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Autore: FairySweet    18/12/2015    1 recensioni
Non sei mai stato bravo a raccontare bugie. Non l'hai mai fatto, non a te stesso per lo meno, come puoi pensare di ingannarti così? Dimenticare i suoi occhi, il suo sorriso, dimenticare il battito accelerato che ti sconvolgeva il petto ogni volta che l'avevi vicino.
Eppure ci hai provato, hai cambiato vita per lei, per te stesso, per la tua famiglia ma era bastata una telefonata, era bastato il suo nome per convincerti a scappare via di nuovo ...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elliot Stabler, Olivia Benson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era arrabbiato da morire, arrabbiato con sé stesso, con quel figlio di puttana che l'aveva ridotta così e con lei.
Lei che lo rendeva debole, dipendente dai suoi sorrisi, dal suono della sua voce, lei che era stata l'unico sogno in quelle lunghe notti passate lontani, l'unico incubo violento di quegli ultimi anni.
Avrebbe dovuto dormire, riposare almeno un po' cacciando via quella stanchezza maledetta che offuscava il giudizio e massacrava il corpo e invece, tutto quello che riusciva a fare, era restare lì, seduto in quella poltrona con le mani mollemente abbandonate sui braccioli, la testa reclinata all'indietro e gli occhi persi sul volto di una giovane piena di dolore.
Ricordava le parole dette al medico: Non ora, non così, è troppo arrabbiata con me.
Eppure, nonostante tutto, era di nuovo lì, incapace di lasciarla, incapace di svolgere le indagini perché il suo viso tornava ancora e ancora davanti agli occhi.
Era a pochi passi da lei, abbastanza vicino per poter sentire il suo respiro, per poterla guardare negli occhi perché quella era l'unica cosa che gli avrebbe mai concesso.
Notte dopo notte passava le ore a guardarla negli occhi, a leggere in quello sguardo vuoto il dolore, la paura e la rabbia che mai sarebbe risucito a cancellare.
L'orologio scandiva lentamente il tempo, mezzanotte, un'ora creata apposta per dormire, per sognare ed evadere dal dolore violento di quel mondo sbagliato, un'ora dolce e tranquilla che non era stata creata per loro.
Loro che come anime dannate passavano i minuti a leggersi dentro, loro che non avevano chiesto quell'amore ma che ci si erano ritrovati catapultati senza alcun preavviso.
Un uomo e una donna incapaci di accettare quel sentimento, incapaci di viverlo, costretti a lottare giorno dopo giorno, a soffrire e per cosa? Per cosa avevano combattuto tutti quegli anni? Per finire in quella stanza d'ospedale a parlare da soli? Fece un bel respiro inclinando leggermente la testa di lato, non era così che immaginava il loro futuro.
Non era così che la immaginava. Lei doveva vivere, doveva sorridere e amare e magari avere dei figli e poco importa se figli suoi o di qualcun'altro, avrebbe dato la vita per vedere di nuovo nei suoi occhi la stessa passione che anno dopo anno l'aveva incatenato al battito di un cuore meraviglioso, quella stessa passione che ora lo teneva accanto a lei, seduto su quella poltrona a combattere con la stanchezza, a cacciare via il sonno per poterla guardare, per poterle restare vicino, troppo vicino forse ma che altro poteva fare? L'avrebbe abbracciata, l'avrebbe stretta così forte tra le braccia da soffocare le urla di quei demoni orrendi, l'avrebbe fatto davvero ma era certo che se si fosse azzardato anche solo ad alzarsi in piedi così vicino a lei, il suo cuore sarebbe schizzato nel petto ad una velocità impressionante costringendola a bloccare razionalità e respiro e non poteva farlo. L'aveva già vista una volta così, con le lacrime agli occhi mentre tentava di capire cosa ci facessero tutti quei medici attorno a lei, mentre soffriva da morire per delle ferite profonde di cui non aveva memoria, incapace di muoversi, incapace di parlare per colpa di un tubo di plastica che la costringeva a respirare.
Non poteva sopportarlo di nuovo, non poteva costringersi un'altra volta a guardarla negli occhi promettendole che tutto si sarebbe sistemato, che sarebbe andato bene e che nessuno l'avrebbe più toccata.
Per questo restava lì, a guardarla, a sorriderle consapevole che quella tenerezza non avrebbe mai oltrepassato il muro di ghiaccio che si era costruita attorno.
Non le avrebbe fatto promesse senza senso, non le avrebbe chiesto di resistere ancora e ancora per qualcuno che forse non meritava più quei sorrisi.
L'aveva già lasciata una volta e il mondo attorno a loro aveva preso a correre ad una velocità tremenda cancellando pezzi del loro passato, cancellando la possibilità di vivere quel sentimento violento che ora gli spezzava il petto e che forse per lei aveva cambiato nome.
Riusciva a sentirla, la sentiva urlare silenziosamente, maledire il cielo, piangere, sentiva il freddo di quello sguardo respingere con violenza ogni tentativo di tenerezza, ogni sospiro, ogni sorriso.
Non l'avrebbe lasciata di nuovo, sarebbe rimasto seduto su quella dannata poltrona tutto il tempo necessario, minuti, ore, anni, sarebbe rimasto lì, a guardarla negli occhi fino a quando ne avesse avuto la forza perché aveva bisogno di lei, un bisogno disperato quasi viscerale di sentirla respirare e ridere e parlare di nuovo e se per averla indietro avrebbe dovuto litigare con lei o costringerla a piangere, allora l'avrebbe fatto, avrebbe fatto tutto il possibile per riavere di nuovo la sua Liv.




 
  
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