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Autore: Hermione Weasley    17/12/2015    2 recensioni
«Hai detto di voler sperimentare le tradizioni della più grande democrazia del mondo o sbaglio?»
«Non dire stronzate.»
«Va bene. Hai detto di voler sperimentare le tradizioni degli Stati Uniti, no?» si corresse, ben sapendo che non era alla discutibile definizione appioppata al paese che si riferiva. «Oggi avrai un assaggio di quello che chiamiamo Secret Santa.»
[Clint/Natasha] [pre-Avengers] [per Sheep01 ♥]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One-shot natalizia scritta per il compleanno di Sheep01 (ormai passato, ma chi di dovere l'ha letta in tempo)

Disclaimer: Clint Barton/Hawkeye e Natasha Romanoff/Black Widow appartengono a Disney e Marvel. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

 


Secret Santa

 

 

 

15 dicembre, primo pomeriggio

 

Avrebbe dovuto capirlo quando Clint le aveva detto che la riunione urgente si sarebbe tenuta nella caffetteria del quartier generale newyorkese dello SHIELD e non in una delle tante aule conferenze dell'edificio. Aveva supposto si trattasse di una questione di logistica: uno spazio più ampio avrebbe potuto accogliere un più nutrito numero di persone, il che sarebbe stato in linea con l'importanza dell'incontro; importanza che Clint aveva ribadito più e più volte.

Ma il generale stato di rilassamento dei presenti che aveva visto fluire nella sala un poco alla volta – era sua abitudine arrivare tra i primi – l'aveva messa in allarme. Se si trattava di un'emergenza, perché erano tutti così fastidiosamente... calmi?

Si era tenuta in disparte, il dubbio lancinante e crescente man mano che la caffetteria andava riempiendosi. Riconobbe vari agenti SHIELD con cui aveva lavorato, quasi tutti in abiti civili, l'ennesima prova che nessuno aveva fatto corse impossibili per essere puntuale: avevano evidentemente avuto il tempo di rientrare dalle rispettive missioni – se ce n'erano state – o uscire dai propri uffici, cambiarsi negli spogliatoi e raggiungere i colleghi per... quella che, adesso, era piuttosto sicura non essere una riunione urgente.

«L'anno scorso è stato un successo, perché non rifarlo?» sentì dire da una donna bionda appena sopraggiunta in compagnia di un uomo alto dalle fattezze asiatiche.

«Perché non siamo più al liceo?»

«Oh, andiamo Bryan. Non fare il guastafeste.»

«Che vuoi che ti dica? Il Natale non è tra le mie preferite.»

Natasha sentì il cuore perdere un battito e, per un istante, mandò al diavolo ogni briciolo di discrezione che aveva avuto il buon senso di mantenere fino a quel momento, seguendoli con lo sguardo mentre si allontanavano verso il centro della caffetteria.

Adesso sì che era perplessa: cosa c'entrava il Natale col motivo per cui mezzo SHIELD si era riunito là dentro? Si ripeté che se né il direttore Fury, né Maria Hill erano nei paraggi, significava che c'era qualcosa sotto. Qualcosa di potenzialmente sospetto.

Controllò di nuovo l'orologio. L'incontro avrebbe dovuto essere cominciato da almeno dieci minuti: il direttore non arrivava mai in ritardo a meeting del genere, non quando si supponevano essere di vitale importanza, una questione di vita o di morte (nelle parole di Barton, se non altro).

Tra le risate e i vassoi carichi di caffè che veniva distribuito tra i tavoli, Natasha capì di essere stata giocata. Le era ormai chiaro, infatti, che Clint l'aveva presa in giro, attirandola – neanche lei sapeva bene perché – ad una riunione che aveva a che fare col Natale; dettaglio che la preoccupava più di tutto il resto.

Prese un'improvvisa decisione, avventurandosi tra i gruppetti per raggiungere la doppia porta che le avrebbe restituito la libertà. Sgusciò tra coppie e capannelli, ed ecco che l'uscita le si parava davanti con la sua promessa di un mondo privo di terrificanti incontri a tema natalizio... ma non fece in tempo a conquistare il paradiso perché Clint si materializzò sulla soglia, facendole un gran sorriso nel vedersela venire incontro.

