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Autore: Selhen    09/12/2015    1 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non c'era stata tanta esitazione nella nostra decisione. La vita era stata piuttosto generosa con me e Velkam dopotutto, e questa convinzione ci aveva accompagnati per lunghi anni.
Velkam mi era stato accanto in ogni momento. Sperduti in un piccolo villaggio umano di Ishalgen, non avevamo più dovuto preoccuparci di niente. Non era stata la triste e solitaria Vengar il luogo del nostro esilio, ma un chiassoso villaggio di esseri umani, una modesta casa sulla collina di Aldelle, dispersa tra le montagne, e una dignitosa vita in cui le ali non mi erano più servite.
In un primo momento gli umani avevano guardato il mio aspetto spettrale con un po' di sospetto. Ero troppo pallida, e i miei occhi troppo innaturali. Ma poi avevano cominciato a non considerarmi come una minaccia, e lo stesso Velkam, era apparentemente molto più umano, quindi, sembrava essere lui a garantire per me.
Avevamo vissuto aggregandoci ad un villaggio in cima alla collina di Aldelle e lì eravamo rimasti. Lontano dalla nostra vecchia vita. Lontano da Atreia. Nella vecchia casa abbandonata dei miei genitori che per l'occasione avevamo rimesso a nuovo.

"Azariel!", ero sbucata preoccupata dalla porta delle cucine col cuore che aveva mancato un battito. Un fracasso assordante era provenuto dal salone in cui la piattiera era rovinosamente precipitata sul pavimento. I miei occhi rossi si erano puntati sul disastro di cocci sparpagliati sul pavimento.
"Scusa mamma, non era mia intenzione... non lo controllo!", si era giustificata mortificata la ragazzina.
Deglutii. Con cipiglio preoccupato percorsi per l'ultima volta la piattiera distrutta che mostrava un evidente segno di bruciatura nell'angolo.
La bambina dai capelli albini come i miei era arretrata di un passo, timorosa di un'imminente punizione, mentre si osservava le mani terrorizzata.
"Capisco...", dissi solo mordendomi il labbro, cercando di camuffare un'ingente preoccupazione. 
Gli occhi verdi di Azariel mi guardarono incredula, poi le sue piccole labbra rosee si spalancarono. Ne compresi il motivo: ogni qualvolta era accaduto qualcosa di strano le mie reazioni erano sempre state isteriche.
All'improvviso un richiamo ci fece voltare. "Dov'è il mio piccolo angelo?", aveva proferito un'allegra voce maschile proveniente dal giardino.
"Papà!", esultò la bambina dimenticando all'istante l'accaduto per correre a lanciarsi tra le braccia di Velkam.
Vidi dalla finestra lui radioso prenderla al volo e farla roteare nell'aria. "Buonasera principessa!", la salutò.
La risata contagiosa di Azariel risuonò nell'aria e a me, china a spazzare via i cocci, venne spontaneo curvare le labbra in un sorriso. Lasciai andare per un momento la mia occupazione per andare ad affacciarmi all'uscio ed osservare quell'ormai usuale scenetta.
Velkam stava giocosamente strofinando il pugno tra i lunghi capelli di nostra figlia, arruffandoglieli.
Lei aveva cercato di mordergli la mano protestando, e lui per tutta risposta l'aveva immobilizzata e se l'era caricata sulle spalle come un sacco di patate.
"Ciao Elisiano", l'avevo salutato ancora appoggiata allo stipite della porta accogliendolo con un dolce sorriso.
"Ciao Asmodiana", aveva mormorato lui, spostando con facilità il peso di Azariel chiassosa e scalciante all'altra spalla e sporgendosi a baciarmi dolcemente sulle labbra.
