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Autore: Rebecca_Daniels    18/12/2015    5 recensioni
Da un prompt di @ingestita: "Harry gestisce un bar dove i clienti possono scrivere sui muri e Louis ha paura di far sentire la sua voce".
Una storia in cui da un punto può cominciare l'infinito...
Barman!Harry & Writer!Louis
9k+ parole
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice
Questa storia nasce da un prompt di @ingestita (se volete scrivere delle AU trovate tutte le sue geniali e meravigliose idee sull'account @ingestitaprompt) ed era il seguente: Harry gestisce un bar dove i clienti possono scrivere sui muri e Louis ha paura di far sentire la sua voce.”
Ci tengo a precisare che è la prima Larry "seria" che scrivo e penso personalmente che il risultato sia disastroso, ma lascio a voi l'ardua sentenza... Ci vediamo di sotto per le ultime note e GRAZIE xx



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From A Dot Started The Infinity


A chi deve scrivere dell'amore
per continuare a crederci xx


Noi eravamo infinito. Io ora sono solo finito.
Harry aveva riletto quella frase almeno cinquanta volte dall'inizio di quella giornata, una per ogni passaggio in quella parte del suo locale in Lexington Street. L'unico motivo per cui aveva deciso che gestire un bar non fosse un sogno di ripiego così pessimo era stata solo la voglia di renderlo speciale. Così aveva messo a disposizione dei clienti matite, pennarelli e addirittura marker, di modo che in qualsiasi momento potessero marchiare i muri di quel posto con le loro sensazioni, con parti della loro vita e, perché no, della loro anima. Solo non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. In poco più di un anno di attività, già tre quarti delle pareti erano state modificate dal passaggio della gente e delle loro storie, rendendo un anonimo bar in centro a Londra un raccoglitore di pezzi di umanità. E Harry si era innamorato di tutto questo.
Ripassò la mano sull'angolo vagamente tagliente a causa dell'intonaco che le due pareti compivano prima di dare accesso all'area più appartata del locale: era lì che lo sconosciuto aveva deciso di tracciare quelle parole con un marker nero, utilizzato nella parte più sottile. La grafia era un poco infantile, nessuna inclinazione particolare, uno script quasi perfetto se non per una certa difficoltà nel completare del tutto il segno delle singole lettere, lasciando che si accennassero appena, come se l'autore avesse paura che potessero essere troppo visibili. L'aveva scovata per sbaglio, mentre raccoglieva da terra una serie di tovaglioli sporchi: era giusta all'altezza del tavolo più vicino, di modo che solo accucciandosi si potesse notare. Ma soprattutto, Harry ne poteva leggere unicamente la prima parte dal lato di muro in cui era lui e solo spostandosi dall'altra parte della parete aveva scorto il resto. Ed aveva smesso di respirare.
Ne aveva lette parecchie di dichiarazioni di un amore che sarebbe stato eterno o di vere e proprie invettive su un amore che era stato solo dolore e nient'altro. Ma questa era diversa. Aveva dentro di sé una tale disillusione e una così potente sofferenza che gli fecero salire un nodo alla gola, colpendolo in tutta la loro veridicità. Insieme erano universi infiniti, ma ora, divisi in singole entità chissà quanto lontane, non erano altro che piccoli mondi finiti, conclusi in loro stessi. E lui o lei, si sentiva finito. Terminato. Forse addirittura emotivamente morto.
Harry accarezzò ancora una volta quelle parole davvero pesanti, lo fece con la delicatezza delle sue mani che si ostinava a descrivere come “ossute”, potendo quasi percepire la sofferenza di ogni lettera e si diede dello stupido per quella sua tendenza da eterno bambino di innamorarsi di qualsiasi cosa. Quindi si costrinse a tornare con i piedi per terra e riprese a lavorare, gettando di tanto in tanto uno sguardo all'angolo di quella parete.