«Andavi da qualche parte?» le chiese quando le fu abbastanza vicino.

«Lontano da qui, tanto per cominciare», precisò subito, facendogli abbondantemente capire di aver smascherato il suo patetico inganno.

«E perderti la riunione urgente?» domandò, visibilmente accigliato. Lo conosceva abbastanza per bene per capire che sapeva esattamente di essere stato scoperto, senza d'altro canto avere la benché minima idea di ammetterlo.

«Non sei divertente, Barton», decretò seccamente, accennando a superarlo e uscire. Clint la intercettò e le sbarrò la strada prima che potesse muovere un altro passo.

«Hai detto di voler sperimentare le tradizioni della più grande democrazia del mondo o sbaglio?»

«Non dire stronzate.»

«Va bene. Hai detto di voler sperimentare le tradizioni degli Stati Uniti, no?» si corresse, ben sapendo che non era alla discutibile definizione appioppata al paese che si riferiva. «Oggi avrai un assaggio di quello che chiamiamo Secret Santa.»

«Vorrei avere un assaggio dell'uscita, se non ti dispiace.»

«Mi dispiace infatti», stabilì, facendole cenno di tornare ad addentrarsi nel vivo dell'azione. «Sei sotto la mia supervisione, ricordi?»

«Non sono sotto il tuo nulla.» Il periodo di prova era finito da un pezzo.

«Sì, ma se combinassi qualcosa di strano, è con me che verrebbero a rifarsela.»

«Cosa c'entra questo con Secret Santa?» Tentò di concentrarsi su quanto la irritasse il concetto, piuttosto che permettere al senso di colpa di riemergere. Non avrebbe fatto proprio niente per mettere Clint in una posizione difficile: costasse quel che costasse, avrebbe ripagato il suo debito... il quale – ne era certa – non includeva la partecipazione obbligatoria ad una pagliacciata natalizia.

«Resta,» tagliò corto Clint, «se poi vorrai andartene... lo capirò».

Natasha gli lanciò un'occhiataccia: sapeva già che non sarebbe riuscita a dirgli di no.

 

*

 

16 dicembre, mattina

 

Clint l'aveva chiamato un miracolo di Natale, ma per lei assomigliava piuttosto ad un vero e proprio complotto. Perché tra tutti i nomi che avrebbe potuto pescare dall'odiosa – odiosa perché guarnita di irritanti decorazioni glitterate – calza rossa che Janis, la segretaria degli uffici del secondo piano, aveva riempito di bigliettini, aveva tirato fuori quello di Clint.

Aveva appreso che la gloriosa tradizione del Secret Santa consisteva nel: uno, tirare a sorte il destinatario del proprio regalo; due, rimanere anonimo finché la carta non è stata stracciata, i nastri snodati o frettolosamente recisi e rimossi, i bigliettini dimenticati da qualche parte nella foga di arrivare al sodo; tre, rivogare il presente alla prima occasione possibile (ma l'ultimo passo era, a detta di Clint, un optional).

Dal momento in cui aveva compreso le dinamiche del gioco, si era decisa ad imitare i gesti degli altri per poi defilarsi senza il benché minimo ripensamento: un dipendente dello SHIELD – quello che le sarebbe capitato – sarebbe rimasto senza regalo per quell'anno, ma non le importava. Tutto ciò che le interessava era dileguarsi nel niente e dimenticare per sempre quello che era appena successo.

Ma, per qualche assurdo motivo che non aveva voglia di indagare, il fatto che il nome in questione fosse proprio quello di Clint le aveva impedito di mettere in pratica i suoi sacrosanti propositi. Sapeva che non gliene fregava proprio niente dei regali di Natale, che molto probabilmente l'aveva trascinata a quella riunione col solo intento di metterla bonariamente in difficoltà... eppure si era resa conto che se fosse venuta meno alle regole del Secret Santa, si sarebbe sentita in colpa. E Natasha, di sensi di colpa, ne aveva pure troppi: le era apparso chiaro che avrebbe fatto di tutto pur di fare a meno di nuovi.

