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Autore: Hermione Weasley    10/12/2015    3 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
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XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 16
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Il buio era così fitto e denso che Clint si sentiva immerso in una vasca piena d'acqua nera... e nauseabonda: il fetore risaliva dal fondo in rapide zaffate che rischiavano di tramutare il sentore di nausea in qualcosa di ben più concreto.

L'unica cosa tangibile in tutta quell'oscurità era la mano di Natasha, ben stretta attorno alla sua, come se la donna avesse paura di vederselo sottrarre da una forza invisibile da un momento all'altro. L'aveva guardata mentre scassinava la complicata serratura della grata, spiegandogli che non sarebbe stato saggio accendere una torcia là sotto: non solo qualcuno avrebbe potuto notarli, ma neppure avevano il tempo di mettersi a far cozzare pietre l'una contro l'altra in attesa di una scintilla – perché, di fatto, erano quelli gli unici mezzi che avevano al momento.

Si era infilata lei per prima, con la sicurezza di chi ripete uno stesso gesto una seconda, terza, quarta volta; l'aveva preso per mano senza chiedergli il permesso, senza neppure guardarlo. Clint aveva supposto si trattasse di una di quelle (molteplici) occasioni in cui qualcosa la metteva in imbarazzo, momenti nei quali l'unica risposta accettabile doveva sembrarle una pacata irruenza pragmatica.

Si erano curati di richiudersi la grata alle spalle e poi avevano cominciato ad addentrarsi in quel cunicolo fitto di tenebre, lasciandosi indietro il tenue bagliore dell'alba in cambio di un grottesco prolungamento della notte.

Ad accompagnarli nella loro avanzata solo lo scricchiolio dei piedi sul fondo viscido di sostanze che Clint non voleva proprio identificare, lo squittio distante di topi invisibili, persino lo sfarfallare di ali di quelli che sperò essere solo dei pipistrelli. Dio solo sapeva che cosa vivesse là sotto.

Gli tornarono in mente i discorsi che gli capitava di ascoltare pigramente a villa Coulson durante i pranzi o le cene: le fogne dovevano essere state un'idea del figlio del sovrano, il giovane Anthony, una mente talmente brillante da far impallidire quella del padre, già di per sé piuttosto illuminata. Re Howard gli aveva concesso di portare a termine il progetto e di metterlo in pratica, ma la resistenza del popolo e dei nobili all'innovazione era stata tale da renderlo di fatto uno spreco di denaro ed energie. Evidentemente le menti più sofisticate della capitale trovavano molto più naturale svuotare i vasi da notte nel bel mezzo della strada e che la fogna fosse un'aberrazione, una tentazione del demonio. In effetti, Clint si era aspettato di navigare in un letterale lago di merda, ma l'unico pericolo percepibile, nel buio fitto, era quello di scivolare sulla patina di sporcizia che ricopriva il pavimento o al massimo di cominciare a vomitare a spruzzo senza sosta. La navigazione in acque torbide e disgustose era più metaforica che concreta in quel momento, e Clint non avrebbe saputo dire quale delle due opzioni sarebbe stata la migliore. Che importanza poteva avere, comunque?

“Dobbiamo svoltare a destra,” lo informò debolmente Natasha.

Sperò non si fosse accorto del modo in cui gli sudavano le mani... o forse erano quelle di lei a sudare. In ogni caso, la cosa gli parve piuttosto stupida visti gli avvenimenti dei due giorni precedenti. Possibile che quel ridicolo gesto contenesse più intimità di tutto il resto?

“Quante volte ci sei stata qua sotto?” Le chiese, costringendo i pensieri a deviare altrove.

Se non altro non avrebbero potuto accusarlo di avere la mente nella fogna. O forse sì, ma avrebbe avuto una giustificazione estremamente convincente stavolta.

“Alcune,” rispose evasivamente lei.

“Sei sempre molto specifica,” la prese in giro.

“Sette,” si corresse allora, stizzita. Aveva stretto la presa sulla sua mano – adesso quasi gli faceva male – probabilmente per punirlo di quelle chiacchiere inutili.

“I tuoi affari ti portano spesso nella capitale?”

“Portavano,” puntualizzò, “e non credo che si possa parlare di affari.”

