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Autore: Liv Catnip Jane    09/12/2015    2 recensioni
Katniss torna a casa dopo i suoi primi Hunger Games e cerca di riprendere la vita di un tempo. Passa le sue giornate nel bosco e continua a cacciare con Gale, ma le minacce di Snow le impediscono di vivere serenamente. Sa che tutt dipende da lei e teme di non riuscire a convicere gli abitanti degli altri distretti del suo amore per Peeta (la storia inizia il primo giorno del Tour della VIttoria). Troverete una Katniss più sensibile, ma soprattutto che ha già scelto. Gale.
Un futuro già deciso che però potrebbe cambiare del tutto. L'amore trionfa sempre.
La mia prima fanfiction, pietà!
Dal capitolo number one:
"Gale si avvicina e sta per prendermi il viso tra le sue mani, come sempre, quando Octavia interviene.
– Non vorrai mica rovinare tutto il lavoro di Venia, vero? – lo ferma con voce stridula. Lui la guarda sconcertato, con la bocca già semiaperta. Rido della sua espressione sconvolta.
– Oh, lasciali stare, Octavia! – la riprende invece Venia. – Vedrai che non si sciuperà proprio un bel niente! Forza, Gale. Ora baciala. – lo incita. Lui le sorride e finalmente sento le sue labbra sulle mie."
Totalmente Everthorne, ma non ho dimenticato Peeta. Enjoy xD
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vengo accecata dalle luci dei fari che alcuni tecnici mi stanno puntando contro. Guardo di fronte a me e vedo Peeta che sta uscendo da casa sua. I nostri occhi si incontrano. Sorrido e gli corro incontro e lui si muove verso di me. Ci scontriamo e cadiamo a terra, sciovolando sulla neve. Scoppiamo a ridere come due imbecilli, tanto per fare contenti gli spettatori e in qualche modo riusciamo a rialzarci. Peeta si appoggia a me, dato che non riesce a mantenere bene l'equilibrio, con quella protesi. Il che va anche bene, perché in questo modo sembra che ci siamo abbracciando. Vedo il volto di Caesar su uno degli schermi posizionati accanto alle telecamere e sento la sua voce che ci parla.

– Katniss, Peeta! Sono così felice di rivedervi! – esclama con un grandissimo sorriso, – Come state? Come vanno le cose là al 12? – ci chiede.

Io e Peeta ci scambiamo un'occhiata complice, poi lui mi mette una mano tra i capelli e mi avvicina al suo viso. Quando le nostre labbra si sfiorano di nuovo dopo così tanto tempo, non riesco a trattenermi dal pensare a Gale. Al suo sapore di fuoco e libertà, misto a quello del nostro bosco. Al suo sapore di casa. Quello con Peeta è un bacio vuoto, forse rabbioso, ora che il nostro rapporto è stato distrutto. Anzi, ora che io l'ho distrutto. Ma cosa potevo fare? Continuare a mentirgli? Certo che no.

Sento la voce di Caesar che cerca di attirare la nostra attenzione e mi stacco delicatamente da Peeta.

– Beh... le cose vanno benissimo, come puoi vedere – gli sorrido io, sperando che nessuno capisca che sto mentendo. È tutto così sbagliato. Io dovrei essere al Forno a ridere con Gale, oppure nel bosco a baciarlo. Mi manca. E se per me è già così difficile, chissà quanto sia dura per lui stare a guardare la sua ragazza che bacia un altro, che si tiene per mano con un altro, che finge di essere innamorata pazza di un altro. Scaccio il suo viso dalla mia mente e torno a concentrarmi sulla mia recita.

– Che bello vedervi così uniti ragazzi – continua Caesar. Sento Peeta prendermi la mano. Gliela stringo per rendere felici tutti coloro che ci stanno guardando.

– Lo siamo davvero tanto – risponde Peeta, mentre io continuo a passarmi una mano tra i capelli per far togliere la neve che continua a cadere – Non vediamo l'ora di arrivare là da te, Caesar – gli confida. Invece l'intervista a Capitol City è quella che più mi preoccupa. Spero che quando saremo laggiù, sia Peeta a prendere in mano la situazione e a parlare per tutti e due, io sicuramente farei un disastro.

