Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: alexiel22    13/12/2015    2 recensioni
Dal testo:
Hans fotografava. Non so di per certo da quanto avesse iniziato ma quando io lo conobbi fotografare era la sua vita. Lui fotografava, io l’ammiravo. [...]
Ballammo all’ombra dei miei visi e mi sembrò giusto in quel momento desiderare le sue labbra. La nostra frenesia da baccanti si concluse e restammo fermi a tessere pensieri negli occhi dell’altro.
Incurante del caos lo baciai. E fu il big bang. L’annullamento. Fu come rinascere e rivivere. Ed era un bacio timido da bambini, con la goffaggine degli adolescenti ma la consapevolezza degli adulti. Fu come vento, soffio lieve che riuscì con una facilità disarmante a spazzare via dubbi e paure come un castello di carte mal costruito. E mi abbandonai a ciò che sembrava Amore.
Una storia che si sviscera attraverso la fotografia e la scrittura. Una musa per un artista e un artista per la sua musa...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Hans fotografava. Non so di per certo da quanto avesse iniziato ma quando io lo conobbi fotografare era la sua vita. Lui fotografava, io l’ammiravo. Lo fissavo attentamente attraverso l’obbiettivo, il filtro grazie al quale Hans poteva intravedere il suo mondo. Un mondo di luci soffuse ed ombre dettagliate, di momenti congelati. Un mondo di piccolezze. Nel vedere un oceano Hans non scorgeva la maestosità delle onde violente ma l’insieme delle gocce che le componevano. Così erano i suoi scatti, un tentativo continuo di scrutare nel profondo dei suoi soggetti. E così era con me. Nel vedermi lui riusciva a notare l’insieme delle mie debolezze e dei miei pregi, ciò che mi definiva, e si sfaldavano come cenere quelli scudi e quelle maschere che nella vita imparai a cucirmi addosso, e restavo ogni volta, davanti ai suoi occhi, nuda. Nuda mi ritrasse la prima volta che ci incontrammo. La sua richiesta fu inaspettata, come lui d’altronde. Nel calore artificiale di un caffè me lo chiese. Alto e biondo, il cappotto troppo largo ed un cappello floscio, sbilenco ed irrimediabilmente logoro. Accettai subito. Amavo troppo le stranezze per rifiutare la proposta più che sconveniente di un ragazzo troppo bello, di quel tipo che le madri ci ammoniscono di evitare. Può forse sembrarvi il solito cliché dell’artista squattrinato, una moderna storia alla Titanic senza mare, ma non era così. I soldi non mancavano ad Hans, me ne accorsi  appena entrai nell’appartamento. Non viveva nel lusso ma le sue foto piacevano riscuotendo un discreto successo e quindi la possibilità di pagare l’affitto. Fu quando mi ritrovai sdraiata sulla coltre verde che erano le sue lenzuola che diedi sfogo alla mia curiosità. Forse fu lì che tutto ebbe inizio. Hans amava le storie. Amava ascoltarle ed immaginarle. Per questo, mi disse, comprava unicamente abiti usati, assecondando la sua sete di conoscenza, si rifugiava in calzoni logori e scarpe già indossate. Ognuno di quei capi raccontava una storia. Erano tessuto e passato cuciti insieme, come quel maglione blu appartenuto ad un marinaio, intriso, a suo dire, di brezza marina e di mistero. Comprare un abito nuovo sarebbe stato come affidargli carta bianca ed Hans era incapace di scrivere. E così iniziò. Io scrittrice per gioco nutrivo la sua sete di storie, viziandolo ogni giorno con piccoli racconti di mia invenzione, barchette di carta lasciate a naufragare in quell’appartamento finché lui non se ne accorgeva. Hans invece continuava a fotografare rendendomi parte di un gioco di sguardi e pose e ciglia socchiuse e bocche aperte. Mi insegnò forse inconsciamente il suo mondo, un guardare non solo aldilà dell’apparenza, ma a sfidare quest’ultima per strapparle in una lotta muta la certezza di vedere quello che si aveva davanti. Non ci fu subito amore, ne passione, ne tutto ciò che la gente si aspetta possa accadere tra due giovani lasciati soli davanti ad un letto. C’era solo una macchina fotografica e parole. Una sinfonia di pensieri, opinioni, battute accompagnava le mie sempre più frequenti visite a casa sua. Fu quando sostituimmo tazze decorate di fragrante