» 6. Please don’t
get the wrong idea
- Pronto… ? -
Era stato una specie di
riflesso incondizionato dettato dal dormiveglia quello di allungare la mano
verso il telefono squillante e avvicinarselo all’orecchio, scorrendo pigramente
il dito sullo schermo luminoso.
Che diavolo di ore erano? Non era sicuro di aver già sentito la sveglia che
prontamente ignorava mattina dopo mattina, ma era decisamente
troppo pigro per aprire gli occhi e controllare. Tch…
era persino troppo pigro per insultare il misterioso
interlocutore, figurarsi se avrebbe avuto lo sbatti di girarsi
dall’altra parte e guardare l’orario!
- Ehi, Haizaki.
Sono Ishihara. -
Il sangue gli si gelò nelle vene, mentre di scatto sollevava la
schiena e spalancava gli occhi — o almeno, ne spalancava uno solo,
l’altro ancora decisamente turbato dal pugno che Shinya gli aveva riservato la
sera prima. Il sonno svanì così rapidamente che gli sarebbe sembrato d’essere
l’uomo più riposato del mondo, se solo l’ansia che quella voce gli aveva
indotto non fosse stata così asfissiantemente pressante.
- D-dica. - balbettò,
stilando una lista mentale di tutti i motivi per cui poteva averlo chiamato la
mattina così presto in un giorno in cui, per altro, non avrebbe dovuto
lavorare: sarebbe potuta essere una chiamata innocente, magari per uno
spostamento orario o per un promemoria, ma tutto ciò
che Shougo sentiva era la puzza affumicata della
propria immane coda di paglia che bruciava come un caminetto in pieno inverno. Cosa aveva fatto, stavolta? Gli aveva forse fatto
qualche sgarro che adesso non
ricordava; aveva preso in prestito qualcosa senza più restituirlo? O
forse dopo una nottata di riposo aveva cambiato idea riguardo agli avvenimenti
del pomeriggio precedente? Iniziò a tormentare con la mano libera la coperta
spiegazzata, maledicendo la solita flemma che rendeva l’attesa ancor più
insopportabile.
- Sei impegnato oggi? Dico,
da… tra un’ora e mezzo in poi. L’altro ragazzo che faceva il part time si è
licenziato ieri sera e per oggi non ho altri a cui
chiedere. Ovvio che te la pagherei come giornata full time. -
Incredulo si stropicciò gli
occhi per comprendere se stesse ancora sognando o meno,
maledicendosi l’attimo immediatamente successivo per il dolore acuto che gli
perforò l’orbita destra. Imbecille.
… d’altronde, bastò quello
stimolo a convincerlo che era più sveglio che mai, e che quella proposta aveva
davvero raggiunto le sue orecchie: un rush di esaltazione improvvisa lo riempì di un entusiasmo inspiegabile e quasi fuori luogo,
che riversò interamente nella cornetta che teneva attaccata all’orecchio.
- Nessun impegno, capo, mi
vesto e arrivo! -
- … e la scuola? -
Attimo di gelo. Si morse
l’interno della bocca, spiaccicando la mano verso la sveglia che stava
puntualmente per iniziare a ricordargli che sì, effettivamente c’erano altri
impegni a cui avrebbe dovuto rendere di conto; impegni
che purtroppo non si era scelto per conto proprio, ma che se avesse saltato
avrebbero plausibilmente avuto conseguenze catastrofiche (prima tra tutte, pure
l’altro occhio nero e una serie di fratture varie sparse per il corpo). Ma era anche vero che di questi impegni, così come di queste
previsioni, gliene importava relativamente: sentiva di non potersi lasciar
sfuggire un’occasione del genere, e ogni dubbio svanì temporaneamente come neve
al sole.
- … oggi non ce l’ho. -
- Hm.
- non parve particolarmente convinto, ma neppure provò a domandare oltre. Si
limitò a congedarsi rapidamente, ricordandogli l’orario, e nell’esatto momento
in cui Shougo poggiò il cellulare si liberò dal
bozzolo di coperte per correre verso il bagno.
La carezza che l’acqua
gelida rivolse al suo viso ancora intorpidito dal sonno non fu certo delle più
gentili — alzò lo sguardo verso lo specchio, quasi vergognandosi che la
sua stessa immagine riflessa lo stesse guardando mentre in mezzo alla frenesia
di quei momenti si dimenticava persino di far scaldare il getto d’acqua,
controllando le effettive condizioni del proprio volto.
Se la sera prima ricordava
solo un gonfiore un po’ preoccupante, dopo averci dormito su non solo a partire dall’occhio si era espansa una tonalità violacea
non esattamente sana, ma la palpebra tumefatta faticava pure ad aprirsi
correttamente, lasciandolo con l’occhio a mezz’asta come un perfetto imbecille.
