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Autore: Cici_Ce    15/12/2015    2 recensioni
Stiles sta ultimando il master a Yale, dove si è trasferito e studia da anni. Non fa più parte del branco di BH, così come anche Lydia, da quando un brutto evento ha cambiato ogni cosa e niente è più stato come prima. Ma anche se i rancori sembravano dimenticati, ritornano a galla nel momento in cui è costretto a fare una scelta: ritornare a Beacon Hills.
Questa storia partecipa alla seconda edizione del Teen Wolf Big Bang Italia
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non può che essere dedicata alle tre donne che mi hanno dato idee, mi hanno aiutata trovando orrori e buchi di trama che mai avrei visto da sola, e che mi hanno omaggiata con i più bei lavori artistici che si possano desiderare. Ma soprattutto, che mi hanno aiutata a superare un periodo difficile, come non ne avevo vissuti prima, e questo anche a discapito dei loro nervi già provati. Grazie a Lori Nykyo e Lizzie per avermi accompagnata in tutti questi mesi, senza mai mandarmi a quel paese!

Un appunto importante: Questa storia si svolge quattro anni dopo il diploma dei nostri beniamini, e non tiene conto di nulla accaduto dalla terza stagione in poi (niente branco di Alpha, niente Nemeton, niente Nogitsune). In sintesi, tutto è canon fino alla seconda stagione, dimenticatevi tutto il resto!

Un'ultima cosa: la storia è pronta, conta sette capitoli piú l'epoligo e seguirà un aggiornamento giornaliero.

Buona Lettura

Illustrazioni di LizzieBennet_BetyART (e se vi va, mi piacerebbe molto se passaste a lasciarle un segno del vostro apprezzamento, se lo merita!)

Grafiche di Eloriee

Questa storia partecipa alla seconda edizione del Teen Wolf Big Bang Italia

 

CAPITOLO 1

  

Un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Stiles, non certo per il tono con cui la vocetta immaginaria di Lydia nella sua testa lo stava minacciando di morte se non si sbrigava. Nel momento in cui sollevò lo sguardo dal telefonino, incrociò gli occhi dell'inquietante docente del corso avanzato di Antropologia Forense e rabbrividì. Con un sorriso nervoso e un po' di nonchalance non al meglio della sua ostentazione, Stiles fece in modo di far sparire il cellulare dalla faccia della Terra, o almeno dalla vista del professore. Bates: l'uomo all'apparenza più arcignoche mente umana potesse immaginare, in grado di terrorizzare gli studenti con un solo sguardo. Stiles lo paragonava allegramente a Severus Snape, anche se poi, in realtà, come Snape anche Bates pareva avesse un cuore. Solo che quel cuore si essicava completamente come quello del Grinch nel momento in cui entrava in aula, iniziava a fare lezione e qualcuno osava anche solo fiatare. Solo pochi minuti prima era stato sicuramente sul punto di azzannarlo alla gola a causa dello starnuto da record con cui Stiles aveva, purtroppo, interrotto la sua spiegazione, perciò quando il cellulare vibrò di nuovo, questa volta dalla tasca dei pantaloni, Stiles sobbalzò.

 

Stiles nascose il viso tra le mani sillabando un nervoso “ok” che non sfuggì al professore.

«Stilinski!» sentì ruggire.

«Professore!» Stiles scattò in piedi nell'esatto momento in cui le lancette dell’orologio a muro decretavano la fine della lezione e forse anche la sua condanna a morte.«Arrivederci!»

Afferrò tutto quello che teneva sul banco, lo gettò nella borsa alla rinfusa ed evitando accuratamente lo sguardo di Bates – pur consapevole che più presto che tardi ne avrebbe subito le conseguenze – con il telefono stretto in una mano e una manciata di fazzoletti nell'altra schizzò fuori dall'aula. Dita veloci trovarono il numero e avviarono la chiamata, così in fretta che quando Lydia rispose Stiles non aveva ancora messo piede in cortile.