thè per bicchieri di limonata ghiacciata, e maglioni con camicie di cotone, che un cambiamento si insinuò fra di noi guidato dalla spizzante imprevedibilità di quel ragazzo. Eravamo seduti all’aperto, ricordo che ero immersa nella lettura di un romanzo nuovo di zecca, le pagine che odoravano d’ inchiostro. Il tempo era piacevolmente fresco ed io rabbrividivo appena nella mia maglia leggera, non ricordo bene cosa stesse facendo Hans, forse osservava il paesaggio intorno a noi, ma ricordo la nota di stranezza di quel giorno in cui non c’erano né macchine fotografiche, né parole ancora. In più eravamo in quel parco, come avventurieri che si spingono lontano dai confini sicuri che fino a quel momento per noi erano i muri intonacati del suo appartamento. “Voglio esporre le foto” schietto, veloce, un suono per effetto simile ad uno sparo. Uno sparo di parole che mi colpì, infrangendo la bolla delicata in cui mi ero immersa nella lettura. Alzai gli occhi, fili dei miei capelli ad interrompere la visuale di lui. Stava di profilo, i gomiti sulle cosce, il mento appoggiato sulle mani giunte, una posa che per alcuni versi mi ricordava mio padre. Mi ricordava mio padre il giorno in cui mi confidò che ne sarebbe andato. Fu incredibile come solo quella posa comunicò in me il sentore di brutte notizie. Appoggiai il libro, non era importante allora perdere o meno il segno, ravvia i capelli, dita nervose, pensieri in testa. “Cosa vuoi dire? Quali foto?”. “Lo sai bene”. Bugia. “Le tue foto”. Rivelazione. Rimasero sospese nell’aria parole danzanti, mentre il significato di queste venne da me ingerito come medicina amara. Capii a quali foto si riferiva ed improvvisamente quel senso di pudore ed imbarazzo che mai davanti ad Hans aveva reso le miei mani tremanti o che fermava le dita che slacciano i bottoni, mi assalì in un onda di soffocante preoccupazione. Occhi che non erano i suoi avrebbero scrutato il mio corpo, occhi che non capivano avrebbero divorato la mia carne per il piacere di farlo. Avevo accettato perché era lui, perché lui poteva, lui sapeva, lui riusciva. Non gli altri, ma lui. Non uomini dai completi costosi e i nomi difficili. Non uomini dagli occhiali grossi e le colonie scadenti. Non occhi scuri, vecchi o verdi. Ma i suoi. E mi avrebbero giudicata, e allora forse quella pelle, quel viso, quelle ciglia, quella labbra non sarebbero state abbastanza. Pensai ai miei genitori alla vergognava che avrebbero ricavato al capire che della loro sofisticata e brillante progenie non un lembo di corpo sarebbe rimasto nascosto agli occhi della gente. E fu troppo. E rimase un libro aperto su di una panchina di fianco ad un ragazzo dagli occhi stanchi. Furono giorni di confusione e barche. Barche di carta e scuse che trovavo davanti alla porta. Erano attimi di sorriso e poi ritornava in me un senso del tradimento mai provato fino ad allora che mi nauseava, non parlai ad Hans non cercai di capire o di chiedere lo fece lui per me. Così recitava una piccola barca piegata male, in modo arrabbiato. La vela storta. “Sono solo qui, sul letto. Il letto su cui ti sei sempre distesa. Non so perché lo sto facendo ma so di per certo che ho in mano questa maledetta penna e sto scrivendo. Vedi sto riempiendo questo foglio, ora è nero. Voglio solo questa volta raccontarti io una storia. Non posso essere bravo come te perché tu ti nutri di parole quindi immagino che il tuo livello sia quello di un erudito gourmet.” ci fu una risata ad interrompere la mia lettura, lo ricordo bene “La mia storia parla di un ragazzo. Lui fa delle foto. A niente, a tutto. Fa solo foto. E poi un giorno vede questa ragazza. Piccola, carina. Niente di eclatante, niente curve accentuate o sguardi ammiccanti. Solo una ragazza carina. E poi vede questi piccoli segni che lo fanno impazzire. Il modo in cui muove le sue mani, come se stessero danzando ripetutamente sui tasti di un pianoforte. E i suoi occhi che sono li, ti guardano ma al tempo stesso non ti guardano perché sono immersi in un mondo di cui solo lei è a conoscenza. E pensa che vuole quella ragazza. Sa che farle della foto sarebbe fantastico e saranno grandi