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Autore: _S0NIA_    09/12/2015    1 recensioni
Un tempo avrei dato tutto per essere DIVERSA, ora il mio unico desiderio è quello di essere NORMALE. Ma se avessi conosciuto lo sviluppo degli eventi, se avessi saputo dove mi avrebbe portata quella notte di Agosto, mi sarei limitata a elaborare il lutto sotto il piumone del mio letto? Avrei rinunciato a conoscere la verità?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sono mai stata una ragazza paurosa. Ho sempre pensato che difronte al pericolo sarei riuscita a scacciarmi di dosso la tipica sensazione di terrore che ti paralizza; Quella che ti fa vivere esperienze extracorporee o che ti intrappola nel tuo stesso corpo. Come se la paura, in realtà, non fosse altro che un vento gelido che, al momento meno opportuno, ti avvolge e ti congela, rendendoti impensabile la fuga.

Ecco, io ho sempre creduto che sarei riuscita a dominare tutto questo,forse convinta che il solo amore per i film dell'orrore e l'indifferenza nei confronti delle case stregate dei luna park, mi rendessero automaticamente una persona coraggiosa. Ma la verità è che, ora, mentre mi aggiravo furtiva nei pressi di una casa abbandonata, in Via Corradine numero 1, ai limiti di un piccolo paese di provincia, un sottile strato di sudore mi ricopriva tutto il corpo e il mio cuore impazzito mi urlava di scappare a gambe levate da quel luogo spaventoso. In fondo,mi disse una vocina nella mia testa, sei solo una ragazza ingenua che non ha idea di come cavarsela in situazioni di vero pericolo, dove non ci sono cinture di sicurezza a bloccarti al tuo posto, quando ti sembra di precipitare; e non ci sono eroi forti e bellissimi pronti a salvarti come nei libri che ami leggere.

Ed era vero, assolutamente e pateticamente vero. Ma, in mia difesa, devo dire che era difficile imboccare in una brutta situazione, e quindi prepararsi a momenti di puro terrore, quando si hanno 18 anni e si vive in un posto isolato dal mondo intero, dove l'unica sensazione di paura che si può provare è quella prima di un'interrogazione importante. Persino camminare da sola alle quattro di notte per le strade, era assolutamente sicuro e, di conseguenza, innegabilmente noioso.

Ne era una prova il fatto che avevo appena attraversato diverse viuzze alternative, per arrivare lì, e l'unica cosa che mi aveva importunata erano state le zanzare. Delle fastidiose compagne di viaggio che, anche in quel momento, non mostravano alcuna intenzione di abbandonarmi, costringendomi a schiaffeggiarmi sulle braccia e le gambe frequentemente; e, dato che non volevo correre il rischio di sentirmi normale, alternavo il tutto con una passata della felpa che avevo preso per paura che ci fosse freddo -che idiota- nel vano tentativo di asciugare l'ansia in forma liquida che mi fuoriusciva da tutti i pori.

Mi ero fermata dietro ad un albero secolare per osservare la facciata della casa, in attesa che qualcuno -chiunque- vi entrasse.

Non era certo la prima volta che ci mettevo piede; "la casa delle streghe". Così la chiamavano i ragazzi del posto. Una villa dei primi anni del Novecento sulla quale non si sapeva praticamente nulla. Se non che i proprietari erano morti per cause misteriose proprio la notte di Hallowen. Nessuno aveva più voluto comprarla, ma il fascino oscuro che esercitava era evidente a chiunque decidesse di avvicinarsi e, forse proprio per questo, era diventata il centro di un'importante rito di passaggio: tutti -che volessero ammetterlo o meno- ci erano andati con gli amici, per dimostrare che nemmeno una villa abbandonata avrebbe potuto farli tremare dalla paura.

Io ovviamente non facevo eccezione. Non mi hanno mai toccata molto queste cose, quindi avevo dimostrato più coraggio di tanti miei coetanei. 
Le cose ora erano diverse però. Ero sola e la notte mi impediva di vedere bene.

Era una fortuna, quindi, che conoscessi già il posto.

L'intonaco dei muri, staccato quasi completamente da tutte le pareti visibili; le finestre vuote, senza vetri o persiane; le erbacce che dominavano l'enorme giardino che circondava la villa. Mi era tutto famigliare.

Un grande vantaggio.