«Tu mi vuoi morto», sbuffò contro il microfono, per poi lanciarsi un breve sguardo alle spalle. Giusto per sicurezza, non si sa mai.

«Ammetto che a volte provo forti istinti omicidi, ma di solito succede quando cominci a blaterare cose senza senso.»

«Allora la prossima volta cerca di essere un po' più paziente, grazie. Bates mi ucciderà, stasera.» 

«Chi, quell'adorabile batuffolo di pelo?»

Stiles non voleva, nemmeno per scherzo, immaginare quello a cui Lydia stava pensando, non se doveva prendere in considerazione la malizia che impregnava la sua voce. Il ghignetto furbo dell'amica si impose nella sua mente e Stiles gemette mentre altre immagini sempre meno caste, contenenti Lydia e Bates insieme, lo seguivano. Pessima, pessima idea invitarla a Yale per le vacanze invernali.

«Dio, non riuscirò più a guardarvi con gli stessi occhi.»

«Perchè? Non ho detto né fatto nulla.»

«Il tuo tono bastava e avanzava.» Stiles non potè fare a meno di sorridere, sentendola ridacchiare. «Allora? Cos'avevi di tanto urgente da dirmi, da posticipare il tuo gruppo di studio? E probabilmente anche farmi espellere o uccidere, considerata la vena che gli pulsava sulla tempia. Hai presente i manga? Uguale.»

Stiles si soffiò il naso per quella che doveva essere la centesima volta, solo nell'arco dell'ultima ora.

«Giusto, non perdiamo tempo. Tu e io sappiamo bene cosa vogliono dire le vacanze di primavera. Oddio, probabilmente lo so più io di te, visto che non hai voluto entrare in nessuna confraternita. Comunque, il poco tempo libero che avremo a disposizione da qui alla fine del Master io lo passerò in ritiro con le ragazze...»

Stiles starnutì dentro al fazzoletto e fissò con un sopracciglio alzato lo schermo del telefonino. Lydia stava continuando a parlare, e in un modo che gli ricordava inquietantemente se stesso. Brutto segno.

«...perciò l'unico momento che abbiamo per fare un salto a casa è ora.» 

«No.»

Lo sbuffo seccato di Lydia fu chiaramente udibile attraverso il telefono. «Andiamo! Da quant'è che non torni a casa? Anni? Decadi? L’ultima volta che hai visto il cortile di casa tua è stato la mattina della cerimonia di diploma, quando sei partito per Yale senza neanche ritirare quell’utilissimo pezzo di carta. Lo sai che adesso ci sono due querce in crescita sotto la tua finestra? Concordo che la tua media scolastica ha tratto notevole giovamento dal tuo attaccamento all’alma mater, ma non credi che ti farebbe bene anche...»

«Ho detto no», la interruppe, seguito da un nuovo starnuto. «Se non te ne sei accorta ho l'influenza. Grazie per la considerazione, comunque.»

«Cretinate, un po' di bacilli non ti hanno mai fermato, inventane un'altra.»

«Ho appena iniziato il corso extra con Bates e se pensi che possa saltarlo ti sbagli di grosso.»

«A Bates ci penso io», gli rispose lei, di nuovo con quel ghigno nella voce. 

Stiles strinse i pugni, mentre il nervosismo aumentava. «Ho fissato l'appuntamento per donare il sangue. Lo stand della Croce Rossa mi tormenta sempre, alla fiera dei mestieri, e quest'anno hanno vinto loro.» 

«Stiles, tu hai paura degli aghi.»

Stiles imprecò mentalmente mentre aggirava vari ostacoli, tra panchine e studenti infreddoliti, nel tentativo di raggiungere il proprio dormitorio e risparmiarsi così una probabile morte per assideramento. Maledetta costa atlantica.

«Ma anche questo non mi ha mai fermato, giusto?»

Lydia sospirò, questa volta più forte, e Stiles si arrese. Fermo in mezzo al corridoio che conduceva alla sua stanza, un semplice posto letto assegnatogli da Yale che in quattro anni non era mai riuscito a definire casa, chiuse gli occhi.