foto. E si butta. Lei accetta. Lui fa delle foto. Anzi non delle foto, ma le fa sempre foto. Solo a lei. Fa foto ai suoi occhi, alle sue mani, ai suoi capelli, alle sue gambe, al suo ventre. Lei diventa l’ispirazione per eccellenza. . E adesso lui non sa cosa fare, perché l’affitto lo deve pagare, e anche la spesa. Ma la gente vuole nuovi lavori, nuove foto e lui ha fotografato solo lei. Cos’altro può dire alla gente? E poi lei scompare e lascia solo un libro noioso che lui non vuole leggere. E intanto la gente chiede e lui guarda quelle foto e dio sono proprio belle e non sa perché sono belle foto o perché c’è lei li che lo fissa distesa su questo letto. E niente lui vorrebbe solo chiederle scusa ma dirle anche che quelle foto sono sicuramente una delle cose più sensazionali che lui abbia mai fatto. E che è sicuro che la gente impazzirà e a loro non importerà che lei sia nuda non sarà uno scandalo perché diamine quelle foto nascondo un significato che la gente che guarderà sa capire e leggere e loro vedranno solo tante belle foto.” Ed era così sgrammaticata quella barca che io amante delle stranezza dissi solo sì. Riguardando ora quel suo lavoro non posso fare a meno di pensare che Hans era effettivamente uno dei più abili fotografi che io abbia mai conosciuto ma quando la prima volta entrai in quel corridoio lungo cui decine di volte il mio volto appariva fui meravigliata. Era come se il mio corpo fosse un campo di battaglia per una guerra di luci ed ombre, era sensazionale. Se in una foto la luce prevaleva lasciando al buio solo orli della mia pelle, nella successiva ero un tutt’uno con l’oscurità e spicchi di luce lasciavano scoperti brevi porzioni dei miei fianchi. E non fui più osservatrice ma fui all’improvviso il centro. Non furono occhi languidi e sguardi scioccati, ma gente rapita all’improvviso smaniosa di scoprire chi fosse quella ragazza vestita solo di pelle. Una Biancaneve in bianco e nero. Restammo fino alla chiusura e quando ci fummo solo io e le mie copie l’emozione salì fino ai miei occhi. Ed accarezzai quei visi, traccia il contorno di labbra e corpi che mi erano estranei. Ammirai quegli occhi sfiorando emozionata la mia stessa pelle, brividi di attesa come se quel tocco potesse ripercuotersi sul mio di corpo. Hans mi osservava. Rideva chiamandomi bambina, mi disse “Smettila di giocare Alice nello specchio, non vedi che quello è solo il tuo riflesso?”. Mi fermai, colpita da quella frase. MI girai e il seguito fu solo un vomitare parole: “No, no, questo non è un riflesso. È incredibile, è come se tu mi abbia creata per decine di volte. Qui sono nella pace luminosa di un qualche paradiso e qui guardami nell’oscurità come una belva della notte” e sfioravo le tele, assumevo pose ed indicavo in una danza di meraviglia. Piroette tra i quadri, risate di eccitazione, trascinai Hans nel mio canto di lode. Ballammo all’ombra dei miei visi e mi sembrò giusto in quel momento desiderare le sue labbra. La nostra frenesia da baccanti si concluse e restammo fermi a tessere pensieri negli occhi dell’altro. Come la platea, quando anche l’ultima nota si dissolve nell’aria, riesce ad attendere solo un sospiro trattenuto nella gola, fermato dall’eccitazione per poi esplodere in grida di esultanza così noi attendemmo battiti di ciglia, durante i quali pensieri impazziti, bestie selvatiche scalciavano nella mia mente. Era forse in un bacio racchiuso l’amore? Baciarlo avrebbe significato amarlo? Ed io lo amavo? Bramavo le sue labbra perché le mie vene, il mio corpo erano permeasi d’Amore, o in quel bacio stava solo racchiuso un istinto primordiale, quella parte animale sepolta in noi, ruggiva nel mio petto solo per la soddisfazione di un qualche piacere? Incurante del caos lo baciai. E fu il big bang. L’annullamento. Fu come rinascere e rivivere. Ed era un bacio timido da bambini, con la goffaggine degli adolescenti ma la consapevolezza degli adulti. Fu come vento, soffio lieve che riuscì con una facilità disarmante a spazzare via dubbi e paure come un castello di carte mal costruito. E mi abbandonai a ciò che sembrava Amore. Non vi furono cambiamenti eclatanti, restammo