Al contrario del temporale pronto a scatenarsi sopra la mia testa. Il suono della pioggia scrosciante mi avrebbe impedito ben presto di sentire il loro arrivo. Un brivido improvviso scese lungo la  mia spina dorsale, ricordandomi l'impulsività della mia decisione di recarmi lì.

Non sapevo nulla delle persone che sarebbero arrivate di lì a poco, né il motivo della loro riunione. E non potevo fare a meno di sentirmi una ragazzina che gioca a fare la grande, o peggio, l'eroe.

Se fossero dei delinquenti? Se fossero stati loro a... Uccidere mio padre? Cosa avrei potuto fare in quel caso?

Scenari terribili mi affollavano la mente: io chiusa in un bagagliaio, tremante e in lacrime che grido aiuto; io in ginocchio sulla terra umida, che attendo di essere uccisa da un uomo senza volto...

I miei muscoli erano in allerta, pronti a scattare e fuggire, prima che fosse troppo tardi.

Ma io esitavo.

Quella era la mia unica possibilità di scoprire la verità su mio padre. Come potevo rinunciarci per un attacco di codardia?

Non potevo, ecco come.

Recuperai tutto il coraggio che mi era rimasto e, respirando a fondo mi allontanai dall'albero e scattai verso la scala di marmo che conduceva all'ingresso -quello che ne rimaneva, comunque-.  Mi posizionai dietro di essa, in uno spaccato di terra del tutto oscurato dall'imponente ombra della casa. Avevo il cuore in gola e il respiro accelerato.

Senza rendermene conto, cominciai a giocare con il ciondolo a forma di cuore che mi avevano regalato i miei, quando avevo dodici anni. Era un gesto che facevo sempre quando ero agitata e riusciva sempre a calmarmi. O meglio, quasi sempre.

Si, perché in questo momento niente al mondo ci sarebbe riuscito. E forse, mi dissi, era meglio così. Era possibile che l'agitazione e la paura fossero mie alleate contro un nemico che ancora non vedevo; mi avrebbero resa più lucida e concentrata sui miei sensi. Niente paura mi dissi chiudendo con forza gli occhi te la caverai benone e,domani mattina, quando tutto questo sembrerà solo un lontano e bizzarro sogno, riderai della tua reazione esagerata.

Si, sarebbe andata così. Ne ero certa.

Ma ora, non dovevo farmi distrarre. Qualcuno sarebbe presto arrivato;

Tutto quello che dovevo fare era aspettare.

***

 

Restai di vedetta per circa un'ora. Un'ora in cui non successe assolutamente nulla. Se non si considera il mio didietro completamente addormentato, certo.

So che non era stata un'idea geniale quella di sedermi, ma dopo quaranta minuti le mie gambe -le stesse che mi avrebbero portata a casa di lì a qualche ora- stavano urlando pietà, e io non sono mai stata brava a ignorare le suppliche. Ad ogni modo non credevo che ci fosse qualcuno all'interno dell'abitazione, e l'ora dell'incontro era passata da un pezzo.

Dalla tasca posteriore dei jeans, recuperai un foglietto spiegazzato e lo riflessi per la millesima volta. Tre mesi prima l'avevo trovato in una delle tasche del mio giubbotto di pelle nera, e da allora non avevo fatto altro che stilare una lista dei pro e dei contro. Cedere alla curiosità e ispezionare la casa stregata o continuare la mia vita come se nulla fosse successo? Questo era il dilemma.

Via Corradine n 1
27 Giugno 2015
Ore 00:00
Riunione.

La calligrafia di mio padre era sempre stata agile ed elegante e anche sul foglietto che stringevo delicatamente tra le dita era evidente. Tuttavia sembrava quasi che il messaggio fosse stato scritto frettolosamente. Come se mio padre avesse avuto paura di essere scoperto...

Scossi la testa cercando di dimenticare le mie teorie complottistiche -forse leggevo davvero troppo- per il momento, e accarezzai lentamente ogni parola. Mi sembrava quasi che mio padre fosse ancora vivo, e che una volta tornata a casa l'avrei trovato ad aspettarmi. Fuoribordo per averlo fatto preoccupare.

Sorrisi amaramente a quell'illusione e riposi il biglietto. Spostai lo sguardo verso la casa alle mie spalle «Che cos'è questo posto papà?» sussurrai guardando la casa «Perché è così importante?».

