianco.

La mattina seguente venne la dama a svegliarci per la colazione , il risveglio era stato piacevole, la voce tranquilla della dama era molto più bella di quella stizzita della Machbeth che sentivo urlare per svegliare gli altri ragazzi che dormivano al piano di sotto.



Ma c’era un’altra voce più bella di quella dama. Quella di Himchan. Specialmente sentire la voce di Himchan sussurrare :” Ehi..svegliati dai! Dobbiamo andare a fare colazione!”

Bhe… la frase in se non era nulla di così speciale, ma sentire la sua voce a prima mattina mi faceva stare bene. Sentendola mi svegliai subito, nella stanza non c’era nessuno se ne erano già tutti andati a fare colazione. “Su, alzati  o faremo di nuovo tardi.” Mi tirò giù dal letto, portandomi giù per le scale verso la porta.

Arrivati in mensa Himchan mi fece accomodare e mi prese qualcosa da mangiare come la sera prima.

Per colazione quel giorno c’erano “pancake”  accompagnati da tipo una salsa che si mette sopra ad essi, anche se Himchan mi ha ripetuto un milione di volte il nome non me lo ricorderò mai. Stavo ancora mangiando quella delizia chiamata pancake quando Himchan si alzò. “Vengo subito, devo chiedere un attimo una cosa alla dama”

Vidi Himchan alzarsi ed andare verso la dama, che era appoggiata allo stipite della porta principale per controllare tutti i ragazzi.

Non mi misi a fissare Himchan per tutto il tempo, avevo troppa fame per aspettare il suo ritorno, ma notai lo stesso che ci stava mettendo un po’.

Quando finii di mangiare alzai lo sguardo  notai che Himchan aveva appena finito di parlare e si stava avvicinando a me sedendosi al suo posto affianco al mio. Una volta seduti notai, che non stava provando a mangiare niente stava solamente lì a guardare il piatto e ad giocare con la forchetta. Provai a scuoterlo un po’ per farlo riprendere ed in effetti sembro riprendersi dal suo stato di apparente "coma".

Mi guardò timido per poi abbassare di nuovo lo sguardo.

“Mi dispiace, Yongguk” questa frase mi arrivò come un sussurro, ma riuscii a sentire benissimo che aveva pronunciato il mio nome.

“Mi dispiace … per i tuoi genitori, e-e per tutto quanto, volevo solo sapere come ti chiamavi, quindi … sono andato a chiederlo alla dama, ma mi ha raccontato un po’ di più di quello che avevo chiesto…” era dispiaciuto ed imbarazzato allo stesso tempo lo si poteva vedere da come si toccava le dita ansiosamente, o da come teneva la testa bassa accennando a un sorriso.  Seguirono alcuni secondi di silenzio prima che Himchan continuasse a parlare.

“Yonguuk… per caso, vuoi un abbraccio?”

Non ero arrabbiato con Himchan lui voleva solo sapere il mio nome, volevo tanto dirgli “Non ti preoccupare, io sto bene.”

Ma solo nel momento in cui Himchan mi chiese un abbraccio capii, che io, non stava bene, e sì, volevo quell’abbraccio.

Mi fiondai tra le braccia  di Himchan, in cerca di calore, e solo quando lo trovai, mi calmai, solo quando le lunghe braccia di Himchan mi circondarono, se prima avevo voglia di piangere, adesso quella voglia era passata, ero al sicuro.

Me lo sentivo, con Himchan sarei stato sempre al sicuro.



Nel pomeriggio Himchan mi portò con tutta fretta in giardino, diceva che aveva “una cosa magnificamente poetica”  da darmi.

Arrivati in giardino Himchan si avvicinò al cespuglio pieno di fiori, dove per la prima volta lo avevo incontrato, tutto uguale e perfettamente stupendo e colorato.

A quel punto Himchan incominciò a frugare tra il cespuglio abbassandosi verso di esso, cercando qualcosa tra il terreno, sporcandosi le mani di terra.

Quando poi si alzò felice, vidi che aveva qualcosa chiuso tra il pugno delle sue mani .

“Trovato!” urlò contento avvicinandosi a me porgendo in avanti il suo pugno che una volta aperto rivelò una cosa molto piccola e tonda ma un po’ schiacciata ai lati, non avevo la minima idea di cosa fosse, ma titubante la presi la stesso,  Himchan era così felice.

