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Autore: _armida    15/12/2015    1 recensioni
Ade si chinò sul suo volto, quasi volesse sfiorarglielo con il proprio. “Lo sentì il sole sulla tua pelle, Persefone?”, soffiò sulle sue labbra. Un gesto elegante della mano e le foglie secche ancora attaccate ai rami sopra le loro teste si staccarono, permettendo così ad un raggio di sole di penetrare all’interno del cerchio, finendo a lambire le loro due figure.
“Il bell’Apollo, il tuo caro Dioniso, loro parlano del sole, del suo calore sulla pelle, ma tu ti limiti a sorridere ed annuire, fingendo di sapere di cosa parlano ma in realtà non lo sai. Senti solo un leggero torpore, niente a che fare con la sensazione divorante che provano loro. La pelle delle divinità che conosci si scurisce e diventa ambrata, la tua rimane invece sempre pallida. Ti sei mai chiesta il perché di tutto questo?”
Parlava davvero di lei? Oppure c’era anche un pochettino di sé stesso in quelle parole?
“Io e te non siamo poi così diversi”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I: La Città degli Umani

18 anni dopo...

Persefone si stropicciò gli occhi ancora assonnati e si stiracchiò. Le pregiate lenzuola di seta, a contatto con il suo corpo, produssero un piacevole fruscio. Osservò la luce che si riversava nella sua stanza: era un po' troppa, a quell'ora, persino sull'Olimpo. Sicura di essersi svegliata all'alba? No, Persefone non ne era più convinta. Aveva dormito più del previsto, ecco spiegato il perchè.
Si alzò di scatto e andò verso l'ampia vetrata che conduceva sul proprio balcone: Helios doveva già essere in cielo da parecchio, con il suo carro solare. Aveva dormito troppo. Lo sapeva che non sarebbe dovuta rimanere sveglia fino a tardi ad ascoltare le storie che raccontavano Apollo e Dioniso intorno al falò, nei giardini. Non doveva lasciarsi convincere da quei due.
Si tolse in fretta la sottile camicia da notte in cotone che, come ogni volta, si impigliò nel bracciale d'oro che portava sempre al polso. Era un regalo dei suoi genitori, creato apposta per lei da Efesto; una sottile catena d'oro con, al centro, una pietra bianca dai riflessi dai mille colori. Opale, forse. 
Aprì l'armadio, alla disperata ricerca di qualcosa da mettere. Provava sempre un moto di disgusto, osservandone l'interno: abitini rosa, fucsia, color confetto... la maggior parte degli abiti sembravano fatti su misura per una bambina di nove anni. Peccato che Persefone, di anni, ne avesse il doppio. Perchè sua madre si ostinava a riempirle l'armadio di abiti da bambina? Perchè non riusciva a capire che sua figlia era ormai diventata adulta?
Persefone sbuffò mentre si faceva spazio tra tutti quei colori imbarazzanti. Alla fine, appallottolato sul fondo, trovò un peplo monospalla bianco, lungo fino al ginocchio. Lo aveva 'rubato' alla sua sorellastra Artemide parecchio tempo prima...
Non si curò minimamente di quanto fosse stropicciato e lo indossò; lo fermò in vita con una sottile cordicella di cuoio intrecciata e mise ai piedi dei sandali alla schiava. Raccolse i ricci capelli castani in una coda e prese la propria bisaccia e alcuni fogli, sparsi sulla scrivania.
Accostò l'orecchio alla porta, per captare eventuali segnali di vita nell'ampio salotto che condivideva con le sorellastre, ma non udì niente.
Artemide ed Atena si erano senz'altro svegliate all'alba, Ebe era in giro per il palazzo a controllare che tutto fosse in ordine e, Afrodite, che aveva fatto la sua comparsa la sera prima, casualmente poco dopo il ritorno di Ares da una delle sue campagne di guerra, non aveva di sicuro passato la notte nella propria stanza. Nè a casa, da suo marito. A Persefone faceva sempre un po' pena, Efesto che, nonostante i continui -e palesi- tradimenti della moglie, l'amava ogni giorno di più. Il comportamento della sua sorellastra, invece, la disgustava.
Abbassò lentamente la maniglia e, con passo felino, attraversò il grande salotto. Poi, con estrema cautela, aprì il portone che conduceva in uno dei numerosi corridoi del palazzo di suo padre; si guardò intorno, per controllare che non arrivasse nessuno e poi sgusciò fuori, diretta alle stalle.
Mentre camminava, si mise a studiare  i fogli che aveva con sè. Così concentrata, non si accorse della persona che veniva in direzione opposta. Ci andò a sbattere contro in pieno. I suoi appunti si sparsero per il pavimento marmoreo. "Scusami, Ermes", disse mortificata, mentre si chinava a raccogliere i fogli caduti. Arrossì notevolmente per l'imbarazzo, facendo per un attimo scomparire la miriade di lentiggini che le coprivano gli zigomi.
Il consigliere di Zeus sospirò e si abbassò, per aiutarla. "Non fa niente, Persefone. Ma la prossima volta fai più attenzione", le rispose, sorridendole con fare paterno. Le passò i fogli. 
"Grazie, Ermes"
Il messaggero degli dei fece per dire qualcos'altro, ma la giovane dea era già svanita. Scosse la testa, pensando che, qualche giorno, gli avrebbe fatto venire un infarto. Non si ricordava che fosse stato così difficile, tenere a bada le sue sorelle...