“Dove saresti dovuta tornare se... tutto fosse andato secondo i piani?” Se avesse deciso di riportare la medaglia ai suoi capi, se Molot non avesse tentato di ucciderla.

“Sulle montagne.”

Clint annuì una sola volta, anche se Natasha non poteva vederlo. Avrebbe voluto saperne di più, ma farle tutte quelle domande non gli sembrava mai corretto, specialmente quando le risposte sembravano essere strappate con la stessa delicatezza di un paio di tenaglie roventi. Decise di restare in silenzio, di continuare quel bizzarro gioco del cieco che guida il cieco e sforzarsi di non pensare a quanto la cosa lo mettesse a disagio – lui che contava sulla sua vista di falco per avvistare i pericoli prima che fosse troppo tardi.

Ma poi fu proprio la sottile voce di Natasha a riempire nuovamente il silenzio, inaspettata.

“C'è un monastero... sulle montagne ad est. Solo chi è stato addestrato dalla Stanza Rossa sa come raggiungerlo.”

Clint si figurò un ammasso di pietre arroccate sul fianco innevato di un rilievo aguzzo e impervio; non era affatto sorpreso di saperla proveniente da un posto del genere. Natasha gli dava diverse impressioni, alcune contrastanti, ma quella di complessità restava uno dei pochi punti fermi che la personalità di lei gli aveva concesso di fissare.

Aveva imparato a conoscerla, però, a leggere i pochi segni che la donna si permetteva di mostrare. O forse non era tanto questione di permesso quanto di disattenzione. Si era accorto che non era cambiata poi così tanto da quando l'aveva incontrata sotto gli alberi del bosco vicino a villa Coulson. La presunta strega solitaria non aveva niente a che vedere con l'imbarazzata fanciulla in cui si era trasformata quand'erano incappati nei saltimbanchi. Certo, aveva mentito su tutte le specifiche del caso, ma quello che contava sembrava essere rimasto pressoché invariato. Solo che adesso sapeva come interpretarla, sapeva prenderla per quella che era: una donna in carne ed ossa e non il demoniaco personaggio di qualche romanzo infarcito di oscure fantasticherie.

“E' lì che sei nata?” Si sentì chiedere senza averlo realmente preventivato.

“No,” gli parve quasi di poterla vedere scuotere il capo. “Non so dove sono nata di preciso. Non ricordo nulla della mia... vita precedente.”

“Com'è che funziona?” Continuò, “c'è qualcuno che si occupa di portare bambini da addestrare... al monastero?”

“Qualcosa di simile.”

“Come una specie di collegio o seminario?”

“Una specie di collegio o seminario in cui almeno i due terzi delle reclute non arrivano vivi alla fine.”

Si sentì un idiota. Ovviamente non tutti potevano diventare agenti della Stanza Rossa, non tutti si rivelavano all'altezza del compito o delle aspettative. Forse era per questo che il loro quartier generale si trovava in una zona tanto impervia: non ci sarebbe stato niente di semplice o confortevole nella loro vita.

“Poi se tutto va bene c'è l'iniziazione,” la voce di Natasha si era assottigliata ulteriormente, “se la completi con successo, ricevi l'onore di farti marchiare a fuoco come un maledetto animale.”

Il tono era pacato eppure carico di una rabbia sotterranea e a malapena trattenuta; la presa sulla sua mano andava intensificandosi tutte le volte che il discorso si faceva più spinoso. Non credeva che Natasha se n'accorgesse e si guardò bene dal farglielo notare – non era poi così spiacevole, sentirsi tanto saldamente aggrappato a qualcuno in tutto quel buio che cancellava le forme, le profondità, le distanze... il mondo intero, in fin dei conti.

“Perché non hai provato a scappare?”

La sentì sbuffare una risata prontamente soffocata.

“Ci ho provato più volte di quante voglia ammettere,” mormorò. “Perché credi che abbiano mandato qualcuno ad uccidermi?”

Uno schiavo disobbediente è uno schiavo inutile, gli aveva detto. Provò un moto di disgusto improvviso che – straordinariamente – non aveva niente a che fare con le due dita d'acqua di scolo attraverso cui si stavano facendo strada.

“Hai detto che non avevi altra scelta,” finì per dire, lasciando la frase in sospeso. Tutta quell'oscurità gli metteva addosso una ridicola audacia e sotto sotto era convinto che fosse il buio a rendere Natasha così loquace. Come se le dimensioni della realtà fossero cambiate, come se non fossero davvero là sotto a scambiarsi confidenze.