«Lydia...»

«No. Sono passati quattro anni, Stiles. Ogni volta che ci sentiamo mi dici che ti sono serviti e bla bla bla, e adesso guardati. Ti inventi qualsiasi scusa per continuare a scappare.»

Stiles strinse i pugni. «Non sto scappando», sibilò.

«Ah, davvero? Perché a me invece pare di sì. Non sto dicendo che devi riallacciare i rapporti con chicchessia, sto solo dicendo che magari a tuo padre farebbe piacere rivederti finalmente a casa, invece di dover sempre attraversare il paese per poterti abbracciare.»

Stiles le chiuse il telefono in faccia e, stringendolo in un pugno serrato, entrò nella sua stanza e si sbattè la porta alle spalle; dopo aver poggiato la borsa sul pavimento si buttò a letto, con un braccio sopra agli occhi.

Sul serio, Lydia? Giocare con i suoi sensi di colpa nei confronti di suo padre era una mossa che si era aspettato molto tempo prima ma che non le aveva mai visto giocare, tanto che aveva cominciato ad abituarsi all'idea di un'esistenza tranquilla. Grigia, magari, costellata di ricordi dolorosi e conseguente rabbia cieca, ma relativamente tranquilla. Con lentezza accese la schermata del telefono e si mise a fissarla, senza vederla davvero.

Quattro anni... quattro anni di una piatta, noiosa, autoimposta monotonia. Per l'amor del cielo, in tutto quel tempo aveva imparato moltissime cose, sia all'università che nel soprannaturale; aveva accumulato un bagaglio culturale davvero notevole, se non invidiabile ai più, ma tutto si fermava lì. Per quanto potesse ritenersi orgoglioso e dirsi soddisfatto di com'era la sua vita al momento, in realtà stava semplicemente mentendo a sé stesso. Era stato fortunato, a dire il vero, e si stupiva che la farsa fosse durata così a lungo. Da quando aveva lasciato Beacon Hills senza salutare nessuno, né Lydia né soprattutto suo padre gli avevano fatto il benché minimo accenno di predica o di rimprovero. Anzi, lo avevano incoraggiato, e lui aveva colto la palla al balzo così da potersi cullare in quella falsa bolla di serenità interiore che ora, con una sola telefonata, minacciava di scoppiare e lasciarlo col culo per terra. Il fatto era uno e uno soltanto: poteva anche raccontare a se stesso di essersi lasciato tutto alle spalle, di aver superato gli errori e le pugnalate subite nel passato per godersi un presente migliore, ma in realtà era bastata la telefonata di Lydia a far riemergere tutto a galla.

No, non sarebbe tornato a Beacon Hills, o almeno non per il prossimo migliaio d'anni. Certo, a quel pensiero il viso di suo padre fece allegramente comparsa nella sua mente regalandogli una stretta al cuore di quelle fenomenali, ma il ricordo del tradimento subito da parte dei suoi cosiddetti amici riuscì a distrarlo. Suo padre gli voleva bene, era fiero di lui e capiva. Giusto?

La vibrazione del telefono, che Stiles aveva scordato di avere ancora in mano, lo fece sussultare tanto che per poco non ruzzolò giù dal letto; lo distolse anche da quella valanga di pensieri, e grazie al cielo perché a continuare di quel passo ne sarebbe uscito sicuramente travolto. Gli bastò un'occhiata al mittente del messaggio, però, per mugolare tutta la sua enfatizzata disperazione.

Stiles corrugò la fronte. Non era abitudine di Bates dare appuntamenti così urgenti e così all’ultimo momento, a meno che non si trattasse di un test a sorpresa. E, in quel caso, di certo non lo avrebbe comunicato direttamente a lui. Facendo forza sugli addominali, Stiles si alzò di scatto dal letto e senza pensarci oltre avviò una chiamata.