– Prima però dovete far visita a tutti i distretti – ci ricorda il presentatore. Annuiamo – Avete già in mente cosa dire alle famiglie degli altri tributi? – questa domanda mi turba. Come può parlarne con così tanta leggerezza? Sono i conoscenti di persone che noi abbiamo ucciso! Mi viene da urlare, ma l'unica cosa che faccio è stringere con più forza la mano di Peeta, in modo che capisca che preferei rispondesse lui alla domanda.

– Credo che ci verrà in mente qualcosa sul momento, quando rivedremo le loro immagini e i volti dei loro cari – risponde lui in tono sprezzante. Cosa diavolo sta facendo? Vuole far arrabbiare il Presidente e i capitolini? Caesar si accorge del suo cambiamento di voce.

– Qualcosa non va, Peeta? – gli chiede indagatore. Decido di intervenire.

– Siamo solo un po' preoccupati – dico – Sarà impegnativo guardare negli occhi i parenti di quei ragazzi. Alcuni siamo stati noi ad ucciderli. Sono stata io – mi incupisco, chiedendomi perché stia parlando a quel modo. Il mio incarico è quello di dimostrare il mio amore per Peeta, non quello di alimentare le rivolte. Fisso Caesar, cercando di fargli capire che quello è un argomento che non vogliamo approfondire, che ci turba a tal punto che perdiamo anche la ragione.

– Credo che adesso dobbiate andare, giusto? – ci chiede, come se fosse davvero riuscito a leggere i miei pensieri. Io e Peeta facciamo “sì” con la testa e salutiamo la folla della capitale mentre ci scambiamo un secondo bacio. Il collegamento si interrompe con gli applausi dei cittadini felici. Peeta e io ci allontaniamo l'uno dall'altra subito dopo. Torna dentro casa sua, seguito da Portia e i suoi tre preparatori. Mi giro in direzione di Effie che mi dirige dentro casa, complimentandosi per il nostro lavoro. Haymitch si limita ad un – Sembrava che tu volessi staccargliela, quella mano, dolcezza –, prima di attaccarsi nuovamente alla sua bottiglia.

In casa, Effie comunica a tutti che il treno partirà tra mezz'ora e che quindi dobbiamo fare in fretta. Come sempre. Cinna, Venia, Octavia e Flavius hanno già recuperato tuttti gli abiti che mi serviranno e la loro attrezzatura magica capace di trasformare una ragazza povera del Giacimento come ero io una volta, in una principessa. Lo cerco con lo sguardo, ma non riesco a vedere Gale. Che sia uscito dal retro e abbia fatto il giro lungo per andarsene dal Villaggio dei Vincitori e tornare a casa? Una punta di delusione mi invade e mi impegno per ignorarla. Ad un certo punto sento uno strano calore alle mie spalle e so che lui è lì, in piedi dietro di me. Le sue mani mi circondano la vita un attimo prima che io mi giri verso di lui. Sento la guancia di Gale contro la mia tempia e sorrido.

– Pensavo che te ne fossi andato – sussurro, facendomi più piccola tra le sue braccia forti.

– Non vado da nessuna parte fino a quando tu sei qui – mi confida, mentre respira il profumo dei mei capelli. Il mio sorriso si allarga ancora. Intercetto lo sguardo di mia mamma e quello di Prim, ma non mi stacco dal petto rassicurante di Gale.

– Rimanete qua, non venite alla stazione. Sta iniziando una bufera come l'altra sera, state a casa – loro non provano neppure a contraddirmi, sanno già che non cambierò idea. Non voglio che si ammalino per colpa mia, molto meglio che rimangano al riparo in casa. Poi mi rivolgo a Gale.

– E voglio che tu porti qua i bambini – gli dico.

– I bambini? – chiede Effie sbalordita. Io e Gale ci scambiamo un'occhiata e scoppiamo a ridere contemporaneamente. Quando riesco a riprendermi, rispondo a Effie.

– Non sono i nostri, Effie! – le dico, continuando a scuotere la testa.

– Per ora – mi corregge lui. E due. Oggi si è proprio fissato con il parlare dei nostri ipotetici figli futuri. In più, adora mettermi in imbarazzo davanti ad altre persone e l'idea che io possa un giorno aspettare un bambino da lui, mi fa arrossire. E per questo si prende il secondo pugno della giornata.

– Sono Rory, Vicky e Posy – interviene mia sorella – I fratelli di Gale – spiega. Effie annuisce, mentre mia madre sospira. Poi mi torna in mente il perché siamo finiti a parlare di loro.