Un grazie, Shinya, e fanculo risuonò nella sua
testa, mentre tentava con approssimata cautela di spalancare le palpebre con le
dita: faceva un male allucinante, ma se non altro l’occhio sotto sembrava
ancora vigile e funzionale: “Se ancora vedi, senti e riesci a muoverti non c’è
bisogno di allarmarti e nemmeno di far perdere tempo ad un dottore”, questo era
finito per insegnargli suo fratello maggiore al termine di ogni (purtroppo
frequente) litigio, e — naturalmente — una dritta del genere era
arrivata ad incollarsi indelebilmente sopra ogni altra nota destinata a se
stesso. Era un motto spartano a dire poco, ma vista la frequenza delle loro
risse era anche una specie di filosofia a cui non era
mai riuscito a sottrarsi in ogni ambito della propria vita: finché riusciva a
reggersi sulle proprie gambe, Shougo non si sarebbe
mai fatto “aiutare” da qualcun altro in quelle questioni che mettevano di mezzo
il proprio orgoglio. Le rare volte in cui era successo si erano create in lui
scalfitture più profonde e fastidiose di quanto mai avrebbe
creduto, motivo per cui anche stavolta era più che mai determinato a
dimostrargli con insistente arroganza di poter essere in grado di muoversi da
solo, senza il bisogno del suo aiuto, senza che le sue sfide lo mettessero a
disagio.
Era
per quello che era stato così entusiasta di accettare il lavoro
di Ishihara, per quanto sapesse bene di che razza di
rottura si trattasse. Se non c’era nessun altro a fare il part-time poteva solo
significare che quel posto era libero, e se quel posto era libero
avrebbe potuto tentare di calcare la mano per farsi assumere secondo un
contratto che ricordasse anche solo lontanamente un impiego serio: avrebbe
fatto vedere a quell’idiota che non avrebbe avuto bisogno delle sue lamentele
per aiutare a trascinare avanti quella catapecchia, e che in un modo o
nell’altro persino Haizaki Shougo
era capace di organizzarsi per giungere a un qualsivoglia obiettivo. Se l’era
dimostrato nei giorni passati, compiendo come unico errore quello di scendere
quasi alle mani con quel maledetto biondino, ma per il resto attenendosi ai
suoi doveri e alla sua scaletta senza lasciare che nessuno lo distraesse,
nemmeno la scuola… !
Un sobbalzo lieve lo
scosse, facendolo sudare freddo. Già, la scuola: se da una parte era
vero che la sua routine ben poco emozionante se non per qualche picco di adrenalina
disperso qua e là tra un’uscita serata e l’altra rappresentava uno scarso
ostacolo per la sua carriera, dall’altra l’obbligo scolastico era quella
stupida costante che ancora lo ancorava non solo all’incapacità di fare davvero
quel che voleva, ma più in generale lo ancorava a Shinya stesso. Quante
volte gli aveva sbattuto in faccia la propria responsabilità nel
dovergli pagare le spese scolastiche e tutto quanto? Se avesse mollato tutto
senza dire nulla, se quello si fosse reso conto che i soldi che spendeva per la sua istruzione era più o meno come se se ne
andassero nel tritarifiuti, quante mazzate gli avrebbe dedicato?
Schioccò la lingua sul
palato, aggrottando le sopracciglia e recuperando la propria uniforme da lavoro.
Ci avrebbe pensato a tempo debito, adesso tanto la scuola
quanto Shinya figuravano all’ultimo posto delle cose su cui avrebbe
voluto ragionare.
- Che poi, perché dovrebbe
arrabbiarsi? - soffiò tra sé e sé, irritato - … non sarebbe altro che una spesa
in meno, per lui. -
- Buongiorno e scusa ancora
per il breve preavvis-… santo
cielo, Haizaki, che diavolo è successo? -
Doveva ammettere che la
prima parte del discorso era arrivata con un po’ di difficoltà alle sue
orecchie, ma quell’esclamazione di sorpresa fu forse una delle cose che gli sentì dire più chiaramente da quando lo conosceva. In un
breve attimo di confusione si guardò intorno,
perplesso, come a cercare la causa di quel clamore, solo per rendersi conto che
in effetti lui non aveva ancora fatto conoscenza con i risultati più evidenti
di una delle attività che molto prima di qualche tempo a quella parte occupava
praticamente tutte le sue serate: tornare a casa col viso tumefatto e
conseguentemente andarci pure a scuola, beccandosi occhiatacce di professori e
compagni, ormai per lui era la routine — tanto che quello sguardo
palesemente preoccupato lo confondeva, se non addirittura metteva vagamente a
disagio.
- Niente, sono andato a
sbattere contro una porta, stanotte… - borbottò, calandosi sugli occhi il
cappello della divisa. Perché aveva sentito il bisogno di mentire, poi? Per una
volta tanto non ce ne sarebbe stato neanche bisogno: non che si fosse menato
con qualcuno di cui nemmeno ricordava la faccia e per motivi totalmente futili…
o meglio, il motivo di quel maledetto cazzotto ancora
non l’aveva capito, ma era comunque di suo fratello che stava parlando!
Tirò un’occhiata vaga
all’espressione tutt’altro che convinta che l’altro gli rivolse, distogliendo
immediatamente lo sguardo. Già si stava pentendo di aver celato la verità:
perché gli risultava così difficile raccontare
stronzate davanti a lui?
- … una porta. - lo sentì inquisire semplicemente, con quel suo tono
palesemente poco convinto.
