Titolo: Black Out
Serie: D.Gray-man
Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee
Pairing: AreRina
Genere: Generale, Angst
Rating: Giallo
Avvisi: Alternative Universe, One-shot
Note: Non chiedetemi il perché
del titolo ò_ò
Black Out
Era sera.
Una sera
invernale, buia e cupa, illuminata solo dai lampioni ai lati delle strade e
dalle insegne dei negozi. Illuminata dai cartelloni pubblicitari, alcuni
silenziosi e altri no, che tingevano le gocce di pioggia di rosso e blu, di
giallo e verde.
Pioveva.
Alcune persone
correvano, prese alla sprovvista dal tempo. Altre
camminavano, tranquille, in compagnia. Sotto gli ombrelli, sotto le giacche e
le sciarpe, ridendo e tacendo.
Lui era
poggiato contro una vetrina, dalle saracinesche abbassate e grigie. Era seduto
per terra, con le ginocchia strette contro il petto, con lo sguardo fisso verso
il basso.
Ormai non
era più un bambino, avrebbe dovuto capirlo che si sarebbe dovuto
muovere. Avrebbe dovuto alzarsi, prendere la propria borsa e andare a fare il
depresso da qualche altra parte, magari in un posto un po’
più caldo e più asciutto.
Se solo…
La pioggia
smise.
All’improvviso,
sostituita da un rumore secco e un po’ fastidioso di plastica tesa contro
gocce d’acqua grandi come caramelle.
Allen
alzò il viso, assottigliando lo sguardo per via la luce troppo forte dei
lampioni e dell’acqua che gli si era incastonata tra la
ciglia giusto un attimo prima.
E rimase
fermo, a fissarla. Una ragazza, con un ombrello in mano e il braccio con cui lo
reggeva teso verso di lui.
Neanche
lei disse nulla, forse incerta, attendendo a sua volta sotto la pioggia.
Era bella,
la ragazza. Aveva lunghi capelli neri, lucidi e lisci per colpa
dell’acqua e dei riflessi delle insegne. Aveva la bocca corrucciata e gli
occhi scuri fissi su di lui, senza accusa e senza compassione.
“Ti
prenderai un malanno.” constatò dopo un po’ lei, senza
enfasi.
“Non
fa nulla.” rispose lui, muovendo appena le labbra nell’abbozzare un
sorriso cordiale. Tese una mano, andando a raggiungere quella della ragazza,
tentennando per un breve istante, per poi superarla e stringersi attorno al
manico dell’ombrello. Gli bastò esercitare una piccola pressione
per spostarlo nuovamente verso di lei, per ripararla, lasciando che la pioggia
tornasse a scendergli addosso. “Ma ti ringrazio lo stesso.”
Lei
strinse appena le labbra, sbattendo le palpebre un paio di volte.
Aspettò che la mano del ragazzo tornasse al proprio posto, scrutandolo
mentre tendeva appena le gambe e un attimo dopo tornava a guardarla, chiudendo
gli occhi e riaprendoli così lentamente da sembrare movimento al rallentatore.
“Stai aspettando qualcuno?” chiese poi, stringendosi nella giacca
lunga.
Allen
annuì. “Prima o poi arriverà.” Aggiunse, con stanca
convinzione.
Lei
arricciò le labbra, forse pensierosa.
“Capisco. E’ in ritardo?”
“Non
proprio.”
“E’
tanto che aspetti?”
Lui
sgranò appena gli occhi, quasi sorpreso. Quelle
continue domande –quella voce continua- lo fecero sorridere una seconda
volta, piegando appena il viso di lato. “No, non molto.”
Lei
annuì lentamente, come se capisse davvero. Strinse ancora la presa
sull’ombrello e attese, in silenzio.
Continuò
a piovere.
Allen
continuò a guardarla, senza pretese, ne curioso ne seccato. Avrebbero
potuto continuare così per tutto il resto della serata.
Ma lei
fece un piccolo inchino e piegò la testa in avanti –“Scusa per il disturbo”-, quindi si voltò
e prese a camminare.
E la
pioggia prese possesso anche di quel piccolo e minuto spazio che la ragazza
aveva occupato fino ad un attimo prima.
Lui la
guardò allontanarsi, dischiudendo appena le labbra, corrucciando per la
prima volta lo sguardo. Aprì di più la bocca, prendendo fiato,
per poi tornare a poggiarsi contro la vetrina, sospirando.
Dopotutto,
avrebbe potuto restare ancora un po’ e…
aspettare.
Cominciò
a fare freddo.