“Volevo salvare una compagna.”

Il tono di voce era cambiato in modo a malapena percepibile. Eppure non gli sfuggì il fatto che avesse usato il passato o il termine compagna invece che amica, come una parte di lui si sarebbe aspettata. Quel po' di rancore che ancora serbava nei suoi confronti per essere stato ingannato e condotto nella trappola di suo fratello sembrò sciogliersi, sfaldarsi definitivamente. Voleva chiederle di più, capirla di più, ma non dovette esortarla, stavolta – fu lei a parlare di nuovo.

“E' stupido. Nessuno si salva là dentro,” decretò pragmaticamente. Come se quella fosse una regola imprescindibile.

Gli tornò in mente quello che gli aveva detto durante il cammino, del non poter appartenere a nessun luogo in particolare se voleva poi appartenere a tutti. E allora realizzò che quello che le avevano fatto era stato cancellare la sua persona, smussarne tutti gli angoli per renderla infine intercambiabile. Un individuo neutro, camaleontico, capace di diventare, all'occorrenza, chiunque fosse stato necessario diventare. Il modo in cui l'aveva vista mentire ai saltimbanchi, la docile resistenza – se non caratteriale, almeno fisica – con cui l'aveva abbagliato durante il loro primo incontro... ricordava benissimo lo shock che gli aveva serrato lo stomaco quando aveva capito che era stata lei ad uccidere gli uomini di Rogers, riversi sul pavimento nella casa del guardiaboschi. Neppure nel divampare furioso delle fiamme gli era apparsa a disagio: nemmeno un mondo fatto di fuoco l'avrebbe scomposta più di tanto. Le avevano insegnato a mimetizzarsi con l'ambiente, con qualsiasi ambiente, e quello era il risultato.

Ma poter essere chiunque equivaleva a non poter essere nessuno, Clint realizzò. La considerazione gli aprì una voragine nello stomaco e il profondo senso di ingiustizia che gli provocò rischiò quasi di sopraffarlo.

“Credo sia già morta.” Di nuovo Natasha. Qualcosa gli disse che era la prima volta che lo diceva ad alta voce, almeno la centesima che lo ripeteva a se stessa.

“Come fai ad esserne così sicura?” Faceva fatica ad immaginarsi altre persone come lei. Certo, anche il Mangiafuoco e Molot venivano da quel posto, ma era abbastanza chiaro che si trattava di una diversa tipologia d'agente rispetto quella a cui apparteneva Natasha.

“Uno schiavo difettoso è uno schiavo inutile,” recitò prontamente.

Il silenzio tornò a mescolarsi all'oscurità, sempre più pressante e densa. Anche il tempo sembrava essersi cancellato là sotto; da quanto stavano camminando?

“Forse è stata la soluzione migliore,” aggiunse un attimo dopo, magari col preciso intento di fendere la spessa coltre di niente che li avvolgeva. “Vorrei solo averlo fatto personalmente.”

Un nodo gli strinse la gola non appena capì cosa intendeva: avrebbe voluto ucciderla personalmente, tributarle una gentilezza che gli uomini della Stanza Rossa, con ogni probabilità, non le avevano concesso. Avrebbe voluto aprir bocca e dire qualcosa di intelligente, qualcosa che potesse consolarla, ma già sapeva che non esisteva niente del genere. Che certe cose non possono essere sistemate: bisogna solo imparare a conviverci e sperare che i fantasmi del passato non si facciano tanto numerosi e minacciosi da annientarti definitivamente.

Si bloccò di colpo e costrinse Natasha a fare altrettanto.

Agli squittii, allo sbattere furibondo d'ali, al colare dell'umidità sulle mura di pietra di quel fitto labirinto di cunicoli si era abituato... ma al fruscio che aveva appena sentito no.

Non erano soli là sotto.

Le strinse leggermente la mano e solo dal mutare dell'atmosfera Clint capì che Natasha aveva intuito il pericolo. Lo strattonò leggermente e aumentò il passo senza aggiungere una parola.

Il rumore alle sue spalle andava intensificandosi, come se anche l'invisibile pedinatore si stesse velocizzando per mantenere il loro passo.

