Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Wellknower    13/12/2015    1 recensioni
Alla fine ti chiama, tu risponderai e sarà l'inizio della fine...
Genere: Introspettivo, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Stavo sul mio terrazzo a fumare, in tutta tranquillità, mentre pensavo al da farsi l'indomani. Non c'erano pensieri o altri ostacoli alla mia serenità, ma fra un tiro e l'altro, il cosmo, pianificava qualcosa che non avrebbe esitato a cambiare la mia vita. Come se fossero sincronizzati, non appena il mio indice sinistro tamburellò sul dorso della sigaretta per far cadere la cenere, il telefono in silenzioso vibrò e questo fu l'inizio della fine. Di solito evito di rispondere, anche perché sinceramente non lo sento proprio, ma quella volta la vibrazione fu come più forte, come se a vibrar fosse il mondo e non il dispositivo nella tasca destra dei pantaloni. Sconosciuto. "Pronto?" "..." "Pronto? Chi parla?" ""Mi verresti a prendere?"" Quella voce risultò sconosciuta e molto, molto lontana. Era colma di vergogna ma allo stesso tempo di sfida, come fosse temeraria e provocante. "Mi scusi ma credo di non aver capito, potrei sapere con chi sto parlando?" Nel momento stesso in cui terminavo la frase, fui assalito da un inconfondibile senso di paura, profonda. Ero terrorizzato, senza che ne potessi capire il motivo, dal fatto che potesse riattaccare, così, senza dirmi nulla di più. ""Non mi riconosci, forse? Mi deludi Alby..."" Mentre dall'altra parte della cornetta la voce misteriosa sospirava paziente, io fui intrappolato da una enorme quantità di domande sulle quali primeggiava la più subdola e fastidiosa. "Alby"... In pochissimi mi chiavano così, solamente gli amici più stretti, quelli conosciuti una vita fa e di cui mi fidavo ciecamente. Ma mentre ripassavo nella mia memoria tutti i volti più familiari e scartavo la possibilità che fosse uno di loro, la lista si affievolì fino ad essere completamente esaurita. Arrivato in un lampo all'ultimo volto e all'ultimo nome, sicuro di tutti quelli che avevo scartato, non mi tornava nessuno in mente, ma non era solo l'indizio sul mio nomignolo a indicarmi che qualcun altro doveva pur celarsi dietro quelle parole spavalde, bensì un pensiero antico come il tempo stesso e creduto morto quanto sepolto. Decisi di provare a mentire, come per accattivarmi lo sconosciuto interlocutore, senza bene saper perché o quali intenzioni avessimo, sia io che lui. "Mmmh si, ma certo, cosa posso fare per te?" ""Dicevo, potresti venire a prendermi? A casa?"" "E' successo qualcosa?" ""Si beh, direi molto più di qualcosa ma... Preferirei vederti e parlarne di persona ecco..."" Per tutto quel tempo non avevo fatto caso al fatto che la voce, alla fin fine, seppur non troppo chiaramente, era femminile. Riflettei per qualche secondo ed escogitai come una sorta di piano per capire chi fosse cercando di mantenere in piedi la menzogna precedente riguardo la mia intuizione su chi fosse quella persona. "L'importante è che tu stia bene -mi accorsi del tono mendace che utilizzai per questa affermazione e fui come sicuro che anche chi stava ascoltando se ne fosse reso decisamente conto - dove sei?" ""Ti ho detto, a casa..."" "Potresti ricordarmi dove abiti, ho proprio un vuoto di memoria ora come ora!" Il silenzio che seguì alla mia domanda fece intendere che la mia dimenticanza non fu affatto gradita, come se avesse infastidito in maniera inoccultabile, e parse senza fine. ""Via Lilla Massima, appena fuori città, numero 109."" Disse roboticamente facendo intendere nuovamente il suo inequivocabile fastidio. "Vorresti che venissi immediatamente, mi pare di capire..." ""Certo, prima che puoi, senza correre