Il Vecchio Olmo era una locanda di New Haven, vecchia forse quanto gli olmi per i quali la città era tanto apprezzata, e tenuta con altrettanta cura; uno di quei tipici edifici di legno con il classico porticato e il dondolo con i cuscini a fiori che si vedevano sempre nei vecchi film. E, come ogni edificio storico che si rispetti, era anche maledettamente fuori mano.

«Fammi indovinare, vuoi un passaggio?»

Stiles sobbalzò, perché non si era reso conto che il suo interlocutore aveva risposto alla telefonata.

«Ehi, Mike. Ti scoccia?»

«Nah, ormai il sedile del passeggero ha una conca con la forma del tuo culo. Passo tra mezz’ora, fatti trovare pronto, per una volta.»

«Sono sempre pronto.»

«Vero, ma poi ti accorgi di esserti dimenticato qualcuna delle vostre diavolerie e finisce che Bates mi massacra.»

«Ti massacrerebbe comunque. Vado a preparare le “mie diavolerie”, così la pianti di lamentarti.»

«Ingrato!»

Stiles chiuse la chiamata ridacchiando appena, per poi cominciare a riempirsi lo zaino. La stanza singola era una vera manna del cielo per qualcuno che, come Stiles, entrava e usciva a orari improponibili accompagnato da persone, o più spesso da oggetti, quantomeno improbabili.

Quando lo zaino fu finalmente pieno, tra le dimensioni considerevoli del libro di erbe e quelle del bestiario, e alcuni sacchetti colmi di altrettante erbe che gli era stato chiesto di rintracciare, Stiles scese prima in cortile e poi in strada, dove si sedette sul marciapiede in attesa. Era in anticipo e più che certo di non aver dimenticato nulla, anzi, si era impegnato molto perché fosse tutto pronto.

Chiunque avesse ascoltato la conversazione tra lui e Mike avrebbe pensato a un divertente battibecco, di quelli in cui ci si stuzzica tra amici. La verità era che a Mike, in effetti, scocciava davvero non tanto il doverlo passare a prendere quanto il sentirsi rimproverare a casa dei suoi ritardi. Non erano neppure le sgridate in sé, era una questione più profonda. Stiles era stato attento nel corso di quegli anni: mai lasciarsi trascinare troppo, e cercare sempre di mantenere il suo “essere Stiles” al minimo del sopportabile. Come era inevitabile, a conseguenza di questo suo atteggiamento un po' distaccato Stiles non si era mai davvero legato a nessuno. Certo, capitava che ci si stuzzicasse a vicenda e che scappasse qualche battuta, anche perché lui era e restava Stiles, e certe cose non sarebbe mai riuscito a cambiarle o a nasconderle, ma al di là di questi scambi superficiali non c’era nulla, e questo mandava in bestia le persone come Mike, che si ritrovavano nei guai a causa di uno che, in fin dei conti, in fondo nemmeno conoscevano.

Cinque minuti dopo un’auto grigia e piuttosto sgangherata si accostò al marciapiede. Stiles salì, facendo bella mostra del suo miglior sorriso; non quello entusiasta di una volta, bensì uno più maturo e contenuto.

«Allora», iniziò nell’istante in cui l’auto ripartiva, sgommando in direzione del Vecchio Olmo. «Tu sai a cosa dobbiamo questa chiamata improvvisa?»

Mike si limitò a fare spallucce, poco convinto. «Non ne so più di te, amico. Avrà mandato a tutti lo stesso messaggio vago.»

Stiles annuì, più a se stesso che in risposta. «Avrà chiamato anche Tara?»

Mike si voltò a guardarlo con un’espressione a metà tra l’esasperato e l’omicida che a Stiles ricordò dolorosamente qualcun altro, un fantasma di un passato lontano, e gli diede la seconda stretta al cuore della giornata.

«Ok, ok, ho capito, non ne sai più di me. Scherzavo, sto zitto,» borbottò, lasciandosi andare sul sedile mentre il suo sguardo si perdeva nel panorama oltre il finestrino.