Natasha si era praticamente messa a correre quando un disco di luce rosata li accolse alla fine dell'ennesima svolta. Un fitto reticolo lo tagliava perpendicolarmente in più porzioni: un'altra grata.

Le lasciò andare la mano e incoccò una freccia, tendendo l'arco verso il vuoto che li stava inseguendo. Natasha, intanto, si era messa a lavorare convulsamente alla serratura del cancello, l'ultimo ostacolo al loro ingresso nella capitale.

Ci mise troppo ad abituarsi a quell'inaspettata incursione di luce mattutina, troppo a rendersi conto che c'erano quattro sagome in fondo al cunicolo, un quartetto d'ombre che si stava muovendo inesorabilmente nella loro direzione.

Non fece in tempo a capire se fossero guardie o magari topi di fogna esageratamente cresciuti – qualcosa lo punse all'altezza del collo. Lo shock fu tale da impedirgli di scoccare la freccia: la vista gli si era sfocata quasi subito e i sensi avevano cominciato a mescolarsi l'uno con l'altro.

Ebbe giusto la prontezza di portarsi una mano al collo, di tastare il dardo di dimensioni ridotte che gli si era andato a conficcare appena al di sopra della clavicola, di estrarlo con muto orrore, di riconoscere Natasha nella macchia informe al suo fianco, nelle sue stesse identiche condizioni.

La consapevolezza di essere stato drogato gli scivolò in petto prima che anche i contorni di quella si ampliassero fino a svanire del tutto.

Perse i sensi mentre quel mondo nero, senza rumore, gli si richiudeva addosso.

 

*

 

Si risvegliò con la testa che gli pulsava fastidiosamente in prossimità delle tempie, come se una massa sconosciuta stesse crescendo sempre più, battendo sulle pareti del suo cranio per convincerlo a lasciarla andare, a liberarla una volta per tutte. Se solo avesse potuto, sarebbe stato felice di porre fine alla sua prigionia e al proprio travaglio. In un colpo solo.

Il materasso morbido sotto la schiena fu la prima cosa che registrò, prima ancora che gli occhi si abituassero alla poca luce che illuminava il soffitto. Il reticolo di linee che gli riempiva lo sguardo andò definendosi sempre di più, finché non si ritrovò a fissare le pietre che lo sovrastavano e circondavano su ogni lato.

“C-Cazzo,” biascicò mentre tentava di rimettersi seduto.

Gli sembrava d'avere un macigno al posto del cervello (il che avrebbe spiegato diverse cose) e un prurito insopportabile al collo gli si palesò alla coscienza, ricordandogli gli ultimi momenti di lucidità che aveva vissuto prima che la droga facesse effetto.

“Passerà tra poco.”

La voce sconosciuta che aveva parlato lo fece sobbalzare e schiacciare con la schiena contro la parete a ridosso della quale era stato sistemato il letto – perché di quello si trattava.

Fece saettare lo sguardo ai quattro angoli della camera, individuando una donna in piedi nell'angolo alla sua sinistra. C'era uno sgabello alle sue spalle, come se si fosse alzata solo nel vederlo finalmente sveglio.

Sbatté le palpebre finché la sconosciuta non fu messa a fuoco, non prima che un moto di frustrazione non lo riempisse da capo a piedi: detestava essere privato della sua vista.

“Vi prendo un bicchier d'acqua.” La guardò spostarsi sul lato opposto, dove si trovavano una sedia, un tavolo e, poggiato su quello, un vassoio con una brocca e un bicchiere di latta.

Si sentì un idiota nel constatare che la donna sembrava una... suora. Indossava la lunga tunica scura dell'ordine più diffuso nel regno, un ampio sacco di stoffa che cancellava le forme del suo corpo. Al centro del petto pendeva una croce di legno e dalle larghe maniche sbucavano delle mani dall'aspetto delicato. Le mancava il copricapo, però, e fu quello a fargli dubitare di ciò che stava vedendo. I capelli scuri erano raccolti in una bassa crocchia.

Dove diavolo era andato a finire? E perché gli sembrava d'essere nella cella di un convento? Forse era una prigione e la donna era lì per sentire la sua ultima confessione e concedergli l'estrema unzione prima che qualcuno arrivasse a portarlo al patibolo, dove una corda spessa e ruvida gli avrebbe spezzato il collo... se gli fosse andata bene, sennò sarebbe rimasto lì ad agitarsi come un fottuto animale in trappola finché l'aria non gli fosse mancata definitivamente.