Persefone arrivò alle scuderie e si diresse velocemente verso il proprio cavallo alato, trovandolo già sellato. Sorrise, ben consapevole che prima o poi avrebbe dovuto rendere  il favore ad Apollo.
Prese le briglie e condusse il cavallo fuori. Gli saltò in groppa e gli diede il segnale per partire.
Le ampie ali cominciarono ad alzarsi e abbassarsi sempre più velocemente, mentre il suolo diventava sempre più lontano.
"Direzione: Atene", disse.

***

Atene era una città dinamica e florida; con il suo grande porto, meta obbligatoria per ogni mercante, con la sua agorà, dove le idee nascevano e si diffondevano, e con la sua acropoli che, una volta completata, sarebbe stata la più grande e maestosa di tutto il mondo conosciuto.
Persefone atterrò in un boschetto poco lontano dalle mura cittadine. Appena gli zoccoli del cavallo alato toccarono terra, le sue ali scomparvero, assumendo le sembianze di un qualsiasi cavallo utilizzato dagli umani. 
Si diresse a galoppo verso la grande porta che permetteva ai viandanti d'entrare in città. Rallentò, quando ci fu davanti.
Come di consuetudine, le guardie ai lati dell'entrata la lasciarono passare senza battere ciglio. Uno dei giovani soldati, le fece un amichevole gesto di saluto, con la mano. Ormai la conoscevano, visto che passava di lì quasi ogni giorno.
Persefone rispose al saluto con un cenno del capo. 
Nessuno sapeva che lei era una dea, la consideravano come una comune mortale e non come la dea della primavera. La dea della primavera era conosciuta come Kore, non come Persefone, fortunatamente. Ma poi, perchè la consideravano la dea della primavera? Questo lei non lo riusciva a capire: non aveva poteri o qualità speciali, come tutti gli altri dei... Forse, la consideravano tale in quanto figlia di Demetra. Questa era l'unica spiegazione plausibile.
Scosse la testa: era inutile scervellarsi a trovare risposte a domande che di risposte non ne avevano.
Una volta arrivata in corrispondenza del mercato cittadino, scese da cavallo; con tutta la gente che c'era, restare in sella, era rischioso. Le vie dove si svolgeva il mercato erano vicoli stretti già di loro e poi, con le bancarelle messe in fila su entrambi i lati, diventavano ancora più stretti.
Sorrise, ricordandosi la prima volta che era stata lì, la prima volta che un umano le aveva rivolto la parola: doveva averla presa per pazza, visto la faccia terrorizzata che aveva fatto. Poi, lentamente, si era abituata a loro. Adesso capiva perchè sua zia Estia aveva deciso di vivere tra di loro, invece che sul Monte Olimpo.
Lo stretto vicolo finalmente si allargò, aprendosi su un'enorme piazza di forma rettangolare, circondata su tre lati da un porticato: l'agorà. Qua e là, si potevano trovare filosofi e sapienti intenti a divulgare le loro idee, circondati dai loro discepoli  e allievi o da semplici curiosi.
L'attraversò, dirigendosi verso nord, dove un'alta scalinata in marmo, portava verso il fiore all'occhiello di Atene: la sua acropoli.