- … una porta molto solida,
che le devo dire. - borbottò in imbronciata risposta, cacciandosi le mani in
tasca e incurvandosi un po’ in avanti. Voglia di approfondire il discorso, di
certo, non ne aveva — ma la cosa non parve fermare l’altro uomo, che dopo
un lungo sospiro gli fece un cenno con la mano.
- Fattelo almeno sistemare,
che se ti vedono con quel livido si prendono uno spavento. - mugugnò col solito
tono vago e solo leggermente comprensibile, dapprima aspettandosi che Shougo lo raggiungesse, per poi subito dopo afferrarlo per
il braccio e costringerlo a sedere sull’unica sedia di quel minuscolo ufficio:
era chiaramente più esile, più basso e molto meno forte di lui, ma preso alla
sprovvista Haizaki non poté che obbedire in silenzio,
guardandolo da quella nuova prospettiva con una punta di curiosità mista a
sorpresa. Lo vide indaffararsi per recuperare chissà
cosa in una cassettiera, per poi spostarsi in quella immediatamente accanto e
tornare, infine, a quella di prima, estraendone una cassetta del pronto
soccorso con un sorriso infantilmente vittorioso che non durò più di una frazione
di secondo. Gli venne spontaneo ritrarsi col capo quando lo vide avvicinarsi
con le dita impregnate di qualcosa di estraneo, ma la mano che si piazzò sulla
sua testa con la stessa delicatezza con cui un rapace stringe un topolino prima
di spappolarlo su una roccia gli imperò in modo tanto implicito quanto
mortalmente chiaro di non muoversi.
- Ahia-… - si concesse
comunque di lamentarsi, mentre il dito di prima spalmava una pomata gelida su
tutta l’area del livido. Se non altro, Ishihara mollò
presto la presa, lasciando per qualche secondo Shougo
del tutto incustodito: lo sguardo monoculare del ragazzo vagò per qualche
secondo, posandosi distrattamente sulla cassetta traboccante di qualsiasi mezzo
di basilare e prima medicazione. Com’è che un’attività come quella del signor Ishihara poteva vantare un’attrezzatura simile, mentre in
casa sua non aveva praticamente mai visto nulla del
genere? Dubitava fortemente, d’altronde, che in quel contesto
la gente fosse prona a scendere alle mani come unico mezzo di confronto
reciproco!
- … dovrebbe servire a me,
quella. - borbottò di soprappensiero, aggrottando le sopracciglia.
- Eh? -
- Dico,
una cosa del genere dovrei tenerla in casa io. A cosa serve tenere tutta ‘sta
roba in questo buco? -
L’uomo lo
guardò con una punta di perplessità, tornando verso di lui con un paio di
occhiali da sole in mano. Glieli inforcò con calma, prima di rispondergli,
sistemandogli bene sul viso cosicché l’alone violaceo che gli decorava la
faccia non fosse, almeno a colpo d’occhio, più di tanto visibile — e solo
allora si decise ad aprir bocca.
- Direttive aziendali, uno.
- Shougo tentò di sistemarsi autonomamente gli
occhiali, ma un lieve colpo sulla mano dato col tubetto di crema lo dissuase da
quell’obiettivo - Due, qui può capitare di andare a sbattere contro porte vere.
-
Lo
sentì porre l’accento con tutta la sua (poca) forza vocale su quell’ultima
parola, e una specie di fastidioso senso di colpa si fece strada in lui. Era
così facile sgamare le sue bugie? Fingersi persona responsabile
lo stava rammollendo così tanto?
Si imbronciò,
sentendo Ishihara sospirare.
- Non è che io voglia
ficcare a tutti i costi il naso nei tuoi affari. - gli
fece, scuotendo il capo - Ma se c’è qualcuno, in casa o anche fuori, che tende
a metterti le mani addosso… -
- Che, si sta davvero
preoccupando per me? - gli venne spontaneo interromperlo in quel modo, con un
tono beffardo ma anche divertito che permeò immediatamente la sua voce. Che
razza di idee si stava facendo venire in testa? Per
lui era normale scivolare pure troppo frequentemente in risse anche violente,
se suo fratello di tanto in tanto alzava i pugni contro di lui
poteva solo essere normale, no?
… perché un po’ tutti i
fratelli maschi tendevano a litigare in quella maniera, vero?
Un dubbio che non aveva mai
soppesato si instillò nella sua mente, mentre il
sogghigno di poco fa svaniva nel nulla. Era davvero normale avere così
spesso interazioni di quel tipo? Senza contare che, di fatto, le volte in cui
era stato lui il primo ad attaccare Shinya erano notevolmente inferiori
rispetto a quelle in cui i suoi pugni erano stati unicamente per difendersi
dalle manifestazioni di irritazione del più grande.
Era come aveva sempre vissuto, perché diavolo il suo datore di lavoro si
permetteva di mescolare in quel modo le carte in tavola? Si morse l’interno
della bocca, sempre più accigliato.
- È stata solo una
discussione un po’ violenta, una cosa tra fratelli, che vuole che sia? -
replicò, ma non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Doveva muoversi a cambiare
discorso, prima che quella situazione inaspettata lo schiacciasse più del
previsto.
- È che abbiamo una situazione
un po’ tesa a casa, e… - “e” cosa? Non stava arrivando da nessuna parte in quel
modo!