Il pensiero gli mise addosso un'agitazione improvvisa – gli ricordò il sogno che aveva fatto nella chiesa in cui lui e Natasha si erano rifugiati all'inizio del loro viaggio. I piedi di lord Phillip che si agitavano a mezz'aria, alla disperata ricerca di un appoggio che avrebbe potuto salvargli la vita...

La donna tornò indietro con un bicchiere colmo d'acqua. Gli si fermò davanti, ma invece che porgerglielo direttamente, lo appoggiò sulla testiera del letto.

Dopodiché si ritirò lentamente, rimettendosi a sedere sullo sgabello, le mani serrate in grembo.

“Dov'è Natasha?” Fu la prima cosa che le chiese.

“In un luogo sicuro,” rispose la religiosa. Gli parve perplessa, come se non le andasse molto a genio che quella fosse stata la sua prima preoccupazione.

“Dovrete essere un po' più specifica di così,” le ritorse contro, odiando il modo in cui la voce gli usciva di bocca, pastosa e roca. Sospettò essere non tanto una controindicazione del sonno, quanto della droga con cui erano riusciti a metterlo fuoriuso. Il bicchiere era proprio lì accanto, ma Clint non voleva accettare di bere proprio un bel niente che provenisse dagli stessi individui che l'avevano messo a dormire... chissà quanto tempo prima. Quanto ne era passato?

“In questo momento non posso,” sottolineò fermamente l'altra. “La signorina Romanoff è una nemica della corona e verrà trattata come tale.”

Una rabbia sorda gli contrasse lo stomaco in una morsa gelida che, se non fece proprio nulla per tranquillizzarlo, se non altro contribuì a farlo sentire improvvisamente più sveglio.

“Non è una nemica della corona,” ribatté con astio.

“Con tutto il rispetto, signor Barton, dubito che siate al corrente delle passate azioni della signorina Romanoff,” lo fissò con quei suoi occhi algidi e severi, dritti nei suoi, “e comunque non sono qui per questo.”

La vide lanciare un'occhiata al bicchiere ancora intatto e poi rimettersi in piedi per ritornare al tavolino e alla brocca.

“Non potete tenerci prigionieri.” Le parole gli si erano accavallate in bocca nell'impeto di essere pronunciate. Ma adesso che l'aveva fatto si sentì stupido: era ricercato, ovviamente potevano tenerlo prigioniero e fare di lui ciò che volevano. Se Natasha era stata etichettata come una nemica della corona, allora quella gente serviva il sovrano Stark.

“Non dite sciocchezze,” lo redarguì lei sollevando la brocca tra le mani, “non siete prigioniero.” Fece una breve pausa ad effetto, come per permettere alle sue parole di entrargli bene in testa. Accompagnò il silenzio con i pochi gesti che la portarono a bere direttamente dal recipiente: voleva dimostrargli che non c'era niente di pericoloso in quell'acqua.

“Chi siete?” Le domandò in un tono carico di diffidenza. Quasi si aspettava che la donna sarebbe caduta a terra in preda a spasmi di dolore terribili, ma non accadde niente del genere.

La religiosa riappoggiò la brocca sul vassoio e si pulì le labbra umide con una delle ampie maniche della tunica.

“Avete mai sentito parlare dell'ordine dello Scudo?”

Clint si morse l'interno delle guance e rimase ad osservarla attentamente, come per prevenire una qualsiasi mossa inconsulta. Solo poi si concesse di riflettere: sì che aveva sentito parlare dell'ordine dello Scudo. Era stata Natasha ad ipotizzare che lord Phillip ne facesse parte, che fosse in qualche modo coinvolto nell'attentato alla vita del capitano Rogers. Possibile che avesse ragione? Che il genitore adottivo avesse finto la sua ammirazione per l'ufficiale solo per poterlo convincere ad accettare l'invito a villa Coulson e quindi farlo ammazzare tanto platealmente?

Realizzò con orrore di non sapere da che parte rifarsi; avrebbe voluto credere ciecamente a lord Phillip e alla sua buona fede, ma ormai aveva imparato che la gente poteva cambiar faccia in qualsiasi momento e che non c'era modo di conoscere davvero qualcuno.

