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Autore: Eraseandrewind    17/12/2015    2 recensioni
“Io... credo di aver fatto questo solo per vendicarmi. Lei ha sempre avuto tutto quello che voleva. Si era presa anche quello che credevo essere l'amore della mia vita. Ma non è così. Non sono più innamorata di te, da molto tempo oramai. Sei soltanto un sogno giovanile, una cotta adolescenziale... Mi sento così stupida e...sporca” mi disse Leo prima di andarsene da casa mia definitivamente, sbattendo la porta. Era la mattina del 16 novembre 2014, e pioveva, forte. La sera prima le avevo promesso che avrei lasciato Elisabetta e avrei meditato sulla situazione. Avevo troppa paura a dirle che ero innamorato perso di lei, quella pazza e tendenzialmente sociopatica ragazza che era da sempre il mio angelo custode, anche quando, a scuola, approfittavo della sua cotta per chiederle i compiti di latino.
Avevamo dormito insieme, quella notte, e prima di addormentarmi inspirai a lungo il suo profumo. Non potevo più farne a meno.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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16 maggio 2015

 

Don't speak, I know what you're saying, so please stop explaining. Don't tell me cause it hurts!

 

Le note di questa vecchia canzone risuonano dolcemente nella mia stanza, accompagnando il mio risveglio. Stanotte non ho dormito quasi per niente, come, d'altronde, ormai accade tutte le notti, da sei mesi a questa parte.

Senza fatica, mi alzo dal letto e mi dirigo verso il bagno, non dopo aver alzato il volume della musica. Adoro questa canzone, anche se nemmeno ricordo chi la stia cantando.

La adoro, perchè era la sua canzone preferita. La canticchiava tra sé e sé la prima volta che venne a casa mia, quel pomeriggio estivo di tre anni fa.

Hush, hush, darling...

E lei nemmeno se ne accorgeva.

Don't tell me cause it hurts...

Dio, era così bella. Stonata, sì, ma era deliziosa. Non dimenticherò mai il suo viso imbarazzato, quando le misi una mano sulla spalla e finalmente si accorse che la stavo ascoltando.

“Alberto! Non dirmi che hai sentito” esclamò, arrossendo violentemente.

Mi emoziono ancora al ricordo della sua voce che pronuncia il mio nome. Nessuno mi avrebbe più chiamato con quel tono, dolce e autoritario allo stesso tempo.

La canzone è ormai finita, e al suo posto c'è quell'insopportabile deejay a ricordarmi che oggi è sabato, che sono le nove del mattino, e che oggi sarebbe un giorno perfetto per portare in giro la propria ragazza.

Cazzo, io non ce l'ho una ragazza. Potevo averla. Ma sono un emerito coglione e l'ho lasciata scappare.

Spengo con un pugno la radiosveglia, che inizia a ronzare e a far lampeggiare i led rossi, per poi spegnersi del tutto. Probabilmente l'ho distrutta, ma che mi importa.

Torno in bagno, mi lavo la faccia e mi rado la barba, poi mi vesto e vado a fare la mia solita passeggiata in città. Oggi fa davvero caldo, per essere soltanto le nove, così arrotolo le maniche della camicia e me la sbottono leggermente.

Sono cresciuto in una famiglia abbastanza agiata, così ho potuto permettermi di vivere da solo in un appartamento del centro città, oltretutto nel viale principale. Ci sono andato non appena iscritto alla facoltà di Architettura, ed è sempre stato meglio così. Non ho mai dovuto litigare con eventuali coinquilini, ho sempre fatto quello che mi pareva, ho sempre portato ragazze a casa senza mai chiedere il permesso a nessuno, tranne che alle ragazze in questione.

Non appena arrivo nel viale principale, i profumi e i suoni del mercato del sabato mattina mi investono come un treno in corsa. Non ricordavo del mercato, così controllo se ho soldi con me e ne approfitto per fare un po' di spesa.