 

***

 

Tara lo stava tenendo impegnato da più di due ore, eppure Stiles ne era contento. Con Tara imparava, imparava senza sosta; non c'era cosa che quella vecchia signora dall'età indefinita non conoscesse e non fosse capace di trasmettergli e, soprattutto, non c'era modo che non riuscisse a scatenare sempre e comunque la sua innata curiosità. Non gli accadeva con nient'altro. Stiles era intelligente, gli piacevano i corsi e gli piaceva studiare, per cui i suoi voti erano ottimi, e a quei piccoli ritrovi erano tutte brave persone, quindi se non altro era gradevole riunirsi... ma finiva tutto lì. Da quando aveva lasciato Beacon Hills la smania di sapere, quel bisogno talmente forte da essere quasi fisico di conoscere e di muoversi per risolvere qualcosa, non era mai rispuntato se non durante gli insegnamenti di Tara. Persino quel giorno – dopo il messaggio di Bates, il genere di messaggio che un tempo avrebbe scatenato tutta la sua ansia – quando Tara, appena arrivato, lo aveva preso da parte, Stiles non si era neanche posto il problema e in due ore non si era chiesto nemmeno una volta cosa si stesse dicendo il gruppo, nel salone del Vecchio Olmo.

Stiles si concentrò di più sul bancone e sulle polveri che lo ricoprivano, a mucchietti sparsi e ormai mescolati.

«Pensi troppo,» esclamò Tara dall'angolo della stanza.

Stiles sobbalzò e il barattolo di cenere di sorbo che aveva in mano si rovesciò sul tavolo andando a complicare la già ingarbugliata situazione. «Vuoi uccidermi? No, perché quando fai così mi togli dieci anni di vita. Alla volta.»

Tara scosse la testa. «Ti ho detto che pensi troppo. Il tuo corpo è il tuo migliore alleato, devi ascoltarlo. Lui sa cosa devi fare. È una cosa che ti ho già spiegato ma non vuoi fartela entrare in testa. Smettila di essere così rigido, e lasciati guidare dal tuo corpo. Giuro che se me lo fai dire ancora una volta ti chiudo in cantina a tagliare cipolle per una notte intera,» concluse, dopo avergli dato un pugno tra le scapole.

«Ahi! È possibile che i tuoi pugni facciano così male? Io non ci credo che sei così vecchia. Che cavolo, hai il destro di un pugile,» si lamentò lui, tentando inutilmente di raggiungere con una mano il punto dolente.

«Sta' zitto e comincia a lavorare. Ora hai una polvere in più oltre a quelle che c'erano già, come la metti?»

Stiles si passò la mano tra i capelli, condannandosi così all'ennesima doccia della giornata; si trattenne dallo starnutire e si soffiò il naso, prima di concentrarsi di nuovo sul macello che ricopriva il tavolo. Sulla superficie scheggiata di legno vecchio, Tara aveva sparso una decina di polveri diverse, alle quali si aggiungeva l'ultima che aveva versato lui stesso. Alcune di esse, che da sole sarebbero state inutili, se mischiate tra loro creavano composti molto potenti e utili per vari scopi, mentre altre, già efficaci di per sé come il sorbo, se mescolate perdevano ogni effetto. L'ultimo compito che Tara gli aveva affidato quel giorno era di riconoscerle, raggrupparle nel modo giusto e soprattutto raccoglierle senza che un solo granello di una ne contaminasse un'altra. Peccato che Stiles fosse fermo davanti a quel tavolo da almeno mezz'ora e non ci fosse ancora stato verso di riuscirci.