– Non sto scherzando, Gale – torno seria – Adesso tu vai a prenderli e loro dormiranno qua. E anche tu e Hazelle lo farete – decido. Lui acconsente, perché sa che mi arrabbierei molto se non facesse come gli ho detto. Effie ci informa che è ora di andare, quindi io mi stacco di malavoglia dal calore di Gale e mi avvicino a mia mamma e a Prim. Ci abbracciamo strette.

– Tornerò presto, paperella – dico a mia sorella, aciugandole una piccola lacrima che le sta attraversando il viso. Lascio una carezza sulla guancia di mia madre e, con un ultimo sorriso, mi allontano da loro. Gale è in attesa davanti alla porta d'ingresso. Apre le braccia, pronto ad accogliere nuovamente il mio corpo, ma io ho in mente qualcos'altro. Stringo le mie mani dietro alla sua nuca e faccio incontrare le nostre labbra ancora una volta. Un attimo dopo le sue braccia mi stringono la schiena, mentre io gioco con i suoi capelli scuri. È così bello, così triste, così coinvolgente. Ci stacchiamo per riprendere fiato e io sono pronta a ricominciare da dove ci eravamo fermati, ma Gale poggia la sua fronte contro lo mia, ansimando appena.

– Ti amo, Catnip. Ricordatelo sempre, okay? – mi dice accarezzandomi una guancia. Sorrido. So che è l'ora di partire, però adesso sono tranquilla. Non so come, ma riesco solo a credere che andrà tutto bene, prima o poi.

– Okay – gli rispondo – Ti amo anche io, Gale – con un veloce bacio sulle labbra, mi lascia andare.

Mi ritrovo sul treno che viaggia a tutta velocità, senza neppure sapere come. Effie guida subito me e Peeta verso le nostre rispettive camere. Noto con sollievo che sono dai lati opposti del treno, la mia verso l'ultimo vagone e quella di Peeta quasi all'inizio. In questo modo magari non sarà svegliato da me che urlo il nome di Gale durante la notte. Ormai quasi tutti i miei incubi hanno lui come protagonista, vittima nelle mani di Snow. Mi dirigo verso nella mia stanza e non faccio in tempo a togliermi la bellissima tuta di Cinna e ad infilarmi una camicetta verde e un paio di anonimi pantaloni scuri, che subito qualcuno bussa.

– Sì? – chiedo. Haymitch appare sulla porta.

– È pronta la cena, dolcezza – mi annuncia – Effie sarebbe molto contenta se tu mangiassi con noi.. – mi informa, con una punta di comprensione nella voce. Vuole farmi sapere che, anche se non cenassi insieme a loro, sarei scusata senza problemi anche da Effie. Tutti sono più gentili con me, ora che sanno la verità su quello che sto passando. Decido di unirmi a loro per mangiare, tanto per fare felice Effie, così seguo Haymitch fino al vagone ristorante. Sono già tutti seduti. Peeta nel mezzo tra Portia e a uno dei suoi tre preparatori, credo si chiami Marcus. Ha i capelli e il rossetto verde acceso e sta parlando tranquillamente con un Flavius tutto sorridente e di buon umore. Accanto a Marcus ci sono le due preparatrici di Peeta di cui ignoro i nomi. E non mi preoccupo neppure di impararli, probabilmente non li ricorderei a lungo. Di fronte a loro due ci sono Venia e Octavia, che chiacchierano senza zittirsi un attimo. Cinna è seduto davanti a Portia e subito mi sorride quando mi vede arrivare. Anche Effie si accorge di me e si alza immediatamente per venire a salutarmi. È davvero contenta per il fatto che io mi sia aggiunta al gruppo. Mi accompagna al mio posto e si risiede al suo, a capotavola davanti a Haymitch. Tengo gli occhi bassi mentre mi siedo e cerco subito di iniziare una conversazione con Cinna, per non dover parlare con il ragazzo che mi siede di fronte. Sono sollevata, dopo aver capito che Peeta non si interessa minimamente a me. Se ci ignoramo, almeno non litigheremo. Ci portano una densa zuppa rosina, decorata con tre lamponi al centro della scodella dorata.