 

Cammino tra le bancarelle, dando un'occhiata qua e là alle merci esposte, finchè non sento alcune risatine. Alzo lo sguardo, e incrocio subito gli occhi di alcune ragazzine, che mi indicano e fanno finta di non essere notate. Sorrido leggermente, mentre continuo ad osservare la frutta davanti a me. Queste cose non mi sono affatto nuove... sono oggettivamente un bel ragazzo e non ho mai avuto problemi a conquistare una ragazza. Fino a un anno fa ero uno da “una botta e via”, non mi facevo problemi. E se lei non accettava, pazienza, passavo ad un'altra.

Un vero e proprio morto di figa.

Poi... l'ho incontrata. Anzi, reincontrata, perchè in realtà io e lei ci conosciamo da molto tempo, dato che eravamo in classe insieme alle superiori.

Quando la rividi, rimasi senza fiato. E non era passato poi così tanto tempo dalla fine delle scuole superiori... Aveva sempre quell'aria incazzata, i capelli spettinati e gli occhi scuri che volevano trasmettere orgoglio, ma che in verità trasudavano paura di sbagliare.

 

“Le prende quelle carote sì o no?” esclama la fruttivendola, urlandomi nelle orecchie. Sono talmente assorto nei miei pensieri che non mi sono nemmeno reso conto di aver afferrato un ciuffo di carote e di tenerle sospese a mezz'aria come un idiota.

“Oh.. certo, quant'è?” gliele passo frettolosamente e afferro il portafoglio dalla tasca.

“Un euro e venti”. Le do i soldi, prendo il sacchetto e ricomincio il mio giro.

Cammino di nuovo fino alla fine del mercato, giungendo al ponte che collega il viale al parco, mentre continuo a domandarmi perchè diavolo ho comprato quelle carote. Non so cucinarle e non mi piacciono nemmeno! Le sbricio: non hanno nemmeno un bell'aspetto...che sfigato che sono.

 

Il ponte brulica di gente, soprattutto coppiette, che vengono qui per scambiarsi promesse da infrangere o per sbaciucchiarsi un po' in pubblico. Che palle.

Decido di andare al parco. Lì ci sono degli animali... a loro potrei dare le carote.

“Tu hai comprato delle carote?” dice una voce femminile alle mie spalle. Un brivido risale lungo la mia schiena, paralizzandomi in mezzo al ponte. La sua mano mi sta toccando dolcemente la spalla. Il suo profumo, ai fiori d'arancio, come sempre, mi anestetizza il cervello.

“Eleonora...” balbetto. Lei ride, buttandosi i lunghi capelli castani indietro. Non posso che fare altrettanto.

“Stavo andando al parco... Sicuramente l'asino e le caprette le gradiranno molto più di me!” esclamo, portandomi le mani tra i miei capelli neri.

“Come stai?” continuo. Ritrovarsi l'oggetto dei propri pensieri davanti agli occhi, dopo che hai fantasticato su di lei per tutti i trecentosessantacinque giorni dell'anno passato, fa un certo effetto. È bellissima, ancora di più di quanto ricordavo.

“Molto bene, grazie!” sorride ancora, ed è luminosa. È... felice. Di certo, non sono io la causa della sua felicità.

“Mi sono laureata da poco... a settembre inizio la magistrale in Chimica Industriale” .

“Oh, complimenti allora!” istintivamente la abbraccio. Lei ricambia frettolosamente, sembra tesa... e come biasimarla. Qui, l'unico deficiente innamorato sono io. Peccato che me ne sia reso conto troppo tardi.

 

Non ce la faccio più a sopportare questo fardello, Alberto. Elisabetta è la mia sorellastra, tu stai con lei! Lei ti ama! Come ti amavo io tanto tempo fa. Come credevo di amarti fino adesso”.

Non è così? Quello che c'è stato tra noi che cosa ha significato per te?!”.

Alberto, tra noi è stato tutto uno sbaglio! Non avrei mai dovuto dare corda a quello che provavo... dovevo capire subito che era tutto finto”.

Sbaglio. Finzione. Lei chiamava così tutto quello che c'era stato. I baci rubati, le notti a scriversi... i sospiri che si fondevano tra di loro, le pelli che si sfregavano...

Per Eleonora tutto ciò non era mai esistito.

