Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Solounaltrarosarossa    10/12/2015    1 recensioni
Alle allieve a cui non so cosa insegnare.
[...] Sì, sarebbe riuscito a mangiare quell’anima, perché se lo stava chiedendo? Era una cosa naturale per un demone, no? Sì, era ovvio che lo fosse. Era solo un’anima come un’altra in fondo. Eppure il demone si era avvicinato troppo al bambino addormentato, come una falena attirata dal calore, il bambino si era girato verso il demone, come per inseguire una farfalla dentro al sogno che stava facendo, le loro labbra si erano incrociate, per la prima di tante volte, per una pura casualità, e da quella sera, tutto cominciò." [...]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era freddo, freddissimo. Eppure l’anima di quel bambino sembrava esser riscaldata dal demone. Aveva un tocco delicato. Le mani del demone passavano sul corpo del bambino come su di una bambola di porcellana, come se il demone temesse che potesse scheggiarsi da un momento all’altro. Eppure non voleva lasciarlo, in quel momento non esisteva più nessun contratto, in quel momento non erano più padrone e servitore, in quel momento erano Sebastian, il demone che si era innamorato di un bambino e Ciel, il bambino che si era innamorato di un demone. Nessuno dei due l’avrebbe mai detto ad alta voce, quel sentimento era scomodo ed addirittura irritante per entrambi. L’uno passava le giornate a chiedersi come ci si potesse innamorare di un bambino viziato e l’altro a chiedersi come ci si potesse innamorare di un demone che vuole solo mangiare la tua anima. Smettevano di porsi domande soltanto in quei momenti, di notte, quando nessuno vedeva e ascoltava, quando nessuno doveva fingere che ci fosse una risposta a tutti quegli interrogativi, perché la risposta, lo sapevano entrambi, non c’era. Era nato tutto da un contratto, affinché l’uno sfruttasse l’altro. Ciel voleva la vendetta e Sebastian una buona anima da mangiare, solo questo, niente di più. «Sebastian, resta qui. Resta fino a che non mi addormento.» aveva detto il padroncino e il fedele servitore era rimasto,  anche se abbastanza sconcertato da quell’ordine. Il più sorpreso di tutti, però, doveva esser stato Ciel, nel pronunciare quelle parole. In tutta la sua vita non aveva mai voluto nessuno accanto a sé. Quelle parole erano uscite via da sole, generate da un pensiero assillante, che il bambino era sempre riuscito a sopprimere. E Sebastian rimase lì, tutta la notte, a fissare il padrone e a chiedersi se davvero avrebbe potuto mangiare l’anima del bambino. Quell’anima che doveva avere un sapore eccezionale. Un’anima pura, che aveva commesso peccati solo per quello che credeva giusto, anche un po’ sporca, contaminata dalla vendetta, la quale doveva dare un gusto forte al tutto. Eppure c’era una cosa, una cosa che Sebastian aveva paura di assaggiare, una spezia dal sapore diverso in ogni persona: l’amore. L’anima delle persone veniva quasi sempre rovinata da questo sentimento ma, chissà perché, Sebastian era sicuro che avrebbe gustato l’anima di Ciel con immenso piacere. Sì, sarebbe riuscito a mangiare quell’anima, perché se lo stava chiedendo? Era una cosa naturale per un demone, no? Sì, era ovvio che lo fosse. Era solo un’anima come un’altra in fondo. Eppure il demone si era avvicinato troppo al bambino addormentato, come una falena attirata dal calore, il bambino si era girato verso il demone, come per inseguire una farfalla dentro al sogno che stava facendo, le loro labbra si erano incrociate, per la prima di tante volte, per una pura casualità, e da quella sera, tutto cominciò. Più il tempo passava più i due volevano porre fine al tutto ma era sempre più difficile riuscirci. Però un giorno avrebbe dovuto finire tutto, un giorno Ciel avrebbe ottenuto la sua vendetta e Sebastian la sua anima. E un giorno questo successe. Ciel ottenne la propria vendetta, facendo soffrire al lungo quegli uomini, facendoli arrivare ad implorare la morte. E morirono per mano di Ciel, il quale li bruciò vivi, ascoltò le loro urla, fino a che non si spensero, come fecero poco dopo le fiamme che li avevano consumati. Sebastian lo portò quindi nel luogo in cui tutti i demoni vanno per mangiare le anime dei propri contraenti. Sebastian gli si avvicinò, proprio come quella sera, quella sera in cui tutto era cominciato. Ciel si voltò, da addormentato, come quella stessa sera, per un’altra volta, e le loro labbra si incrociarono, ma Ciel non si svegliò. Non si svegliò nemmeno quando Sebastian si accorse che non poteva andare così, quando si accorse che non poteva farlo. Non si svegliò neanche quando Sebastian corse via, lontano, dato che non poteva restare lì, con la persona che