– Hanno fatto il vellutato di rose e lamponi! – esclama Venia felice, quando lo riconosce. Rabbrividisco. Il profumo di rose mi invade il naso e l'immagine di Snow nello studio di casa mia mi paralizza. Noto i vari sguardi preoccupati e confusi dei presenti, che tranquillizzo con un vago ceno del capo. Faccio finta che vada tutto bene e assaggio la pietanza. Rimango dolcemente sorpresa da quel gusto leggero e morbido. Decido che le rose si sentono appena, quindi svuto la scodella velocemente e subito mi viene portato il secondo, ma decido di non mangiare il salmone con dei frutti chiamati fichi e mi accontento di una porzione sostanziosa di funghi e tartufo. Quando finisco anche quelli, mi concentro sulle persone intorno a me.

Le quattro preparatrici stanno ancora parlando tra loro riguardo alle nuove mode di Capitol City. Scopro che sono stata abolite le pellicce e le fantasie a fiori, quadri, scacchi, onde, stelle, animali. Quest'inverno tutte le donne indossano esclusivamente giacche e giubbotti di piume colorate. Sembra sia l'annata degli stivali con le stringhe e le piume e dei capelli a forma di pennuti di vario genere, dagli struzzi ai colibrì, ai tucani, ai fenicotteri. Pare che questa nuova fissazione per le piume sia dovuta alla mia spilla con la ghiandaia imitatrice. In più, sono tutti fissati con le fiamme, il fuoco, i colori che sfumano dal rosso della scintilla al nero del carbone. Questo spiega la parrucca arancione di Effie. Rabbrividisco, pensando a tutte quelle donne che si ispirano a me, alla mia ghiandaia imitatrice, alla ragazza in fiamme. Poi scopro che in Città non si vedono più ragazze bionde o con i capelli rossi o tinti di colori assurdi, ma solo lunghe trecce scure.

A questo punto decido di ascoltare qualcun'altro.

Mi accorgo che Peeta mi sta fissando, quindi mi metto anche io a guardarlo. Occhi grigi in occhi azzurri. Mi ero dimenticata di quanto potessero essere capaci di catturare tutta la mia attenzione ed impedirmi di guardare altrove. Cerco di leggere i suoi pensieri, mentre ci isoliamo dal resto del mondo, ma il suo sguardo è impenetrabile. Posso sentire la tensione crescere tra di noi. La sua espressione immobile urla contro di me, in silenzio. Come potremmo riuscire a convincere tutti del nostro amore, se lui non riesce neppure a parlare con me? Forse vuole che sia io a fare il primo passo verso di lui.

– Ti è piaciuta la cena? – gli chiedo. Lui continua a fissarmi con disprezzo, poi si volta verso Portia e fa finta che io non esista più. Sbuffo infastidita e cerco di trovare qualche altra conversazione interessante da ascoltare.

Effie sta di nuovo brontalando Haymitch per tutto l'alcol che ha ingerito durante il pasto. Decido di intervenire, in modo da potermi allontanare da questo vagone con una scusa. Alzo Haymitch dalla sua sedia e lo trascino fino al salottino con la televisione, alla fine del treno. Ci lasciamo cadere su un grande divano viola, sospirando pesantemente.

– Copiano me – realizzo, rompendo il silenzio – Tutti, a Capitol City, copiano me – è disgustoso e sento la rabbia diffondersi nelle mie vene. Ho voglia di urlare, non posso pensare di trovarmi di fronte ad una folla di persone che detesto – e che si ispirano a me – e di dover fingere di amarli.

Haymitch mi prende inaspettatamente una mano tra le sue.

– Puoi farcela, dolcezza – mi sussurra, leggendo tutte i pensieri che mi vagano per la mente. Improvvisamente sembra più lucido, quasi sobrio.

– Come? – gli chiedo – Ogni anno io dovrò tornare a fingermi innamorata di Peeta e i capitolini vorranno un matrimonio, prima o poi. Come posso impedire che questo accada? Come posso impedire a Snow di decidere per la mia vita? – il problema non è solo ritrovarmi davanti a quella folla di gente vuota e fingere di voler loro bene. Il problema è cosa succederà nel mio futuro, una volta tornata a casa. Ecco le mie vere preoccupazioni.

Haymitch mi fissa in silenzio, senza dire nulla.