Sì, io stavo con la sua sorellastra minore, Elisabetta. La ragazza era l'opposto della maggiore: amava la vita mondana, era appariscente, divertente, spumeggiante, e io stavo bene con lei. Credevo di poterci costruire una storia seria, Betta mi piaceva tanto.

Ma quando andai a conoscere la sua famiglia allargata, rividi la mia ex compagna di classe, Eleonora, che aveva sempre avuto una cotta per me. Rimasi letteralmente folgorato, ma per un po' di tempo cercai di nascondere i miei sentimenti per lei.

Era strano. Fondamentalmente non era cambiata tantissimo, ma aveva un fascino particolare... Era capace di attirare la mia attenzione con un solo gesto delle mani; tutto di lei mi conquistava. Sognavo di poter assaporare le sue labbra carnose, di poterla toccare, di stringerla tra le braccia... e di farla mia.

Quando ero con Betta, pensavo a sua sorella.

Poi, un pomeriggio, Eleonora mi rivelò di non avermi dimenticato.

La prima volta che la baciai, fu nella sua camera da letto.

Non mi era mai capitato di sentire le farfalle nello stomaco, baciando una ragazza. Ma Leo – così si faceva chiamare – era diventata una droga potente, la mia droga, e cazzo se dava assuefazione. Ne volevo sempre di più. Le attenzioni di Betta non mi bastavano, anzi, mi davano un certo fastidio. Iniziai a dare retta a Leo, che la considerava solo una semplice sciacquetta da quattro soldi. Non erano mai andate molto d'accordo.

 

“Io... credo di aver fatto questo solo per vendicarmi. Lei ha sempre avuto tutto quello che voleva. Si era presa anche quello che credevo essere l'amore della mia vita. Ma non è così. Non sono più innamorata di te, da molto tempo oramai. Sei soltanto un sogno giovanile, una cotta adolescenziale... Mi sento così stupida e...sporca” mi disse Leo prima di andarsene da casa mia definitivamente, sbattendo la porta. Era la mattina del 16 novembre 2014, e pioveva, forte. La sera prima le avevo promesso che avrei lasciato Elisabetta e avrei meditato sulla situazione. Avevo troppa paura a dirle che ero innamorato perso di lei, quella pazza e tendenzialmente sociopatica ragazza che era da sempre il mio angelo custode, anche quando, a scuola, approfittavo della sua cotta per chiederle i compiti di latino.

Avevamo dormito insieme, quella notte, e prima di addormentarmi inspirai a lungo il suo profumo. Non potevo più farne a meno.

 

La guardo di nuovo negli occhi, scintillanti di felicità. Dio, che cosa darei per poter essere la causa di quel luccichio.

“Ehi, eccoti qui!”esclama un ragazzo alle spalle di Leo, prendendole la mano “Sei sparita”. Eleonora gli sorride e gli scompiglia i capelli biondi, emozionata. Il ragazzo posa con fatica la borsa della spesa e le stampa un bacio sulle labbra.

“Alberto, ti presento Arthur, il mio ragazzo” dice. Arthur mi guarda in cagnesco. Lui è completamente diverso da me. È alto come lei, non tanto muscoloso, di aspetto non particolarmente attraente. Ma l'ha stregata, e si vede.

“Piacere” diciamo all'unisono, stringendoci la mano frettolosamente.

“Tesoro, ti aspetto laggiù” il ragazzo si allontana.

“Artie, sto arrivando, saluto il mio ex compagno di classe” gli risponde di rimando “Devo andare.. è stato un piacere rivederti, ti ho trovato bene” continua, rivolgendosi a me.

“Altrettanto” riesco solo a dire. Leo si allontana con un sorriso.

 

Si è rifatta una vita.

Lei è andata avanti. Io sono ancora qui, su questo ponte, in mezzo al via vai di gente.

Avrei voluto dirle che la amo, ma è stato meglio così. Mi asciugo velocemente una piccola lacrima, e poi, finalmente, proseguo verso il parco, dove un asino e qualche capretta aspettano con ansia le mie carote.

 

 

 

 

 

   
 
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