Senza accorgersene, si avvicinò il bicchier d'acqua lasciato in bilico sulla struttura del letto e ne bevve un lungo sorso.

Solo allora si concesse d'annuire alla domanda della religiosa.

“Questa sistemazione non è esattamente il massimo,” riprese lei, “ma gli eventi degli ultimi mesi ci hanno obbligato al ritiro in un luogo sicuro.” Quindi era nel loro quartier generale che si trovava.

“Sapete del colpo di stato,” constatò Clint prima di bere una seconda volta.

La donna annuì, ma non aggiunse nient'altro per qualche secondo.

“Vi stiamo tenendo d'occhio da un po',” rivelò infine, “mi dispiace che non ci sia stato modo di farvi fare un ingresso più dignitoso.” Le parole sarebbero dovute suonare affrante, ma si vedeva che non le importava minimamente della sua dignità umiliata. Aveva l'aria di una che fa quello che c'è da fare e che di sicuro non si preoccupa dei sentimenti che rimanevano feriti nel processo.

“Di che state parlando?” Di nuovo, la conversazione rischiava di sfuggirgli di mano.

“Vi conviene darvi una ripulita nella stanza qua accanto. Verrò a prendervi tra poco.”

“Questo non spiega un bel niente.”

“Temo dovrete pazientare ancora un poco per le spiegazioni.” Ancora, non c'era la benché minima traccia di desolazione nella sua espressione. Quella donna sembrava tutto fuorché una pia fanciulla che aveva promesso la sua giovane vita a dio.

“Temo di non aver voglia di aspettare,” le ritorse contro.

“Signor Barton, i vostri capricci non ci interessano. Il mondo rischia di cambiare per sempre domani sera, forse fareste bene a rifletterci.” Ed eccola che si trasformava in un'istitutrice severa.

“Voglio parlare con Natasha,” stabilì mentre la religiosa apriva la porta della camera.

“Al momento non è possibile.”

Scattò in piedi e la raggiunse, ma quella non indietreggiò neanche di un passo nel vederselo venire incontro. Se fosse per la sua ridicola andatura caracollante o perché non avrebbe avuto paura di lui in nessun contesto, Clint non seppe dirlo.

“Non mi interessa! Se le torcete un solo capello, io-”

“Voi cosa? Avete idea del numero di persone che hanno trovato la morte per mano di quella donna?”

Lo stomaco gli sprofondò dolorosamente. No, non ne aveva idea, ma non faceva fatica ad immaginarselo.

“Numerosi membri dell'ordine non sono più tornati a casa per colpa sua,” insisté lei, “uomini buoni, signor Barton.” L'occhiata che gli lanciò fu così penetrante da costringerlo a distogliere lo sguardo.

La religiosa parve prendere per buono il suo silenzio e uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta con il tacito invito a seguirlo.

“Non aveva altra scelta,” si ritrovò comunque a dire, il tono bruscamente ridimensionato.

“Abbiamo sempre una scelta, signor Barton.” Detestava il modo in cui pronunciava il suo nome.

“Già, alle volte tra una cosa orribile e una ancora più orribile.”

La vide fermarsi davanti alla porta della stanza subito adiacente, spalancarla e fargli cenno di entrare. Una leggera nuvola di vapore fuoriuscì nel corridoio illuminato regolarmente da torce infisse alle pareti.

“Non sono qui per parlare di morale,” lo redarguì lei, accennando col capo all'interno della camera. “Si faccia un bagno, ne ha bisogno,” alluse, “sarò qui quando avrà finito.”

“Se le fate del male...”

“Nessuno farà del male alla donna,” tagliò corto, spazientita. “Non prima di un giusto processo. Dopodiché il suo destino sarà nelle mani della giustizia.”

Non sembrava esserci spazio per il perdono divino in quella conversazione.

“Datevi una mossa,” aggiunse, aspettando che fosse entrato nella stanza piena di vapore per richiudergli la porta alle spalle.

Per l'ennesima volta nel giro di così poco tempo, Clint si sentì soffocare.

 

*

 

Avrebbe preferito farsi prendere a calci in culo piuttosto che ammetterlo, ma quel bagno l'aveva rimesso al mondo. Ufficialmente aveva deciso di metterci più tempo possibile col solo scopo di innervosire la suora, ma in pratica la situazione era talmente piacevole da fargli sentire il bisogno di prolungarla il più possibile.