“Lo so, lo so ti starai chiedendo”:”cos’è questo? un attimo, che adesso te lo spiego. Questo è un seme” disse indicando la minuscola pallina che avevo in mano.

“Non ti sei chiesto come fanno i fiori a diventare così belli? Prima di diventare così i fiori si preparano dentro alla loro camera verde, scegliendo con cura i colori più belli da indossare, poi pian piano spuntano i primi petali facendoti rimanere attonito, perché i fiori non finiscono di crescere tutti in un giorno ci vuole tempo si devono preparare, ma quando escono sono davvero stupendi e pensi che ne è valsa la pena aver aspettato.  E tutto questo inizia partendo da questo seme piccolo piccolo, incredibile, vero?

Lo si pianta nel terreno, nutrendolo con acqua e amore ogni giorno, poi vedrai un piccolo rametto verde uscire dal terreno, e tu incomincerai ad essere già felice perché lo hai fatto crescere tu! Ma dovrai continuare a dargli amore e acqua per farlo diventare un bellissimo fiore. Esistono semi per ogni tipo di fiore o pianta perfino per i frutti o le verdure. E tu, Yongguk, riesci a indovinare questo seme in che cosa si trasformerà?”

I suoi occhi erano presi dall’eccitamento aspettando ansiosamente la risposta, risposta che non arrivava, ma come facevo a dargli una risposta?

1. Non potevo parlare.

2. Se esistono semi per ogni cosa, come potevo mai indovinare?

Se non rispondevo avrei rischiato di deluderlo, ma per fortuna il mio occhio cadde proprio nel cespuglio pieno di fiori, dove Himchan aveva raccolto il seme, quello era un cespuglio pieno di Anemoni, adesso non ci voleva di certo un genio per capire che tipo di seme fosse.

Quindi indicai il cespuglio con le Anemoni e in contemporanea a quel gesto vidi comparire sulla faccia di Himchan un grande sorriso.

“Bravo! Lo sapevo che lo avresti indovinato! Non so se ti ricordi ma ti avevo detto che le Anemoni significavano, abbandono, desolazione e l’amore tradito, tutte cose abbastanza tristi e io come ti ho già detto in precedenza pensò che anche tu ti senta in questo modo. Ma ti avevo anche detto che poteva simboleggiare anche la speranza e l’attesa! Per questo ti ho dato il seme dell’Anemone, che pianterai e lo farai crescere con amore. Yongguk, ricorda le parole che sto per dirti.”

Si avvicinò a me prendendo le mie mani tra le sue facendomi chiudere a pugno la mano contenente il seme, facendomelo stringere ancora di più.

“Tu sei questo seme. Devi ancora crescere e diventare una bella Anemone. Tu crescerai insieme a questa Anemone. E insieme  a te e all’ Anemone crescerà la speranza, okay? Un giorno crescerai e vedrai che tutti questi brutti sentimenti che ti senti addosso se ne andranno, basta attendere e avere speranza. Quindi il tuo compito è questo! Prenditi cura di questo seme e non farlo morire.”

Si chinò verso il basso prendendo da terra un bicchiere di plastica contenente del terreno, poi tese questo bicchiere verso di me e con fare molto teatrale disse:

“A te l’onore”

Presi il bicchiere e ci infilai dentro il mio seme, era il momento per me di far crescere un po’ di speranza e c’è l’avrei fatta, insieme ad Himchan.




5 Anni dopo.

Erano passati 5 anni da quel giorno è in tutto questo tempo capii molte cose.

Ve lo ricordate il Signor Choi? L’uomo che mi aveva accompagnato la prima volta all’orfanotrofio? Ecco, ho scoperto che è sposato insieme alla Mechbeth, ma non lo sembrano, non lo sembrano affatto, non li o mai visti abbracciarsi  o almeno tenersi per mano.

Il Signor Choi e la Mechbeth fondarono questo orfanotrofio insieme per i bambini come me, ma è proprio da quel giorno che il loro matrimonio incominciò ad andare male. Ed è per questo che il Signor Choi non era mai qui, si dice, che si vedeva con qualcun'altra o almeno e quello che mi ha detto Himchan.

Giusto, Himchan.

