Serie TV > Alias
Segui la storia  |       
Autore: Jade MacGrath    12/03/2005    0 recensioni
Irina osservò il suo superiore, Alexander Khasinau, allontanarsi per parlare con i piloti che avrebbero pilotato il volo da Los Angeles fino alla base designata in Unione Sovietica. Sua figlia continuava a dormire, e trovato un posto dove sedersi Irina si rilassò aspettando l’ora di partire. Sua figlia si mosse leggermente nel suo abbraccio, e Irina con una mano le carezzò piano i capelli scuri, come i suoi. Ascoltando il suo respiro regolare mentre dormiva appoggiata a lei, capiva che se l’avesse lasciata a suo padre l’avrebbe rimpianto per tutta la vita. Non lo avrebbe fato a vedere, non avrebbe pianto, ma sapeva che lentamente il ricordo l’avrebbe logorata dentro. Facendo così, invece, questo destino sarebbe toccato a Jack. Jack, che non avrebbe potuto far altro che rassegnarsi e dimenticarle...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il viaggio di ritorno in taxi le sembrò veloce come un fulmine, forse perché lo faceva a cuor più leggero

Il viaggio di ritorno in taxi le sembrò veloce come un fulmine, forse perché lo faceva a cuor più leggero. Tornata alla sua casa, per prima cosa si liberò dell’abito da sera e si fece una lunga e bollente doccia. Poi, una volta indossati degli abiti più comodi, cercò il telefono e si informò sul primo volo in partenza per Mosca. Il primo volo sarebbe partito alle otto, e Lara prenotò un posto usando sempre l’alias di Kate Jones.

A parte una borsa che sarebbe tranquillamente passata per bagaglio a mano, e dove avrebbe nascosto in un doppiofondo a prova di raggi X il libro e l’ampolla, il resto dei suoi bagagli probabilmente erano più vicini a Mosca di lei. Non era stata una brutta idea spedirli in anticipo e tenersi solo lo stretto indispensabile.

Per quello che aveva in mente di fare, era indispensabile non avere bagagli tra i piedi.

 

Vaughn stava guidando verso casa, sperando finalmente di riuscire a dormire. Da quando Derevko era riuscita a scappare, nessuno aveva avuto tregua. Tutta la sezione aveva accantonato i casi che stava seguendo e si erano lanciati al suo inseguimento con dei ritmi di lavoro spaventosi. Inseguimento che, finora, non aveva dato i minimi frutti. Quella ragazza era furba, e di sicuro aveva qualcuno che la stava aiutando, un supervisore o forse anche più d’uno.

Ripensò al briefing di quella mattina. Dopo aver scoperto che Lara lavorava per l’Uomo, Alexander Khasinau, il suo valore come prigioniera era aumentato di molto. Se solo fossero riusciti a prenderla e a farla parlare…

Arrivato a casa, si impose di lasciare i pensieri di lavoro fuori dalla porta d’ingresso. Per una sera, o per quello che ne rimaneva, voleva rilassarsi.

“Salut, Michel. Il a passé beaucoup de temps, n’est-ce pas?”

 

A Vaughn occorsero un paio di minuti per riprendersi dallo shock.

Lara Derevko, colei che tutta la CIA di stazza a Los Angeles cercava da giorni, era seduta nel divano del soggiorno di casa sua come se niente fosse, e stava grattando dietro le orecchie Donovan, che sembrava gradire moltissimo le attenzioni della sua nuova amica.

“Hai un bel cane. Donovan, giusto?”

Vaughn, una volta ripreso, afferrò la sua pistola e gliela puntò contro.

“Non ti muovere.”

“Dato che sono disarmata, ed è vero, ti dispiace mettere giù quella pistola? Mi innervosisce.”

Vaughn, che non ci pensava neanche lontanamente, strinse l’arma con più forza.

“Come ti pare, Michel.”

“Perché mi chiami così?”

“Sicuro di non saperlo?”

Cos’era quella domanda, pensò Vaughn, un trabocchetto? Dove voleva arrivare?

Lara si era alzata in piedi. Anche lui doveva essere di memoria corta per quanto riguardava certi nomi e facce.

“Tu hai già avuto a che fare con me.”

“Certo che la CIA ha già avuto a che fare con te, e ogni volta è una volta di troppo.”

“Non sto parlando della CIA. Sto parlando di te e di me. Sei anni fa. A Firenze.”

Vaughn aggrottò la fronte, come se fosse intento a riflettere intensamente, poi mormorò un nome. “Nadja Liskova.”

“Già. Ora ti ricordi di me?”

“Ricordo soprattutto il modo in cui mi hai lasciato a vedermela con le guardie.”

“Andiamo, non ce l’avrai con me per quello. Mi risulta di aver fatto di peggio. A proposito…non dovresti essere ancora in ospedale?”

“Un’assassina che si preoccupa della sua vittima. Cos’è, mi vuoi di nuovo insieme per poterci riprovare?”

“Come diavolo facevo a sapere che eri tu? E poi vacci piano con le parole. Io non sono un’assassina.”

“Ora come ora faccio fatica a crederti.”

“Te lo ripeto un’altra volta. Metti giù quella pistola.”