L'aveva visto. Louis aveva visto che un cameriere di quel bar dove si era rifugiato quasi dieci giorni prima per non rischiare di disintegrarsi in mille pezzi per strada, aveva letto la sua frase. Quella che aveva scritto non sapeva bene nemmeno lui perché sul muro al suo fianco, lo stesso che l'aveva sorretto mentre lasciava che un esercito di lacrime cancellasse definitivamente ciò che c'era stato di loro.
La vetrina del locale scomparve davanti ai suoi occhi ormai profondi come un mare in tempesta e fu sostituita dalle immagini delle mani di Oliver sul viso di un altro. Le loro bocche che si scontravano e si assaggiavano senza sosta, senza lasciargli il tempo di capire che tutto fosse davvero sul punto di finire. Quello era successo quando il suo migliore amico di sempre, quello che l'aveva aiutato a capire chi fosse, l'unica persona che avesse mai amato si era voltato nella sua direzione e l'aveva squadrato da testa a piedi come fosse uno sconosciuto. Un giocattolo rotto. Ed era così che Louis si era sentito mentre correva fuori dal loro appartamento, lo stesso che avevano deciso di arredare senza nessun gusto particolare ma lasciando che parlasse di loro come individui, che si erano scontrati, poi incontrati ed, infine, uniti. Erano (o forse, pensò Louis, era meglio dire “erano stati”), un noi davvero meraviglioso, fatto di infiniti universi che si confrontavano e mescolavano ogni volta, rendendo la loro relazione una qualcosa di unico. Ma mentre era corso via da quell'appartamento ormai privo di significato, Louis si era sentito uno stupido ed ogni pezzo del suo corpo di giocattolo aveva cominciato ad ammaccarsi irreparabilmente. Così era entrato al The Dot per non rischiare di sfaldarsi del tutto lungo le strade di una città che in quel momento faticava anche a riconoscere. Si era seduto su un tavolo qualsiasi e aveva ordinato un Yorkshire tea, senza probabilmente rendersene nemmeno conto. Non aveva guardato nemmeno la ragazza che gliel'aveva portato, perché tutta la sua attenzione era concentrata su un marker nero abbandonato in mezzo al tavolino di legno su cui si era letteralmente accasciato. Le braccia incrociate e la testa appoggiata pesantemente su di esse, il ciuffo di capelli castani a coprirgli gli occhi, abbastanza da nascondere al mondo le lacrime che gli scolpivano il viso, ma non a sufficienza da proibirgli la vista di quell'oggetto abbandonato. Come lui.
Si sentiva inutile, forse anche un po' usato, ma soprattutto inutile. Non era mai stato un ragazzo dotato di parecchia autostima, ma con Oliver aveva imparato a valorizzarsi e se non proprio a piacersi, per lo meno a non denigrarsi ogni volta che si guardava allo specchio. Ma ora? Che cos'era rimasto di tutto quello? Nella sua vita era sempre stato convinto che le cose sarebbero andate in una determinata maniera e già il rendersi conto di essere gay non era mai stato compreso nei piani, ma ce l'aveva fatta ed aveva riscritto i suoi programmi includendo quella parte di sé. Però aveva la ferma convinzione che a ragazzi come lui, che vengono da un paese come Doncaster, dove le case sono tutte uguali e l'aspirazione massima è trovarsi un lavoro fisso, crearsi una famiglia e andare a vedere i Doncaster Dovers giocare la domenica, la vita non riservasse grandi sorprese. Per questo era rimasto sconvolto quando Oliver era entrato a far parte della sua esistenza e gli aveva mostrato che c'erano invece un'infinità di occasioni lì fuori, anche per lui.
Aveva preso in mano quel marker senza nemmeno pensarci troppo e l'aveva stappato, rigirandoselo tra le mani. Solo allora aveva notato come tutt'attorno i muri fossero pieni di scritte e si era chiesto se lui avrebbe trovato ancora, anche se Oliver non sarebbe più stato al suo fianco, il coraggio per lasciare la sua impronta sul mondo. No, non ce l'avrebbe più fatta, lo sapeva, eppure voleva che un ultimo spiraglio del vecchio Louis, quello che il suo ormai ex ragazzo aveva appena distrutto, lasciasse un'ultima traccia della sua esistenza. Così aveva scritto quella frase che rappresentava perfettamente gli ultimi sette anni della sua vita, nell'unico posto del muro che non era immediatamente raggiungibile con una semplice occhiata e se ne era andato, lasciando quel marker nero aperto, abbandonato sul tavolo, destinato ad essiccarsi ed essere gettato via definitivamente. Quasi aveva sorriso mentre usciva, pensando che quella sarebbe stata anche la sua fine.
Louis si riscosse dai ricordi di quel giorno e maledisse mentalmente e per l'ennesima volta il destino, che l'aveva condotto proprio in Lexington Street. Stare a casa di Niall non era il massimo della vita, considerato il via vai di tipe e tipi che c'era (ancora gli sfuggiva il motivo per cui aveva deciso di dare consulenze legali in casa, invece di aprirsi uno studio), quindi si era offerto volontario per andare a fare la spesa. Erano dieci giorni che non usciva e non aveva la più pallida idea di che cosa stesse accadendo nel mondo esterno. Peccato, infatti, non avesse messo in conto che un vento insolito per fine Settembre gli avrebbe congelato i piedi ancora prima di arrivare al supermercato più vicino e che il suo ombrello si sarebbe disintegrato alla prima folata densa di pioggia. Si tolse, dunque, con un gesto stizzito un po' di foglie dai capelli ormai fradici ed entrò nel locale senza pensarci due volte, dirigendosi al tavolo più lontano possibile da quello su cui si era lentamente consumato dieci giorni prima.


-Buongiorno, cosa ti porto?
Ci volle forse una frazione di secondo prima che Louis si ricordasse di essere in un bar e che magari fosse anche il caso di ordinare qualcosa.
-Un Yorkshire tea, grazie.
La ragazza se ne andò e Louis ebbe la sensazione di averla già vista: magari era la stessa che l'aveva servito quella volta. Avendoci riflettuto per dieci notti intere e avendo pianto quelle che sperava tutte le lacrime che aveva in corpo sulla spalla di Niall, Louis serbava un vago ricordo di quello che era successo quasi due settimane prima. Era come se il suo istinto di sopravvivenza si fosse risvegliato e l'avesse costretto in primis a nutrirsi (aiutato anche da un Niall che si ostinava a preparargli tre pranzi al giorno) e poi a rinchiudere tutto quell'episodio in un angolo remoto del suo cervello. L'unico problema era che, assieme ad esso, aveva sepolto anche la sua abilità di scrivere. Quando muore una musa, muore anche un pezzo dell'autore giusto? Almeno così gli aveva sempre insegnato il suo professore di scrittura creativa: era un lutto che andava elaborato e che, il più delle volte, non era mai possibile superare veramente. Questo era il rischio di trovarsi una musa ispiratrice, questo il prezzo che ora doveva pagare Louis per aver legato praticamente tutta la sua produzione artistica ad un uomo che l'aveva letteralmente distrutto. Con ogni probabilità non avrebbe più scritto, perché la sola idea di trattare qualsiasi altro argomento che non fosse l'amore per lui gli appariva inutile. Un po' come si sentiva lui.
Cercò la confezione monouso di latte che era solito mettere nel tea, comparso non spaeva bene quando davanti a lui, ma la sua attenzione fu catturata da un marker nero giusto affianco al porta zucchero. Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra sottili e rosse per colpa del calore della bevanda, memore di ciò che aveva scritto l'ultima volta che era stato in quel posto. Erano passati dieci giorni, ma a Louis non sembrava trascorso neanche un secondo, perché, se proprio doveva essere sincero, si sentiva ancora una schifezza. Però prese lo stesso in mano quel marker, lo aprì soprappensiero e cercò con lo sguardo un posto nascosto su cui marchiare i propri pensieri, dato che le emozioni non poteva nemmeno pensare di fronteggiarle, figurarsi schematizzarle con delle parole.
La vita è tutta una fottutissima porta che si apre e si chiude. Alle volte gentilmente, altre volte no.