– Quando sono tornato a casa, dopo la vittoria degli Hunger Games, non ho trovato nessuno ad aspettarmi. Non c'era più nessuno. Snow aveva ucciso i miei genitori, i miei fratelli, la mia ragazza, distrutto la mia casa, il mio passato. Si era preso tutto quello che avevo, tutta la mia vita. Non sapevo cosa fare, come poter andare avanti, vivendo in una casa troppo grande e silenziosa per un ragazzino della mia età. Ero completamente solo. Ho iniziato a bere per allontanarmi dalla realtà, per dimenticare tutte quelle morti che mi avevano completamente svuotato. Il resto della storia la sai, non sono riuscito più a smettere o forse non ho mai voluto farlo davvero – il racconto e quell'ammisione così intima di Haymitch mi lasciano a bocca aperta. Non so cosa dire, perciò mi limito a stringergli più forte la mano, come per fargli capire che mi dispiace per quello che ha dovuto passare e che io proverò ad aiutarlo, se vorrà. Gli sono grata per la fiducia che mi sta donando, i suoi ricordi mi fanno sentire meno sola.

– Tu non devi avere paura di nulla – riprende – Gale non permetterà che tocchino le vostre famiglie e sappiamo entrambi che troverà un modo per cambiare il vostro destino. Ce la farete – vedo un'ombra di malinconia velare il suo sguardo – Almeno voi sarete felici – mi sussurra, probabilmente alludendo a quel futuro che lui ha perso quando la sua ragazza è stata uccisa. Fissa i suoi occhi da Giacimento nei miei per un lungo secondo, prima di lasciarmi la mano e uscire dal salottino. Rimango sola con i miei pensieri che corrono subito verso casa. Cosa starà succedendo nel 12? Gale avrà davvero portato i bambini e Hazelle a casa mia? Avranno cenato? Avranno freddo? Ripenso alle parole di Haymitch e mi rendo conto che ha ragione. Gale non permetterebbe mai a nessuno di distruggere i nostri piani. Ma se Snow minacciasse i suoi fratelli? Cosa farebbe in quel caso? Mi lascerebbe andare per proteggere loro, o forse sarei io a staccarmi da lui per difendere le nostre famiglie, come facciamo da anni. Siamo nelle mani del Presidente, niente dipende più dalla nostra volontà. Lui sa dove colpire per tenerci a bada e noi non rischieremo mai la vita dei nostri cari in questo modo. Se solo loro si trovassero al sicuro da qualche parte, lontano da Snow, sarebbe tutto diverso. Ma cosa possiamo fare? Scappare nei boschi, forse. Magari potremo farcela davvero. Io e Gale sappiamo cacciare e ci orientiamo senza problemi, però sicuramente mia madre si troverebbe malissimo, per non parlare di mia sorella e della piccola Posy. Non c'è niente che possiamo fare per sfuggire al volore di Snow. Un suono misto tra un lamento e un grugnito arrabbiato esce dalle mie labbra. Sbuffo sonoramente e sento la porta che si apre ed Effie appare davanti ai mie occhi. La guardo, ma non la vedo davvero.

– Oh, tesoro – inizia, lasciandosi cadere seduta accanto a me – Non sai quanto mi dispiaccia – prosegue. Il suo sguardo carico di compassione e il suo tono impietosito mi fanno scattare.

– Non è colpa tua, Effie – la interrompo bruscamente – E non ho bisogno della tua pietà. Cambiamo argomento? – le chiedo seria. Lei apre la bocca, stupita, ma non le do il tempo per pensare. Non ho voglia di fingere una conversazione piacevole con lei, mi dispiace. Così mi alzo ed esco dalla stanza, senza dare una spiegazione e lei non cerca neppure di fermarmi. Sa che non la ascolterei. Giro a vuoto per il treno, fino a quando non trovo la stanza di Peeta. La porta è socchiusa e busso un paio di volte, senza ricevere risposta. Decido di entrare. Dentro non c'è nessuno e questo peggiora ancora il mio umore. Volevo provare a chiarire con Peeta, dato che domani ci dovremmo fingere innamorati davanti a così tante persone. Mi guardo un po' intorno, gironzolo per la camera, mi affaccio al finestrino, apro qualche cassetto. Alla fine mi siedo sul letto e rimango a fissare la parete davanti a me per qualche minuto, in attesa del suo arrivo. Ad un certo punto realizzo che forse non è stata una grande idea quella di intrufolarmi di nascosto nella sua stanza, anzi. Mi sembra solo un'assoluta perdita di tempo. Peeta non si fa vedere, non ho idea di dove sia. Così me ne vado, stizzita e delusa.

Ora sto cercando Cinna. Lo trovo nel salottino in fondo al treno, intento a leggere un libro dalla copertina scura rilegata in pelle. Mi avvicino silenziosamente, per poi buttarmi sul divano accanto a lui, sbuffando. Lo vedo sorridere e questo un po' mi rallegra.