Si tormentò le dita di una
mano, quasi nevroticamente, annaspando con difficoltà alla ricerca di una scusa
(o di qualsiasi altra cosa, davvero) per continuare quel discorso. A cos’altro
poteva collegarsi? Eppure sapeva che c’era qualcosa di
importante di cui doveva discutere, proprio relativo a questo!
- Ah-… a proposito! –
esclamò all’improvviso, sollevando finalmente la testa - … io, uh, ho bisogno di questo lavoro. -
- … prego? - Ishihara alzò un sopracciglio, non troppo sicuro di cosa Haizaki stesse cercando di dirgli. Quest’ultimo, con una
certa esagitazione, si alzò in piedi, solo per accennare un impacciato inchino
col busto.
- Se l’altro si è
licenziato adesso c’è un posto libero, no? Ho bisogno
di occuparlo io. Voglio lavorare a tempo pieno. -
Non era
certo la più formale delle richieste, ma l’assenza di ‘no’ secchi e immediati o
di qualsiasi altra cosa fu, per lui, un vago segnale positivo. L’unica cosa che
sentì fu il lungo, ennesimo sospiro che uscì dalla bocca di Ishihara,
che l’attimo successivo gli mise le mani sulle spalle per invitarlo a tirarsi su.
- Haizaki,
ascolta. - se poco fa non era preoccupato,
quell’incipit bastò a cacciarlo di nuovo nell’abisso dell’incertezza. Deglutì a
vuoto, sperando almeno che gli insulti da parte sua non
sarebbero stati troppo pesanti, e temendo persino il peggiore scenario
in cui anche il suo occhio buono sarebbe diventato viola rimase in attesa.
- … tralasciando
l’incidente di ieri, non avrei motivi per non assumerti a tempo pieno. - pausa
- … se tu non fossi uno studente delle superiori. Già oggi ti sto sottraendo ai
tuoi obblighi, non sarei a posto con la coscienza se la cosa dovesse ripetersi
ancora e ancora. -
Già oggi?! Com’era possibile che non si fosse bevuto nemmeno quella scusa?!
Shougo
aprì la bocca per protestare, richiudendola poi subito dopo. Non sapeva davvero
come replicare a quel discorso: Ishihara non gli
aveva lasciato possibilità di risposta, e lui se ne era rimasto come uno scemo
corrucciato a fissarlo, sconfitto.
Era una sensazione così… fastidiosa.
Era ovvio provare fastidio per l’incapacità di poter ottenere qualcosa di
voluto, ma il fatto di conoscere un solo modo per strapparglielo via non era
certo d’aiuto. Strinse a pugno le mani, nascondendole entrambe nelle tasche
della divisa.
Non poteva ricorrere a
quello, cazzo. Non con lui.
- Ho davvero bisogno
di lavorare, capo. - si sforzò di dire, tentando di
articolare un’argomentazione un po’ più convincente - Tanto a scuola non mi ci
impegno comunque, tanto vale che almeno io usi tutto ‘sto tempo per fare
qualcosa di utile, no?! -
Ancora, era stato tutto
fuorché formale e gentile — anzi, nemmeno si rese conto di aver alzato la
voce, risultando più aggressivo di quanto avrebbe
voluto. Ishihara, tuttavia, non si scompose
minimamente: Shougo fu quasi spaventato, no, terrorizzato
dalla ferrea serietà dello sguardo che gli rivolse, ma che dopo qualche
lungo, istante di silenzio lasciò posto al solito, rassegnato sospiro.
- Allora dovresti provare a
prendere la scuola più seriamente, e non trovare un passatempo alternativo.
Finirai per pentirtene, Haizaki. - gli disse
semplicemente, tirandogli un colpetto leggero sulla spalla - … facciamo che ci
penso, hm. E ora andiamo. -
Il ragazzo sollevò una
mano, poggiandola sul punto colpito da quel contatto quasi amichevole. Per un
attimo aveva davvero temuto che sarebbe tutto finto
come finiva ognuna delle sue discussioni, e l’esito così pacifico di quel
confronto lo lasciò in uno stupito, quasi idiotico silenzio, mentre senza
proferir parola lo seguì fuori dall’ufficio fino al magazzino.
- È strano. - gli
scappò di dire, mentre obbediente caricava i soliti scatoloni sul furgoncino. Ishihara, poco lontano da lui, gli
tirò un’occhiata interrogativa.
- Voglio dire, per me tutto
questo è strano. - proseguì, in quella specie di improvvisato
monologo - Praticamente tutti quelli che hanno mai cercato di infilarmi
qualcosa in testa hanno sempre accompagnato il loro punto di vista con sonore
mazzate, e non solo a casa. -
- Se mi autorizzi a farlo
posso cominciare anche io, eh, non è un problema -
ribatté prontamente quell’altro, scrollando le spalle. Haizaki
si pietrificò sul posto, con sommo divertimento di Ishihara
che si concesse persino uno sbuffo beffardo.