***

Legò il cavallo sotto ad un grande albero e si diresse velocemente verso il tempio principale del complesso, il Partenone, dedicato ad Atena, protettrice della città.
Lì il lavoro era frenetico, con operai che arrivavano da tutte le direzioni, scultori e pittori impegnati con le decorazioni e i sovrintendenti che strillavano ordini a destra e a manca.
Persefone sorrise: lì sì, che si sentiva pienamente a proprio agio. Neanche i prati verdi e rigogliosi, o i giochi con le ninfe, o le bravate con Apollo e Dioniso, la facevano sentire così viva.
"Fidia ti cerca"
La dea si voltò, per osservare il suo interlocutore. "Ciao, Agoracrito". Era l'allievo prediletto del brillante scultore.
"Sei in ritardo, piccola Persefone"
"Sono rimasta addormentata"
"Il maestro era parecchio nervoso, oggi", continuò, massaggiandosi una mano, dove aveva fatto la sua comparsa una vistosa linea violacea. 
La giovane dea cercò di smascherare un risatina -alquanto fuoriluogo- coprendosi la bocca con una mano. Non faticava di certo a capire il perchè Fidia fosse così nervoso: Agoracrito era un burlone, lo sapevano tutti, e di certo, doveva averne combinata una delle sue, che aveva fatto arrabbiare il maestro.
"Buona fortuna, Persefone. E' stato un piacere conoscerti", le disse divertito, dandole un'amichevole pacca sulla spalla. Doveva averla fatta davvero grossa, per essere così melodrammatico. Mentre si allontanava, le fece l'occhiolino.

Fidia, si trovava proprio davanti al Partenone, sotto il grande frontone di forma triangolare, intento a discutere con uno dei capicantiere. Appena la vide, congedò l'uomo.
"Salve, maestro", disse la dea, con una voce al metà tra l'incerto e il timoroso.
"Sei in ritardo", ribattè lui, severo.
"Sono mortificata, ma..."
"Quando mi hai implorata di concederti di diventare una dei miei allievi, mi hai rassicurato più volte sul fatto che non mi avresti creato nessun problema"
Persefone abbassò lo sguardo sui propri piedi, mortificata. Prese a torturarsi le mani. "Mi dispiace"
"Volevo mostrarti una cosa ma, ora, non sono più così certo di volerlo fare". Fidia era un insegnante severo, ma era il migliore sculture che il mondo avesse mai visto.
"Ho qui il progetto che mi avete affidato, finito", disse la dea, sperando così di imbonirlo un po'.
"La consegna è settimana prossima. Sei certa di volermelo consegnare ora?"
"Certissima", rispose lei con un sorriso. Forse ce la stava facendo.
Estrasse dalla sua bisacca i fogli che, quella mattina, quando si era scontrata con Ermes, si erano sparsi per il corridoio del palazzo. Li porse a Fidia.
Le sopracciglia dell'anziano scultore si aggrottarono, mentre si concentrava, mostrando un labirinto di rughe ben più intricato del solito. Si passò più volte la mano sulla folta barba bianca.
Persefone, nel frattempo, restò in rigoroso silenzio, impaziente. Continuava ad ondeggiare, postando il peso da un piede all'altro.
"Notevole", si lasciò sfuggire Fidia. 
La giovane dea sorrise: erano rare certe manifestazioni di apprezzamento, da parte del maestro. Ma per lei, aveva sempre avuto un occhio di riguardo. Forse perchè era una donna, l'unica donna in tutto il cantiere. 
"Hai fatto un buon lavoro, per essere il tuo primo progetto"
"Grazie, maestro", rispose lei, raggiante. Aveva un sorriso da parte a parte e, se avesse potuto, ora si sarebbe messa a saltellare qua e là, come una molla impazzita. Ma non lo fece, quello non era il comportamento adatto.
Fidia le ridiede indietro i fogli, su cui c'era rappresentato il suo primo progetto: un piccolo tempietto, destinato ad alcune divinità minori. Sarebbe sorto nella parte bassa dell'acropoli, in una posizione secondaria, lontano dai templi principali. Non un grande progetto ma, per incominciare, era sempre meglio di niente. Lei senz'altro aveva accolto l'idea con grande entusiasmo.
Quando si fu ripresa dalla felicità, notò che Fidia la stava osservando con un sorriso sulle labbra e uno sguardo che, a Persefone, ricordava tanto quello che un nonno rivolge ai propri nipotini.
"Sono perdonata?", chiese, implorando l'anziano mentore con i suoi grandi occhi verdi.
L'altro sospirò. "Non pensare che questo sia un trattamento di favore solo perchè sei una donna, bambina. Ritarda ancora una volta e non ci sarà niente, che ti eviterà una sonora bacchettata sulle mani. Ora vieni dentro, voglio mostrarti una cosa"