Quelle erano le mansioni che lo mandavano più in paranoia. Ormai trucchetti come prendere una manciata di qualche cenere a caso e farla cadere a terra in un cerchio perfetto erano facili, e non c'era nemmeno bisogno di dire che conosceva erbe, radici e i loro usi a memoria. In quei quattro anni, Stiles si era rivelato incredibilmente versato per quegli studi, sia nella teoria che nella pratica. Sapeva maneggiare magistralmente i mezzi forniti loro dalla natura e non c’era cosa che non lo affascinasse nelle nozioni che Tara gli propinava giornalmente, soprattutto se riguardavano argomenti misteriosi come il Nemeton. L’albero sacro dei druidi lo aveva affascinato ed attirato, inspiegabilmente, sin dal primo accenno. Ne era rimasto talmente attratto da aver passato settimane intere a studiare esclusivamente quello, nonostante non avesse ancora avuto la fortuna di vederne uno dal vivo. Erano solo i compiti come quello, quando Tara gli diceva, in soldoni, di lasciarsi andare ed essere di nuovo sé stesso, che lo mandavano in crisi. Ancora non ci riusciva. Dopotutto si era impegnato così tanto per cambiare le cose, per distaccarsi dal passato quanto più possibile, che non era per nulla convinto di ciò su cui la sua mentore insisteva.

«Spero vivamente che non ti succeda di doverlo fare in un momento critico, perché temo saresti già morto o mutilato, a quest'ora.»

«Vuoi che sia sincero? Giuro, non riesco a immaginarmi nessuna situazione di pericolo, per me o per chissà chi, dove mi sia necessario dividere polverine magiche dalle spezie della cena. No, davvero, non potevi trovare un esempio migliore? Oppure mescolarle con qualcosa di più... adatto, che ne so... la cenere dell'ultimo falò.»

«Stiles...»

«Lo so, lo so. Dividere e conquistare.»

La vecchia insegnante lo osservò mentre le “polverine inutili e irritanti”, come stava borbottando Stiles a mezza voce, riconquistavano la sua attenzione: gli tremavano le mani e aveva la bocca serrata. Si sentiva come se stesse per perdere la presa sull'unico appiglio che gli impediva di cadere nel baratro. Perché Tara doveva torturarlo così? Perché spingerlo a perdere tutto quello che aveva così faticosamente costruito? Già era terribile che, per quanto nei primi tempi si fosse ripromesso di interagire con il branco il meno possibile, non fosse mai davvero riuscito a trattenere la parlantina. Almeno finché evitava di lasciarsi coinvolgere troppo era al sicuro. Non ci teneva a sentirsi dire di nuovo una frase come «se parlassi un po' di meno e stessi un po' più attento, forse non dovremmo stare sempre a guardarti le spalle». No grazie.

Stiles fissò con rabbia le polveri sul tavolo: il dolore di quel ricordo improvviso era così forte che desiderò di spazzarle via tutte; peccato che poi Tara gliele avrebbe fatte raccogliere con la lingua, quindi l'unico modo che il suo corpo trovò per sfogarsi fu sbattere con forza i pugni sul legno.

A testa china, piegato sui gomiti, Stiles cercò di riprendere fiato da quello che, per un istante, era somigliato dolorosamente al principio di un attacco di panico. Poi la voce di Tara ruppe il silenzio.

«Ora identificale, richiudile nei contenitori ed etichettali.»

Stiles alzò la testa, ancora scosso, e sgranò gli occhi: davanti a lui stavano, sospesi nell'aria come in uno spazio senza gravità, dei piccoli mucchietti di polveri di vari colori, singole o mescolate tra loro; galleggiavano blandamente, come se non stessero aspettando altro che un suo comando. Stiles abbassò lo sguardo sul tavolo e lo trovò più pulito che mai. Non un granello era rimasto nelle crepe del legno. Niente. Confuso guardò Tara, che gli rivolse un sorriso furbo.

«Te l'ho detto, ragazzino, il tuo corpo sa cosa fare. Riprenditi ciò che sei e nessuno ti fermerà mai.» Gli fece l'occhiolino. «Ora vedi di non scambiare la polvere d’aglio con quella di vischio. Non voglio dover buttare via la cena per colpa tua, o avvelenare tutta la famiglia.»