- Sarà che penso che tu sia
un ragazzo intelligente, e che tu possa capire qualcosa pure senza lividi. - un
sorriso leggero gli piegò le labbra, ma Shougo neppure fece in tempo a vederlo con chiarezza prima
che quello si defilasse poco lontano - … te l’ho detto, mi fido di te, e spero
di non dovermene pentire. -
“E
io dovrei continuare a fidarmi di lui?! E ch cazzo…”
Non poteva credere che la
sigaretta che teneva tra le dita, pur essendo stata sua dal principio, gliene
fosse costate altre tre. Se possibile, Ishihara era un ladro anche peggiore di quanto lo fosse
lui: di appunti mentali non ne teneva, anzi, scriveva tutto sul suo taccuino
con una precisione quasi maniacale, motivo per cui Haizaki sapeva che non sarebbe mai potuto sfuggire a
quel debito. Era come una specie di strozzino mascherato da ometto di mezz’età
dall’aspetto troppo mite per non nascondere qualcosa, che dopo averlo depennato
dei suoi averi l’avrebbe pure costretto a pagare
per riaverli indietro.
Sospirò, una nuvola di fumo
che si gonfiò alla svelta fuori dalle sue labbra, mentre la schiena si
appoggiava contro la ruvida parete alle sue spalle. Promemoria: mai, mai
più scordarsi a casa le sigarette, specie se Ishihara
l’avesse davvero preso a lavorare a tempo pieno. Non che la giornata fino a
quel momento fosse andata male, ma lo stress di lavorare per così tanto tempo
di fila era qualcosa che mai aveva provato sulla propria pelle. Non era
abituato a faticare così tanto, lui, aveva sempre scelto la strada meno
difficile e soprattutto meno nobile! Più volte la convinzione che il mondo del
lavoro onesto fosse un concetto che con lui non poteva andare d’accordo, specie
quando il suo sistema ormai abituato alla consuetudinaria “mezza giornata” si
era ritrovato davanti tutta un’altra metà da affrontare, ma in un modo o
nell’altro la chiusura di quel turno era finalmente alle porte.
Anche se, se possibile,
quell’ultimo luogo era il più stressante di tutti. Aveva avuto occasione di
espandere ancora di più gli orizzonti delle proprie conoscenze e visitare altri
ambienti affiliati a quel furgoncino pieno di oggetti di scenografia, ma
infilarsi in quei nuovi ambiti non era stato neanche solo lontanamente gravoso
sulla propria anima quanto lo fosse tornare ogni volta nei pressi del
maledettissimo studio di fotografia.
Che poi, perché diavolo finivano lì quasi tutti i giorni? Era definitivamente sicuro
che non fosse normale che richiedessero sempre, categoricamente i loro servizi,
ma d’altro canto non poteva neppure lamentarsene eccessivamente. Per quante vibrazioni negative quel posto gli regalasse, poteva
solo obbedire agli ordini, e stare il più lontano possibile dalla gentaglia che
frequentava quel medesimo perimetro di spazio.
Seduto su un paio di
scatoloni vuoti direttamente fuori dal solito inimitabile ingresso secondario, Shougo cercò di sgomberare la mente da quei pensieri. Alla
fine, nonostante le pessime vicissitudini dell’ultima volta, almeno quel giorno
sembrava essere andato tutto bene: la responsabile o qualsiasi posizione
ella ricoprisse si era limitata a squadrarlo
spocchiosamente dall’alto in basso, chiaramente insospettita da quegli occhiali
da sole, ma il resto dello staff non aveva fatto una piega — segno che,
forse, non tutti erano poi così tanto marci nel cervello quanto lo era lei.
Sospirò, il mozzicone di sigaretta che andò gettato per terra e subito dopo
calpestato dalle suole delle sue scarpe: bastava solo che non si facesse vedere
quell’ultima piaga, pensò, sfilandosi gli occhiali e agganciandoli al colletto
della t-shirt, e questa sarebbe stata la perfetta giornata di consolazione dopo
i cataclismatici avvenimenti della serata precedente.
Ma,
naturalmente, Haizaki Shougo
non poteva neanche lontanamente permettersi di fare una scommessa del genere
col destino: il tempo di finire di formulare quel pensiero, e la scricchiolante
porta alla sua sinistra si aprì lentamente, lasciando uscire, naturalmente, la
persona che al momento occupava trionfante il secondo posto nella lista delle
persone che non avrebbe voluto più incontrare da lì ai successivi venticinque
anni.
Ryouta
era lì che lo guardava con uno sguardo fastidiosamente severo, ma per qualche
motivo non disgustato o supponente come le ultime volte: si affettò a calarsi
la visiera del cappello a coprirsi almeno l’occhio tumefatto, prima di alzare
il capo e preferibilmente di cacciarlo, ma il dannato biondino reagì prima di
lui.
- Toh. -
“Toh” cosa?! Infastidito da quel modo di porsi a lui sollevò
finalmente la testa, ma quel tempismo gli fu crudelmente fatale: qualcosa gli si avvicinò rapidamente, troppo rapidamente al viso, e
laddove avrebbe dovuto vedere Ryouta sentì solo dolore.
- Cazzo! - il suo grido si
librò nell’aria mentre l’oggetto duro e freddo che aveva colpito il suo occhio
rotolava, altrettanto sconfitto, a terra. Non sapeva cosa fosse peggio, in quel vortice di acuto malessere; se la coltre di
lacrime che aveva istintivamente coperto l’occhio sano, impedendogli tanto di
vedere correttamente persino la bottiglia che sbatteva, mesta, contro la
propria scarpa, quanto di alzare la testa verso quel cazzone, oppure il
suddetto cazzone che nel mentre cercava — invano — di nascondere il
proprio divertimento.