però, non vorrei che guidassi senza prudenza!"" "Il tempo di arrivare..." Attaccò senza replicare. Rimasi col telefono attaccato all'orecchio e con la sigaretta fra le dita della mano sinistra, ormai consumata, così, completamente immobile, stordito ed attonito. Chi diavolo era? Un fulmine di domanda composto da queste tre parole attraverso fragorosamente la mia mente eliminando tutto il resto, persino il freddo che cominciava ad attaccare feroce dati i miei abiti decisamente casalinghi. Rientrai barcollando e quella che era la mia stessa casa mi apparse come cambiata, diversa, non più tanto mia. I colori erano decisamente stati cambiati e le cose, i mobili, seppur al loro usuale posto, sembravano esser stati spostati, come a sottolineare un cambiamento violento, che aveva tutta l'intenzione di comunicare quanto non appartenessi più a quello spazio. Nonostante l'assenza di una torcia rudimentale, mi sentii come se fossi in un'esplorazione di una grotta mai vista prima, cupa, oscura e spaventosa. Coraggiosamente uscii dalla stanza da letto che dava sul mio terrazzo, imboccai un corridoio sinistramente vuoto e come distorto, lo percorsi tutto cercando di concentrare il mio sguardo sulle mie ciabatte, come a non voler alzare lo sguardo per non rendermi conto di cosa mi circondasse in quel momento. Tutto mi sembrava alieno e ostile allo stesso tempo. Nonostante viva da solo da anni, arrivato al bagno dov'era la doccia, sentii un irrefrenabile bisogno di chiudere a chiave la porta dietro le mie spalle; mi appoggiai alla porta appena serrata con le spalle e la schiena, esausto, con la sensazione di essere sfuggito ad un inseguimento. A differenza del resto della casa il bagno appariva familiare come sempre, un luogo protetto e protettivo. Sbattei le ciabatte per levarmele, come fanno i bambini, appoggiai il telefono nel piccolo davanzalino sotto lo specchio, feci partire lo shuffle dell'mp3, mi spogliai completamente e spensi lo scaldabagno entrando in doccia. Afferrai la cipolla e attesi con il getto verso la parete che giungesse l'acqua calda per sciacquarmi e poi insaponarmi. L'umidità e il vapore acqueo mi distrassero abbastanza, mentre attraverso il vapore stesso viaggiavano le note di una vecchia canzone italiana, da permettere che io dimenticassi il motivo del mio essere dentro la doccia. Non appena chiusi il rubinetto, indossai l'accappatoio e mi posizionai davanti allo specchio, la magia finì e tutto tornò a galla in quella mente confusa e instabile. Sperai avesse richiamato per annullare, pronto e vestito, di colpo, sentivo che la cosa migliore da fare era quella di rimanere al sicuro, in casa mia, più precisamente in bagno. Mi feci coraggio, presi le chiavi della macchina e scesi giù in piazza. Raggiunsi la mia macchina parcheggiata dall'altra parte della rotonda con passo svelto e guardingo con la stessa sensazione di poco prima, quella di essere seguito. Aprii la portiera e mi sedetti lasciandomi cadere sbattendomi dietro la portiera con una forza eccessiva, avevo bisogno di sentire che fosse ben chiusa. Feci scattare le serrature, accesi il motore, feci manovra e partii. Avevo scordato, a esser sinceri, l'indirizzo, ma proseguii sicuro della strada che dovevo fare, come avessi sempre saputo di dover tornare, di andare, scusate, in quel luogo. Nella mia testa la navigazione era ben precisa e definita, dovevo solo darmi il tempo di giungere. Mente vuota, totalmente sgombra, guidai automaticamente, come fossi un automa. Guidai per venti minuti pieni e nessun semaforo, per tutto il tragitto, si fece trovare rosso, come se niente mi volesse fermare o dare l'occasione di metterci più del dovuto. Non so quanto fosse passato dalla fine della