“Te lo ripeto anch’io. No.”

“Da morta a voi e alla combriccola del FBI capitanata da quella testa pelata di Kendall non servirò a niente.”

“Chi ha detto che ho intenzione di ucciderti? Come hai detto, alla CIA da morta non servirai a niente.”

Lara continuò ad avvicinarsi. Ormai il suo cuore era a pochi centimetri dalla canna della pistola.

“Ma c’è un piccolo dettaglio che entrambi sappiamo. Indietro in quel posto non mi riporterai viva.”

Con un movimento fulmineo colpì la mano di Vaughn che reggeva la pistola, facendola cadere a terra, e poi lo colpì al torace. Lara aveva fatto per calciare via l’arma, ma Vaughn l’aveva afferrata per un braccio e aveva cercato di torcerglielo dietro la schiena, spingendola contro il muro. Convinto che il combattimento avesse fine, Vaughn si rilassò per un paio di secondi. Lara da una tasca dei pantaloni tirò fuori un coltello, che piantò senza troppi problemi nella coscia dell’agente. Preso alla sprovvista, l’agente urlò di dolore e cadde a terra portando Lara con lui. La ragazza tentò di liberarsi, ma nella caduta la mano di Vaughn si era ritrovata vicina all’arma che aveva perso. L’afferrò e la puntò contro Lara, nello stesso momento in cui lei, sopra di lui, lo minacciava puntandogli la lama del coltello alla gola.

 

In quel momento, mentre si puntavano contro le rispettive armi, sia Lara che Michael realizzarono che nessuno dei due aveva realmente l’intenzione di fare del male all’altro. Ma nessuno dei due voleva essere il primo ad abbassare la guardia, o almeno quelle erano le loro intenzioni a livello razionale. L’attrazione che avevano sperimentato a Firenze si stava rifacendo viva, intatta nonostante gli anni passati dal loro ultimo incontro…

 

***

 

Perché ogni volta che io e Vaughn – Michael – ci incontriamo finisce sempre in questo modo?, si domandò Lara, con la testa appoggiata ad una mano, osservando Michael dormire accanto a lei. Come erano arrivati dal puntarsi un’arma in soggiorno fino nella sua stanza non ricordava esattamente, ma ricordava piuttosto bene cos’era successo dopo. Una cosa che non si sarebbe dovuta ripetere.

La sveglia sul comodino segnava le quattro e quaranta. Il volo sarebbe partito alle otto. Aveva ancora tempo, ma era meglio andarsene subito, prima che le venissero altre strane idee.

“Rimani.”

E Lara, seduta sul letto, d’un tratto sentì vacillare i suoi propositi. No, ricordati chi è, Lara. Un agente della CIA. CIA, che equivale ad una reclusione in quella struttura che già conosci, in quella cella claustrofobica che già conosci. Hai davvero voglia di tornarci, brutta stupida che non sei altro?

“Lo sai che non posso.” Anche se vorrei…

“Almeno dimmi perché sei venuta qui.”

“Ha importanza, ora?” O semplicemente hai voglia di sentire quello che di sicuro già sai?

“Ne ha per me.”

“Credi ti abbia usato? No. Non lo farei mai.” Nel senso che ce la farei con chiunque altro, ma con te non ci riuscirei mai.

“Chi sei realmente?”

Lara sorrise, e si voltò verso di lui “Domandamelo la prossima volta che ci incontreremo.”

Michael chiuse gli occhi.

Lara si era seduta su una sedia, guardandolo dormire, e illudendosi per qualche minuto di non essere una terrorista in fuga, di non essere una nemica dell’uomo che stava dormendo, di non essere Lara Derevko…

Incredibile. Per la prima volta da quand’era una bambina, rimpianse di non chiamarsi più Sydney Bristow. Chi lo sa, magari le cose sarebbero state diverse in quel caso. O forse no.

L’orologio ora segnava le cinque e mezza.

Ora dobbiamo proprio andare via…

Le scarpe erano rimaste in soggiorno, come il coltello e la pistola di Vaughn. Lara rimise il coltello in tasca, e mise la pistola sul tavolo della cucina. Donovan, svegliato dalla sua presenza, trotterellò scodinzolando fino ai suoi piedi reclamando la colazione. Lara gli diede una grattata dietro le orecchie e gli mise qualche croccantino nella ciotola. Poi raccolse la borsa che aveva portato con sé e si avviò alla porta. La mano era già sulla maniglia, quando sentì che non poteva andarsene così, non con lui. Vide vicino al telefono un blocco e una penna, e decise che sarebbero serviti allo scopo.

 

Quello che è successo tra di noi stanotte io non l’avevo previsto, esattamente come sei anni fa. Non avevo previsto neanche quanto io non voglia andarmene da qui ora… ma non vivrò da reclusa per tutta la mia vita in qualche prigione qui a Los Angeles ad aspettare che qualche senatore o giudice che sia, che non mi ha mai visto in faccia, decida se devo vivere o morire.

Non ti dirò addio, perché so bene che ci rivedremo, anche se dai lati opposti di una barricata. Chi lo sa, magari la prossima volta sarò anche in grado di rispondere alla domanda che mi hai fatto.