Ricambiai di buon grado. Mi era davvero mancato.
"Bleah!", aveva commentato la bambina muovendo i piedi.
Ridacchiai, dimentica per un momento di quello che era accaduto qualche momento prima, ma quando me ne ero ricordata ero tornata ad incupirmi. 
A Velkam non era sfuggita una mia singola espressione. "Che cosa c'è?", domandò con dolcezza.
Scossi il capo come a dire ne parliamo dopo. 
"Azariel, quali erano i patti?", dissi poi col tono più imperioso che mi riuscisse.
La bambina sbuffò con disapprovazione quando Velkam la poggiò nuovamente coi piedi per terra. "Quando tornava papà... a nanna", bofonchiò lei col muso lungo.
Poggiai la mano su un fianco cercando di apparire il più autoritaria possibile, ma la bambina abbracciò la coscia del padre. "Non ho sonno", si lamentò.
Alzai gli occhi al cielo esasperata. "Diglielo tu... ti prego", boccheggiai a Velkam con il solo labiale cercando di non farmi notare da lei.
"Su su, principessa...", disse paziente l'elisiano inducendola a prendere le distanze e inginocchiandolesi di fronte per tentare di essere più persuasivo guardandola negli occhi. "Se fai la bimba obbediente domani papà ti porta a caccia con lui!".
Gli occhi di Azariel si illuminarono. "Veramente?".
Il cacciatore annuì con un sorriso. Le labbra della piccola si aprirono in un sorriso radioso. "Grazie papà", esultò stringendogli le braccia al collo. La vidi posare uno schioccante bacio sulla guancia a Velkam e scappare in casa con un frettoloso e giocoso: "Notte!".
Quando Azariel fu sparita oltre la porta di camera sua, Velkam mi tirò a sè in un'energica e dolce stretta costringendomi a sciogliermi in un bacio dolce e lento. "Mi sei mancata, asmodiana", sussurrò sulle mie labbra con voce roca.
Mi morsi il labbro rabbrividendo a quel tono, ma mutai radicalmente espressione quando ripensai a quello che era accaduto poco prima.
Velkam mi guardò interrogativo senza però smettere di stringermi a sè.
"E' successo di nuovo...", esordii io preoccupata.
"Mh...", mugugnò l'elisiano avendomi compresa perfettamente.
"Azariel inizia a manifestare poteri da Daeva".
Velkam alzò le spalle rassegnato. "Sapevamo che le probabilità che nascesse umana erano bassissime".
"Ma... tutti questi anni passati a nasconderglielo. Ho cercato di proteggerla in tutti i modi... se scoprissero che è nostra figlia...".
"Non puoi negarle l'ascensione, Selhen",
Abbassai il capo afflitta. "Speravo che la mia eredità umana potesse prevalere... invece è venuta fuori una fattucchiera coi fiocchi!".
"Fattucchiera?". Velkam corrugò la fronte incredulo.
Annuii sospirando "Oggi ha fatto esplodere una piattiera".
Velkam ridacchiò, il che mi portò a fulminarlo con lo sguardo. Prendevo la cosa molto sul serio e mi irritava il suo modo di prendere le cose alla leggera. "C'è veramente molto poco da ridere, elisiano!".
Continuò a ridere, ignorando il mio avvertimento, tanto che coinvolta dalla sua contagiosa risata non potei fare a meno di ridere a mia volta. "Sei un idiota!", lo rimbeccai con un falso cipiglio imbronciato.
"Ehi, ehi, asmodiana... modera i termini", disse con un sorriso furbo immobilizzandomi entrambe i polsi contro la parete.
Curvai un angolo delle labbra a quell'ammonimento e mi sporsi per dargli un morso al labbro inferiore poi presi le distanze dalle sue labbra. "Velkam... la bambina potrebbe svegliarsi".
L'elisiano ridacchiò e mi lasciò andare concedendosi solo un lungo bacio appassionato. "Ti amo, asmodiana", mormorò, "esattamente come il primo giorno".


