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Autore: giulib16    13/12/2015    0 recensioni
Adelya è una ragazza come tante altre; o almeno così credeva. Finchè un giorno le arriva una lettera sospetta, da un anonimo. Ed è proprio qui che comincia la sua avventura. é qui che scoprirà di essere una dei quindici Teller.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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… 17 anni prima …
La dottoressa percorreva a grandi passi il suo studio. Era di un colore bianco sterile, ghiacciato, freddo. Tutti i documenti erano impilati con un ordine a dir poco terrificante. Gli scaffali erano perfettamente ordinati. Vi erano almeno tre computer, Uno dei quali mostrava le immagini trasmesse dalle telecamere. Sembrava tutto normale. Un normale, noioso, lunedì. Ma non era così. La dottoressa lo avrebbe desiderato molto, e maledì tutte quelle volte in cui si era lamentata di avere sonno, o di non aver bevuto il suo solito caffè mattutino, perché quel giorno la situazione era molto più grave. Continuava a camminare frenetica, massaggiandosi il mento, chiedendosi come mai era finita in quella situazione. Assomigliava tanto ad una creatura in gabbia, racchiusa in quelle quattro mura candide. Era andata a scuola, aveva frequentato l’università, si era laureata con i massimi voti, le avevano offerto un lavoro al laboratorio. Ancora ricordava quando era solo una piccola stagista entusiasta e ingenua. E invece ora era lei al comando. Poi ad un certo punto notò un movimento sullo schermo del computer che trasmetteva le immagini delle telecamere. Subito dopo sentì bussare alla sua porta.
Deglutì. “Avanti”
Una figura piccola fece capolino. “Dottoressa. È ora” disse questa.
Aveva dei capelli rossicci, legati in uno chignon stretto sulla nuca. Indossava un paio di occhiali con la montatura di metallo, rotonda, con lenti a fondo di bottiglia. Era magra, minuta … Ma in gamba. Una volta che la dottoressa sarebbe partita, il comando sarebbe passato a lei. “Arrivo” rispose subito. Poi staccò una piccola chiave argentata dalla cordicella che teneva al collo, la infilò nella serratura di un cassetto della sua scrivania. All’interno di esso, una scatola nera, sigillata. Lo aprì con un’altra chiave, questa volta dorata, che teneva nascosta nel portapenne. Ed ecco. L’ultima fialetta. La prese e la mise in tasca. Lasciò il contenitore aperto, e seguì la ragazza per l’edificio. Presero due ascensori, attraversarono corridoi, alcuni bui e stretti, altri ampi e luminosi. Infine arrivarono davanti ad una porta blindata, di metallo.
La ragazza dai capelli rossi fece per aprirlo, ma la dottoressa la fermò. “Voglio farlo io”.
La ragazza si fece da parte, chinando la testa in segno di rispetto. Fu così che la dottoressa si avvicinò e digitò una serie infinita di numeri. Seguirono numerosi rumori metallici. La porta si aprì. La dottoressa entrò. L’ambiente era semiluminoso, profumava di rose e cotone. Intorno a lei vi erano venti culle di vetro, diciannove delle quali vuote. Rimaneva solo l’ultima culla, l’ultimo soggetto. Era una bambina. La dottoressa si avvicinò. Quando le fu vicino, si chinò sulla culla. Poteva vedere il visino roseo, così fragile e ingenuo. Approfittò del fatto che la bambina dormiva per prenderla in braccio. Cominciò a farla dondolare tra le sue braccia. Le scappò un sorriso. Poi però scosse la testa, come per scacciare un brutto pensiero. Non c’era tempo per i sentimentalismi. Infilò la mano nella tasca del camice bianco, e tirò fuori la siringa. Con la mano destra affondò l’ago appuntito nella mano della bambina, che per il dolore si svegliò e cominciò a piangere e strillare. La dottoressa per lo spavento lasciò cadere la siringa che si ruppe all’impatto col pavimento. Poi adagiò la bambina nella culla. Uscì di corsa e chiuse la porta dietro di sé. Appoggiò la schiena sulla superficie fredda e piatta di questa, e cominciò a respirare profondamente.
“Dottoressa, ha fatto la cosa giusta” Disse la ragazza, che era rimasta fuori dalla stanza per tutto quel tempo.
“Questo è quello che pensi tu. Chi siamo noi per giudicare cos’è giusto?”
“Noi non siamo nessuno per giudicare cos’è giusto” Disse pronta lei “Ma possiamo capire cosa è sbagliato. E so che quello per cui stiamo lottando, non è sbagliato” Nessuno parlò per i successivi tre minuti circa.
Poi la dottoressa riprese: “è ora che io scappi”
“Lei non sta scappando …”
“E invece sì. È ora che io scappi. Non devi dire a nessuno dove mi rifugerò. Non provare a contattarmi, ho fatto tutto ciò che potevo fare. Se potrò sarò io stessa a tornare, al momento giusto. Nel frattempo, il comando sta a te.”
La ragazza annuì seria. Al che, la dottoressa la prese per le spalle e le disse: “Devi Giurarmi che ti prenderai cura della bambina” gli occhi erano diventati lucidi “Devi farlo”
“Certo … io … io, io prometto che mi prenderò cura della bambina” rispose allora quella. Allora la dottoressa la lasciò, e senza una parola si girò, percorse tutto il corridoio fino a svanire dalla sua vista.
Ora veniva il bello.
   
 
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