L'aveva osservato. Attentamente se doveva essere sincero. E l'aveva trovato obbiettivamente attraente. Ed anche affascinante. Ma soprattutto dannatamente sexy. Aveva l'aria un poco sbattuta, di chi non usciva di casa da parecchi giorni, ma Harry vi aveva scorto ugualmente qualcosa di notevole: forse erano i capelli castani abbandonati casualmente sulla fronte o quegli occhi di un azzurro cristallino che sembravano pervasi da una chiara nota di tristezza; oppure le mani piccole e nervose che stavano letteralmente stritolando il pennarello nero con cui scarabocchiava qualche frase sul lato del tavolino a cui era seduto. Tutto in quel ragazzo lo attraeva quasi ad un livello primordiale, come se sentisse un richiamo ancestrale provenire dal basso ventre e diffondersi in ogni cellula del suo corpo: avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo stringere tra le braccia, baciare quelle spettacolari labbra sottili e fargli dimenticare qualunque fosse il motivo di tanta tristezza e rabbia. Ma non ebbe il tempo nemmeno di pensare ad una battuta ad effetto con cui avvicinarsi a lui, perché il bel sconosciuto se ne era già andato, lasciandosi dietro solo lo scampanellio dello scaccia-pensieri appeso alla porta d'ingresso.
Senza pensarci due volte, si diresse al suo tavolo e lesse ciò che con tanta foga il ragazzo aveva appena finito di scrivere. Doveva davvero aver preso una cocente delusione per essersi sfogato con quel tipo di parole e Harry provò un'irrefrenabile curiosità di scoprire la sua storia. Ma l'avrebbe rivisto ancora?


Odiava quella strada. E il tempo londinese. O almeno era così da quando quella voragine gli si era aperta nel petto e Louis si era ritrovato a corto di idee su come ricucirla. Eppure continuava a passare davanti a quel diavolo di locale strampalato, riuscendo però ad impedirsi di metterci piede dentro. Lui scriveva per lavoro ma da quando era stato tradito e poi lasciato come se fosse uno straccio qualsiasi per togliere la polvere dalle bomboniere sopra il caminetto, non era riuscito più a scrivere una sola riga. Intere ore a fissare la pagina bianca di Word senza digitare neanche una parola. Giorni passati di fronte al suo Quaderno Delle Ispirazioni senza trovarci nulla di interessante. Nemmeno una sillaba era sgorgata dalle sue mani se non quelle due stupidi frasi scritte di getto sui muri di quell'assurdo caffè. Erano passati undici giorni dall'ultima volta che ci aveva messo un piede dentro ed ora, per qualche ragione che nemmeno lui sapeva, ci era capitato di nuovo davanti, come se il caso gli stesse suggerendo che in quel posto fosse contenuta la chiave per aprire la prigione di mutismo creativo in cui era caduto.
Era fermo fuori dalla porta da almeno due minuti buoni, intento a contemplare l'insegna del locale, incurante del fatto che le persone dentro lo potessero considerare altamente inquietante. Era ancora concentrato su quella tazza fumante dal colore ormai sbiadito a causa dello smog londinese, quando sentì uno sguardo su di lui. Non lo vedeva, ma lo sentiva. Era come incollato al suo volto, sentiva le guance che gli si coloravano vagamente di rosso non per il freddo, ma per l'imbarazzo, per il peso di quel paio di occhi che sembrava lo stessero scannerizzando. Così si sentì costretto ad abbassare lo sguardo ed eccoli lì: era forse possibile vedere dell'ossidiana verde in un paio di iridi sconosciute?


Se gli avessero detto che incontrare i suoi occhi sarebbe stato così destabilizzante non gli sarebbe nemmeno passato per l'anticamera del cervello: ci teneva alla sua salute mentale e quello sguardo fatto di calcedonio gliela stava buttando all'aria. Vi poteva leggere tutta la sua vita e al tempo stesso gli sembrava celare un'infinità di mondi forse mai nemmeno raccontati da quelle labbra che furono il secondo colpo inferto al suo precario equilibrio emotivo. Come potevano un paio di labbra sottili e leggermente screpolate dal freddo diventare così allettanti solo lasciando uscire leggere nuvolette di respiro caldo?
-Harry! Mi serve il conto del tavolo sette!
La voce solitamente dolce di Dapfne, gli arrivò alle orecchie incredibilmente fastidiosa e Harry dovette concentrarsi non poco per non risponderle male: non faceva parte del suo carattere essere scortese.
-Arrivo, arrivo...
A malincuore dovette abbandonare quegli occhi che ora avevano assunto un'espressione tra il turbato e il sconcertato, pur di raggiungere quella dolce ragazza gallese che sembrava non aver ancora imparato a fare uno scontrino da sola.