telefonata, ma non avevo ansia per un ipotetico ritardo, non potevo sfuggire. Il mio cervello si riaccese, come risvegliato, alla vista della targa col nome della via: "Via Lilla Massima". Rabbrividì. La via era a doppio senso ma era molto stretta, difficilmente si può immaginare due macchine passare insieme, e ad ambo i lati erano costruite le tipiche villette bifamiliari dei quartieri residenziali di periferia, basse, carine e di un'eleganza difficilmente apprezzabile ma peculiare. Sembrava che alle finestre si affacciassero tutti solamente per osservarmi: luci che si spegnevano esattamente quando vi posavo lo sguardo, tende che oscillavano misteriosamente al mio passaggio e saracinesche che venivano fatte precipitare con veemenza ma silenziosamente, nessuno voleva farsi notare o voleva farmi accorgere del fatto d'essere osservato. "Paranoie, solo paranoie..." pensai. La via era piuttosto lunga e mi ricordavo il civico fosse il 109, dovetti procedere per un bel pezzo addentrandomi nel quartiere silenzioso e inquietantemente illuminato dai lampioni con la loro luce gialla ma fredda. Sentì la felicità e le belle sensazione lentamente abbandonarmi, come sollevarsi in volo dalla mia nuca, spaventate. Nella via deserta e rettilinea, non c'era nessuno per strada se non una sagoma, apparentemente piccola e in posizione d'aspetto. "Che sia lei?" mi dissi. Rallentai d'istinto e cominciai a proseguire a passo d'uomo inchinandomi verso lo sterzo ed il parabrezza per cercare di vedere in anticipo chi fosse quella sagoma appoggiata ad una macchina parcheggiata con le braccia conserte ed il piede che batteva ritmicamente sull'asfalto. Mi fermai a qualche metro, spensi il motore ed i fari in mezzo allo strada; rimasi in silenzio, espirando. Ella non si girò nella mia direzione, rimase impassibile, come se non fosse di questo mondo. La condensa si levava pigra e vaporosa a ogni suo respiro e il moto del suo piede impaziente non accennava a fermarsi; era come se fosse nata per rimanere in quella insolita posizione ed attendere me. Tirai il freno a mano, mi slacciai la cintura e con entrambi le mani tirai a me la maniglia della portiera per aprirla. Uscii dalla macchina e rimasi con un piede dentro la macchina e i gomiti sulla parte superiore della portiera, fermo a fissarla, come se tutto fosse sparito, diventato bianco, e l'unica cosa al mondo rimasta fosse lei, lei in quel modo, in quella posizione, lei che attendeva, lei per me. Il tempo non aveva più valore, ma ne passò tanto, su questo non ci sono dubbi, e rimanemmo così, sospesi ed unici in quella via di periferia, senza che nulla ci rendesse in grado di muoverci, parlare ma soltanto di respirare, per poter continuare a vivere e a guardare quel momento fermo, immortalato, dove pochi dettagli si muovevano ma persino le cime degli alberi, ed il vento con loro, si erano fermati a guardare. Si girò, pianse una lacrima, e con gli occhi mi disse d'avvicinarmi. La sua bellezza fu solo un'ennesima prova del suo non provenire dal nostro mondo. ""Ti aspettavo; abbiamo qualcosa da fare, da fare insieme..."". Si avvicinò con passo lento e sensuale, capì che aveva capito d'avermi catturato, fatto suo, senza più alcun rimedio. "Chi sei tu?". Non rispose. Non emise alcun suono. Mi abbracciò soltanto. Fredda. Mi accorsi molto dopo d'esser morto e ancora adesso, che Dio mi sia testimone, qui mentre vi parlo fra le fiamme d'un infermo in realtà gelido, tranquillo ed immobile, ancor la vedo; è lì, ferma, con le braccia conserte, il piede che pesta il pavimento in modo ritmato e il suo respiro che si vaporizza, pigro e annoiato. Lei che mi aspetta, lei per me...
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Wellknower