Per questo era tornata a casa, dove aveva rimuginato per una notte intera, e per questo aveva approfittato della mattinata libera per avventurarsi in territorio nemico.

Aveva sempre supposto che avrebbe odiato il centro commerciale, ma neanche nelle sue più tetre previsioni aveva ipotizzato di poterlo detestare così tanto.

Era rimasta nella hall dell'ingresso per un minuto buono; uomini, donne e bambini che le sfrecciavano di fianco schiamazzando, ridendo, chiacchierando o litigando al telefono, tutti diretti verso negozi diversi, tutti rumorosi, tutti sguaiati. O così almeno le erano parsi.

Aveva vagato un po' a casaccio, entrando da questa o quella parte, muovendosi come in un sogno – ma piuttosto un incubo – in cui le era risultato impossibile fissare un qualche punto fermo o ignorare le canzoni natalizie trasmesse non-stop dagli altoparlanti.

Riprese coscienza di sé quando si rese conto di star tenendo tra le mani una macchina per la produzione di pasta fresca. Inorridì nel realizzare che aveva appena tentato di ricordare se a Clint piacesse la cucina italiana e si affrettò a rimettere l'aggeggio a posto prima che la situazione si aggravasse ulteriormente: aveva davvero intenzione di regalargli un attrezzo per preparare gustosi – così diceva la confezione – spaghetti fatti in casa? Come le era venuto in mente che potesse essere una buona idea? Clint riusciva a malapena a non lasciar marcire il cibo nel frigorifero; spesso e volentieri mangiava la pizza fredda del giorno prima perché gli faceva fatica accendere il forno... adesso che ci pensava, forse neanche era sicuro che il forno funzionasse ancora.

No, era la strada sbagliata. Indietreggiò di un paio di passi per allontanarsi dallo scaffale così come si sarebbe allontanata da una minaccia incombente.

Si guardò attorno, osservando le persone che si spostavano rapide tra i corridoi illuminati dalle decorazioni natalizie sparse sulle vetrine, il soffitto, le pareti: ovunque. Seguì con lo sguardo un uomo che aveva con sé un frullatore di dimensioni gigantesche; poi una coppia che stava puntando con affanno al reparto delle macchine per il caffè (la prima cosa a cui aveva pensato, e sarebbe anche stata un'ottima idea se Clint non se ne fosse comprata una nuova solo qualche mese prima – lo sapeva perché gliene aveva parlato insistentemente e con orgoglio per diverse settimane); ancora un tris di donne verso gli spremiagrumi e poi... e poi.

Abbandonò da subito l'intenzione di individuare e pedinare un uomo che corrispondesse al profilo di Clint – giovane, single, scazzato – per capire che tipo di interessi potesse avere.

No, se voleva arrivare ad una qualche soluzione, avrebbe dovuto fare quello che le riusciva meglio: affrontare il problema come fosse stato una missione qualunque. Con rigore, coscienza di causa, precisione. Aveva forse mai vagato alla cieca per portare a termine un compito?

Bastò il pensiero a farla rabbrividire.

Primo passo: raccogliere informazioni sull'obbiettivo. Decise di procedere con ordine.

 

*

16 dicembre, poco più tardi

 

Ritirò in fretta e furia gli strumenti da scasso non appena avvertì dei passi provenire dalle scale. Li rimise nella tasca interna del giubbotto e, quando Simone comparve sul pianerottolo, si fece trovare mentre bussava all'appartamento di Clint.

«Natasha, giusto?» la donna, che portava in braccio il figlio più piccolo, le sorrise. «Ero passata per sentire se Clint aveva bisogno di qualcosa: sto andando a fare la spesa.»

«Simone», ricambiò il saluto, mettendo su l'espressione più innocente che aveva in repertorio. «Non è in casa,» cosa che aveva messo in conto quando aveva deliberato di volergli perquisire l'appartamento, «credo di aver confuso i suoi orari».