Le acque di Vengar erano scure e rumorose, proprio come quando stetti a farvi visita tanti anni fa, così tanti che ormai non li contavo più.
Io ero lì, sempre uguale ad allora, a dispetto del tempo che era passato inesorabile i miei capelli erano sempre gli stessi, albini, lisci e setosi mi frustavano la faccia al forte vento. Indossavo dei pesanti stivali in cuoio che affondavano nella sabbia chiara e granulosa e Silyssa era davanti a me. Identica anche lei a come me l'ero ricordata, col fiero taglio delle sopracciglia sottili a definirne lo sguardo e i suoi occhi profondi viola ed enigmatici. Sulle sue labbra era dipinto un sorriso triste e comprensivo.
"Temevo che ti risaresti fatta viva per questo motivo", disse tetra.
Risposi curvando appena le mie labbra, ma non sorrisi.
"Ammetto di essere felice che ciò sia accaduto molto più tardi di quanto immaginassi".
Non risposi, mantenni piuttosto il mio sguardo spento sul mare scuro e agitato. Statuaria e fredda, bianca come un fantasma, me ne stavo ritta su quella spiaggia spettrale senza dire nulla. I miei occhi rossi erano l'unica cosa che avesse un colore caldo. Perfino le mie labbra adesso apparivano di un colore più sbiadito ed evanescente.
Udii quella vecchia domanda risuonare ancora una volta nella mia testa. Era la voce di Silyssa a proferirla: "Ne sei sicura?".
Staccai solo in quel momento il mio sguardo perso dalla superficie burrascosa del mare per incrociare i suoi occhi viola. "Sì", dissi soltanto con tono piatto.
Silyssa sospirò. "Azariel...".
"Se la caverà", la interruppi, "ne abbiamo già parlato e ha capito perfettamente... non è più una bambina".
L'espressione di Sily si fece grave. "La lascerai da sola...".
"E' un modo come un altro per proteggerla, sarà meglio per lei che ogni legame con me venga reciso... non potrò starle vicino in ogni caso". Tentai di apparire fredda eppure la mia voce sicura si incrinò impercettibilmente. Deglutii.
"Le mancheresti...", continuò Silyssa ostinata nella sua crociata per far leva sui miei sensi di colpa.
Repressi il groppo in gola che mi si era formato all'improvviso. Sì, le sarei mancata. Io e mia figlia sembravamo sorelle, eppure io l'avevo cresciuta... avevo molti più anni alle spalle e per lunghissimo tempo ero stata per lei un punto di riferimento.
C'era una parte di me in quella ribelle Daeva dai capelli albini come i miei, e la rivedevo spesso nei suoi bronci o nelle sue proteste.
"Abbi cura di lei, Silyssa", mormorai pericolosamente sull'orlo del pianto. "Sarai per lei la mentore migliore, insegnale tutti i trucchi del mestiere", terminai ironizzando.
La dolce curva delle labbra di Sily si piegò all'insù.
"Hai portato quello che ti avevo chiesto?".
Annuii rovistando nella borsa dalla quale trassi un piccolo obelisco portatile che piazzai sulla sabbia.
Non ne usavo uno da centinaia di anni. Del resto, per tutto quel tempo avevo vissuto la mia vita fingendo si essere una semplice essere umana.
In rare occasioni mi ero ritrovata a spalancare le mie ali. E nemmeno Azariel, da bambina, aveva notato in me neppure il più lontano bagliore della furia asmodiana.
All'inizio il mio intento era stato quello di proteggere Azariel. In cuor mio avevo sempre sperato che potesse vivere lontano da quel desolato scenario di guerra, odio e distruzione che era Atreia.
Ma il dio Aion non aveva udito le mie preghiere, anzi, aveva avuto tutta l'intenzione di ingrossare le proprie fila proprio con una nuova giovane asmodiana.
La piccola e brillante Azariel aveva presto cominciato a manifestare i poteri che aveva dentro di lei distruggendo oggetti di casa e mandando in frantumi suppellettili. E ad ogni oggetto distrutto un nuovo senso di angoscia sbocciava velenoso dentro di me.
Avevo avuto paura. Paura che se la mia piccola fosse finita ad Atreia avessero potuto scoprirne i natali. Paura che i Daeva avessero potuto far pagare a lei le mie trasgressioni.
Io e Velkam temevamo quel giorno in cui Munin sarebbe venuto a portarla con sè per un lungo addestramento dal quale la nostra piccola Azariel avrebbe fatto ritorno con un bel paio d'ali.
Arrivò. E quando fu di ritorno dall'addestramento di Ishalgen la mia piccola si preparava a partire per Atreia, mio malgrado.
Fu la sera prima della sua partenza che io e Velkam decidemmo di rivelarle ogni cosa.
Quella fu una notte molto singolare. La notte in cui io e lei rimanemmo veramente legate da un filo invisibile. La notte in cui lei comprese di non essere mai stata l'eccezione in famiglia, ma che entrambi, io e Velkam, eravamo stati uguali a lei. 
La vidi studiare la figura di Velkam per la prima volta con occhi diversi. Eppure non urlò contro di me come immaginavo avesse fatto. Non mi si scagliò contro dandomi della bugiarda.