aveva violato la sua natura di demone semplicemente esistendo. Ciel si svegliò solo quando cominciò a far freddo, freddo come quando il demone lo sfiorava. Il bambino fu davvero sorpreso per aver potuto svegliarsi, pensava che sarebbe stata l’ultima volta, che sarebbe finito tutto lì, tra le mani del demone. All’inizio pensò che quello dovesse essere l’inferno, ma si accorse troppo tardi che quello era molto peggio. All’inferno c’era lui, il demone che tanto aveva amato. Gridò, gridò con tutte le sue forze: «SEBASTIAN, SEBASTIAN, VIENI QUI, QUESTO È UN ORDINE!» ma il contratto non aveva più valore, il contratto non contava più niente. Ciel aveva avuto la propria vendetta, tutto era finito. Niente più notti nascosti dagli altri, niente più vendetta, non gli era rimasto niente. «SEBASTIAN, BRUTTO BASTARDO, VIENI QUI! PRENDI LA MIA ANIMA! PRENDI ME!» ma Ciel sapeva che Sebastian non sarebbe mai arrivato, se avesse continuato in quel modo. Perché non voleva concedergli la grazia di ucciderlo, perché non poteva morire per mano del demone? Il bambino non capiva, non riusciva a capire. Per tutto il tempo aveva saputo che sarebbe morto per mano sua, che sarebbe diventato parte di lui, come in quei fugaci istanti di notte in cui, erroneamente, credeva di poter essere al sicuro. Eppure non era così. Il demone aveva distrutto tutte le sue certezze, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di continuare a vivere dolorosamente. Avrebbe esalato lì il suo ultimo respiro, lì dove i demoni uccidevano le persone, lì dove tutti avevano trovato quello a cui Ciel aspirava di più, dopo la vendetta. Dolce, fredda, dolorosa, triste, la morte era tutto quello che voleva ora. Quello che avrebbe posto fine a tutto. Ciel vide dopo poco tempo delle bacche blu all’ombra di un castagno. Bacche deliziose e letali, bacche che uccidevano lentamente e tra atroci dolori, ne conosceva bene l’effetto. Una volta avevano tentato di usarle contro di lui ma Sebastian… sì, Sebastian lo aveva salvato, come tante altre volte. Quelle bacche, a pensarci bene, assomigliavano un po’ alla vita che aveva vissuto. Andava bene così, morire nella dolcezza di quelle bacche, che tingevano le labbra e le mani di blu, mentre il dolore incominciava. Eppure, proprio quando il bambino, diventato improvvisamente un uomo davanti alla morte si chinò per cogliere le letali delizie color blu notte, una mano gelida fermò il suo polso «Si sporcherà le mani, padroncino. E poi non va bene rovinarsi l’appetito prima di cena.».
«Sebastian!» 
«Sì, padrone?» 
«Perché… perché te ne sei andato? Perché mi hai lasciato da solo? RISPONDI!» 
«Mi dispiace, padrone, ma io non potevo fare quel che dovevo. Sono stato un cattivo maggiordomo, lo so.»
 «Allora sii ligio al dovere fino in fondo.»
 «Come desidera, padrone. Ora… vogliamo andare?» esitazione. Non aveva mai sentito esitazione nella voce di Sebastian. 
Ciel così pronunciò il suo ultimo ordine, anche se non aveva più il potere di farlo: «Sebastian, uccidimi.»
«Sì, mio signore, ma mi permetta…» gli diede un bacio, a Ciel sembrò caldo e accogliente, nonostante il solito tocco freddo del demone, eppure triste, il bacio più triste che avesse ricevuto da Sebastian. Si spogliarono di tutto per un’ultima volta. Dei vestiti, dei problemi, di tutto quello che li rendeva diversi da quel che erano veramente, un’ultima volta. Ciel diede poi un bacio al demone dicendo: «Addio, Sebastian. Addio. Grazie per avermi concesso questa grazia.» 
«Padrone, ho solo eseguito un ordine. Perché io son-»
«No, non lo sei, non sei più il mio maggiordomo da qualche ora, ormai.»
«Ha ragione, padroncino, mi perdoni.»
«Falla finita.»
«Sì, è l’ora.»
«Sebastian…»
«Sì?» 
«Ti ho amato.»
«Ancora addio, padrone, stavolta per sempre.»
E così Ciel chiuse gli occhi per non riaprirli più. L’ultima cosa che vide dovette essere una sua fantasia, o così credette lui. Perché i demoni non piangono, si disse, i demoni non sono deboli, come gli umani. Eppure si nutrono di questi… forse, dopo millenni, diventano simili ad essi.
No, impossibile.
Doveva esser stata l’immaginazione di un debole umano che muore, un umano che non poteva essere un demone e che perciò aveva dovuto rinunciare a tutto. Un umano che provava dolore, tanto da non riuscire a sopportare la vita.
Eppure, l’ultima cosa che fece Ciel fu una specie di smorfia, la cosa più vicina ad un vero sorriso che avesse mai fatto da quella sera, quella sera in cui tutto era cominciato, quando lui si era rigirato nel suo letto perché non riusciva a prendere sonno e aveva incontrato delle labbra, un sorriso bagnato da una lacrima fredda, una sola, come chi l’aveva pianta. 
   
 
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