– Ti senti sola, ragazza in fiamme? – mi chiede. Annuisco, poggiando liberamente la testa sulla sua spalla e mi lascio calmare dalle sue mani che mi accarezzano delicatamente i capelli, come se fossi una bambina spaventata.

– Domani andrà tutto bene, vedrai. Effie vi darà un foglio con un discorso già scritto, limitatevi a leggerlo e non inventate niente di vostro – mi consiglia. Possibile che le parole che più riescano a tranquillizarmi siano quelle di uno stilista che lavora per Capitol City? Lui non è come gli altri, però. Lui è Cinna, con la sua consueta linea di eyeliner dorato ad illuminargli gli occhi. Mi posso fidare.

Non so quanto tempo passo abbracciata a quel corpo elegantemente vestito, ma ad un certo punto sento la sua bocca sulla mia fronte e parole pronunciate con tono dolce che mi consigliano di andare a riposarmi un po', domani sarà una giornata impegnativa. Mi accompagna fino alla mia stanza, per poi salutarmi con un timido sorrido. Mi metto velocemente una camicia da notte candida e sprofondo nella morbidezza del piumone. Così, al caldo tra lenzuola felpate e non forti braccia, scivolo in un sonno pesante e abitato da svariati occhi. Appaiono prima quelli di Snow, gelidi ed impenetrabili, che mi fissano con austuzia e superiorità. Poi quelli di Gale, pieni di amore e preoccupazione, ma quelli che mi stupiscono di più, sono gli ultimi che sogno: due occhi azzurri, distanti e arrabbiati, nei quali scorgo, però, un'ombra di malinconia.

La prima cosa che noto appena sveglia è che non sto urlando. Questo vuol dire che non ho impaurito tutti con le mie grida notturne. Questo vuol dire che Peeta non mi ha sentito piangere per Gale nel sonno. Un sorriso appena accennato rallegra per un attimo il mio volto, prima che realizzi dove sono e che tipo di giornata sarà questa. A questo punto, torno la solita incupita ragazza di sempre. Improvvisamente la porta si spalanca e una coloratissima Effie fa il suo ingresso nella stanza.

– È ora di alzarsi, Katniss. Devi preparati per un'altra grande, grandissima giornata! – esclama inspiegabilmente felice. La fisso con uno sguardo truce, chiedendomi se è davvero matta o se fa finta di essere così allegra solo per sollevarmi un po' il morale inutilmente. Le faccio un cenno con il capo, come per rassicurarla che farò velocemente, e lei se ne va. Lascio cadere pesantemente la testa sul cuscino e tiro le coperte fin sopra ai capelli, raggomitolandomi in posizione fetale. Ed ecco che dopo poco perdo di nuovo la concezione del tempo, rapita da quel calore piacevole. Sto per riappisolarmi, quando sento la porta aprirsi per la seconda volta e qualcuno che si siede sul mio letto delicatamente.

– Andiamo, Katniss – mi incita una voce maschile, – dobbiamo vestirci.

Abbasso di poco il piumone, quanto basta per guardare fisso lo sguardo di Cinna, apparentemente molto tranquillo. Cerco qualcosa che mi incoraggi e i suoi occhi scuri sono abbastanza rassicuranti, almeno quanto basta per fare in modo che decida di mettermi seduta davanti a lui. Cinna non perde l'occasione e subito scatta in piedi e spalanca il mio armadio. Lo vedo cercare tra tutti quei vestiti, fino a quando non tira fuori un abito corto e arancione intrecciato a motivi autunnali. Ci sono applicate anche delle foglie, alcune più sul rosso, altre vicino al giallo e infine alcune che si avvicinano al marrone delle foglie secche. Fisso il vestito, poi guardo Cinna, ringraziandolo silenziosamente per aver deciso di non cucirmi un abito-frutteto. Sarebbe stato troppo indossare una parte di Rue. Per me e per la sua famiglia. Sento un nodo bloccarmi il respiro, al ricordo di quel visino dolce e di quei grandi occhi neri. Sarà davvero una giornata difficile, questa.

– Non credi che mi farà freddo? – gli chiedo, notando quanto il vestito sia leggero.