Un
po’ per il vento, un po’ per la pioggia. Un po’ per
l’acqua che gli scivolava dal viso fino al collo, dal collo fino al petto
e al ventre, un po’ per l’aria gelida che gli si infilava tra i
capelli bianchi, facendolo rabbrividire involontariamente.
Ma Allen
era forte, non si sarebbe di certo fatto scoraggiare da simili inezie.
Allen era
grande, non era più un bambino. Non aveva più quindici anni, un
braccio ingessato e non si trovata in una classe di sciocchi adolescenti
complessati e svogliati.
Allen
aveva vent’anni, ed era solo.
Sospirò,
passandosi una mano tra i capelli. Quelli per un attimo rimasero su, ritti e
bagnati, finchè lui non scosse la testa e i ciuffi non tornarono a
sfiorargli il viso.
La pioggia
smise, ancora una volta.
Lui
tornò a guardare verso l’alto, sorpreso.
E
c’era ancora lei, a braccio teso.
Allen
deglutì. Sorrise, tra lo sconfortato e l’incredulo, e si
alzò in piedi. Ebbe un attimo di esitazione, nel quale si ritrovò
a fissare la mano pallida di lei stretta attorno al manico, e poi prese in mano
l’ombrello, che la ragazza gli stava tendendo, a riparo sotto il proprio.
“Così
non dovrebbero esserci problemi.” disse seria, forse tesa.
Allen si
poggiò l’ombrello contro la spalla, lentamente. In quel momento,
per la seconda volta, l’acqua smise di bagnarlo.
“…ti
ringrazio.”
Lei si
grattò la guancia con un dito, sorridendo appena mentre evitava il suo
sguardo. “So che non sono affari miei, ma…”
“Va
tutto bene.” lui si piegò di poco in avanti cercando i suoi occhi
con i propri. “Ti ringrazio.” ripetè.
“Huh…”
lo guardò, ancora incerta. “Okay.”
sorrise. “Io sono Lenalee Lee.” disse poi, prendendo un po’
di voce. “Ma puoi chiamarmi solo Lenalee, se vuoi.”
Lui si
raddrizzò sulla schiena. “Il mio nome è Allen Walker.”
un attimo di indecisione, accompagnato da un sorriso lieve. “Puoi
chiamarmi come preferisci.”
Rimasero
entrambi in silenzio, per un breve istante.
“Stai
ancora aspettando quella persona?” azzardò dopo un po’ lei,
strusciando appena le scarpe bagnate contro l’asfalto, puntellandole poi
contro una pozzanghera lì affianco.
Allen non
rispose subito, non sapendo cosa rispondere. Si guardò attorno, senza
essere in realtà alla ricerca di qualcosa.
“No.”
disse infine. “Ormai non importa più.”
E non
disse più niente.
Lenalee
sorrise, impacciata.
Lui
ricambiò, muovendo un passo di lato.
E la
strada di casa la fecero insieme, quella sera.
* * *
Passano
dei giorni.
Minuti che
si trasformarono in ore, in giornate fatte di incontri casuali e appuntamenti
al bar del college il pomeriggio. Giorni che si trasformarono in settimane, in
week-end caldi e vacanze invernali.
Passarono
i mesi.
Nel
comodino di Allen, quello incastonato tra il letto a una piazza e mezza e il
muro di cemento bianco, erano tre gli oggetti che ci sarebbero sempre stati.
Il peluche giallo con le ali e i dentini appuntiti che sbucavano se
gli premevi troppo forte la pancia, il preservativo che Lavi gli aveva rifilato
per scherzo e per speranza il giorno del diploma, fissandolo con sguardo serio
e supplicante –“Ti servirà. Fidati.”- e gli ultimi tre
lecca-lecca che la bambina con gli occhi dorati del Market gli aveva voluto
regalare con tanta insistenza la prima volta che lo aveva visto.
“Non
me lo hai mai detto, sai?” disse Lenalee all’improvviso, arricciando
poi le labbra con aria pensierosa.
Era seduta
sul divano, con le gambe incrociate e un’espressione corrucciata sul
viso, nel tentativo di concentrarsi sul libro di studio che teneva sulle
ginocchia.
“Huh?” lui si era voltato a
guardarla, piegando interrogativamente la testa di lato. Le era seduto accanto,
impegnato soltanto nel guardarla, con le braccia distese lungo il bracciolo del
mobile, con la testa china e rivolta verso di lei.