- Scusa. - biascicò con
tono tutt’altro che pentito tra uno sbuffo e l’altro, e pure senza guardarlo Haizaki poteva figurarsi perfettamente la sua
espressione da stronzetto.
- Scusa un cazzo! - sbraitò
quindi dal fondo dei propri polmoni, voltando gli occhi a lui - Ma quanto puoi
essere coglione per mirare alla faccia?! Fanculo! -
Fu allora che vide (o
almeno, presunse di aver visto) Kise
sbiancare completamente, mentre alzava tremante una mano per indicare verso di
lui.
- Oddio, sono stato io? -
Certo che sei stato tu,
cretino, avrebbe voluto replicare, ma fortunatamente si tappò la bocca
appena in tempo per realizzare che il terrore di Ryouta fosse dovuto all’alone nero che gli circondava, coincidentalmente, l’occhio colpito. Ghignò, divertito
dalla sua reazione.
-
Oh no, è sicuramente colpa tua, mi hai sicuramente sfigurato tu! -
esclamò con scherno, afferrando la bottiglietta - Cos’avresti
fatto se avessi detto di sì? Idiota… -
Era proprio vero che
continuava a non pensare alle conseguenze, hm? Più quel dannato biondino
respirava accanto a lui, più si rendeva conto di quanto la sua esistenza si
basasse su un principio di puro egocentrismo. Stizzito, non disse neanche
‘grazie’ prima di svitare, borbottando, il tappo, nemmeno chiedendosi
cos’avesse fatto per meritarsi una cosa del genere. Un
gesto di carità improvvisa, forse, per far sì che quello si mettesse l’animo in
pace dopo l’exploit di ieri? Meglio se non ci pensava.
- … fai poco lo spaccone
che sei tu, qua, quello con una guancia rigata dalle lacrime. -
- Che cazzo hai detto?! - Haizaki alzò di nuovo la
testa, furente. Lo vide indietreggiare, e fu ad un passo dall’alzarsi in piedi
e grattugiargli il viso contro il muro.
- Ho detto che almeno
potresti dirmi grazie! Non ti chiedi perché sono qui
adesso? - no, non è quel che aveva detto, cazzo, ma misteriosamente la voglia
di litigare gli passò del tutto. Ok, in fondo doveva
ammettere che un po’ di curiosità c’era: che senso avrebbe avuto, per lui,
farsi vedere già il giorno dopo aver rischiato il pestaggio?
… non che potesse palesare
il proprio interesse, comunque: ancora seduto a terra si limitò ad un’occhiata di sottecchi, sbattendo le palpebre con aria
indifferente.
- Stai cercando di pulirti
la coscienza? -
- No! - pausa - … forse! È
che in tutti i nostri passati confronti ti sei sempre comportato un po’ da
stronzo, quindi non pensavo davvero di star andando ad
interferire in… qualcosa di così serio. -
Interferire in qualcosa di
serio? Shougo alzò un sopracciglio, talmente confuso
da non sapere cosa dire. Ryouta guardò altrove, prima
di porgergli un rettangolino di carta che l’altro riconobbe solo dopo qualche
secondo di paradossale, anzi, direttamente irreale silenzio.
… che cazzo ci faceva
l’ecografia in mano sua?! Gliela strappò
immediatamente dalle dita, sconvolto quanto sollevato, al punto che a malapena
sentì lo sproloquio di quell’altro riprendere, indisturbato, a riempire l’aria
di quel vicoletto.
- È tua, no? Dietro c’è
scritto che è per te. È palese che io ti abbia giudicato male. Certo… visti i precedenti non potevo pensare che tu fossi davvero qui
armato di buone intenzioni, ma poi ho visto quella e ho capito tutto. Non mi
aspettavo tu fossi in grado di assumerti così grandi responsabilità, Shougo… a prescindere da ciò che altri potrebbero pensare,
io trovo che sia davvero, davvero ammirevole. All’inizio
ero quasi preoccupato, ma… forse, tutto sommato,
finirai pure per fare un buon lavoro. -
Silenzio.
Dalla prospettiva di Shougo, quel monologo non aveva il minimo senso. Di cosa
diavolo stava parlando? Perché fare quei discorsi per una situazione che non
meritava certo un’orazione così solenne?
L’illuminazione lo colse
all’improvviso, e trattenersi dal ridergli in faccia fu davvero difficile. Oh,
no, non poteva starlo pensando sul serio.
- Fammi capire. - cercò di
rispondergli, soffocando a fatica le risa - La tua conclusione è che io abbia
ingravidato una, che questa sia l’ecografia di quel salto della quaglia venuto
male, e che io stia lavorando qui per fare il padre di famiglia? È questo a cui sei arrivato? Correggimi se sbaglio. -
Kise,
disorientato, sgranò le palpebre, cadendo rovinosamente dalle nuvole.