L'interno del Partenone era uno spettacolo per la vista: con quelle alte colonne in stile dorico, il pavimento marmoreo così lucido da riflettere la propria immagine, le statue e i fregi dalle forme perfette e i magnifici affreschi alle pareti.
Fidia condusse Persefone nella parte più interna del tempio, nella quale solo le alte sacerdotesse della dea Atena potevano entrare. Oltrepassarono un grande portone dorato, entrando nella sala più sacra di tutte, esattamente nel cuore del Partenone.
Osservò rapita l'imponente statua di Atena, alta dodici metri e scolpita da Fidia stesso nel marmo, con elementi dorati e avorio. 
"Sei senza parole, non è vero?", le disse l'anziano mentore. 
La ragazza si avvicinò timorosa alla statua, quasi come se rischiasse di rovinarla, con la sua sola presenza. Allungò una mano, sentendo sotto i propri polpastrelli la liscia e fredda consistenza del marmo. "L'avete ultimata"
Fidia annuì. "E tu sei la prima persona a cui la mostro, finalmente ultimata"
Persefone staccò per un attimo il proprio sguardo dalla statua della sorellastra, osservando il suo mentore. La teneva in grande considerazione, per riservarle un simile onore. "E' perfetta", riuscì solamente a dire.
"Volevo mostrarla anche a Agoracrito ma dopo lo scherzo di stamattina...". Fidia si interruppe bruscamente, zittito da uno strano rumore. Un rumore sordo, che sembrava avere origine da dentro il pavimento marmoreo.
Persefone guardò il suo mentore, spaventata. Provò a dire qualcosa ma, la terra sotto ai suoi piedi cominciò a tremare violentemente. 
La statua di Atena oscillava pericolosamente da una parte all'altra.
"Dobbiamo andarcene subito di qui", le urlò Fidia prendendola per un braccio e cominciano a correre fuori.
Dei calcinacci caddero vicino a loro. Corsero molto più veloce.
Una luce, l'uscita. Ancora pochi metri.
Tre, due, uno...
Persefone e Fidia tirarono un sospiro di sollievo, quando furono fuori.
Il terremoto continuò ancora per alcuni secondi, poi tutto tornò tranquillo.
La giovane dea si guardò in giro, ancora parecchio smarrita. Era ricoperta da capo a piedi di polvere, ma almeno era salva. 
Si sentì sollevata, quando vide Agoracrito correre verso lei  e Fidia. Grazie agli dei, era salvo anche lui.
"State bene", disse abbracciandola.
"Sì, fortunatamente stiamo...", Persefone non riuscì a terminare la frase. Si staccò da Agoracrito ed indicò con l'indice un punto alle loro spalle.
Gli altri due si girarono, sbiancando all'istante.
C'era un cono di luce oscura, all'orizzonte, che si stagliava minaccioso contro il cielo, sereno fino a pochi attimi prima. Sembrava avesse origine da un'ampia crepa nel suolo.


Nda
Bene, dopo un capitolo quasi del tutto descrittivo, si entra nel vivo della storia.
PS: visto che non farò in tempo a postare un nuovo capitolo prima di natale, vi faccio i miei più sinceri auguri :D

 
   
 
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