 

Quindi… arrivederci, Michael.

 

Piegò in due il biglietto, e lo appoggiò sul tavolo vicino alla pistola. Poi fece un respiro profondo, e uscì dalla sua casa.

La prossima volta che lei e Michael si sarebbero incontrati… quella volta avrebbero avuto di nuovo una pistola in mano, per difendere quello in cui credevano e l’agenzia per cui lavoravano. E, pensò Lara, mentre l’aereo decollava e si lasciava alle spalle la città degli angeli, quella volta solo uno di loro due ne sarebbe uscito vivo.

 

***

 

Appena scesa dall’aereo, e osservando le scritte in cirillico ovunque nell’aeroporto, Lara finalmente si sentì a casa. Anche se per la prima volta, non ne era del tutto felice. Colpa di Khasinau, e di un agente CIA che avrebbe fatto meglio a far ritornare nell’oblio dov’era rimasto per anni. Una volta passata la dogana, andò in una toilette e sostituì gli abiti da viaggio con uno dei suoi abituali tailleur neri e le scarpe da ginnastica con un paio delle sue altrettanto abituali decolleté, sempre nere. Dalla valigia levò anche il manoscritto e la fiala, per metterli nella borsa, e non potè fare a meno di fermarsi ad ammirarli per un momento.

Ecco quello che per lei era importante. Tutto il resto poteva aspettare. Scoprire quello che Rambaldi voleva attuare alla fine, il suo ultimo progetto, era la cosa a cui più teneva. La sua santa chiamata. Per quanto la detestasse, Khasinau non poteva eliminarla rischiando di privare l’organizzazione di un membro importante… Rambaldi in un certo senso era la sua assicurazione sulla vita.

Fu con questo pensiero in testa che si presentò subito al quartier generale per consegnare ampolla e libro.

 

Appena entrata comprese che c’era qualcosa che non andava. Vladimir e Sark non si trovavano lì, e neanche sua madre. Uno degli operativi le disse che erano partiti per Taipei, per organizzare il nuovo quartier generale.

“Khasinau desidera che faccia rapporto a lui, miss Derevko.”

“Prima devo passare nel mio ufficio.”

“Il tuo lavoro può aspettare, Lara, io no” disse Khasinau, arrivandole davanti.

“E io che pensavo che Rambaldi fosse una priorità.”

Khasinau non rispose alla sua provocazione, e le fece segno di seguirlo nell’ascensore. Sembrava volesse condurla nei sotterranei, dove si trovava il vero cuore dell’organizzazione, ma tutt’ad un tratto i dubbi che nutriva su di lui ritornarono più forti di prima. Vladimir non c’era. Sark non c’era. Sua madre non c’era. E lui voleva parlare a quattr’occhi con lei, cosa che avevano sempre accuratamente evitato di fare… Lara istintivamente sfiorò il metallo della pistola che teneva in borsa.

Una volta arrivati a destinazione, fece per seguirlo nel suo ufficio, ma Khasinau la fermò.

“All’armeria dicono che manca loro un’arma, assegnata a te. Credo che tu debba andare da loro.”

Mentre consegnava a Sergej, il responsabile dell’armeria, la sua pistola, Lara iniziò a pensare al peggio. Quando uscì dall’armeria e due uomini di Khasinau l’afferrarono, portandola senza troppi complimenti in un altro sottolivello dove venivano rinchiusi i prigionieri, capì che i suoi sospetti erano giusti. Lara guardò dietro di sé, ma gli uomini che l’avevano condotta in quella cella erano scomparsi, assieme alla borsa e ai manufatti, e la porta era chiusa. Non c’erano vie d’uscita.

Al loro posto comparve Khasinau, con un sorriso che non mancò di farla rabbrividire. In mano stringeva una pistola.

 

“Mi stupisce che tu abbia aspettato tanto.”

“Io lo dissi ad Irina, venti anni fa. Tu avresti offuscato la sua capacità di giudizio. Lei mi giurò di no, ma era chiaro il contrario. Il solo fatto di averti messa al mondo l’aveva cambiata, anche se in maniera leggera. L’Irina Derevko che era partita da Mosca non avrebbe avuto la minima esitazione ad abbandonarti senza voltarsi indietro. Ma dimmi, se avevi tanti sospetti perché non sei corsa da mammina a dirglielo?”

“Mia madre avrebbe liquidato i miei dubbi. Ora non potrà più farlo.”

Khasinau guardò Lara, ed esplose in una risata crudele. “Ma davvero credi che Irina scoprirà la verità? Tu sei morta sulla strada che dall’aeroporto porta qui, per mano del Direttorio K che voleva riprendersi il manufatto. E noi abbiamo mandato una squadra per rappresaglia, che in questo momento sta facendo piazza pulita del nostro nemico. Sei stata uccisa e onorevolmente vendicata, piccola. E nessuno qui sentirà la tua mancanza… morta un’esperta di Rambaldi, se ne trova un’altra.”

Alzò la pistola, mirando alla testa di Lara “Addio.”

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Alias / Vai alla pagina dell'autore: Jade MacGrath