– Non al Distretto 11 – mi risponde lui con un sorriso. Il quel momento usciamo dalla galleria e subito una luce intensa invade la mia stanza. Catturata dai raggi del sole, mi alzo e mi avvicino al finestrino, per perdermi nella vista del paesaggio che scorre veloce davanti ai miei occhi. Vedo lunghe file di frutteti ordinati, campi immensi con diverse coltivazioni, ma nessuno che stia lavorando. Entriamo in una stazione vuota e silenziosa e Cinna mi appunta su una spallina la mia spilla con la ghiandaia imitatrice, poi insieme ci incamminiamo verso l'uscita del treno. Ci accoglie un gruppo di Pacificatori che ci fa salire senza troppe cerimonie su un camion blindato, sbattendo violentemente lo sportello metallico alle nostre spalle. Effie borbotta qualcosa che non mi preoccupo di ascoltare, mentre i miei occhi incontrano finalmente quegli azzurri di Peeta. Cerco un appiglio a cui aggrapparmi, un'ancora che mi ricordi casa, qualcosa nel suo sguardo che mi impedisca di crollare, ma trovo solo astio e antipatia. Stringo la mano di Haymitch al mio fianco, e nell'attimo stesso in cui i suoi occhi grigi si fissano nei miei, ritrovo un po' di pace nel ricordo del Giacimento, della neve, delle primule che nascono a primavera nel Prato del mio distretto.

Il camion ci lascia dietro il Palazzo di Giustizia situato nella piazza più grande dell'11. Entriamo e subito alcuni Pacificatori corrono verso di noi. Qualcuno mi aggancia un microfono e non ho neppure il tempo di guardarmi intorno che sento la voce del sindaco che ci sta presentando e vedo le imponenti porte d'ingresso che si aprono sulla piazza strapiena di persone. Effie mette la mia mano in quella di Peeta e – Un bel sorriso! – ci spinge fuori con una leggere spinta. I miei occhi si abituano in fretta alla luce accecante, mentre un applauso fragoroso si alza dalla folla. Noto subito la tribuna speciale per le famiglie dei tributi morti: sulla sinistra siedono due donne che assomigliano molto a Thresh, probabilmente sua madre e sua sorella, poi faccio di tutto per non voltarmi dall'altro lato. Non sono pronta a vedere i genitori di Rue, i suoi cinque fratelli minori che hanno ancora freschi sul viso i segni di un pianto lancinante; ma una forza superiore mi costringe a girarmi, a guardare quella famiglia completamente vestita a lutto, gli abiti neri quasi indistinguibili dal colore della loro pelle. Cerco in quei bambini lo sguardo caldo di Rue e tremo.

Sento Peeta che inizia la sua parte del discorso e quando termina, attacco io, pronunciando un fiume di parole che non ascolto, che non mi preoccupo di capire. Le ripeto a memoria senza che realmente mi importi qualcosa di quello che sto dicendo, perché sono persa negli occhi neri e comi di lacrime della mamma di Rue e nelle labbra serrate della sorella di Thresh, che si mostra forte e che stringe la madre tra le sue braccia, la sorregge, mentre questa non riesce a smettere di singhiozzare. Mi accorgo che Peeta non ha tirato fuori i bigliettini sui quali aveva scritto i suoi commenti personali, sta parlando di come Thresh e Rue si siano dimostrati valorosi e coraggiosi, di come abbiano salvato me e quindi anche lui, e che siamo in debito con loro. Poi dice qualcosa che non era programmato e che stupisce tutti.

– Io e Katniss sappiamo bene che non esiste un modo per rimediare alle vostre perdite, ma consciamo altrettanto bene la difficile situazione in cui vivete. Per questo abbiamo deciso di farvi ricevere un mese delle nostre vincite ogni anno, come dimostrazione della nostre gratitudine – mi giro verso Peeta e sono senza parole, così come tutta la piazza. Peeta ha appena garantito dei pasti certi a quelle due famiglie che ora ci fissano sotto shock: fino a quando noi vivremo, loro non avranno più fame. Ci fissiamo in silenzio qualche secondo e io mi alzo automaticamente sulle punte per baciarlo. Infondo è questo il mio compito, devo convincere tutti di essere innamorata di lui. Capisco che la cerimonia sta per concludersi e lo sguardo severo di una delle sorelle di Rue mi riscuote. Nonostante la nostra donazione, il suo sguardo è ancora pieno di rimprovero e so perché. Mi faccio avanti, non posto rimanere ferma e muta davanti a tutte queste ingiustizie.