"E' assolutamente importante che tu non riveli nulla delle tue origini, tesoro", l'avevo incalzata stringendo affettuosamente la sua mano.
Azariel ricambiò la stretta annuendo. "Non riesco a credere che anche tu sia una Daeva come me, mamma...", mormorò lei con un'intensa luce negli occhi.
Distolsi lo sguardo. "Non ho bei ricordi di quella vita...".
Era venuto Velkam a posarmi dolcemente il palmo su una spalla.
Azariel ci guardò con un sorriso tenero. "Ho sempre guardato a esempio un amore come il vostro".
"Non innamorarti mai di un elisiano", la rimbeccai tentando di ironizzare pizzicando il braccio a Velkam che mi stringeva.
"Scorre sangue elisiano nelle mie vene... come riuscirò ad odiarli?".
Velkam titubò. "Non è importante il come farai...".
"Tesoro, nessuno dovrà sapere che scorre sangue elisiano nelle tue vene. Se risalissero a noi...".
Mia figlia sorrise. "Sarò muta come un pesce".


Il ricordo si dissolse dalla mia testa lasciando davanti ai miei occhi ancora il mare oscuro di Vengar.
Non sentivo spesso Azariel, ci scrivevamo di rado. Ogni accesso per Atreia mi era negato e probabilmente non avrei più visto quella terra per il resto della mia vita.
Io e Velkam ci eravamo finti mortali. O forse lo eravamo stati, timorosi, come ognuno di loro, delle malattie e della morte incombente che in qualsiasi momento avrebbe potuto colpire Velkam.
Ogni notte, nel buio della mia stanza, sperando che Velkam non mi sentisse, mi abbandonavo alle mie inquietudini. Spesso un nodo alla gola o dei singhiozzi mi coglievano di sorpresa a quei tristi pensieri. Avevo rivelato anche a lui quelle mie preoccupazioni. Avevo paura, una paura matta dell'oblio in cui sarebbe finito se il fuoco della vita si fosse estinto in lui.

"Non devi temere la morte... non la temono gli umani, per quale motivo dovremmo temerla noi eletti?", mi aveva detto lui dolcemente quella notte.
Avevo appoggiato il capo al suo petto e ne avevo inspirato il profumo intenso, accarezzando le sue braccia scoperte e muscolose.
"Ho paura di domani... ho paura di perderti ancora", avevo mormorato afflitta con gli occhi lucidi e un dolore atroce che mi dilaniava il cuore.
Velkam mi accarezzò le labbra scarlatte facendomi sentire una stretta maggiore, come se volesse trattenermi a sè, forte, e non lasciarmi più andare.
Noi eletti, aveva detto, da buon borioso elisiano non aveva perso la sua mania di protagonismo, e la cosa avrebbe potuto divertirmi se il discorso non fosse stato tanto serio.
"Non siamo più eletti da un pezzo".
"Tu lo sei sempre stata...".
"Ma tu non lo sei più!", lo rimbeccai con un tono delicato ma esasperato.
"Sono solo un Daeva con un privilegio in meno", disse lui con una scrollatina di spalle.
Posai con forza le mie labbra sul suo petto per lasciarci un bacio disperato. I miei occhi si serrarono per sbarrare l'uscita alle lacrime che mi bruciavano gli occhi.
Sapevamo tutti e due che non era solo un privilegio in meno. Ma lui sminuiva sempre ogni cosa. Era consapevole di quanto soffrissi, di quanto mi sentissi in colpa per non essere riuscita a far nulla per lui quella volta di tanti anni fa.