«Vorrà dire che ritorneremo più tardi», disse allora Simone, pronta e ritornare sui propri passi.

Natasha la osservò solo per qualche istante, abbozzando un microscopico sorriso in direzione del bambino, completamente abbandonato sulla spalla della madre.

Le tornò in mente un dettaglio che avrebbe potuto esserle utile e decise di giocarsi il tutto per tutto.

«Ho dimenticato la borsa della palestra da lui ieri pomeriggio», disse in fretta, costringendola a bloccarsi prima che potesse muovere un altro passo. «Ci sono tutti i miei documenti là dentro... non ci voleva.»

Simone si voltò di nuovo, visibilmente dispiaciuta del contrattempo.

«Mi aveva detto che avrebbe lavorato stasera, non stamattina», insisté, perché era sicura di aver imboccato la strada giusta.

«Ti servono adesso?» si informò tentativamente.

«Sì... devo...», sospirò, come se il guaio fosse troppo terribile per essere espresso a parole. Al senso di colpa che il raggiro ai danni di Simone le procurava stabilì di non pensare; avrebbe avuto tempo e modo per farsi perdonare.

«Clint mi ha dato le sue chiavi per... qualsiasi evenienza», azzardò la donna: esattamente quello che Natasha aveva programmato di sentirsi dire.

Lasciò che la squadrasse da capo a piedi, che si convincesse che era lì in buona fede, che in fin dei conti era stata ospite di Clint così tante volte da spazzare via qualsiasi dubbio riguardo le sue buone intenzioni. Si preoccupò di mostrarsi sufficientemente agitata all'idea di non poter recuperare i suoi documenti: funzionò, perché dopo una manciata di secondi Simone le disse di aspettarla lì, che sarebbe tornata subito.

Così fece, consegnandole le chiavi dell'appartamento con una raccomandazione inespressa negli occhi.

«Passo subito a restituirtele», le disse, affabile.

Il bambino di Simone arrivò in suo soccorso: scoppiò in un pianto dirotto e apparentemente inspiegabile, costringendo la donna a defilarsi di nuovo al piano di sotto, lasciandole tutto il tempo di agire indisturbata.

Si introdusse nel loft e si richiuse la porta alle spalle, passando rapidamente in rassegna le varie aree dell'appartamento. Individuò diversi settori e cominciò ad esaminarli uno ad uno alla ricerca di qualche indizio che potesse darle un'idea su cosa uno come Clint avrebbe voluto ricevere per Natale.

Portachiavi rotti, sacchetti di patatine ammezzati e abbandonati da chissà quando – si poteva regalare cibo spazzatura per Natale? –, un paio di scarpe da tennis, una rivista di tiro con l'arco, un pacchetto di sigarette dall'aria antiquata, calzini sporchi, una t-shirt spiegazzata, banane diventate ormai completamente marroni, una scatola di cereali vuota, una ciotola sporca abbandonata sul tavolo, la famosa macchina del caffè nuova di zecca, un barattolo di maionese e un paio di birre nel frigorifero, un sacchetto di piselli surgelati dell'anteguerra nel freezer, un posacenere con il simbolo dello SHIELD, un panno di pelle, altri indumenti sparsi, un articolo di giornale malamente ritagliato e appallottolato sul bancone, la busta del caffè, un paio di tazze usate e mai lavate, bicchieri, stoviglie nelle medesime condizioni, la televisione, il registratore, il mobiletto dei film...

Si soffermò sulla collezione di videocassette disordinatamente in mostra attorno allo schermo: serie TV risalenti a vari periodi, film di fantascienza, altri tratti da fumetti. Ne tirò fuori la copia di Blade Runner, il cui nastro era completamente uscito dalle fessure e si ammucchiava all'esterno. Non era un'esperta di tecnologia audiovisiva, ma era sicura che un VHS non dovesse fare proprio niente del genere.

Dopo qualche secondo, le fu chiaro che Blade Runner non era l'unico ad aver subito il “trattamento Clint”: Indiana Jones non era messo tanto meglio, e lo stesso poteva dirsi per i Star Wars: Episodio VI – cosa fosse successo agli altri cinque non voleva neanche immaginarlo. Suppose si trattasse dei suoi film preferiti... oppure di quelli che più detestava viste le condizioni in cui versavano.

