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Autore: lightwood4life    16/12/2015    1 recensioni
Questa storia racconta l'arrivo di Jace all'Istituto per come me lo sono immaginato io, spero vi piaccia.
Dal testo:Ora che aveva diciotto anni e lui e Jace erano parabatai, Alec penso: non è vero che il bambino non pianse mai più.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era da tempo che Maryse e Robert avevano accennato all’arrivo di un nuovo cacciatore all’Istituto di New York

Era da tempo che Maryse e Robert avevano accennato all’arrivo di un nuovo cacciatore all’Istituto di New York. Il Nephilim era solo al mondo dopo la recente  perdita del padre. Alec ed Isabelle, rispettivamente di dieci e otto anni, erano entrambi eccitati all’idea di un nuovo amico. Questo anche perché di amici non ne avevano dato il fatto che erano Shadowhunters e che non frequentavano i mondani. La più eccitata era Isabelle, visto che il fartello non era una di quelle persone che amavano i cambiamenti.

Finalmente arrivarono le quattro e un quarto di pomeriggio e qualcuno suonò al campanello del citofono. Ogniqualvolta che il campanello suonava si sentiva il rimbombare del suono per tutti i profondi corridoi dell’Istituto. Tutti allora corsero ad accogliere il nuovo bambino arrivato, tutti tranne Alec che come al solito era immerso in uno dei suoi tantissimi libri. Alec era un bambino di poche parole e molto cortese, data l’educazione che gli era stata impartita dai genitori, ma aveva il difetto di restare sempre in dietro risetto agli altri, anche alla sorella minore.

Quando sentì il vociare della sua famiglia si ricordò che il bambino era un maschio e che i suoi genitori gli avevano dato il compito di farci una chiaccherata e di diventare amici. Bel compito, pensò Alec di malavoglia. E se il bambino fosse stato antipatico? Poco importava, se i suoi genitori gli avevano detto una cosa lui doveva farla e basta.

Così si fiondò giù per le scale ma la scena che si ritrovò davanti lo fece rattristare parecchio: Izzy stava abbracciando il nuovo arrivato ed i suoi genitori gli stavano intorno e gli sorridevano. Alec ci rimase male perché sì, la sorella gli voleva un gran bene ma non lo abbracciava mai, lei voleva dimostrarsi forte davanti agli altri. Per quanto riguarda i genitori bè, anche loro gli volevano bene ma davano quasi per scontato la sua presenza.

-Alexander, non essere timido, vieni a conoscere Jace-gli intimò la madre.

Jace. Allora era così che si chiamava.

 

 

 

Una notte tranquilla e silenziosa Alec si svegliò di soprassalto per un brutto sogno, così decise di alzarsi per sgranchirsi un po’ le gambe e prendere un bicchiere d’acqua.

Il corridoio dell’Istituto era buio e deserto come al solito ed al bambino di dieci anni questa cosa lo spaventava abbastanza, ma non lo diceva a nessuno perché voleva mostrarsi più forte della sorella.

Di ritorno dalla cucina Alec passò dinnanzi la camera di Jace e sentì dei suoni sommessi, quasi dei lamenti. Lui non era un bambino invadente, ma era molto curioso; così aprì la porta di un pollice e la situazione che si ritrovò davanti lo lasciò abbastanza sorpreso: Jace, il bambino di nove anni, quello che si era preso la sua famiglia, quello che sembrava non aver paura di niente, quello duro e poco socevole stava piangendo. Jace Wayland stava piangendo!! Se ne stava rannicchiato in un angolo della stanza, l’unico illuminato dalla luce della luna che filtrava dalla finestra.

Il bambino moro pensava che quando lo avesse visto piangere, se lo avesse visto piangere, sarebbe stato felice, invece tutto quello che provò fu un grande moto di tristezza. Tristezza perché quel bambino aveva perso tutto: madre, padre, famiglia.

Cautamente decise di entrare nella stanza l’altro se ne accorse e si pulì il viso dalle lacrime in modo molto frettoloso e tirò su con il naso un paio di volte.

-Ciao- lo salutò Alec arrossendo e sentendosi stranamente a disagio- scusa, non volevo essere invadente ma avevo sentito dei rumori ed ero passato a vedere-.

Non vedendo risposte dall’altro si avviò verso la porta, stava per uscire quando una voce lo chiamò: -Alec?-

-Si?- rispose l’altro, non senza una certa curiosità.

-Perché te ne stai andando?-

-Bè…ho visto che…insomma tu…-stai calmo Alec, pensò- pensavo volessi rimanere da solo.

-Non è bello stare da soli. C’è a volte si, però…Io non ho amici Alec, comè avere amici?- quella domanda lo spiazzo molto, perché in effetti neanche l’altro ne aveva.

-Io in realtà non ne ho. Bello immagino-.

-Ti va di diventare amici?-

Alec che aveva abbassato lo sguardo, lo alzò subito. Quando vide che Jace era serio allora sorrise e rispose di si. Così si sedette accanto a l’altro e rimasero a chiaccherare per tutta la notte.

 

 

 

Adesso che aveva diciotto anni e che lui e Jace erano parabatai, Alec si ritrovò a pensare: non è vero che il bambino non pianse mai più.

   
 
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