Velkam diventava sempre più debole. Ogni decennio che trascorreva lasciava un invisibile segno di debolezza e cedimento in lui. La sua natura da Daeva sfioriva, giorno dopo giorno, e così il corpo mortale e caduco di Velkam iniziava ad essere sempre più esposto alla malattia.
Per anni avevo cercato di allontanare dalla mia mente quei pensieri. Velkam era mortale, e come tale, sarebbe venuto un giorno, più o meno lontano, in cui avremmo dovuto dirci addio.
La sua apparente giovinezza non aveva preservato il suo corpo dalle malattie. Nessuna immortalità lo proteggeva più, e così Velkam aveva iniziato a manifestare alcuni disturbi che anche certi altri abitanti del villaggio avevano mostrato.
Molti avevano parlato di un'epidemia che si era imbattuta nei villaggi vicini. Io non ne fui intaccata, e a me toccò solo il triste destino di rimanere fianco a fianco a Velkam mentre lo vedevo spegnersi ogni giorno di più, tossendo e sputando sangue nei suoi chiari disturbi respiratori.
Mi sentivo impotente. Imprigionata nel mio mondo di finzione. Nessun chierico poteva curare Velkam, nessun medico era stato in grado di trovare una cura a quel male che aveva mietuto così tante vittime.
L'epidemia aveva decimato il villaggio e così, con Velkam, aveva iniziato a spegnersi l'ultima parte di vita che mi era rimasta.
Avevo avvisato Azariel con una lettera, quella volta. Si era precipitata da noi il giorno stesso e non aveva lasciato neanche per un momento la mano del padre.
Io fingevo di apparire forte, ma dentro di me morivo. Non c'era niente che nessuno potesse fare per lui.
Non avevo più mangiato nè dormito. Costantemente seduta accanto a lui, in quel maledetto letto, lo avevo vegliato fino al suo ultimo respiro.
Velkam mi aveva sorriso, nonostante apparisse chiaro quanta energia un'azione del genere gli costasse. Mi aveva stretto la mano dolcemente e i suoi occhi verdi avevano brillato.
"Zl ipr", aveva sussurrato nel suo accento melodioso prima che i suoi occhi si chiudessero per sempre.
Ero scoppiata a piangere senza ritegno, davanti allo sguardo sconcertato di mia figlia che poco dopo aveva pianto con me.
"Ciao Papà", aveva mormorato rimanendo rigida ai piedi del suo letto.
Non era servito a nulla stringerlo forte a me, chiedergli di tornare. Velkam se n'era andato per sempre e aveva strappato a me ogni debole desiderio di vivere quell'assurda vita e andare avanti.