Louis era letteralmente scappato. Aveva corso a perdifiato per qualcosa come quindici minuti senza mai fermarsi, fino a quando i suoi polmoni non avevano minacciato di fargli esplodere il petto e si era ritrovato nel bel mezzo di uno delle centinaia di parchi dispersi per la città, piegato su sé stesso, a sputare per terra quella che con ogni probabilità era acida bile.
Non era possibile.
Dopo un mese non poteva ancora farsi assalire da quegli attacchi di... Sì, quella era follia. Ogni paio di occhi verdi rischiava di fargli ricordare quelli di lui e la reazione era sempre la stessa: si sentiva inutile, voleva scappare e non riuscendo a trasformare tutte quelle sensazioni in parole, non gli restava che far contorcere il suo stomaco fino allo spasmo. Ormai era arrivato persino a perdere qualche chilo e Niall non si era risparmiato dal farglielo notare con un'espressione tra il preoccupato e il compassionevole che non gli si addiceva per nulla. Louis sapeva perfettamente di dover andare avanti, di lasciare che il suo passato con Oliver diventasse solo un ricordo sbiadito che magari avrebbe potuto fargli male unicamente dopo le due di notte, ma non era così facile.
-Non è facile un cazzo qui!
Una coppia che stava passeggiando lì vicino si voltò nella sua direzione quando lo sentì imprecare verso il cielo pieno di nuvole e Louis si sentì un perfetto idiota.
Si strofinò più volte le mani sulla faccia, cercando di non soccombere alle lacrime che minacciavano di schiacciarlo con il loro peso. Respirò a fondo e recuperò il telefono dalla tasca del giubbotto, mandando un messaggio di supplica a Niall perché lo andasse a recuperare il prima possibile: lo aspettava un'infinita nottata di rimorsi e cucchiai di gelato.


Harry voleva rivederlo. Non sapeva come fosse possibile, ma negli ultimi cinque giorni non aveva fatto altro che rivedere davanti a sé quelle iridi terribilmente meravigliose che l'avevano conquistato in un solo incontro. Doveva forse credere che esistesse davvero il colpo di fulmine? Si fosse basato su quello che la gente aveva scritto nei mesi sui muri e sui tavoli del suo locale pareva proprio di sì, ma a lui sembrava tanto una storiella da dodicenni inesperte, quindi si costrinse a convincersi che fosse tutta colpa di quegli occhi che erano troppo belli per essere reali. Chiunque avrebbe fantasticato sullo sguardo di quello sconosciuto, così Harry non si sentì nemmeno un po' in colpa. Solo che quel pensiero era diventato sempre più fisso, tanto che non si accorse minimamente della voce di Daphne che lo stava chiamando dall'altra parte del locale.
-Harry! Oh che cavolo...
Un turbinio di capelli rossi gli si parò davanti e, con le mani premute sui fianchi come una vecchia matrona, gli disse:
-Harry Edward Styles torna con i piedi per terra e vai ai servire i tavoli del TUO locale!
Harry adorava quella ragazza ma stava cominciando a ritenerla un po' troppo esasperante per poter continuare a lavorare con lui: aveva aperto quel locale per poter dare un rifugio sicuro a tutte le anime in pena di Londra, non poteva rischiare di diventarlo lui stesso.
-Va bene mamma...
Daphne alzò gli occhi al cielo e gli diede una leggera pacca sul sedere, mentre Harry si dirigeva con la sua solita camminata flemmatica verso uno dei tavoli vicino alla vetrata.
Prese tra le mani la penna e il blocchetto che teneva nella tasca davanti del grembiule nero, quello che indossava sempre e che gli faceva sembrare le gambe chilometriche ancora più lunghe e si preparò a prendere l'ordinazione del nuovo cliente.
-Buongiorno. Cosa le porto?
Fu quando questo alzò il viso per dirgli che cosa volesse, che per poco Harry non fece cadere tutto dalle sue mani.


Un po' forse l'aveva fatto apposta. Un po' c'aveva pensato il destino sotto forma delle solite voglie da donna incinta di Niall. Come al solito aveva spedito Louis fuori di casa per andargli a prendere del burro d'arachidi senza cui sembrava non riuscire più a vivere e, sempre come al solito, Louis si era fatto trovare impreparato da quel temporale che i metereologi avevano previsto da settimane, così si era rifugiato proprio casualmente in quel caffè. A dire il vero l'ombrello l'aveva dimenticato sul serio, ma per arrivare lì aveva corso sotto la pioggia per più di cinquecento metri. Forse per verificare se il lavaggio di testa che il suo amico irlandese gli aveva fatto qualche sera prima avesse sortito qualche effetto e gli permettesse di incontrare delle iridi dannatamente verdi senza desiderare di scomparire dalla faccia della terra. O forse solo per sperare di riuscire di nuovo a scrivere qualcosa, fosse anche stata una stupida frase senza senso su uno qualsiasi di quei tavolini.
Ma si era sbagliato quasi su tutta la linea, perché quando alzò la testa per fare il suo ordine al proprietario di quella voce a dir poco ipnotica e graffiante, Louis pensò di dare forfait. Nei confronti del suo passato che non voleva andarsene, di quegli occhi illegalmente belli e della sua vita in generale.


-Wow...
Non si era nemmeno accorto di aver fatto sgusciare fuori dalle sue labbra morbide e carnose quell'esclamazione che con ogni probabilità lo aveva fatto incasellare nella categoria “Gente strana” delle conoscenze di quel ragazzo bello da togliere il fiato. Era sempre stato un tipo che sapeva farci con le persone, specialmente quelle che lo attraevano come il bel sconosciuto seduto davanti a lui, le mani leggermente strette attorno al solito marker nero che lo stesso Harry sistemava ordinatamente sopra i tavolini ogni sera, ma con lui era diverso. Sentì uno strano calore attraversagli lo stomaco come una fiammata al sol pensiero di quelle mani così piccole e nervose strette attorno alla sua schiena e dovette scuotere la testa per scacciare quell'immagine che imbarazzava persino la sua fervida immaginazione.
-Scusami... Allora, cosa ti posso portare?


