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Autore: laNill    17/12/2015    2 recensioni
Non udiva niente, non vedeva niente. Nelle orecchie solo il rumore affrettato del respiro che gli graffiava la gola sforzandolo ad uscire, negli occhi atterriti e spaventati un velo bianco, un muro che tentava di scalare ma che lo buttava giù, schiacciandolo.
Aveva bisogno d’aria.
Come si respirava?
[KuroKen; Warning: panic attack]
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Breath

Aveva spalancato gli occhi l’istante in cui si era sentito cadere.
Il fiato trattenuto nei polmoni l’aveva rilasciato tutto d’un fiato, ed ora si trovava a corto d’aria; aveva i pugni stretti sulle coperte, tanto da sentire le unghie conficcate a forza nei palmi seppur attutite dal tessuto.
Kenma si passò una mano sulle tempie, scostandosi le ciocche bionde, mentre tastava il comodino e accendeva il display del cellulare: erano le 3.46 di notte.
Lo chiuse, e la stanza piombò di nuovo nel buio e nel silenzio quieto che vi era nella stradina del quartiere. Di solito gli piaceva quel silenzio quieto e calmo; quella volta c’era un disagio, una costrizione alla base del petto che lo rese più irrequieto, più instabile.
Non capì come nacque, ma la bufera gli riempì la testa prima che potesse pensare a qualcosa per distrarsi.
Sentì il sudore freddo permeargli nella pelle, mentre il petto si alzava ed abbassava più in fretta del normale, gli occhi d’ambra che puntavano il soffitto e poi si spostavano rapidi, irrequieti nel buio della stanza, in cerca di qualcosa che lo distraesse: la lampada, la divisa di scuola, la televisione.
Si drizzò a sedere con una frenesia incontrollabile, le dita che tremavano, il fiato corto e il cuore che continuava a battere in fretta, troppo in fretta.
Non udiva niente, non vedeva niente. Nelle orecchie solo il rumore affrettato del respiro che gli graffiava la gola sforzandolo ad uscire, negli occhi atterriti e spaventati un velo bianco, un muro che tentava di scalare ma che lo buttava giù, schiacciandolo.
Aveva bisogno d’aria.
Come si respirava?
Si alzò tremando, aprendo la finestra e sentendo l’aria fredda dell’inverno colpirlo in viso come uno schiocco di frusta.
Tremò ancora di più, premendo le mani contro il bordo della scrivania, sentendo il calore defluirgli dalle vene, dal viso, dal corpo finendo per pungergli il petto e serrargli i muscoli, le membra.
Aria, aria, aveva bisogno d’aria.
Ritornò a letto, sedendosi con le membra frementi e le labbra aperte, in una ricerca di ossigeno che non riusciva a sentire.
Serrò la mano attorno al cellulare, fermandosi sull’unico nome che voleva chiamare ma che si tratteneva a fare. Era piena notte, gli allenamenti erano stati estenuanti ed era stato un miracolo se si reggeva in piedi, sulla via di casa e sul treno; ma chi altri poteva chiamare, se non Kuroo?
Attese sette squilli di telefono, dondolandosi sul materasso, col respiro che gli raschiava la gola, inglobando quanto più ossigeno potesse ma finendo per non arrivargli nulla, ai polmoni -o almeno così gli pareva. Gli occhi ricolmi di paura e panico.
Un tuffo al cuore quando la chiamata venne presa.
“.. mh- Kenmah? Sai che ore sono?” La voce di Kuroo era appesantita, strascicata dal sonno al quale l’aveva strappato. Il solo sentirla fu una carezza calda al cuore.
Rimase in silenzio, in parte in colpa di averlo svegliato, non sapendo cosa dirgli, cosa spiegargli, il perché non riusciva a respirare come voleva, tanto da fargli salire le lacrime agli occhi.
Kuroo parve capire qualcosa, perché percepì un fruscio di coperte e la voce appena più sveglia, più presente. “Kenma? Che c’è?”
Un rantolo roco gli scappò dalle labbra, in un fremito che gli percorse le spalle, tra un respiro profondo e un singulto.
“Kuroo. Vieni, ti prego.”
Di nuovo un fruscio, più deciso, di coperte che si scostavano, e la voce di lui che gli arrivò più chiara alle orecchie.
“Dammi due minuti.”
 