“La
persona che stavi aspettando, quel giorno.” chiuse con uno sbuffò
il volume e lo poggiò per terra, tornando a guardarlo. “Non mi hai
mai detto chi era.”
“Oh…”
Allen si passò una mano tra i capelli, sorridendo pacatamente. Poi le
tese una mano, sfiorandole appena una guancia.
“Era
una donna?” chiese a bruciapelo lei, assottigliando lo sguardo. Lui rise,
tirandosi su e scuotendo la testa.
“Aah,
Lenalee…”
“La
conosco?”
“Ora
che mi ci fai pensare, devo ancora ridarti i soldi per
quell’ombrello…” le prese una mano, tirandola piano per farla
alzare.
Lei lo
seguì, per nulla intenzionata a lasciar perdere. “Ehy, non
cambiare discorso!”
“Quanto erano? 200yen?” continuò il
ragazzo, portandosi un dito dubbioso sulla bocca corrucciata.
“Allen!”
Rise
ancora, girandosi verso di lei e stringendo le spalle, mentre con i piedi
continuava ad arretrare fino alla propria camera.
Poi
sospirò, lasciandosi cadere sul letto. “Lenalee...”
la chiamò piano, a bassa voce. E Lenalee lo raggiunse, piegando di quel
poco le ginocchia per potersi accomodare sulle sue gambe. Lui le passò
una mano tra i capelli, sentendosi il cuore battere così forte da
sembrargli doloroso. Poggiò la fonte contro la sua spalla, sospirando,
inspirando, espirando e poi sfiorandola il collo con le labbra.
Incerto.
“La
persona che stavo aspettando…” inspirò, espirò,
sospirò di nuovo, baciandole piano la pelle, quasi con timore.
“Eri, tu, Lenalee.”
Allen
Walker non aveva fatto altro che aspettare, per tutta la vita.
Aspettava
qualcuno da amare, qualcuno a cui potersi dedicare. Donare. Qualcuno da poter
proteggere, rispettare e ancora amare.
Allen
aveva sempre cercato qualcuno che forse neanche esisteva.
E poi,
semplicemente, era arrivata Lenalee.
Da quella
volta, nel comodino della stanza un po’ fredda e un po’ spoglia di
Allen rimasero solo un lecca-lecca alla menta e Timcampi, entrambi nascosti
contro il fondo del mobiletto dalla mano dell’inglese nella fretta di
prendere gli altri due.
Arrivò
la notte.
E Lenalee
era ancora lì, stretta contro il suo corpo, avvolta dalle lenzuola
bianche e azzurre. Respirava, piano, nel sonno. Con la pelle bianca tinta di
oscurità e luci ad intermittenza.
Allen
fissava il soffitto, senza pensieri.
“Lenalee.”
Chiamò ancora, a bassa voce, senza una reale ragione.
“Lenalee… te lo chiedo per favore.” deglutì, tirando
fuori da sotto le lenzuola un braccio, per poi premersi il palmo della mano
contro il viso. “Non lasciarmi.”
Trattenne
il respiro, lasciando che quello calmo e regolare di lei, addormentata, gli
scaldasse la pelle. “Non lasciarmi.” Ripetè, con la voce
rotta. “Io… questa promessa non potrò mantenerla.”
E poi
sospirò.
“…mi
dispiace così tanto...”
Lentamente.
Black Out
End
Note:
Allora,
piccole note ò_ò
Questa
è la mia prima vera AreRina, quindi, bho,
spero vada bene. E‘ Angst, ovviamente XD Stranamente, non è morto
nessuno ò_ò ma Allen è quasi in lacrime, quindi va bene u.u
Parlando
del pezzo finale, vediamo di spiegare XD
Allen
chiede a Lenalee (che tanto dorme e non lo sente °3°) di non lasciarlo,
perché lui, purtroppo, dovrà farlo. Ora, se non avete letto i capitoli spoiler del manga NON LEGGETE, okay?
Dicevo.
Allen, in un certo senso, si riferisce alla questione del 14th, al fatto che
potrebbe anche lasciare l’Ordine, diciamo, per un qualche motivo.
Lo so, non
ha senso, ma non riesco a lasciare le mie AU totalmente staccate dal manga
ò_ò sorry.
Spero che
la fanfiction piaccia °3° A me, sinceramente, deprime XD E considerate
che l’ho scritta nel giro di un giorno ò_ò
Wow.
Ringrazio Liy che mi ha ispirata, Butler che
mi ha dato il supporto morale e Yaya che fangirleggiava per me °3°
grazie <3
Ps: Allen ventenne mi fa figo
ò_ò