Louis era paralizzato sul posto e la musica indie di sottofondo si confondeva nelle sue orecchie con lo scrosciare incessante della pioggia lungo la vetrata al suo fianco. Il caos nella sua testa non faceva che aumentare.
Aveva come l'impressione che quelle labbra rosse e all'apparenza così morbide gli si sarebbero impresse indelebilmente in testa, assieme ai dolci boccoli abbandonati sulle spalle ampie, fasciate da una camicia bianca a righe nere, sbottonata a tal punto da far vedere la pelle tesa sopra le clavicole. Per un solo istante il flash della sua bocca che vi posava sopra un bacio leggero gli riempì la testa, ma lo scacciò velocemente abbassando lo sguardo.
Non era pronto per tutto quello, no davvero.
Sapeva che il suo silenzio stava diventando a dir poco imbarazzante, soprattutto perché quel ragazzo dallo sguardo intrigante continuava a fissarlo, non sapeva se per attendere la sua ordinazione o per altro. Eppure non riusciva ad emettere una singola parola. Era completamente bloccato, come se il verde di quelle iridi troppo simile a quello di un fantasma del passato gli stesse bloccando la gola. Aveva paura.
-Va tutto bene?
Louis per un attimo non capì il perché di quella domanda, fino a quando sul legno scuro del tavolo davanti a sé non fece la sua comparsa una pesante lacrima, caduta senza che se ne accorgesse dal suo volto affilato. Quando aveva cominciato a piangere? E soprattutto: da quando si lasciava andare così improvvisamente in pubblico, per lo più di fronte ad un perfetto sconosciuto?


Continuava a non parlare ed ora stava anche piangendo. Ed i suoi occhi già di per sé spendenti, stavano letteralmente brillando per colpa di quelle lacrime fastidiose che lo mettevano palesemente in imbarazzo. Ma fu solo un attimo, perché il ragazzo abbassò immediatamente lo sguardo, privandolo di quello spettacolo.
Harry dovette stringere le mani attorno al blocchetto e alla penna per non rischiare di lanciarli al vento ed asciugare quei frammenti di emozione con le sue dita. Da quando si sentiva così tanto legato ad un perfetto sconosciuto? Scosse la testa talmente forte che alcune ciocche di capelli boccolosi gli caddero sugli occhi, coprendo quel leggero rossore che gli aveva impreziosito le guance a causa di un pensiero troppo sdolcinato persino per uno come lui.
-Facciamo così: ti porto un tea, va bene?
Voleva aiutarlo ma aveva come l'impressione che stando lì a fissarlo stesse solo aumentando il suo stato d'ansia, neanche fosse lui a causarglielo. Così si allontanò a malincuore dicendo a Daphne che da quel momento in poi si sarebbe occupato personalmente dello sconosciuto, suscitando nella rossa una risatina tipica di chi già la sapeva lunga.
Cercò di osservarlo dal bancone senza farsi notare, mentre sceglieva con cura quali bustine di tea portargli al tavolo: alla tenue luce del piccolo lampione che Harry aveva scelto di posizionare giusto sopra quel tavolo seguendo un gusto tutto suo, lo sconosciuto gli apparve improvvisamente avvolto da un nuovo significato. Era la personificazione della tristezza e dell'insofferenza, come se l'una alimentasse l'altra in un eterno circolo senza via d'uscita in cui lo sconosciuto si stava smarrendo. Ed Harry provò l'irrefrenabile desiderio di prenderle quelle mani piccole e nervose tra le e farlo star bene anche solo per un secondo.
-Harry, piantala di fissarlo! Lo stai consumando!
Doveva davvero prendere in considerazione l'idea di licenziare Daphne, specialmente se continuava a guardarlo come se fosse un adolescente alle prese con la sua prima cotta. Scosse la testa e mise la selezione di bustine di tea sopra il vassoio dove aveva già appoggiato, senza rendersene neanche conto, sia la teiera fumante che una tazza, entrambe di un tenue color azzurro, molto simile a quello dei suoi occhi. Si diede dell'idiota per aver anche solo pensato una cosa del genere e si diresse verso il suo tavolo, cercando di non inciampare sui suoi stessi piedi come era solito fare quando era nervoso. Il motivo per cui fosse anche solo vagamente nervoso rimaneva un mistero, ma a quanto sembrava il bel e triste sconosciuto gli suscitava una serie infinita di sensazioni devastanti semplicemente a pelle. Ci avrebbe scritto qualche giro di chitarra, ne era sicuro.
-Ecco a te...
Appoggiò il vassoio sul tavolo di legno, notando con un piccolo cenno di dispiacere come il ragazzo avesse allontanato istintivamente le mani, nascondendosele in grembo, come se avesse paura di un qualsiasi casuale contatto con lui. Ma Harry gli sorrise lo stesso in quella maniera che sapeva far sentire le persone accettate e al sicuro, quella che piaceva tanto a sua madre Anne.