Abitavano vicini, lui e Kenma, ad una distanza irrisoria di nemmeno una decina di passi.
Era abituato a sgattaiolare di casa in casa senza che nessuno dei loro genitori li scoprissero, fino a quando non li sentivano parlare nelle rispettive camere; nel suo giardino Kenma aveva un albero di ciliegio, abbastanza basso da poter essere scalato dalle sue gambe fin da quando aveva dieci anni.
Lo scalò anche quella notte, osservando con un cipiglio preoccupato la sua finestra aperta verso la quale un ramo dell’albero si protendeva.
“Kenma, ci sono. Che è successo?” domandò di getto, non appena ebbe messo piede nella stanza.
Lo trovò raggomitolato tra le coperte: un mucchio spesso che si alzava ed abbassava con fin troppa frequenza.
Lo raggiunse, sedendosi, mentre incontrava i suoi occhi dorati alzarsi e puntarsi imploranti e spaventati sui propri; una parte di lui si sentì stringere lo stomaco per osservarlo in quel modo, in cerca di un aiuto.
Stirò le labbra in un sorriso divertito, seppur addolcendolo quel poco che bastava per farlo stare bene, allungando una mano ad accarezzargli il capo.
“Che c’è? Brutto sogno?” Domandò, sondando il terreno, per quanto fosse consapevole del perché fosse così bianco in viso e facesse così tanta fatica a respirare.
Non erano rare le volte che lo colpiva un attacco di panico improvviso nel pieno della giornata, sebbene riuscisse quasi sempre a controllarlo e ad arginarlo quando si trovava in sua presenza. “Vuoi coccole? Grattini? O preferisci-”
Non seppe cosa portò Kenma a farlo, ma le sue mani gli si aggrapparono alla maglietta e il suo corpo si protese verso di lui, mentre il maggiore lo accoglieva tra le sue braccia, trattenendolo, abbracciandolo.
Aveva reagito d’istinto, ma continuò a sorridere con quel suo fare sfrontato, seppur quel gesto di Kenma lo avesse colto alla sprovvista in un primo momento. “Eccoti.” Un sussurro gli smosse appena i capelli biondi, e Kenma si strinse a lui appena di più nel suo abbraccio, sentendo il cuore iniziare a calmarsi.
“Sono qui. E’ tutto apposto, va tutto bene.”
La voce di Kuroo riusciva a sentirla, al di là del rombo del proprio sangue e del respiro, che lentamente finirono per acquietarsi e placarsi del tutto.
Respirava di nuovo; respirava il profumo di Kuroo.
Il peggio era passato.
“Visto? Non era nulla.” La voce gli uscì con una nota di dolce ironia, sentendo sotto alle sue dita i muscoli del più piccolo ritornare a rilassarsi, capendolo e sapendo che era tutto finito.
Kenma non rispose, non riusciva a muoversi cullato com’era dal suo abbraccio: la sua mano gli accarezzava la schiena in carezze regolari e continue; l’altra era sulla sua nuca, tra i suoi capelli.
“Bacio?”
Si trovò ad annuire dopo un istante di silenzio, Kenma, prima di alzare il capo ed accettare il premere delle labbra di lui sulle proprie, mentre gli circondava il collo con le braccia e affondava il capo nell’incavo del suo collo.
Non seppe quando finì per addormentarsi, dopo quello.
Si svegliò con la luce che filtrava appena tra le tapparelle abbassate della finestra, accanto a lui Kuroo gli sorrise mettendo da parte uno dei suoi fumetti; aveva ancora la tuta del Nekoma con cui era entrato quella stessa notte e con cui, probabilmente, aveva dormito.
“Colazione?” chiese, dopo averlo tranquillizzato che sua madre sapeva della sua presenza nella sua stanza.
Il minore si accoccolò per un attimo contro di lui, contro il suo collo.
Rispirò il suo odore, l’odore di Kuroo che conosceva e che riusciva a tranquillizzarlo, accompagnato dalle sue mani e dalla sua voce che sovrastavano ogni altro suono, ogni altro rumore durante i suoi attacchi; si staccò, poi, un sorriso tenue a piegargli le labbra.
“Colazione, sì.”


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Note dell'Autrice.
Doveva essere una cosina più piccola e meno 'ansiogena'.
Doveva.. ma, ovviamente, quando mi metto in mente di fare una cosa, i personaggi me la rivoltano come un calzino *sosp
Aniway, non so da dove mi sia uscita -la mia otp non merita questi momenti brutti ;^;
Ma sono bellissimi e chui lo stesso <3 
Prometto di scrivere qualcosa di più fluffuoso e tenero very soon-
Alla prossima :3

Rin*

 
  
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