Scossi la testa sentendomi molto stupida. Insomma, chi mi assicurava che dopo la morte di mio padre, gli uomini che doveva incontrare non avessero cambiato luogo e data, per quella misteriosa riunione? Probabilmente essere lì in quel momento non mi avrebbe portata a nulla.

Ma non potevo andarmene. Punto.

«Ok,Aria, un piccolo giro di ricognizione e poi si va a dormire» non che ai ragni che mi zampettavano vicino, importasse molto dei miei progetti, ma mi sentivo comunque in dovere di informarli.

Senza indugiare oltre mi diressi con tutta calma -ormai non temevo più di incontrare qualche malintenzionato- verso l'ingresso della casa. Attualmente, consisteva in un'enorme rettangolo vuoto che dava su una stanza molto spaziosa, coronata da una grande scala di marmo. Immaginai che un tempo doveva essere stata bellissima. Con tanto di tappeto rosso a renderla ancora più elegante, propri come nei film. Con mio sollievo notai che era ancora in buono stato. Sarei riuscita a visitare anche le stanze del piano di sopra.

Distolsi lo sguardo dalla scalinata che aveva attirato la mia attenzione. Me ne pentiti subito. Quel posto era davvero messo male. Ancora peggio di quanto ricordassi.

Le pareti erano ricoperte da ragnatele e l'intonaco si stava staccando. Sul pavimento lercio erano accatastati molti quadri, dei cocci di vetro e di terracotta. Erano appartenuti a un vaso antico e prezioso? O a qualche strana statua,raffigurante il padrone di casa?

Cercando di non fare troppo caso al rumore che producevano i miei passi sul pavimento ricoperto di fango, o all'odore di putrefazione che si avvertiva, esaminai le stanze del piano terra una ad una. L'abitazione era più grande di quel che pensassi inizialmente e ci misi più del previsto a fare un giro di esplorazione, ma scoprii ben presto che, in effetti, non c'era nulla di veramente strano o sospetto lì. Era solo un posto caduto in disgrazia.

Ero nell'ultima sala che mi rimaneva da vedere, al terzo e ultimo piano,e stavo per andarmene senza averla davvero esaminata - che senso aveva a quel punto? - quando la luce della torcia che mi ero portata,illuminò la parete più lontana. Era a circa quattro metri dalla porta, ovvero da me, e c'era qualcosa che non quadrava.

Sembrava che dietro al mucchio di sedie di legno ammuffito, fosse stato tracciato un simbolo. Era molto particolare.

«Ma che cavolo?» dissi al buio, avvicinandomi.

Spostai le sedie e lo studiai meglio: era un rombo molto grande, di un diametro di un metro, più o meno, tracciato con una di quelle bombolette a spray che usano gli artisti di strada. Era rosso e al suo interno erano posizionate quattro "L". ognuna di esse partiva qualche centimetro sotto a uno dei quattro vertici, ed erano rivolte verso il centro.

Il risultato era piuttosto bello. Niente di troppo complicato da ricordare o da disegnare. Aveva un aspetto molto tecnico. Non era una delle rune antiche che ogni tanto qualche ragazzo si faceva tatuare sulla pelle per sembrare fico. Niente ghirigori o intrecci complicati. Probabilmente era stato qualche teppista a farlo e non avrei dovuto prestargli così tanta attenzione; ma qualcosa mi impediva di andarmene da lì. Era come se quello strano disegno mi avesse ipnotizzata.

Senza che il mio sguardo lasciasse il muro, mi sfilai lo zaino dalle spalle e cercai nelle tasche interne il taccuino e la mini biro che portavo con me da qualche settimana.

Li avevo comprati nella speranza di poter prendere appunti sui miei progressi verso la risoluzione del mistero, ma non mi erano serviti a molto fino ad allora, se non per scrivere le mille domande che mi tenevano sveglia la notte.

Con la torcia tra le labbra, in modo che potesse illuminare il simbolo,ricopiai con mano certa quello che vedevo. E per fortuna non ci volle molto, perché di lì a due minuti qualcosa esplodette al pianoterra.

Inizialmente non capii cosa fosse successo. Mi ritrovai improvvisamente in ginocchio con le mani sopra la testa in una posizione di difesa. Dopo ore di assoluta tranquillità il pavimento aveva scelto quel momento per tremare? Sul serio?