Non riuscì a bloccare le sue labbra dallo schiudersi leggermente e formare una piccola “O” mentre scorgeva delle adorabili fossette incidersi nelle guance magre del cameriere che solo qualche minuto prima l'aveva già sufficientemente sconvolto con il verde delle sue iridi: forse doveva smetterla di andare in quel posto. Non l'aveva mai detto a nessuno, ma Louis aveva una letterale ossessione per le persone che sorridendo facevano spuntare quei deliziosi solchi nelle loro guance, tanto che praticamente tutti i suoi personaggi preferiti ne erano provvisti. Se proprio doveva essere sincero, quel ragazzo sembrava una straordinaria ed inspiegabile incarnazione di qualsiasi personaggio maschile lui avesse mai creato: una sorta di mash-up perfetto di tutto ciò che la sua mente aveva partorito in anni e anni di scrittura creativa. Occhi grandi e verdi in cui perdere la concezione del finito e lasciarsi avvolgere dall'infinito; capelli a sfiorargli le spalle in boccoli quasi angelici, in cui era sicuro che passare le mani sarebbe stato come toccare il cielo con un dito; labbra rosse e carnose capaci di ipnotizzare chiunque con un solo bacio, come aveva sempre immaginato potessero fare quelle delle divinità greche; la linea definita e virile della mascella che scendeva fino al collo niveo ed infantile, come se il loro proposito fosse quello di mandare in black out il cervello di chiunque vi si soffermasse per troppo tempo; il petto ampio in cui rifugiarsi per farsi carezzare da quelle mani eleganti e fin troppo attraenti per limitarsi a volere delle semplici carezze; e quelle gambe chilometriche e dannatamente strette in un paio di jeans scuri così perfetti che anche solo immaginare di toglierli sembra un peccato mortale, ma forse tutti quei pensieri lo erano già abbastanza che uno in più o uno in meno non avrebbero inciso sul quantitativo di anni che avrebbe passato all'inferno. Perché quel ragazzo era l'incarnazione di ogni suo sogno proibito e non, e la cosa gli appariva più come una condanna che come una benedizione.
In fin dei conti se non era riuscito a creare un personaggio come lui fino a quel momento, ora che l'aveva incontrato nella realtà sarebbe stato letteralmente impossibile trasportalo in parole e punteggiatura, perché nulla, Louis lo sapeva già, gli avrebbe mai reso davvero giustizia.
-Io... Io non sapevo che gusto preferissi, così li ho messi un po' tutti... Cioè, tutti quelli che abbiamo qui perché metterli davvero tutti sarebbe praticamente impossibile ed io sto decisamente straparlando... Scusa.


Si diede dello stupido e ci mancò davvero poco che non si battesse anche una manata sulla fronte mentre si domandava per quale diamine di motivazione la sua boccaccia non potesse starsene chiusa, specialmente di fronte a quel dolore così tangibile a quella distanza ravvicinata. Aveva mai incontrato qualcuno così irrimediabilmente distrutto?
Eppure l'ombra di uno spettacolare sorriso si fece largo sulle guance ancora umide per quelle lacrime versate poco prima e Harry credette di non aver mai assistito ad uno spettacolo più prezioso: stavo sorridendo per lui, nonostante fosse chiaro non avesse più motivazioni per farlo e si sentì immensamente fortunato. Ma non disse nulla. Non una parola. Non un sospiro. Solo lo scarabocchio di un sorriso su un volto che era tracciato da un tale groviglio di emozioni da risultare incomprensibile.
-Bene... Se hai bisogno, sai dove trovarmi.
Mentre si voltava per dirigersi verso una Daphne ormai sommersa di ordini da preparare si diede di nuovamente del cretino perché insomma: chi diceva davvero ad uno sconosciuto “se hai bisogno, sai dove trovarmi”?! Sembrava la frase di una prostituta di alto borgo e non era esattamente l'impressione che sperava di fargli.
Si rimise al lavoro, cercando di non offendersi da solo per non avergli nemmeno chiesto quale fosse il suo nome, benché avesse come l'impressione che se anche l'avesse fatto lo sconosciuto non gliel'avrebbe detto e questa era solo l'ennesima domanda che si aggiungeva alle altre centinaia che gli erano sorte sulla punta della lingua da quando aveva letto la prima frase scritta sul muro dalla sua grafia disordinata.
Quando rialzò lo sguardo e lo riportò su quello che era ormai diventato il suo tavolo preferito il suo cuore ebbe un piccolo cedimento: il bel sconosciuto se ne era andato, lasciando al suo posto una sedia vuota che come sfondo aveva una vetrina solcata da pesanti e lente gocce di pioggia. Senza rifletterci due volte si diresse al tavolo e vi trovò la tazza vuota, una bustina di Yorkshire Tea aperta e abbandonata vicino al piattino che sovrastava una banconota da 5 sterline. Ma non era questo quello che interessava ad Harry (benché aver scoperto quale tipo di tea preferisse lo rendesse molto soddisfatto), così cominciò ad osservare, perlustrare ogni centimetro di legno in cerca di una parola, un disegno, una qualsiasi traccia del passaggio della sua anima e non solo del suo corpo. E lo sconosciuto non lo deluse.


Louis era fermo nel bel mezzo del marciapiede dall'altra parte della strada rispetto al The Dot e nonostante la pioggia continuasse la sua lenta ed indisturbata corsa lungo il suo viso, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla vetrata di fronte a lui. Era come se il mondo si fosse fermato e tutti i riflettori della vita si fossero puntati su quell'essere probabilmente sovrannaturale che, appena se ne era andato dal locale, si era immediatamente recato al suo tavolo per cercare qualcosa. Quello stesso qualcosa che Louis aveva lasciato sperando che lui lo trovasse. Quel qualcosa che ora stava tramutando il suo viso maturo in quello di un bambino all'entrata al Luna Park il giorno del suo compleanno, con tanto di sorriso dotato di fossette.
Scuse che riparano danni mai fatti. Sorrisi che colorano sogni infranti.
L'aveva scritta sotto il porta salviette quella frase e non sapeva bene nemmeno lui come avesse trovato il modo di tradurre in parole quello che aveva provato, dato che ormai si sentiva in apnea da più di un mese, eppure quella voce carezzevole e quel sorriso abbagliante l'avevano quasi costretto a farlo.
Ed improvvisamente sentì le guance tirarsi sotto le gocce di pioggia fredda e la sensazione di un sorriso farsi strada nel suo cervello. Si toccò le labbra per esserne davvero sicuro, perché era così tanto che non accadeva che si era quasi convinto di non esserne più capace.
Poi si rese conto che il bel cameriere stava per alzare la testa nella sua direzione e, senza pensarci due volte, corse lontano da quel ragazzo che non poteva essere davvero reale, perché altrimenti poteva significare solamente che la perfezione esisteva.