- … perché, non è così? -
L’altro poté quasi sentire
il fragore di quel castello per aria che andava rovinosamente distruggendosi, e
quell’espressione da deficiente fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rise,
rise nel modo più sfacciato e odioso possibile,
esilarato dall’idea che quello si fosse fatto un viaggio mentale così
intricato. Lui, Haizaki Shougo,
feccia della feccia, che cercava di fare il padre?!
Da dove diavolo gli era uscita?!
Nel
mentre, il biondino faticava a non avvampare per
l’imbarazzo.
- Cosa c’è di così
divertente?! - lo sentì
gracchiare, coprendo a malapena il clamore delle sue risate - Cos’altro avrei
dovuto pensare?! C’era scritto il tuo nome dietro e… e poi quel nome in bella grafia lì all’angolo, “Cindy”, non è la tua
ragazza? -
Dio, probabilmente sarebbe
morto a forza di ridere. L’avrebbero trovato lì, ancora scosso dalle
convulsioni, se avesse continuato così.
- No, scemo, è il
soprannome di mia madre! - boccheggiò, tenendosi la pancia. Quella svampita di
sua madre non era mai stata molto contenta del proprio, a detta
sua, banale e tristissimo nome, motivo per cui “Saeko
Haizaki” era diventato, per clienti e amici, “Cindy”,
diminutivo di “Cinderella”, per via del kanji di ‘cenere’ nel cognome. Naturalmente l’aveva sempre
trovata una cosa ridicola, ma che era comunque rimasta tra tutti i dettagli che
avrebbe potuto sì criticarle, ma ai quali non aveva né la forza, né il tempo,
né soprattutto la voglia di dedicarsi.
… ma
da lì a scambiarlo per il nome della fidanzata, comunque, ce ne correva. Si
asciugò le lacrime che copiose gli avevano allagato la faccia, mentre Ryouta sembrava ancora più confuso che mai.
- Quindi
quello è tuo fratello? - gli sentì dire, sempre più
confuso. Aveva ancora dubbi? Cosa glielo chiedeva a fare?
- Che, te lo devo mettere
per iscritto? Certo che è mio fratello! Se porto qualche soldo a casa è per ‘sta caccola, mica per un figlio mio, ma
ti pare?! -
E in quel momento, sentì
che il karma aveva colpito, facendogli rivelare un po’ più di quello che
avrebbe preferito ammettere davanti a quella dannata piaga.
Naturalmente,
Kise non poté che prendere la palla al balzo: socchiuse
gli occhi, pensoso, portandosi le mani sui fianchi.
- Quindi
stai comunque lavorando per aiutare qualcuno, no? -
- N-non è quello che ho
detto. -
- Sì che è quello che hai detto! - lo incalzò,
senza nemmeno farlo finire di parlare. Un sorrisino odiosamente vittorioso gli
piegava le labbra in una faccia che implorava calci e pugni, con una tale
veemenza che trattenersi fu davvero difficile - Ho sbagliato un po’ la storia,
ma il succo è sempre quello! Sei preoccupato per la tua famiglia e quindi ti stai
rimboccando le maniche, non è ammirevole anche questo? -
- Ma
scusa, com’è che stai cercando di convincermi che io sia una persona
ammirevole? - lo interruppe, scocciato dalla piega che stava prendendo quella
conversazione - Fino a ieri ti andava bene trattarmi a pesci in faccia, e ora
all’improvviso sono diventato l’angelo del focolare da rispettare e lodare? Ma
un po’ di coerenza in quella cazzo di testa no, Ryouta? -
Sbottando in quel modo, lo lasciò nuovamente senza parole. Lo sbirciò con la coda dell’occhio
mentre lasciava cadere le braccia parallele al corpo, come arreso, prima di corrucciare le
sopracciglia e incupirsi.
- L’hai detto tu che ora
sei un ‘onesto’ lavoratore, e sai benissimo quanta
fatica faccia a crederci. - era sparita ogni traccia di qualsiasi altro
sentimento, nella sua voce, se non una fredda severità. Oh, dopo tutti quegli
inutili fronzoli eccolo il vero Ryouta, quasi
gli era mancato! Sospirò, annoiato, lasciando sprofondare il viso nel palmo
della mano, mentre quello continuava - Sto solo
cercando un qualsiasi punto di contatto per potermi fidare di quello che dici.
-
- Ma
quanto pensi che me ne possa fregare della tua fiducia? - ringhiò, minaccioso,
ma decidendo che non valesse nemmeno la pena di alzarsi - Mi ci pulisco il culo con la considerazione che hai nei miei
confronti, buona o cattiva che sia. Io ignoro te e tu ignori me, perché non può
essere così facile?! -
- Perché non capisco cosa
tu stia cercando di ottenere, con questa attitudine.
Perché vuoi per forza farti detestare, mantenere dei rapporti così astiosi pure
dopo anni? Cosa pensi di guadagnarci, con questa
facciata? -
- Porca miseria, Ryouta, ma sei sordo? - stava davvero iniziando a stufarsi.
Si alzò in piedi, profondamente irritato, ringraziando che Ishihara
non fosse lì a testimoniare la strage che avrebbe volentieri compiuto se quello
si fosse azzardato a rompergli ancora le palle - Voglio solo che mi lasci in
pace, non c’entra nessuna cazzo di ‘facciata’… -
“… se non quella del
palazzo contro cui ti spaccherò il muso”, avrebbe
voluto aggiungere, ma quello che Ryouta gli rivolse
non fu uno sguardo teso, o un’espressione di rabbia.