Restai immobile qualche secondo prima di capire che, forse, sarebbe stato saggio scappare. Posai le mani a terra per aiutarmi a rimettermi in piedi, quando un dolore sordo al palmo destro per poco non mi fece cadere. Un liquido scuro e denso stava già colando lungo tutto il braccio. Probabilmente il frammento di qualcosa mi aveva colpita durante la scossa. «Merda, merda, merda» mi alzai di scatto e recuperai il taccuino -che era caduto vicino ad uno specchio rotto,per poi rimetterlo al suo posto. La terrà tremò una seconda volta e decisamente in modo più violento. Alcune grida che sembravano impartire ordini riempirono il silenzio che fino a poco prima aveva regnato in quel posto, ma non ci feci molto caso.

Ero molto più interessata alla stramaledetta cassettiera che era caduta e scivolata esattamente davanti alla porta. «Oh ma stiamo scherzando?» il mobile era appoggiato al muro d'angolo su cui avevo posato la mano, entrando nella sala, con il lato destro. Copriva gran parte del rettangolo della porta. Distrattamente mi resi conto che non ero più sola nell'edificio, e che avrei dovuto prestare molta attenzione a quello che vedevo e, sopratutto, a non farmi scoprire.

Concentrata cominciai ad ammucchiare oggetti vicino alla cassettiera -per lo più vecchie sedie semidistrutte- e sperando con tutta me stessa di non finire incastrata con un piede in quel legno divorato dalle termiti, cominciai a scavalcarle. «Un passo alla volta Aria, un passo alla volta» mi incoraggiai.

Ok, forse dovevo davvero smetterla di parlare da sola.

Ero arrivata in cima al mucchio di sedie senza rompermi qualcosa -strano-e stavo considerando l'idea di diventare un'alpinista o qualcosa del genere, quando sentii dei forti rumori e vidi delle esplosioni di luce provenire da dietro la porta. Raddrizzai le orecchie come un cane da caccia, in cerca di altri suoni.

Altri rumori, simili a petardi, echeggiavano nell'aria. Ma non erano più così vicini. Con una goccia di sudore che scendeva sulle tempie, afferrai il bordo del mobile e aiutandomi con un forte salto, riuscii a issarmi in cima alla cassettiera. Con l'adrenalina che mi scorreva nelle vene e un disperato bisogno di aria fresca, scivolai nella fessura tra l'uscio della porta e la superficie di legno, appena prima di finire con il sedere per terra.

La caduta mi aveva tolto tutta l'aria dai polmoni, ma non mi importava. Ero finalmente libera di scappare. Mi rimisi subito in piedi, ansiosa di uscire di lì, quando sentii dei passi avvicinarsi.

La mia mano scattò verso la tasca esterna dello zaino, in cerca del coltello che avevo preso per precauzione. Non che sapessi veramente come usarlo. Comunque, stringerlo tra le dita mi dava una certa sicurezza. Distrarre e affondare. Quello era il piano se qualcuno si fosse avvicinato troppo. Ma ci sarei riuscita?

Capii che i passi provenivano dal corridoio difronte a me. Mentre la mia mano destra stringeva l'arma, i miei piedi si girarono dall'altra parte in cerca di un buon nascondiglio, o di una finestra che potesse rappresentare una buona via di fuga . Ma non feci molti metri. Avevo stupidamente dimenticato la torcia nell'altra stanza e con la fioca luce della luna che illuminava a stento l'interno della casa,non ci misi molto ad andare contro ad un muro.

Stavo per cadere -per l'ennesima volta, quella sera- quando una mano calda e forte mi prese per un gomito e mi rimise in equilibrio. Quando alzai lo sguardo vidi che non era un muro, quello che avevo investito. Era un uomo. O almeno a giudicare dall'altezza e dalle larghe spalle muscolose. Le uniche due cose che riuscivo davvero a intravedere.

I passi dietro di noi si fecero sempre più rumorosi; si stavano avvicinando e io non potevo certo starmene lì come un'idiota a fissare le spalle di quel tipo.

Agii d'istinto: gli tirai un calcio tra le gambe e mi misi a correre come se dietro di me ci fosse il diavolo in persona.

Ero spacciata.

   
 
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