La donna uscì, lasciandolo solo con i suoi tormenti. Era tentato, davvero molto tentato dall’idea di riassaporare almeno in parte quelle emozioni, quelle soddisfazioni del passato, ma allo stesso tempo non sarebbe tornato indietro nemmeno a pagamento. Decise lasciar perdere ancora per un po’ quelle riflessioni – se non altro poteva usare la fine del Master come scusa e posticipare fino ad allora – ma gli ci volle comunque un’altra mezz’ora buona per riuscire prima a riprendere del tutto il controllo di sé e poi a portare a termine il compito che gli era stato assegnato.

Quando uscì da quella stanza e raggiunse il salotto, capì che l’argomento del giorno, qualsiasi esso fosse, era già stato sviscerato, almeno a giudicare dal clima rilassato che li circondava. Lentamente si avvicinò a Tara che, messasi comoda su una sedia accanto al camino, sferruzzava tranquilla un’inquietante groviglio di fili marroni che, a detta sua, sarebbero dovuti diventare un elegante maglione. Ci provava dall’inverno dell’anno prima e non era progredita di un’asola.

«Ehm…» si schiarì la voce, dopo essersi chinato accanto al suo orecchio. Non gli sfuggì l’occhiata che ricevette in lontananza da Bates. «Mi aggiorneresti su quello che si sono detti?»

«Come posso saperlo, Stiles? Io ero con te,» gli rispose lei placida. Stiles sbuffò.

«Tu sai sempre tutto in anticipo, non ci credo nemmeno lontanamente che Morris non si sia consultato con te prima di fare… chi diavolo sa cosa.»

«C’è qualche problema qui?»

Stiles prese mentalmente fiato e, dopo aver chiuso per un breve istante gli occhi, si voltò lentamente a fronteggiare controvoglia il suo nuovo interlocutore.

«Il nostro giovane apprendista, qui, si chiedeva se poteva porti una domanda, Morris.»

Stiles l’avrebbe uccisa. Prima le avrebbe carpito tutto ciò che poteva, così da diventare il miglior Emissario del mondo, e poi l’avrebbe uccisa. Maledetta befana, se c’era una cosa che desiderava di meno fare, quando si trovava lì, era di interloquire con l’Alpha. Stiles non si fidava più degli Alpha, erano i primi a tradire. Gli Alpha... che potevano cacciarti via senza dover rendere conto a nessuno delle loro azioni.

«Oh, molto bene!» esclamò il nuovo arrivato. Con un enorme sorriso stampato in faccia – un sorriso che non scompariva quasi mai, al punto che Stiles era certo che se lo fosse cementato addosso – Morris incrociò le braccia al petto e attese una domanda che continuava a non arrivare. «Sai, Stiles, sarebbe molto bello poter interagire con te, di tanto in tanto.»

«Mi dispiace.» Stiles si scusò educatamente ma senza emozione, rinforzando quel distacco che aveva sempre mantenuto e che spiccava in maniera più evidente quando parlava con lui.

Come quel soggetto fuori dall’ordinario, solare e bonaccione come pochi, fosse diventato l’Alpha, Stiles non riusciva a spiegarselo. Se, prima di conoscerlo, avesse provato a immaginare un ipotetico capo del branco di New Haven, non sarebbe certo stato così, o Stiles si sarebbe dato un colpo in testa da solo. Aveva passato una notevole quantità di tempo a cercare di cancellare dalla memoria il suo vecchio branco e il relativo Alpha e, quando era andato in cerca di quello nuovo, lì a Yale, si era immaginato un gruppo forte, grande e relativamente distaccato, considerato che quella zona, per via dell’università, era un porto di mare. Invece si era ritrovato catapultato in tutto l’opposto, in un branco dolorosamente somigliante a quello di Beacon Hills con un Alpha che era... beh,Morris era… non era normale. In realtà Stiles ci vedeva qualcosa di sé, dentro di lui, e anche qualcosa di Scott. Per quello, più che per tutto il resto, Morris era la persona dalla quale Stiles si era tenuto più lontano, e che sopportava di meno. Perché quell’uomo sempre sereno, che amava tutti e da tutti era amato, che passava le giornate a condurre una locanda, finta ma comunque pregevole, e a viziare le sue figlie era l’immagine vivente di qualcosa che a lui era stato negato, di qualcuno che gli aveva spezzato il cuore senza porsi il minimo problema.