noi stessi, le solite chiacchierate, i soliti comportamenti ma sulla soglia del sua appartamento, davanti alla porta bianca scheggiata non ci scambiavamo solo fugaci parole di consuetudine ma baci pigri che racchiudevano più di quello che sembravano. Imparammo che amarsi non era solo qualcosa in più di un’amicizia, c’era da comprendere dell’altro sia i pregi sia i difetti, si diventava l’uno l’estensione dell’altro fino a confondersi in un’unica entità inscindibile. Per questo il tempo che trascorrevamo insieme aumentò sempre di più, come le carezze e i baci che Hans man a mano pretendeva crescevano in maniera esponenziale. Iniziai in un crescendo, a sentirmi insicura, la comprensione, la pazienza, il contatto richiestomi cominciarono gradualmente a soffocarmi. Non era per me un abitudine facile da accettare il fatto che uscire con qualcuno che non fosse Hans mi stava venendo negato, che nel suo appartamento non eravamo più due anime che volevano capirsi, scoprirsi, non c’erano più mani che casualmente si sfioravano, ma tocchi forti e dita che affondavano nella carne morbida dei mie fianchi. Ma in quel cielo di pioggia che erano i suoi occhi continuavo a scorgere la promessa di un amore fiabesco e così continuammo. Poi il sogno crollò. Penso che l’ascesa iniziò quando mi chiese ufficialmente di diventare la sua modella. L’ultimo lavoro di Hans aveva così colpito il pubblico che i critici, gli appassionati tartassavano il giovane artista chiedendogli quando il suo prossimo lavoro sarebbe uscito. Era come se avessimo nutrito un uomo digiuno da mesi con briciole di pane aizzando così tanto la sua fame che questi ora era così desideroso da poter divorare anche noi. Iniziai quindi a conoscere i giorni bui del mio creatore. Le foto che aveva realizzato, come mi disse, erano frutto di curiosità, erano la risposta al suo desiderio di capirmi, di scoprire quali mondi si celassero dietro i miei occhi scuri, aveva voluto indagarmi, trovarmi e c’era riuscito, riportando sulle lastre la nudità delle mie emozioni. Ma ora eravamo amanti, conoscevano a fondo l’un l’altro, la scintilla che infiammò il suo cuore ora si era smorzata. Dovevo restare nello studio per ore, una disturbata melodia di pose, scatti sbagliati, urli e capelli strappati. La tua macchina fotografica forse è gelosa di me, azzardai a dirgli un giorno, fu uno sguardo la sua risposta, attraverso i ciuffi spettinati quegli occhi mi fissavano trapassandomi l’anima. Imparai a tacere sempre di più, limitandomi ad ascoltare le sue urla, i suoi spergiuri, le offese che talvolta erano rivolte a me. Dopo la tempesta il mare si placava. Piangeva sempre più spesso, timoroso di essersi perso e sentendosi colpevole per gli epiteti che mi rivolgeva. Allontanarsi fu inevitabile. Non c’erano più barche di racconti o quell’atmosfera di dolce semplicità che aveva accompagnato i nostri primi incontri. Conversazioni senza parole e tazze vuote. Un grigio dal sapore di smog avvolse la nostra vita, quella miscuglio di battute e pensieri che condividevano senza timore ogni giorno in poco tempo fu spazzato via da silenzi carichi di parole che vibranti riempivano quelle stanze senza però mai sfiorarci. Poi un giorno venimmo chiamati. Un filantropo straniero desiderava ospitare l’ultima opera di Hans nella sua casa per inaugurarla. Parteciparvi fu doloroso, entrammo in quella che era diventata non più una mostra ma un palcoscenico, attori esordienti recitammo il nostro amore ed io fissai con rimpianto quella ragazza che più di ogni altro giorno mi sembrò distante, estranea e seppi fissando Hans che anche lui non poteva non pensarla così. Accarezzai nuovamente il mio viso non più sorpresa ma malinconica di quell’allegria sbarazzina che aveva illuminato i miei occhi ed anche i suoi, che ricordavo scrutarmi curiosi, nascosti dall’obbiettivo. Continuammo ad incontrarci, giornate vuote in cui io continuavo a sentirmi sempre più inutile e senza forze; controllavo ogni giorno con cura maniacale se la pelle fosse ancora bianca e perfetta, gli occhi truccati, criticando quelle che ritenevo le mie imperfezioni ed incidendo con le mie