Estrasse il cellulare dalla tasca del giubbotto e fece qualche foto alle copertine o ai titoli nel caso la custodia fosse andata smarrita. Finì di perlustrare la zona, trovando tra l'altro altri vestiti sporchi, una punta di freccia latitante e un lettore DVD ancora inscatolato.

Solo quando fu sicura di avere abbastanza informazioni, si decise a rimettere tutto come l'aveva trovato e ad uscire, chiavi alla mano. Le restituì a Simone, che ringraziò frettolosamente prima di ripartire alla volta del centro commerciale.

 

*

 

24 dicembre, sera

 

Clint comparve sulla porta con in testa un cappello da Babbo Natale. Natasha non poté fare a meno di lanciargli un'occhiata storta, come se ancora non riuscisse a credere che le festività gli stessero tanto a cuore. O magari lo trovava un interessante tocco di stile; tutto era possibile quando si trattava di Clint.

«Ti sei persa lo scambio dei regali», fu la prima cosa che le fece notare.

«Di proposito», ci tenne a precisare, superandolo per entrare nel suo appartamento.

«Credevo di averti convinta a partecipare...»

«No, mi hai solo incastrata con l'inganno a pescare un nome dalla calza», lo corresse, voltandosi per poterlo fronteggiare.

«Natasha Romanoff non fa mai niente che non voglia anche solo un pochino fare per conto proprio», la rimbrottò lui, intrecciando le braccia al petto e sorridendo ampiamente. «Che hai là dentro?»

«Il tuo regalo», decise di dire, consegnandogli la busta che aveva con sé senza troppe cerimonie.

«Sul serio? Wow... e io che credevo che fosse stato qualcun altro a lasciarmi a bocca asciutta», si lamentò, appropriandosi del regalo e buttandosi seduto sul divano per aprirlo in tutta comodità.

«Sarà stato imbarazzante», mormorò, tutt'altro che commossa dallo scenario in cui Clint rimaneva a mani vuote nella folla di colleghi armati di presenti e pacchi dai colori sgargianti.

«Non ne ho idea.»

«Che vuoi dire?»

«Che non ne ho idea perché non ci sono andato», specificò, scartando con foga la carta.

«No, aspetta», a questo punto neanche le interessava la sua reazione estasiata quando si ritrovò a stringere i DVD delle edizioni rimasterizzate dei suoi film preferiti di sempre, «mi hai costretta a partecipare e poi non ti sei neanche presentato?»

«Sapevo che la persona a cui dovevo fare il mio regalo non sarebbe stata presente», spiegò con semplicità, continuando a rimirare le copertine lucenti, rigirandosi tra le mani le confezioni come avrebbe fatto con un mazzo di carte. «Sono commosso. Non dovrò più vedere Harrison Ford che ondeggia sgranato sulla mia televisione! Credevo non mi ascoltassi quando parlo di film!» (e in effetti era esattamente così: solo una delle tante abilità che Natasha aveva sviluppato nel tempo).

Intrecciò le braccia al petto e restò ad osservarlo, contrita. Continuava a non capire come Clint fosse stato tanto sicuro di non trovare il destinatario del suo regalo al quartier generale e neanche perché, adesso, stesse osservando lo schermo della TV con cipiglio perplesso.

«Mi toccherà montare il lettore DVD ed entrare nel nuovo millennio», realizzò, un po' felice e un po' rattristato dalla prospettiva. Si riscosse e si voltò verso di lei, rialzandosi dal divano per sorriderle e baciarla su una guancia. Il gesto – la cui esecuzione era andata rallentando man mano che Clint realizzava cosa stava facendo, per poi chiedersi che diavolo stesse facendo e infine rendendosi conto che era troppo tardi per ritrarsi e che l'unica cosa da fare era concludere nel modo più rapido ed indolore possibile – confuse tanto Natasha quanto lui che l'aveva fatto, sicuramente vittima di un annebbiamento dei sensi o qualcosa di altrettanto catastrofico. «Adesso tocca a te!» annunciò a gran voce per distogliere l'attenzione dal microshock che aveva inflitto ad entrambi.