In cinque anni le persone cambiano, Himchan, no, lui no, lui non è quel tipo di persona.

Lui è rimasto affianco a me, l’unico, non mi ha mai abbandonato, e per questo lo ringrazio. Anzi, lui ha fatto molto, e sta facendo ancora molto, tutt’ora, non avevo completamente superato il mio mutismo, riuscivo solo a parlare con Himchan ogni tanto balbettavo un po’ ma è un enorme passo avanti, ovviamente, è un passo avanti se non pensiamo al fatto che non riuscivo ancora a parlare con altre persone e quindi ogni volta che Himchan mi costringeva a farmi provare a parlare con qualcuno il mio cuore batteva forte e dalla mia bocca non usciva niente, ma a cosa serve parlare con gli altri se io nella mia vita ho sempre e solo avuto Himchan e basta?

“Hey, Gukkie!” urlò Himchan sedendosi affianco a me sul prato del giardino.

“Dobbiamo aggiungere al mio libro dei fiori anche il ciclamino!” disse togliendomi da mano il suo libro dei fiori.

Perché sì, Himchan aveva creato un quaderno con tutti i fiori con i loro significati a sua conoscenza. Ne approfittò circa un mese fa, quando una famiglia voleva adottarlo, inutile a dirlo che poco dopo l’hanno riportato indietro ma nei pochi giorni fuori dall’orfanotrofio è riuscito a farsi comprare un quaderno abbastanza grande per tutti i fiori che conosce. Noi non sapevamo scrivere ma ad Himchan bastava disegnare il fiore che vedeva e riusciva a ricordarsi il nome e il significato di costui, Himchan aveva una gran bella memoria.

“Guarda,” mi disse facendomi vedere il bel fiore che aveva in mano.

“Questo è un ciclamino! Me l’ha dato la dama! Bello è? Anche questo è un fiore triste chissà perché i fiori tristi sono anche quelli più belli, la tristezza ha un suo fascino.” disse rispondendosi da solo alla sua stessa domanda, rispondendosi quasi sussurrando, lasciandosi sul volto un sorriso triste, mentre incominciava a disegnare il ciclamino sul suo quaderno.

Himchan aveva ragione la tristezza ha un certo fascino.

“Vero.” Dissi confermando la sua teoria.

“Yonnguk, secondo me tu eri muto solamente perché eri solo, era tipo un auto-scudo che ti sei creato inconsciamente per non far avvicinare nessuno perché infondo avevi paura di essere abbandonato di nuovo. Ma adesso ci sono io, io non ti lascio.”

Sorrise, quello era il sorriso raggiante di Himchan, sorrisi anch’io, mi contagiava, non solo il suo sorriso ma anche la sua felicità mi contagiava.

Himchan intorno a se aveva come una bolla, una bolla piena di sentimenti, sia brutti che belli, quella bolla lo isolava dal mondo ma non da me, perché io ed Himchan abitavamo nella stessa bolla.




La sera era scesa,  buio circondava l’orfanotrofio e gli altri palazzi circostanti.

Faceva freddo,mi strinsi tra le coperte abbastanza leggere, l’orfanotrofio non aveva tanti soldi ci dovevamo arrangiare.  Al freddo ci si abitua, ero stanco mi sarei addormentato lo stesso anche col freddo addosso. Ma non tutto il mio corpo era freddo, sentivo calore intorno alla mia mano, riscaldava, non era un calore forte, ma per quel poco scaldava e a me bastava.

“Gukkie, svegliati.”

Sentii la voce di Himchan, stavo sognando? Aprii gli occhi, e no, non era un sogno, Himchan era lì davanti a me che mi guardava con quei occhi neri come la notte, che però al buio splendevano. Quel calore che sentivo  era la sua mano, era calda ed era appoggiata alla mia per cercare di svegliarmi.

“H-Himchan?”

“Lo so che è notte, e che non dovrei stare qui, e che se la Mechbeth mi trova mi fa a fettine, ma voglio andare in giardino… a vedere la luna.”

Mi fece alzare dal letto di fretta, ma io sinceramente avevo troppo freddo, per uscire dal letto, ma questo non fermò Himchan dal farmi uscire facendomi morire letteralmente dal freddo.

“Sapevo che avresti sentito freddo, tieni prendi la mia giacca.” La giacca di Himchan era calda, era piacevole e odorava di lui, era accogliente, mi piaceva.