unghie la morbidezza della mia pancia. L’arte è bellezza, sono come due fattori indivisibile, uniti in un intreccio talmente stretto ed intricato che nessuno avrebbe saputo scindere, non c’era arte se non c’era bellezza. Eppure chi poteva definire la bellezza? La storia testimonia di uomini alla sua continua ricerca, pensando di ritrovarla in ciò che il secolo dopo sarebbe stato smentito. Buffo come le creature più imperfette cerchino di creare, di plasmare la perfezione. Perfezione. Solamente sillabe che scivolano sulla lingua. Perché non sarei bella? Perché non sarei perfetta? Perché? Lo urlavo al mio specchio, ma il mio riflesso era muto. Non riuscivo a distaccarmi da questa serpe che sopra le mie ferite lasciva colare in una lenta agonia il suo veleno. Quando il tuo stelo sarà accasciato al suolo e dei tuoi petali non resterà che cenere potrà ancora lui volerti? Un’artista può amare un fiore morto? Ti mostrerà più orgoglioso che tu sia la sua ispirazione? Parlerà di te come il deserto parla della pioggia, come un credente parla del suo dio? E patetica mi crogiolavo in questa autocommiserazione rendendo le pareti del mio bagno uniche partecipi del mio declino. Ormai resistere tra quelle sbarre immaginarie, continuare a ferirci senza avere però coltelli in mano mi era impossibile. L’amore dei batticuori e dei sospiri venne sostituito da una forma più violenta, più primordiale. Incanalammo quel sentimento nato come creatura senza peccato in qualcosa di appena abbozzato, una linea sottile sospesa sui dubbi. Un velo oscuro cadde tra di noi ed io in un effimero tentativo di recupero cercavo di scostarlo, aggrappandomici speravo di strapparlo, di aprirvi un varco mentre Hans dall’altra parte a capo chino rimaneva nascosto dietro questo, figura indefinita nel mezzo delle ombre iniziò a diventare talmente sfocato da confondersi con esse. Era impressionante l’improvviso cambiamento che aveva subito. L’avevo sempre saputo che lui era il mare, capace di diventare burrasca in pochi attimi.        
Una spasmo di dolore che si propaga come fuoco liquido fa tremare il mio corpo e in rauco sospiro le immagini dei miei ricordi svaniscono e mi ritrovo di nuovo contro questo muro, i suoi occhi che scavano e incidono mentre la lama del coltello non abbandona la mia carne. Osservo quasi incredula il sangue che copioso e lento disegna ghirigori scarlatti sul mio maglione. Anche Hans osserva questo dipinto che è il mio petto ed inesorabile vedo nei suoi occhi guizzare la consapevolezza ed ho paura. Avevo sentito, appena uscita di casa questa mattina, dentro di me una sensazione nauseante, quel sesto senso che tenta in un alfabeto morse di indicare il pericolo. Con le viscere aggrovigliate ero entrata nel suo salotto e non appena la vista della gigantografia del mio viso squarciata, sfregiata, aveva incontrato i miei occhi il respiro mi si era mozzato in gola. A terra un coltello, autore di quel delitto ancora fresco, la vittima, la mia copia senza volto che giaceva sbilenca contro una poltrona. Era emerso dalla cucina come un animale selvatico sguscia fuori dalla sua tana. La camicia storta e la mano ad arpionare lo stipite della porta. Il ritratto dell’ubriacatura nella più magnifica delle forme. Una maschera di disperazione dura, tagliente come i vetri delle bottiglie di whisky che giacevano sul pavimento, naufraghe di una tempesta di ira. “Cosa diamine stai facendo?” un refolo di disgusto lascia le mie labbra e lui si infuoca. “Tu” inizia in un sussurro, rauco, voce ovattata dall’alcol. Un passo indietro. “Tu” questa volta è un ringhio, una vibrazione profonda che sa stringerti in una morsa di autentico terrore. Irrompe il silenzio, e poi in attimi esplode. Urla di parole incomprensibili e poi mi ritrovo contro a di un muro, una sua mano alla gola. Mi fissa indagatore, accarezzandomi rude i tratti del viso. I suoi occhi sono riflesso di pazzia. “Tu, tu eri così bella. Così bella, così fuori dall’ordinario, eri la mia musa e guarda adesso. Guarda” mi afferra il mento. “Guarda cosa sei adesso, una patetica imitazione di quotidiano. Come pensi che io possa creare qualcosa eh? Come pensi?”