Raccolse un pacchetto di medie dimensioni dal tavolo e si affrettò a consegnarglielo.

«Io ho beccato te e tu hai beccato me?» domandò Natasha, sempre meno convinta che fosse stato il caso a creare quella situazione.

«Con un aiutino alla dea bendata...», alluse Clint, calcandosi meglio il cappello natalizio in testa.

«Perché non hai detto che avresti voluto che ci scambiassimo dei regali?» Continuava a sembrarle un modo piuttosto complicato per ottenere un risultato altrimenti abbastanza immediato.

«Non era quello lo scopo», le disse, insistendo affinché prendesse il pacchetto dalle sue mani.

«Qual era lo scopo?»

«Farti provare l'ebbrezza del Natale?» azzardò.

«Va' al diavolo, Barton», stronfiò, strappandogli il regalo di mano. Lo scartò in pochi attimi, ritrovandosi ad osservare un paio di enormi calzettoni antiscivolo tempestati da matriosche verdi e rosse su fondo bianco. Per la prima vera volta in vita sua, si trovò a corto di parole.

«Ti piacciono?» domandò a metà tra lo speranzoso e il divertito. «Ero in giro per negozi e appena ho visto le matriosche mi sei venuta in mente.»

«Non so se essere piacevolmente sorpresa o solo... un tantino offesa», commentò, ancora inebetita. Ringraziò il cielo di non aver neanche preso in considerazione l'eventualità che sarebbe stato proprio Clint ad occuparsi del suo regalo: si era risparmiata una lunghissima serie di paranoie e supposizioni che non avrebbero fatto altro che ingolfarle ulteriormente il cervello.

«Perché? Le matriosche non sono le bamboline russe?»

«Sì... perché in Russia passiamo il nostro tempo a giocare... con le matriosche. Tutto il giorno.»

«Sbaglio o c'è un'allusione sessuale là in mezzo?»

«L'allusione sessuale è nel tuo cervello, Barton.»

«Mi consola sapere che pensi che io abbia un cervello.»

«Anche le galline hanno un cervello.»

«Allora sono in buona compagnia.»

Natasha riabbassò i calzini e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso incredulo mentre scuoteva la testa: «Sono imbarazzanti al punto giusto. Grazie, Barton».

«E di che! Se avessi saputo che mi avresti regalato tre DVD mi sarei impegnato un po' di più... ma forse posso rimediare.»

«Non con un altro paio di calzini spero.»

«Sei un'ingrata, Romanoff. Sono comodi e caldi, l'hai sentito il pile all'interno? I tuoi piedi orgasmeranno dal piacere.»

«L'immagine è veramente terrificante.»

«Perché? Non hai dei brutti piedi.»

Evitò di rispondere, mentre Clint si spostava in cucina per prendere alcuni contenitori d'alluminio coperti. Natasha se ne vide consegnare uno e, per qualche assurdo motivo (ma principalmente perché in tal modo avrebbe dovuto abbandonare i calzini sul divano per avere le mani libere), obbedì alla tacita richiesta.

«Andiamo giù da Simone.»

«Perché?»

Clint la superò in direzione della porta, armato di ben due teglie di neanche lei sapeva bene cosa; di certo non era cibo cucinato da lui... o almeno se l'augurava.

«Perché la cena di Natale sta per cominciare.»

«Non ho vogl-»

«Certo che hai voglia. È Natale, non puoi restartene chiusa in casa a guardare Una poltrona per due

«Non sarebbe il primo film brutto che guardo...»

«No, è un classico del Natale, ma-», si bloccò di nuovo, ormai con un piede fuori dalla porta. «Non hai mai visto Una poltrona per due

«È così grave?» domandò, caricando la propria voce di tutto lo scetticismo possibile.

«No, è solo un crimine contro l'umanità o qualcosa del genere. Ci penseremo più tardi», decise, facendole cenno di seguirlo al piano di sotto.