Silyssa mi osservava in silenzio mentre mi asciugavo una lacrima col dorso della mano. "Lega la tua anima a quel kisk", disse con tono materno indicandolo con lo sguardo.
Eseguii rievocando nella mia memoria la formula.
"Voglio che tu ti prenda cura di Azariel", dissi alla fine prima di tornare dritta davanti a lei e gettare le mie pistole sulla sabbia. Sfavillarono inquietanti, come se non fosse passato neanche un giorno dall'ultima volta che le avevo usate.
"Non sarà sola", disse la fattucchiera annuendo.
"Grazie", replicai facendole poi un cenno con il capo.
La strega si chinò sulla sabbia e prese a tracciare su di essa un cerchio che includesse al suo interno sia me che il kisk.
"Porta i miei saluti al tuo elisiano", disse tornando a recuperare il suo tono infantile e stravagante. Poi la sua voce tonante prese a invocare chissà quali forze oscure. Il kisk fu avvolto da un denso fumo nero prima di creparsi fino al piedistallo.
Chiusi gli occhi stringendo i pugni. La mia anima stava per essere slegata anche dall'ultimo obelisco, poi finalmente sarei stata mortale anch'io, come Velkam.
Avevo passato tutta la mia esistenza cercando di stare con lui. Avevo combattuto per lui. Sarei andata fino in fondo.
Come mia madre prima di me, avevo scelto di porre fine alla mia vita per ricongiungermi all'uomo che amavo.
Mi parve strano che ci fosse, ma fui sicura di scorgere la luna nel cielo. Oltre la coltre d'acqua che ricopriva quel magico posto.
Un calore crescente mi avvolse. Il vento divenne più impetuoso e le onde cominciarono a infrangersi alte negli scogli. Gli occhi rossi di Silyssa divampavano di furia mentre le stridenti parole che pronunciava risuonavano in una lingua sconosciuta.
Mi parve di avere un capogiro. Scossi il capo sentendo le palpebre farsi più pesanti.
Il sorriso pulito di Velkam mi balenò nella mente. Ero ad Eltnen, di nuovo, e lui stava sorridendo con Gaar, si prendevano gioco di me perchè mi avevano già notata dietro quel cespuglio ma avevano fatto finta di niente.
La sua freccia mi sfiorava il costato mentre mi chiedava chi fossi. Non aveva per niente l'aria dell'elisiano minaccioso mentre lo faceva.
"Sono... un'asmodiana", avevo risposto ingenuamente io, e lui aveva riso, di nuovo. Quel sorriso luminoso... cosa avrei dato per rivederlo ancora una volta!
La mente mi giocò un tiro mancino nel rimostrarmi le sue prime battutine ironiche nei miei confronti. I nostri fugaci incontri a Sarpan e il suo bacio leggero sulla guancia.
"Avrei voluto provare un'altra cosa...", risuonò la sua voce nei miei ricordi.
La prima scossa elettrica a quel contatto mi mozzò il respiro. Caddi carponi all'interno del cerchio ma era come se fossi rinchiusa all'interno di una bolla. Ora non sentivo più niente... niente a parte le parole di Velkam che riecheggiavano nella mia testa dolorose. "Cosa accadrebbe se io adesso mandassi al diavolo tutte le convenzioni sociali del nostro mondo, se prendessi te, asmodiana, tra le mie braccia, se ti baciassi come esattamente un attimo fa ho desiderato fare?".
Lo desideravo, desideravo maledettamente un bacio come quello, esattamente come lo avevo desiderato quando me lo aveva detto.
Le mie dita affondarono nella sabbia. Sentii i granelli riempirmi le unghie mentre mi mordevo dolorosamente il labbro nel momento in cui una parte della mia anima mi veniva brutalmente strappata.
"Ti amo asmodiana", fu l'ultimo ricordo che echeggiò nella mia mente, ritornò ai miei occhi l'immagine dell'elisiano che avevo amato distrutto dalla malattia, pallido e debole, mentre tentava di darmi forza. Lui che non ne aveva. Lui che stava soffrendo pensava a non far soffrire me. A rassicurarmi che mai mi avrebbe dimenticata. 
"Zl ipr" mormorai nella sua lingua mentre le mie palpebre diventavano pesanti. Mentre perdevo ogni mio senso e respiravo per l'ultima volta l'odore salmastro del mare.

Silyssa si chinò e scostò i capelli dal viso di Selhen. Era abbandonata sulla sabbia e i suoi occhi erano chiusi in un sonno eterno.
"Adesso siete di nuovo insieme", mormorò la fattucchiera accarezzando dolcemente la guancia dell'asmodiana con un dito artigliato.
"Voi sì, che avete vinto la vostra battaglia".
Il suo pugno si strinse sui vestiti di Selhen un'ultima volta. Poi la figura dell'asmodiana si dissolse nell'aria senza lasciare più traccia.
Il vento ormai aveva cancellato il cerchio sulla sabbia, e il tonante rumore del mare era tornato a scandire quegli attimi di eternità solitaria.
Selhen e Velkam, altrove, erano tornati a vivere insieme. 
Ma questa volta per sempre. 

FINE

[L'epilogo si commenta da solo quindi ho ben poco da dire. Spero che questa storia vi abbia lasciato qualcosa, o che per lo meno vi abbia emozionato durante la sua lettura. Non pretendo molto, quindi termino col ringraziarvi per avermi seguita fino ad ora e spero, quanto meno, di non avervi deluso troppo. Un bacione a tutti quanti e felice Solorius a tutti. <3 Sto pensando a una nuova storia, ma non so quando la pubblicherò. Spero di sentirvi nelle recensioni e di avere un vostro ultimo parere a riguardo. Vi aspetto sul gruppo e su WattPad (Sono Selene Brahms). Ciao!]
  
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