Aveva davvero senso fare finta di non aver ormai consumato gli stipiti della porta a furia di fissarli, nella vana speranza che lui li varcasse? No, non aveva senso ma soprattutto sarebbe stato come mentire a sé stesso ed Harry odiava dire le bugie: lo facevano sentire in difetto e sporco. E poi non ci vedeva nulla di male nell'aver trascorso dieci giorni nella vana speranza di scorgere due iridi tristi ma brillanti in maniera struggente nel suo locale.
-Hazza, io lo dico per il tuo bene: dimenticati di quel tipo. Non so che fissa ti sia presa, ma sembra che se non lo vedessi comparire da un momento all'altro da quella porta, potresti pure morirmi qua... Ed io sinceramente non ho alcuna intenzione di occuparmi della baracca da sola.
Harry la guardò per un attimo, cercando di capire fin a che punto stesse scherzando, ma quello chi vide nello sguardo di Daphne fu una ben poco velata preoccupazione. Che diamine gli stava succedendo?
-Ehi! Non chiamare baracca questo meraviglioso luogo di meditazione e creatività!
-Vado a fare gli ordini del caffé che è meglio... E, giusto perché tu lo sappia, oggi tocca a me scegliere la musica quindi dì pure addio alla tua lagna hipster!
E detto questo corse letteralmente dietro la porta che portava al magazzino, sapendo già che altrimenti si sarebbe sorbita una solfa infinita su quanto fossero straordinari i gusti musicali di Harry, che però era già tornato a contemplare assorto la strada al di là della vetrata. Un tenue sole stava illuminando con note aranciate l'atmosfera di fine Ottobre, come se anche il cielo volesse partecipare agli imminenti festeggiamenti per Halloween. Sorrise di rimando a quell'aria di trepidazione che si respirava sempre prima di qualche festività e si chiese per l'ennesima volta perché una sottile malinconia si stesse insinuando dentro di lui, come aveva cominciato a fare ogni volta da quando aveva incrociato lo sguardo del bel sconosciuto. Era come se gli mancasse qualcosa... Ma come poteva sentire l'assenza di qualcuno che in realtà non gli era mai appartenuto?
Il trillo dello scaccia pensieri che aveva appeso alla porta in onore dell'imminente festività lo fece trasalire ed alzare la testa di scatto in direzione dell'entrata. A quell'ora del pomeriggio c'era solo qualche cliente all'interno del The Dot, ma Harry era sicuro che anche quelle poche persone stessero trattenendo il fiato esattamente come stava facendo lui.
Poteva essere più bello dell'ultima volta in cui l'aveva visto?
Alcuni raggi traditori donavano dei riflessi biondi ai suoi capelli solitamente castani, che erano lasciati cadere casualmente sulla fronte come se non sapesse perfettamente quanto gli donassero messi in quella maniera. Il giubbotto di jeans chiaro era aperto su un maglione vinaccia che faceva risaltare in maniera decisamente illegale l'azzurro puro dei suoi occhi, mentre nemmeno il freddo sembrava scalfire la sua mania di lasciare scoperte le caviglie con dei risvoltini altissimi sopra le Vans consunte. Si guardava attorno, come se fosse incerto sul reale motivo della sua presenza lì, ma per Harry era tutto fin troppo chiaro: stava ricominciando a respirare senza che si fosse nemmeno reso conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.
Poi i loro sguardi si scontrano ed Harry credette di aver raggiunto le porte del paradiso.


Fu quando i suoi occhi si posarono sul verde di quelle iridi maledette che Louis pensò di aver appena varcato i cancelli dell'Inferno. Sapeva perfettamente che non sarebbe mai dovuto andare al The Dot, ne era consapevole. Ma si conosceva abbastanza bene da sapere altrettanto che se non avesse rivisto quel ragazzo almeno un'altra volta sarebbe impazzito, perché ogni singola notte di quegli ultimi dieci giorni era stata una lenta agonia scandita dagli infiniti tentativi di ricreare nella sua mente il suo sorriso.
Per non parlare del fatto che non fosse riuscito a buttare giù nemmeno una riga, facendo irritare parecchio non solo il suo editore, che aspettava ormai da due settimane il primo racconto della prossima raccolta che avrebbe dovuto pubblicare entro l'inizio del nuovo anno, ma anche Niall, che sembrava non sopportare più il fatto di sentirlo sospirare sconsolato di fronte alla pagina intonsa di Word. Era come se avesse un intero romanzo giusto sulla punta della lingua ma non riuscisse a trovare la chiave per aprire la sua bocca. O forse, nel suo subconscio sapeva quale potesse essere la chiave giusta, ma non voleva crederci. Eppure vedere quelle mani strette attorno ad uno strofinaccio consunto, quegli occhi persi nella contemplazione di qualcosa che non poteva credere essere lui, quelle labbra che si stavano aprendo in un sorriso di sollievo, come se vederlo lo facesse star bene e che sapeva inspiegabilmente di casa... Vedere tutto quello gli faceva prudere le mani dalla voglia di scrivere. Assurdo.
Non poteva sopportare quello sguardo ancora per molto, quindi optò per andare a sedersi a quello che era diventato il “suo” tavolo, senza riuscire a togliergli davvero gli occhi di dosso. Si sforzò di concentrarsi sul listino dei tea che trovò sul tavolo, vicino al solito marker nero, ma la sensazione degli occhi di qualcun altro sul suo corpo lo stavano letteralmente mandando a fuoco: quella situazione non aveva senso.