«Non credo sia una buona idea», insisté col dire mentre lo seguiva giù per le scale. «Ti hanno detto di portare qualcuno o mi stai-»

«Sei stata invitata da Simone», precisò prima che potesse aggiungere nient'altro. «Mi ha chiesto se avevi qualcosa da fare per Natale, e di chiederti se avessi voglia di venire. E l'ho fatto... con qualche giorno di ritardo perché me n'ero dimenticato, ma quel che conta è il risultato finale, no?»

Natasha rimase ferma sull'ultimo gradino della rampa di scale che conduceva al pianerottolo inferiore, quello su cui affacciava l'appartamento di Simone. La porta si aprì lasciando uscire il calore dell'interno, il profumo del cibo, le voci di chi era già dentro, impegnato a festeggiare. Suppose fosse una cena in linea con i barbecue sul tetto che il condominio organizzava in estate e che quindi un po' tutti coloro che non avevano una famiglia da cui andare, fossero presenti.

«Siete arrivati!» esclamò la padrona di casa, affrettandosi a sfilare una teglia dalle mani di Clint. «Ehi, qualcuno venga ad aiutarmi!»

Natasha riconobbe alcuni degli inquilini del palazzo, un paio si fecero avanti per prendere in consegna il cibo gentilmente offerto da Clint (ma più che altro da un servizio di catering a cui si era chiaramente rivolto); intanto Simone faceva loro cenno di entrare.

«Sono contenta che ce l'abbiate fatta», riprese, invitandoli ad entrare e richiudendo loro la porta alle spalle.

Il salotto, trasformato in una vera e propria sala da pranzo, era immerso in un piacevole tepore che la colse impreparata. C'erano gli addobbi alle pareti, l'albero illuminato nell'angolo più remoto, i regali ammucchiati ai suoi piedi, ghirlande sul davanzale della finestra, calze coi nomi di Simone e dei bambini appese ad una mensola. Gli invitati si voltarono per salutarli mentre il tran tran delle celebrazioni riprendeva da dove l'arrivo di lei e Clint l'aveva interrotto.

«Prendo qualcosa da bere, ti va?» fu lui a chiederle, rivolgendole un sorriso adesso più tranquillo.

«Va bene», acconsentì. Non solo sapeva che opporsi agli eventi sarebbe stato inutile, ma ormai non era neanche più tanto sicura di volerlo fare. L'atmosfera era piacevole e finché Clint fosse rimasto al suo fianco, non avrebbe dovuto temere situazioni sociali particolarmente sgradevoli.

Gli lanciò un'occhiata interrogativa perché non si era mosso dal punto in cui si trovavano sebbene avesse annunciato di voler prendere da bere ad entrambi. Seguì la direzione del suo sguardo e si ritrovò ad osservare un mazzetto di vischio appeso al soffitto, proprio sopra di loro.

Scese di nuovo su Clint, inarcando bruscamente un sopracciglio al modo in cui lui la stava guardando: esageratamente rapito da un qualche concetto che Natasha neanche voleva prendere in considerazione, le ciglia teatralmente sfarfallanti.

«Non ci pensare neanche», lo mise in guardia.

«Ma è tradizione!»

«No, non mi fregherai di nuovo con la scusa della tradizione. Oppure possiamo iniziarne una nuova: prendi a calci le palle.»

«Suona... violento», mormorò Clint, contrariato eppure divertito.

«Proprio come piace a me.»

Lo guardò scoppiare a ridere, il calore della stanza che già aveva ridato colore alle sue guance ispide di barba.

«Buon Natale, Romanoff. Gradirei stessi lontana da un paio di palle in particolare...»

«Lo gradirei anch'io», convenne con lui. «Buon Natale,» si ricordò di aggiungere, ma non lo guardava più, «e grazie».

Lo superò senza dargli il tempo di rispondere.










Note: grazie per essere arrivati fin qui! Vi auguro un Buon Natale e vi rimando alla settimana prossima con il nuovo capitolo di Senza rumore (◡‿◡✿)
  
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