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Autore: Edward    06/03/2009    7 recensioni
[AreRina] [Angst]
Cominciò a fare freddo.
Un po’ per il vento, un po’ per la pioggia. Un po’ per l’acqua che gli scivolava dal viso fino al collo, dal collo fino al petto e al ventre, un po’ per l’aria gelida che gli si infilava tra i capelli bianchi, facendolo rabbrividire involontariamente.
Ma Allen era forte, non si sarebbe di certo fatto scoraggiare da simili inezie.
Allen era grande, non era più un bambino. Non aveva più quindici anni, un braccio ingessato e non si trovata in una classe di sciocchi adolescenti complessati e svogliati.
Allen aveva vent’anni, ed era solo.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Allen/Lenalee
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Era la sera

Titolo: Black Out

Serie: D.Gray-man

Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee

Pairing: AreRina

Genere: Generale, Angst

Rating: Giallo

Avvisi: Alternative Universe, One-shot

Note: Non chiedetemi il perché del titolo ò_ò

 

 

 

 

Black Out

 

 

 

Era sera.

Una sera invernale, buia e cupa, illuminata solo dai lampioni ai lati delle strade e dalle insegne dei negozi. Illuminata dai cartelloni pubblicitari, alcuni silenziosi e altri no, che tingevano le gocce di pioggia di rosso e blu, di giallo e verde.

Pioveva.

Alcune persone correvano, prese alla sprovvista dal tempo. Altre camminavano, tranquille, in compagnia. Sotto gli ombrelli, sotto le giacche e le sciarpe, ridendo e tacendo.

Lui era poggiato contro una vetrina, dalle saracinesche abbassate e grigie. Era seduto per terra, con le ginocchia strette contro il petto, con lo sguardo fisso verso il basso.

Ormai non era più un bambino, avrebbe dovuto capirlo che si sarebbe dovuto muovere. Avrebbe dovuto alzarsi, prendere la propria borsa e andare a fare il depresso da qualche altra parte, magari in un posto un po’ più caldo e più asciutto.

Se solo…

La pioggia smise.

All’improvviso, sostituita da un rumore secco e un po’ fastidioso di plastica tesa contro gocce d’acqua grandi come caramelle.

Allen alzò il viso, assottigliando lo sguardo per via la luce troppo forte dei lampioni e dell’acqua che gli si era incastonata tra la ciglia giusto un attimo prima.

E rimase fermo, a fissarla. Una ragazza, con un ombrello in mano e il braccio con cui lo reggeva teso verso di lui.

Neanche lei disse nulla, forse incerta, attendendo a sua volta sotto la pioggia.

Era bella, la ragazza. Aveva lunghi capelli neri, lucidi e lisci per colpa dell’acqua e dei riflessi delle insegne. Aveva la bocca corrucciata e gli occhi scuri fissi su di lui, senza accusa e senza compassione.

“Ti prenderai un malanno.” constatò dopo un po’ lei, senza enfasi.

“Non fa nulla.” rispose lui, muovendo appena le labbra nell’abbozzare un sorriso cordiale. Tese una mano, andando a raggiungere quella della ragazza, tentennando per un breve istante, per poi superarla e stringersi attorno al manico dell’ombrello. Gli bastò esercitare una piccola pressione per spostarlo nuovamente verso di lei, per ripararla, lasciando che la pioggia tornasse a scendergli addosso. “Ma ti ringrazio lo stesso.”

Lei strinse appena le labbra, sbattendo le palpebre un paio di volte. Aspettò che la mano del ragazzo tornasse al proprio posto, scrutandolo mentre tendeva appena le gambe e un attimo dopo tornava a guardarla, chiudendo gli occhi e riaprendoli così lentamente da sembrare movimento al rallentatore. “Stai aspettando qualcuno?” chiese poi, stringendosi nella giacca lunga.

Allen annuì. “Prima o poi arriverà.” Aggiunse, con stanca convinzione.

Lei arricciò le labbra, forse pensierosa. “Capisco. E’ in ritardo?”

“Non proprio.”

“E’ tanto che aspetti?”

Lui sgranò appena gli occhi, quasi sorpreso. Quelle continue domande –quella voce continua- lo fecero sorridere una seconda volta, piegando appena il viso di lato. “No, non molto.”

Lei annuì lentamente, come se capisse davvero. Strinse ancora la presa sull’ombrello e attese, in silenzio.

Continuò a piovere.

Allen continuò a guardarla, senza pretese, ne curioso ne seccato. Avrebbero potuto continuare così per tutto il resto della serata.

Ma lei fece un piccolo inchino e piegò la testa in avanti –“Scusa per il disturbo”-, quindi si voltò e prese a camminare.