Stiles si impose di non pensare a nulla che potesse fargli avere un comportamento spiacevole con Morris – anche perché altrimenti Bates e Dominic, i suoi tirapiedi, come amava definirli, avrebbero colto la palla al balzo e come minimo gli avrebbero fatto fare cento giri di corsa attorno alla locanda – e si arrese alla volontà della sua mentore, che quel giorno sembrava essere più bizzarra del solito.

«Posso… volevo sapere se potevo essere aggiornato su quello che è stato detto alla riunione.»

«Visto? Non era difficile.» Stiles grugnì qualcosa in direzione della vecchia e si fece un appunto mentale per ricordarsi di scambiare sale e zucchero nella sua scorta personale. Vendetta.

«Ma certo, ragazzo. Non è nulla di segreto, avevo convocato tutti ma Tara ha detto di avere delle cose da farti fare. Vi ho riuniti, oggi, per avvisarvi che per un certo periodo avremo un’ospite. Viene da Città del Messico e ha richiesto di poter frequentare un Master a Yale tramite la sua università, e il suo Alpha ha pensato bene di non farla andare da sola ma di affidarla a un branco sicuro. Ed eccoci qui.»

«Capisco.» Una nuova lupa, rifletté Stiles. Almeno Mike e Linny avranno qualcuno con cui fare gruppo. «Beh, è una bella cosa.»

Morris annuì, soddisfatto, forse immaginando già una possibile progenie tra il suo Beta più giovane e la licantropa messicana. Probabilmente era così, considerato che Bates si avvicinò e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Stiles ringraziò mentalmente la sua buona stella: una nuova arrivata avrebbe distolto l’attenzione da lui e lo avrebbe reso meno visibile agli occhi degli altri.

«Giusto!» esclamò Morris, che invece sembrava concentrato su di lui eccome. Stiles temette immediatamente il peggio. «Stiles, l’ho già chiesto a Mike, ma mi piacerebbe che contribuissi anche tu: vorrei che guidaste la nostra ospite, sia all’interno del branco che a Yale.»

Anche se Stiles si trattenne dall’alzare un sopracciglio, il suo scetticismo rimase palpabile. Chiedere a lui di inserire una nuova arrivata? Lui, l’asociale iperattivo del gruppo? La mano grande e pesante che gli si posò sulla spalla gli fece perdere per un attimo l’equilibrio, ma lo aiutò anche a riconcentrarsi sul presente. Un presente estremamente nebuloso.

«Mi rendo conto di averti chiesto una cosa un po’… ostica? Loyd non era d’accordo,» specificò.

E quando mai Bates è d’accordo, pensò Stiles.

«Eppure» continuò Morris, «io credo che il nostro apprendista Emissario sia in grado di fare una cosa così semplice, dico bene?»

Touchè.

«Quando dovrebbe arrivare?» domandò a quel punto Stiles, sospirando appena. Quegli ultimi mesi a Yale si prospettavano decisamente ardui.

«Oh, è già arrivata.»

«Come?!» Stiles fissò allibito l’espressione divertita sulla faccia dell’Alpha.

«Anzi, credo stia scendendo. Jacky ha insistito per portarla di sopra a darsi una rinfrescata.»

Proprio in quel momento fece il suo ingresso nella sala una ragazza dai capelli lunghi e castani, decisamente bella, che nel vederlo inarcò un sopracciglio e sorrise quasi scettica. «Saresti tu l’altro babysitter? Mi hanno detto che studi per diventare Emissario, ti facevo più… robusto.»

Ehi!

«Già, babysitter a rapporto,» sibilò avvicinandosi per stringerle la mano tesa. «Stiles Stilinski.»

«Cora Fernandez.»

   
 
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