Alla fine la religiosa si era messa a bussare come una pazza, minacciandolo di entrare da un momento all'altro, e allora aveva dovuto uscire dal caldo abbraccio dell'acqua, asciugarsi e vestirsi con gli abiti scuri che aveva trovato ripiegati su una sedia lì accanto. Neanche si infilò la camicia nei pantaloni, come se una mancanza tanto ridicola potesse innervosire gli algidi membri dell'ordine dello Scudo... e l'occhiata che la donna gli lanciò quando fu finalmente pronto, gli confermò che forse aveva colpito dritto nel segno. Non lo chiamavano Occhio di falco per niente, dopotutto.

“Dove andiamo?” Le chiese. “Dov'è Natasha?”

“Pensate seriamente di potermi cogliere in fallo facendomi troppe domande?”

“Non lo so. Pensate sia possibile?” Le ritorse contro, ottenendo un'occhiata asettica e terribile.

Fece fatica a starle dietro mentre si muoveva tra i corridoi tutti uguali. Incrociarono un paio di persone, una suora vestita come lei ma con tanto di copricapo e un frate che si ritirò nella stanza da cui aveva accennato ad uscire per permetter loro di passare.

Non aveva mai riflettuto sulla possibilità che l'ordine dello Scudo fosse un ordine religioso. Gli sembrò assurdo: come potevano uomini di chiesa proteggere il re? Certo, avrebbero avuto una scusa più che valida per girargli sempre attorno, ma faceva comunque fatica ad immaginare una suora che entrava in azione per difendere il sovrano.

Era ormai sul punto di mettersi letteralmente a correre pur di mantenere il suo passo di marcia, quando la donna si fermò di colpo e Clint rischiò di schiantarlesi addosso. Quella gli lanciò un'occhiata ostica prima di bussare leggermente sulla porta presso cui si era arrestata.

“Avanti.” Una voce possente e profonda li raggiunse dall'altro parte.

La religiosa aprì la porta e ce lo spinse dentro senza troppi preamboli. Un uomo sedeva di spalle ad uno scrittoio dall'aria antica e costosa.

“Colonnello, vi ho portato il ragazzo,” decretò con lo stesso tono pratico e asciutto.

“Grazie, Maria,” rispose quello. “Puoi andare.”

Ovviamente la suora si chiamava Maria! La cosa cominciava ad assumere contorni un tantino grotteschi.

Si vide lanciare un'ultima, penetrante occhiata prima che la presunta religiosa si ritirasse, lasciandolo solo con il colonnello, o chiunque fosse. Magari si chiamava Giuseppe e faceva il falegname. Oppure Martino e la sua occupazione era quella di suonare le campane per avvertire il re dell'arrivo dei nemici...

Il nervosismo l'aveva precipitato in un baratro di idiozie. Solo quando l'uomo finì qualunque cosa stesse facendo e si decise ad alzarsi e voltarsi verso di lui, la voglia di sparare stronzare si esaurì di colpo.

Il colonnello era un uomo alto e ingombrante, dalla pelle scura quasi quanto gli abiti neri che indossava. Aveva un aspetto solido e agguerrito: la benda che gli copriva l'occhio sinistro non faceva che sottolineare il concetto.

“Signor Barton, sedetevi pure,” gli intimò, indicandogli una sedia abbandonata poco distante.

“Sto bene in piedi,” si ritrovò a dire, a disagio.

Il colonnello si strinse nelle spalle, come a fargli capire che non gli importava. Poteva pure starsene appeso al soffitto per quel che lo riguardava, l'importante era che ascoltasse. Perché era questo il monito che Clint si sentiva imporre da quell'unico occhio che lo fissava.

“Avevamo sperato di portarvi all'ordine in modo un po' più consono,” riprese col dire. “Lord Phillip ci teneva.”

“Dov'è lord Phillip?” Si ritrovò a chiedere. Allora era vero che era coinvolto con lo Scudo. Possibile che avesse aiutato con il tentato omicidio del capitano Rogers?

“Non è qui,” replicò stringatamente l'altro.

“Che ci stiamo a fare, allora?” Cominciava ad innervosirsi. “Voglio vedere Natasha.”