– Aspettate! – corro avanti, sapendo di aver sprecato il tempo che avevo a disposizione per parlare. Non so cosa dire, ma in qualche modo devo esprimere la mia gratitudine, devo rimediare al silenzio vergognoso in cui sono rimasta bloccata. Improvvisamente le parole mi escono fuori come un fiume in piena e non riesco più a fermarmi. Parlo di Thresh e di tutta la stima che ho per lui, per il fatto che si fosse rifiutato di unirsi al gruppo dei Favoriti, parlo della sua forza e di quanto fossero potenti i valori in cui credeva. La piazza è totalmente silenziosa e sono certa che tutti stiano trattenendo il respiro. Mi rivolgo alla famiglia di Rue e racconto di quanto la sua morte mi perseguiti, di quanto io mi senta in colpa per non essere riuscita a salvarla. Dico che rivedo la piccola Rue in ognu cosa belle che vedo. La vedo nei fiori che crescono nel Distretto 12, la vedo nei cesti di frutta che vengono venduti al mercato, la ritrovo nel canto degli uccelli e tra i bambini che giocano a palla nella piazza del mio Distretto.

– Ma soprattutto la rivedo in Prim, mia sorella – la mia voce si spezza, ma so che non posso fermarmi, non adesso. Ringrazio le due famiglie per i loro figli, ringrazio l'intera popolazione del Distretto per tutto quello che insegnano ai loro giovani, gli ringrazio per quello che sono. Esprimo ancora una volta la mia solidarietà a tutti quei volti che mi fissino rapiti dalle mie parole. E concludo il mio monologo con un apello alla pace. Ricordo che dobbiamo sempre credere nel bene e nell'amore – stringo la mano di Peeta tra le mie –, ricordo che dobbiamo sempre impegnarci per svolgere la meglio quelli che sono i nostri compiti, dico che bisogna continuare ad avere speranza e che soparattutto ogni tanto dobbiamo anche prenderci ciò che ci spetta di diritto.

– Nessuno può impedirci di riprenderci ciò che è nostro, nessuno può impedirci di inseguire i nostri sogni e di provare a relizzarli! – urlo alla fine.

Segue un interminabile momento di silenzio in cui si sente solo il mio respiro irregolare. Ho paura di questa immobilità, di questa situazione statica e sfiancante. Poi lo sento. E' il motivetto a quattro di quattro note che intonava Rue. In un unico movimento sincronizzato, tutti i presenti alzano il loro braccio sinistro e le tre dita cerntrali della mano verso l'alto, imitando il saluto solonne del mio Distretto. Per un attimo sul mio viso si dipinge un sorriso orgoglioso e i miei occhi si riempiono di lacrime commosse, poi torna alla mia mente il ricordo del colloquio con il presidente Snow e le sue minacce. Ho appena provocato un gigantesco atto di dissenso cittadino verso gli hunger games e l'autorità di Snow, esattamente il tipo di problema che dovevo arginare! Io e Peeta veniamo allontanati malamente dal centro del palco dove ci trovavamo e le pesanti porti vengono chiuse con tonfo alle nostre spalle. Un attimo prima che si chiudano riesco a vedere, nel minuscolo spiraglio di luce che rimane, un esercito di Pacificatori che si getta sulla folle e inizia a sparare alla cieca, mietendo decine di morti.

La nostra gita al Distretto 11 finisce prima del previsto a causa di quello che ci hanno descritto come un piccolo imprevisto, ma che io temo sia l'inizio di qualcosa di molto più grosso. Venti minuti dopo la fine del mio discorso, siamo già tutti sul treno, pronti a ripartire. Vedo Peeta cercare di calmare Effie che non sa cosa è realmente successe e non capisce il motivo per il quale siamo dovuti ripartire così velocemente. Mi dirigo stanca nella mia camera e noto che sia Cinna che Haymitch mi stanno seguendo. Immagino che vogliano solo assicurarsi di come mi sento. Apro la porta della stanza con un gesto automatico.

– Non c'è bisogno che vi preoccupiate per me – inizio. – sto bene, davvero. –

Vedo i loro occhi spalancati fissi sul mio letto e senza che io lo voglia davvero, anche il mio sguardo si posa su quel punto. Sento il mio respiro mozzarsi a metà e il mio cuore perdere troppi battitti, mentre mi chiedo come ho fatto a non accorgermi prima dell'odore nauseabondo che impregna l'aria.

Sul mio letto circa un centinaio di rose bianche sono state sistemate a formare un'enorme lettera: G.

   
 
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