E la pioggia prese possesso anche di quel piccolo e minuto spazio che la ragazza aveva occupato fino ad un attimo prima.

Lui la guardò allontanarsi, dischiudendo appena le labbra, corrucciando per la prima volta lo sguardo. Aprì di più la bocca, prendendo fiato, per poi tornare a poggiarsi contro la vetrina, sospirando.

Dopotutto, avrebbe potuto restare ancora un po’ e… aspettare.

Cominciò a fare freddo.

Un po’ per il vento, un po’ per la pioggia. Un po’ per l’acqua che gli scivolava dal viso fino al collo, dal collo fino al petto e al ventre, un po’ per l’aria gelida che gli si infilava tra i capelli bianchi, facendolo rabbrividire involontariamente.

Ma Allen era forte, non si sarebbe di certo fatto scoraggiare da simili inezie.

Allen era grande, non era più un bambino. Non aveva più quindici anni, un braccio ingessato e non si trovata in una classe di sciocchi adolescenti complessati e svogliati.

Allen aveva vent’anni, ed era solo.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Quelli per un attimo rimasero su, ritti e bagnati, finchè lui non scosse la testa e i ciuffi non tornarono a sfiorargli il viso.

La pioggia smise, ancora una volta.

Lui tornò a guardare verso l’alto, sorpreso.

E c’era ancora lei, a braccio teso.

Allen deglutì. Sorrise, tra lo sconfortato e l’incredulo, e si alzò in piedi. Ebbe un attimo di esitazione, nel quale si ritrovò a fissare la mano pallida di lei stretta attorno al manico, e poi prese in mano l’ombrello, che la ragazza gli stava tendendo, a riparo sotto il proprio.

“Così non dovrebbero esserci problemi.” disse seria, forse tesa.

Allen si poggiò l’ombrello contro la spalla, lentamente. In quel momento, per la seconda volta, l’acqua smise di bagnarlo.

“…ti ringrazio.”

Lei si grattò la guancia con un dito, sorridendo appena mentre evitava il suo sguardo. “So che non sono affari miei, ma…”

“Va tutto bene.” lui si piegò di poco in avanti cercando i suoi occhi con i propri. “Ti ringrazio.” ripetè.

“Huh…” lo guardò, ancora incerta. “Okay.” sorrise. “Io sono Lenalee Lee.” disse poi, prendendo un po’ di voce. “Ma puoi chiamarmi solo Lenalee, se vuoi.”

Lui si raddrizzò sulla schiena. “Il mio nome è Allen Walker.” un attimo di indecisione, accompagnato da un sorriso lieve. “Puoi chiamarmi come preferisci.”

Rimasero entrambi in silenzio, per un breve istante.

“Stai ancora aspettando quella persona?” azzardò dopo un po’ lei, strusciando appena le scarpe bagnate contro l’asfalto, puntellandole poi contro una pozzanghera lì affianco.

Allen non rispose subito, non sapendo cosa rispondere. Si guardò attorno, senza essere in realtà alla ricerca di qualcosa.

“No.” disse infine. “Ormai non importa più.”

E non disse più niente.

Lenalee sorrise, impacciata.

Lui ricambiò, muovendo un passo di lato.

E la strada di casa la fecero insieme, quella sera.

 

 

* * *

 

 

Passano dei giorni.

Minuti che si trasformarono in ore, in giornate fatte di incontri casuali e appuntamenti al bar del college il pomeriggio. Giorni che si trasformarono in settimane, in week-end caldi e vacanze invernali.

Passarono i mesi.

 

Nel comodino di Allen, quello incastonato tra il letto a una piazza e mezza e il muro di cemento bianco, erano tre gli oggetti che ci sarebbero sempre stati.

Il peluche giallo con le ali e i dentini appuntiti che sbucavano se gli premevi troppo forte la pancia, il preservativo che Lavi gli aveva rifilato per scherzo e per speranza il giorno del diploma, fissandolo con sguardo serio e supplicante –“Ti servirà. Fidati.- e gli ultimi tre lecca-lecca che la bambina con gli occhi dorati del Market gli aveva voluto regalare con tanta insistenza la prima volta che lo aveva visto.

“Non me lo hai mai detto, sai?” disse Lenalee all’improvviso, arricciando poi le labbra con aria pensierosa.

Era seduta sul divano, con le gambe incrociate e un’espressione corrucciata sul viso, nel tentativo di concentrarsi sul libro di studio che teneva sulle ginocchia.