“La Vedova Nera?” L'uomo si era messo a passeggiare per la stanza, le mani serrate dietro la schiena. Chi diavolo era la Vedova Nera?

“Non so di cosa stiate parlando.”

“Avete viaggiato con un'assassina, ecco di cosa sto parlando.”

“L'assassina mi ha aiutato ad arrivare fin qui,” ribatté. “E comunque cos'è che fate da queste parti? Scommetto che vi limitate a rimproverare la gente per convincerla a star lontana dal re.”

Dubitava vivamente che un ordine nato con il solo scopo di proteggere il sovrano si occupasse semplicemente di fare proselitismo ed educare il popolo ai sani principi di neanche lui sapeva bene cosa. In quel mondo la violenza era indubbiamente un male, ma un male necessario.

“Non è questo che avete fatto col capitano Rogers?” Aggiunse, perché l'uomo lo metteva in soggezione e tutte le volte che sentiva di essere in pericolo cominciava anche a sparare stronzate. In questo era un vero e proprio maestro.

Il colonnello si fermò per scoccargli un'occhiata perplessa.

“Pensate che l'assassinio del capitano sia stata un'idea nostra?” Gli chiese, adesso incuriosito.

“Penso che l'esercito si sta ammutinando e Rogers è uno dei migliori ufficiali del regno,” rispose a tono.

“Precisamente.” Che cazzo gli doveva significare?

“Non mi sembra una risposta soddisfacente, signor...”

“Fury. Colonnello Fury,” stabilì seccamente. Non aveva l'aria di volersi perdere in chiacchiere. “L'attentato a Steve Rogers non è stato orchestrato da noi. Ma avremmo dovuto fermarlo, se è questo che intende. In un certo senso è colpa nostra se l'abbiamo lasciato succedere.” Gli apparve vistosamente infastidito da quello che considerava chiaramente un fallimento bello e buono.

“L'idea era quella di reclutarvi proprio al termine della festa,” continuò Fury, “era a quello che serviva l'esibizione.”

“Di che state parlando?” Le cose ricominciavano a confondersi e sfuggirgli.

“Lord Phillip ha voluto mettervi alla prova. Anche se non avete superato il test più importante...”

“Mettermi alla prova? Non-”

“Voleva che entraste nell'ordine dello Scudo. E' a questo che vi ha preparato in tutti questi anni.”

“No.” La negazione gli era uscita con un certo orrore.

“Ma la vostra fedeltà alla causa non era esattamente cieca come ci saremmo aspettati.”

“Continuo a non capire.”

“Il matrimonio, signor Barton. Se aveste messo da parte ogni egoismo per fare ciò che tecnicamente era giusto per la famiglia, sareste diventato un membro dell'ordine molto prima di adesso.”

Il matrimonio con lady Jemma non era altro che un test? La testa gli girava e lo stomaco gli si era contratto in una morsa insopportabile. Decise di accettare quella sedia, dopotutto, e si mise seduto mentre i pensieri gli si affastellavano davanti agli occhi a velocità sorprendente.

“Lord Phillip sostiene ancora che il test non fosse adatto a provare la vostra fedeltà in particolare.”

“Non riesco a starvi dietro...” biascicò.

Cos'è che aveva detto sulle persone che non si rivelano mai esattamente come credeva che fossero?

“Lord Phillip vi ha scelto. Per questo siete stato salvato dalla forca.”

“Non è possibile.”

“Lo è, signor Barton. E da oggi, se lo vorrete, sarete un membro dell'ordine dello Scudo a tutti gli effetti.”

Lo guardò tirar fuori un medaglione circolare da uno dei cassetti dello scrittoio e porgerglielo senza troppe cerimonie.

C'era un'aquila ad ali spiegate incisa nella placca d'argento.

 



Note: avevo detto che si sarebbero spiegate un po' di cose, e ovviamente le nuove spiegazioni non fanno che richiederne altre... per le qual cosa ci sarà da aspettare il prossimo capitolo, ma prometto che di zone in ombra ne rimarranno ben poche.
Colgo l'occasione per avvertirvi che la prossima settimana la storia sarà in pausa e posterò un'altra cosetta.
Nel frattempo, tanti ringraziamenti a chi legge & recensisce, e ovviamente alla sociabeta Eli :3
A risentirci con Senza rumore tra due settimane!
(◡‿◡✿)
  
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