. Tacevo. Donarmi non era stato forse abbastanza? Corpo ed anima non possono soddisfarlo? “Rispondimi”. Filastrocca d’infanzia, se il lupo ti fa buh tu chiedi gli occhi e canta. “Rispondimi” piange nell’urlo Hans, mentre colpisce furioso la parete di fianco alla mia testa. Colpi sempre più forti e carichi di una rabbia da uomo. E poi le sue membra si sciolgono in un pianto ubriaco ed afferrato il mio maglione scivola a terra soffocando nella stoffa gemiti ed imprecazioni. Piango in silenzio, lacrime di paura, lacrime di delusione. Vedo quest’uomo che mi pare di non conoscere, questo Otello geloso della mia copia, geloso dell’idea di me che amava, geloso di sapere che la sua amata è svanita, dissoltasi dopo l’ultimo scatto. Si lui amava una foto, non questa carne che ora graffia e stringe. Restiamo lì, io in piedi, le guance rigate di dolore salato ed Hans che urla nel mio ventre, inginocchiato sul pavimento freddo. Si alza barcollando e mi scosta, improvvisamente libera non mi premunisco di sistemarmi ma lascio dietro di me solo un sussurro: “Ora vado”. Arrivo fino alla porta poi una mano mi afferra un polso e mi ritrovo in una battaglia di sguardi. Corpi stretti a contatto. “Non andare” cielo di tempesta nei suoi occhi “Non rimane più niente per me qui”.  Un fulmine che squarcia quel cielo, il suo braccio scatta. La lama urla vittoriosa ed affonda nel mio petto. Ed eccoci ora, amanti stretti in un abbraccio di morte, a scambiarci sussurri che sono gemiti di dolore. Non pensavo potessi realmente sanguinare, ma la prova evidente imbratta il tessuto, le sue mani, oh quelle mani che un tempo sfioravano la mia pelle come solo gli uomini innamorati sanno fare. Un tocco che è fuoco e balsamo. Una reminiscenza del liceo affiora nella parola greca “farmacon” dal duplice significato, veleno e cura. Ed il nostro amore è stato questo una cura, un rimedio capace di affievolire ogni affanno ma che allo stesso tempo dal troppo uso si è tramutato in fiele amaro che ha indurito i nostri cuori e lentamente in un doloroso strazio ci ha condotto alla rovina. Mi chiedo quanto serva perché il mio corpo mi abbandoni definitamente, vederlo iniziare a capire che si la sua mano mi sta conducendo alla morte mi frantuma più del dolore fisico. E capisce. E urla. E d’improvviso lascia il mio corpo ed io cado, fantoccio rotto incapace di rialzarsi. Si guarda le mani sconvolto e mi fissa. Non voglio morire in questi occhi di terrore. Lo chiamo. Lentamente si abbassa, timoroso di recarmi dolore solo toccandomi. Il burattinaio che con orrore fissa la sua creazione, la sua bambola più bella giacere a terra, le crepe che devastano il corpo di porcellana, ormai finita, sapendo di essere lui il colpevole. Hans davanti a me si stringeva la camicia all’altezza del cuore come se questo li impedisse di sfondare la sua cassa toracica per abbattersi al suolo. Lo guardo e non provo odio o paura nel vedere davanti a me colui che come mi ha creato ora mi distrugge. E sento i battiti del mio cuore che rimbombano nelle mie tempie, canzone delle vita vicina alla fine. D’improvviso le sue braccia mi avvolgono e lui mi stringe in un abbraccio goffo che sa di disperazione e scuse. Formulo la mia ultima richiesta con sillabe titubanti. Con un bacio il nostro declino è iniziato e con un bacio lo sigilleremo. Le sue labbra si posano, frementi ali di colibrì e tra queste tue labbra mio artista io esalo il mio ultimo respiro. E così con un bacio io muoio.

Angolo dell'unicorno:
Ciao a tutti dunque non sono proprio brava a presentarmi o a presentare quello che scrivo quindi sarò brevissima . Spero che questa mia storia vi possa piacere e che troverete Hans dannatamente fantastico come io l'ho trovato. Lo ammetto è il mio personaggio meglio riuscito *si asciuga una lacrima*. Purtroppo io sono spesso una di quelle famigerate lettrice silenziose quindi se non vorrete lasciare un parere no problems anche se mi farebbe molto piacereee ed anche ad Hans. Detto questo grazie mille per aver letto auguro montagne di libri e di biscotti a tutti voi ^_^
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: alexiel22