 “Huh?” lui si era voltato a guardarla, piegando interrogativamente la testa di lato. Le era seduto accanto, impegnato soltanto nel guardarla, con le braccia distese lungo il bracciolo del mobile, con la testa china e rivolta verso di lei.

“La persona che stavi aspettando, quel giorno.” chiuse con uno sbuffò il volume e lo poggiò per terra, tornando a guardarlo. “Non mi hai mai detto chi era.”

“Oh…” Allen si passò una mano tra i capelli, sorridendo pacatamente. Poi le tese una mano, sfiorandole appena una guancia.

“Era una donna?” chiese a bruciapelo lei, assottigliando lo sguardo. Lui rise, tirandosi su e scuotendo la testa.

“Aah, Lenalee…”

“La conosco?”

“Ora che mi ci fai pensare, devo ancora ridarti i soldi per quell’ombrello…” le prese una mano, tirandola piano per farla alzare.

Lei lo seguì, per nulla intenzionata a lasciar perdere. “Ehy, non cambiare discorso!”

“Quanto erano? 200yen?” continuò il ragazzo, portandosi un dito dubbioso sulla bocca corrucciata.

“Allen!”

Rise ancora, girandosi verso di lei e stringendo le spalle, mentre con i piedi continuava ad arretrare fino alla propria camera.

Poi sospirò, lasciandosi cadere sul letto. “Lenalee...” la chiamò piano, a bassa voce. E Lenalee lo raggiunse, piegando di quel poco le ginocchia per potersi accomodare sulle sue gambe. Lui le passò una mano tra i capelli, sentendosi il cuore battere così forte da sembrargli doloroso. Poggiò la fonte contro la sua spalla, sospirando, inspirando, espirando e poi sfiorandola il collo con le labbra.

Incerto.

“La persona che stavo aspettando…” inspirò, espirò, sospirò di nuovo, baciandole piano la pelle, quasi con timore. “Eri, tu, Lenalee.”

 

Allen Walker non aveva fatto altro che aspettare, per tutta la vita.

Aspettava qualcuno da amare, qualcuno a cui potersi dedicare. Donare. Qualcuno da poter proteggere, rispettare e ancora amare.

Allen aveva sempre cercato qualcuno che forse neanche esisteva.

E poi, semplicemente, era arrivata Lenalee.

 

Da quella volta, nel comodino della stanza un po’ fredda e un po’ spoglia di Allen rimasero solo un lecca-lecca alla menta e Timcampi, entrambi nascosti contro il fondo del mobiletto dalla mano dell’inglese nella fretta di prendere gli altri due.

Arrivò la notte.

E Lenalee era ancora lì, stretta contro il suo corpo, avvolta dalle lenzuola bianche e azzurre. Respirava, piano, nel sonno. Con la pelle bianca tinta di oscurità e luci ad intermittenza.

Allen fissava il soffitto, senza pensieri.

“Lenalee.” Chiamò ancora, a bassa voce, senza una reale ragione. “Lenalee… te lo chiedo per favore.” deglutì, tirando fuori da sotto le lenzuola un braccio, per poi premersi il palmo  della mano contro il viso. “Non lasciarmi.”

Trattenne il respiro, lasciando che quello calmo e regolare di lei, addormentata, gli scaldasse la pelle. “Non lasciarmi.” Ripetè, con la voce rotta. “Io… questa promessa non potrò mantenerla.”

E poi sospirò.

“…mi dispiace così tanto...

Lentamente.

 

 

 

 

Black Out

End

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Allora, piccole note ò_ò

Questa è la mia prima vera AreRina, quindi, bho, spero vada bene. E‘ Angst, ovviamente XD Stranamente, non è morto nessuno ò_ò ma Allen è quasi in lacrime, quindi va bene u.u

Parlando del pezzo finale, vediamo di spiegare XD

Allen chiede a Lenalee (che tanto dorme e non lo sente °3°) di non lasciarlo, perché lui, purtroppo, dovrà farlo. Ora, se non avete letto i capitoli spoiler del manga NON LEGGETE, okay?

Dicevo. Allen, in un certo senso, si riferisce alla questione del 14th, al fatto che potrebbe anche lasciare l’Ordine, diciamo, per un qualche motivo.

Lo so, non ha senso, ma non riesco a lasciare le mie AU totalmente staccate dal manga ò_ò sorry.

Spero che la fanfiction piaccia °3° A me, sinceramente, deprime XD E considerate che l’ho scritta nel giro di un giorno ò_ò

Wow.

Ringrazio Liy che mi ha ispirata, Butler che mi ha dato il supporto morale e Yaya che fangirleggiava per me °3° grazie <3

 

Ps: Allen ventenne mi fa figo ò_ò

   
 
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