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Autore: Ornyl    11/12/2015    0 recensioni
[Poesia]
"τᾶ]ς [κ]ε βολλοίμαν ἔρατόν τε βᾶμα
κἀμάρυχμα λάμπρον ἴδην προσώπω
ἢ τὰ Λύδων ἄρματα [κἀν ὄπλοισι]
πεσδομ]άχεντας."
"Ah, vorrei poter vedere il suo amato incedere
e lo splendore raggiante del suo viso
invece che carri lidi e fanti
pronti alla battaglia."
Saffo, fr 16 Voigt
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Alcuni dicono che la cosa più bella, in questo deserto di ferro, legno e asfalto fatto di baracche cadenti e sventrate dalle bombe, sia uno stuolo di Ordinatori in corazza bianca che sfilano per le strade della città e controllano i vicoli, splendenti sotto la luce malata del sole dietro la nebbia; altri sembrano svenire davanti alle loro moto di acciaio e metallo verniciato di bianco, sfreccianti con i loro motori a reazione e le fiammelle bluastre emesse dalle marmitte, invidia dei più deboli, baluardi di quelle bestie e odiosissimi a noi sovversivi; altri ammirano quei carri armati che procedono sull'asfalto, giganti di ferro splendenti come diamanti sotto questo cielo malato, luminosi dei mille e più riflessi dei loro spari e delle granate che esplodono davanti ad essi, le stesse che hanno strappato via tanti valenti compagni.
Eppure, dalla mia torretta di controllo, non posso ammirare con viva meraviglia questo spettacolo fiero e scoppiettante. Anzi, mi imbarazza e quasi mi fa sorridere. Il mio cuore, o almeno una sua parte, mi dice che vinceremo questi giganti e riusciremo a dominarli. Avremmo smesso di combattere anni fa, se non avessimo creduto in questa battaglia. E questa battaglia ci ferisce e mi ferisce, mi squarta le orecchie con le sue esplosioni ad ogni ora del giorno, mi ferisce gambe e braccia con le sue mille e più schegge, mi uccide davanti agli occhi le compagne con cui ho diviso cibo, armi e letto. Ma qualcosa mi consola, balsamo divino per le ferite di questa guerra interminabile: nulla è più bello di ciò che si ama. Di ciò che io amo. Di quel sorriso innocente che ho strappato via dalla strada quando è esplosa l'autobomba inviata dal Governo come trappola, di quegli occhi stralunati e azzurrini che hanno ritrovato la loro direzione dopo aver ammirato lo scheletro sventrato del vecchio collegio, di quei capelli biondi nascosti dalla polvere che riempie le nostre stanze, le nostre strade e le nostre vite, qui al commando, sotto le apparentemente morte macerie della Cittadella Est.
Anche Helene, prima di tradire il commando e di lasciarci in asso con suo marito in lacrime e sua figlia affamata, avrà sicuramente pensato lo stesso guardando Matricola 3747, Sottotenente Parideus del Blocco Governativo Orientale.
Un giorno ha preso il suo borsone e puf, è sparita.
E il giorno dopo qualcuno ci ha bombardati.
E mentre penso ad Helene, penso ad Anaktoria colpita in pieno, uccisa nel sonno per colpa sua e colpa mia perchè non ero riuscita a salvarla di nuovo, perchè forse era destino, perchè era quasi necessario, chissà per quale scherzo voluto dal burattinaio che porta avanti questa guerriglia da anni, che il migliore artificiere del commando dovesse lasciarci le penne.
E ora pure le sigarette di contrabbando strappate ai soldati puzzano di piombo e sudore.
Il sole tramonta lentamente. E' uno spettacolo tristemente dolce. Mi ricorda i giorni nei quali il sole era ancora un cerchio arancio vivo e non una palla giallastra che fa capolino dietro i palazzi, dietro il filo spinato, dietro le montagne.
Anaktoria mi aveva baciata qui, per la prima volta. Non voleva che Comandante fosse vista in atteggiamenti intimi con un soldato semplice. Era stata lei, ma mi ero sentita in colpa, e quel senso di colpa era comunque dolcissimo. Quell'odiosa guerra era svanita come un incubo appena sfiorai le sue labbra lontane, le sue labbra ormai incenerite, ridotte a polvere che non si può onorare con un funerale.

Mi manchi, Anaktoria.
Se solo potessi vedere te, te sola, camminare lentamente e allegramente sulla ghiaia del cortile, con le pezze nella tasca dei cargo, sporca di olio per lucidare l'artiglieria, piuttosto che quegli orrendi carri armati e camionette pronti ad infuocare anche questa notte, e poi la mattina seguente, e così via fino a che di noi non ne rimarrà nessuno.
   
 
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