No, quel bastardo si limitò
ad un singolo, sfacciato sorriso di sfida, per niente
intimorito dalla sua vicinanza. Quella reazione, del tutto inaspettata, gli
impedì persino di reagire come avrebbe voluto.
- Credo non esistano parole
per descrivere quanto sei infantile e testardo, lo sai? - disse semplicemente,
prima di indietreggiare e dirigersi di nuovo verso la porta. Shougo sbuffò, mettendosi le mani in tasca. Quel
paradossale siparietto stava durando già abbastanza, e se davvero voleva
troncare la conversazione di certo non gliel’avrebbe
impedito.
- Farò finta di non aver
sentito. -
- Che paura! - aveva dieci
secondi di tempo per sparire dalla sua vista, o
l’avrebbe picchiato così forte che nemmeno sua madre l’avrebbe più riconosciuto
- Va bene, va bene, ti lascio da solo col tuo voler essere per forza cattivo,
buon divertimento, Shougocchi! -
E grazie al cielo dopo
quell’uscita sparì davvero, perché era già più pronto che mai a cazzottarlo.
Grugnì, nel silenzio e nella solitudine di quella stradina, abbandonandosi
sulla stessa scatola di prima.
Tralasciando lo “Shougocchi”, che già da solo aveva tutti i
presupposti per fruttare tante di quelle bastonate da battere il record
mondiale — per il resto, cosa diavolo si era messo in testa?
Non era mai stata tra le
sue priorità l’idea di chiarire, in qualche modo, le vicende del passato con
quella testa ossigenata. Era chiaro che tra di loro non potevano esserci basi
per una pacifica convivenza, né tanto meno argomenti su cui non litigare:
persino lui si rendeva conto che tentare di rianimare qualcosa di già morto era solo una perdita di tempo!
Non era lui a mettere su
una facciata; non era lui ad essere testardo: era Ryouta che, forse infastidito dall’idea che ci fosse
qualcuno a non accettare le sue attenzioni, si era per forza messo in testa che
doveva esserci dell’altro. Cos’avrebbe fatto, si chiedeva? Avrebbe continuato a
tormentarlo ancora, nella vana speranza di tirare fuori “il buono” che c’era in
lui? Perché sembrava davvero questo che voleva fare, probabilmente del tutto
incapace di convincersi senza prove tangibili e concrete che le persone
potevano cambiare, o comunque avere attitudini diverse nei confronti di cose diverse pur magicamente rimanendo lo stesso individuo.
Tenendo ancora tra le mani
la bibita energetica che gli aveva portato quello, arrivò persino a domandarsi
se per caso non fosse geloso o chissà cosa dell’attitudine tutto
sommato positiva che portava verso tutto quel che riguardava il suo
lavoro, meno che con lui. E in quel caso, chi era veramente l’infantile? Ma
soprattutto, come si permetteva di infilargli in testa tutti quei pensieri e
quelle elucubrazioni, dopo una predica che non aveva né capo né coda, partita
da una conversazione mai cercata e i quali motivi gli
sembravano più offuscati che mai?!
Si domandò quanto ancora
sarebbe durata quella linea ininterrotta di sfiga,
iniziando a meditare l’ipotesi di farsi monaco e liberarsi dal male della vita,
quando un rumore scricchiolante attirò immediatamente la sua attenzione.
- Ryouta,
giuro su me stesso che se non te ne vai ti disintegro.
-
- Allora è proprio vero che
tra di voi non scorre buon sangue, hm? -
A
meno che il dannato non avesse cambiato sesso nel giro
di quei pochi minuti, dubitava fortemente che quella voce appartenesse a lui.
Deglutì, alzando gli occhi: era l’ultima cosa che poteva immaginarsi, ma in
piedi a breve distanza da lui la stessa tipa timida con gli occhiali che spesso
lo salutava con un riservato sorriso lo guardava adesso con la sua solita,
caratteristica espressione gentile, mentre dalla bocca di Shougo
non uscì niente se non una specie di breve, impercettibile sibilare strozzato.
… perché cazzo non aveva
subito rimesso gli occhiali da sole, prima?!
Buonasera!
Dio, non posso
crederci di averci messo più di un mese a tirare fuori questo capitolo ;___; e dire che avevo promesso che avrei cercato di fare
più veloce… sob.
Comunque, in un modo
o nell’altro eccomi qui! Il capitolo è un po’ più lungo del solito, e anche
denso di… cose che nella mia testa avevano un certo spessore, ma che a
rileggere mi sembrano un po’ molto ‘normali’. Sigh.
Ad ogni modo, nuovo
personaggio in arrivo! L’avevo già citata, rapidamente, un paio di capitoli fa,
ricordate?
… probabilmente no,
che sono tipo passati tre mesi da quell’aggiornamento.
In ogni caso, grazie
già da ora a chi si ostinerà a seguire ancora questa storia ;__;
e perdonate una persona come me, del tutto incapace di aggiornare in modo
costante *sigh
Alla prossima!