Arrivammo in giardino senza essere beccati. La luna era lì grande anzi enorme, era splendente, non avrei mai pensato di poterlo dire ma forse, la luna, era splendente quasi quanto gli occhi di Himchan. Ci sedemmo sul prato davanti al cespuglio con  i fiori l’erba era fredda ma piacevole al contatto. Rimanemmo così, a guardare il cielo per un po’, ma era bello, era un silenzio bello, rilassante e da quanto capii non ero l’unico a pensarla così.

“Sai, il linguaggio è fonte di malintesi, non mi fraintendere non è che adesso sto dicendo che voglio diventare muto, perché so quel che hai passato e non è bello, ma alcune volte il silenzio vale più di mille parole.”

E detto questo ritornò il silenzio, il cielo era stupendo, in questi cinque anni passati qui ho sempre visto il cielo notturno tramite la finestra della mia stanza, non lo avevo mai visto così, senza un vetro a separarmi. La prima volta che guardavo il cielo notturno senza barriere , la prima volta in cui rimanevo con Himchan sotto un cielo parzialmente stellato, solo noi, io e Himchan, dentro la stessa bolla.

Fu Himchan a rompere quel silenzio.

“Yongguk, come sta la tua Anemone?”

“Qui.” indicai  il cespuglio davanti a noi, la mia Anemone era cresciuta, era diventata grande è bella, l’avevo messa insieme alle atre piante tra i cespugli.

“Sono felice, in questi anni ti sei preso cura della tua Anemone, è cresciuta senza problemi, vuol dire che anche la tua speranza è cresciuta vero?”

Da lì , mi tornò alla mente il discorso tra me ed Himchan cinque anni fa, me ne ero quasi dimenticato, ma Himchan no, non dimentica.
La mia speranza era cresciuta insieme all’Anemone, o io ero rimasto indietro, mentre la mia pianta no?
Non avevo dubbi sulla mia risposta.

“Sì, grazi a te.” Non o mai detto una frase così sicuro di me da quando ne avevo memoria. Grazie Himchan, davvero."

“Adesso sono ancora più felice. Non perdere la speranza Yongguk, non perderla, mai.”

“Non la perderò.”

“Ascoltami bene, io non so se tra altri cinque anni staremo ancora insieme, la vita è complicata possono succedere molte cose, in cinque anni ma anche in cinque ore o cinque minuti. Il punto è che se in futuro ci perderemo di vista, quando avrai 18 anni, aspettami qui.” Tirò fuori dalla tasca del pigiama un foglio di carta con diverse linee e disegni, con alla fine una croce.

“Questa è una mappa, l’ho fatta io quando l’ultima famiglia mi aveva preso in adozione, questa mappa è molto precisa, il punto iniziale è qui, all’orfanotrofio, basta che segui le linee, okay?”

“Ma... co-“

“Questa è solo per caso succedesse qualcosa che ci faccia dividere, io non ti voglio perdere Yongguk per me sei molto importante, non sto dicendo che adesso me ne vado, ma è meglio prevenire non si sa mai…”

Presi il bigliettino, non avevo ancora capito perché Himchan mi aveva fatto quella mappa, e poi caso mai ci perdessimo di vista,come facevamo ad incontrarci con una mappa? Non avevamo neanche un giorno preciso per incontrarci, io… io solo non capivo.

“Yongguk, ti prego, fidati di me, tu ti fidi, vero?”

“Certo, Himchan, sempre!”

“Quindi… me l’ho prometti che se ci perdessimo di vista tu seguirai questa mappa?”

“Promesso.”

Sorrise, e ritornò a guardare i cielo, mentre si stringeva tra le ginocchia, tremava, aveva iniziato a tirare vento.
“Freddo?” gli chiesi.

“Sì, ma non ti preoc-“ Himchan aveva freddo e io non potevo farlo stare lì a congelare, non esitai un istante a circondarlo in un abbraccio, stringendolo al petto.

E già, io ed Himchan eravamo in un unica bolla, insieme e adesso più vicini che mai.

Stemmo lì abbracciati per non so quanto tempo, potevano essere passati anche un paio di minuti ma per me il tempo si era fermato.


Era tutto stupendo, non mi sentivo più solo.



























   
 
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