-Harry, hai per caso... Oh. Oh! E' tornato! Lui è...
-Sta zitta Daph!
Harry cercò di incenerirla con un'occhiata fiammeggiante, senza davvero riuscirci, tanto che la ragazza scoppiò semplicemente a ridere e gli si avvicinò con fare cospiratorio.
-Pensi di chiedergli come si chiama questa volta o continuerai a fare la figura del pesce lesso?
E detto questo gli lasciò uno scappellotto che lo lasciò basito: stava facendo una figura pessima con lo sconosciuto e tutto per colpa di quella pazza della sua collega.
Cercò di darsi un contegno e si diresse verso il tavolo, ma dopo pochi passi si voltò e tornò dietro al bancone: ormai che era in ballo, tanto valeva farlo con stile.
Preparò una teiera con dell'acqua bollente, una tazza dello stesso colore aranciato del cielo che si intravvedeva oltre le vetrate e una sola bustina di Yorkshire Tea, poi posizionò il tutto sul vassoio e prese un foglietto di carta dal suo blocchetto.
Adoro quello che scrivi e come lo scrivi. xx
Lo posò giusto sotto il piattino con la tazza e si avviò finalmente verso il tavolo dove era seduto lo sconosciuto. Che lo stava fissando. Letteralmente. E Harry dovette concentrarsi più del solito per non lasciare che i suoi piedi si trasformassero in due budini capaci di sciogliersi da un momento all'altro. Appoggiò il tutto sopra il tavolo, occupato solo dal porta salviette, dal menù abbandonato casualmente nel centro e dal marker già aperto, dato che le sue mani erano nascoste in grembo, come se avesse ancora paura di un praticamente impossibile contatto con lui.
Non disse nulla, non lo guardò nemmeno, perché altrimenti si sarebbe perso in una contemplazione alquanto imbarazzante che non gli avrebbe di certo fatto fare una grande figura, posò il necessario davanti allo sconosciuto, gli rivolse un sorriso e se ne andò.
Percepiva chiaramente i suoi occhi che scorrevano lungo tutta la sua figura mentre si allontanava e la cosa non faceva che procurargli un malsano piacere alla base dello stomaco.
Si diresse verso un gruppo di ragazze che era appena entrato e lasciò che le cose andassero come sperava potessero andare.


Quello era un biglietto. Ed era rivolto a lui, Louis non aveva alcun dubbio. Così afferrò al volo il marker, senza badare nemmeno l'acqua fumante nella teiera, e rispose con un semplice:
Grazie.x
Non credeva di riuscire più a ricordare l'ultima volta in cui avesse utilizzato un “x” per concludere un messaggio. Era sicuro di averlo fatto per anni, quando era ancora giovane , spensierato e quello che credeva essere l'amore della sua vita non gli aveva ancora detto che era una cosa infantile.
Chiamò con un cenno del capo l'altra cameriera, Daphne se aveva capito bene, e le indicò il biglietto e poi il cameriere. No: Harry. Persino il nome era tra i suoi preferiti, diamine. Lei gli sorrise gentile e si diresse volentieri a fare da messaggero. Louis, invece, decise di dedicarsi al suo tea, o meglio, al suo Yorkshire Tea: che fosse davvero stato attento anche a tipo di tea gli piacesse?


Quando Harry vide arrivare Daphne con un sorriso trionfante stampato in faccia e un bigliettino tra le mani per poco non fece cadere la tazza che aveva tra le mani: aveva davvero intenzione di comunicare tramite messaggi scritti su foglietti di carta?
-Potrei avere qualcosa per te, ma non te lo darò se prima non ammetterai di avere una cotta astronomica ed assolutamente giustificata per quel ragazzo.
Lo stava davvero ricattando mentre quel dannato ragazzo poggiava le sue labbra sottili sulla tazza che lui stesso gli aveva appena portato, rischiando di fargli esplodere tutte le sinapsi del cervello? Al diavolo Daphne e al diavolo la razionalità.
-Daph dammi quel foglietto...
-Harry, Harry, Harry... Sai cosa devi fare per averlo...
L'unica cosa che Harry era certo di sapere era la sensazione degli occhi dello sconosciuto su di lui e su quella scena a dir poco imbarazzante per la sua stupidità. Si avvicinò alla rossa con un solo lungo passo e a denti stretti fu costretto ad ammettere la sua resa.
-Va bene, hai ragione: potrebbe anche piacermi... Ora dammi quel foglietto.
E fu così che si ritrovò a rigirarsi tra le mani un biglietto con un semplice “grazie” come risposta, che però sembrava celare molti più significati. O almeno Harry sperava fosse così.
Afferrò la penna dalla tasca del grembiule e scrisse di getto:
Comunque io sono Harry. Tu, invece, sei?xx
Avrebbe potuto riconsegnarlo a Daphne ma aveva come la sensazione che quel giochino gli sarebbe costato fin troppo in termini di concessioni, quindi si diresse lui stesso al tavolo del bel e terrorizzato sconosciuto che, vedendolo arrivare così di gran carriere, probabilmente temeva volesse parlargli di persona.


Louis trasse un respiro di sollievo quando lo vide appoggiare il foglietto vicino alle sue mani chiuse attorno alla tazza ormai quasi vuota, ma durò un solo istante, perché nel preciso momento in cui le sue dita affusolate e calde sfiorarono “inavvertitamente” la pelle delle due nocche rischiò di avere un infarto. Gli sembrò che tutto il sangue che aveva in corpo fosse confluito in quel punto per renderlo iper sensibile e dannatamente attratto da quella quelle mani che lo avevano appena toccato involontariamente. Non era normale, non lo era per niente. Eppure era straordinariamente fantastico.
Louis non si accorse nemmeno di essere rimasto fermo a fissare la tazza ancora avvolta dalle sue dita per cinque lunghissimi minuti, ma si rese perfettamente conto della necessità impellente di uscire da quel locale, prendere le distanze da quel ragazzo e disintossicarsi dall'effetto che aveva su di lui, perché non si sentiva per nulla lucido e le conseguenze erano potenzialmente disastrose. Ma prima di lasciare la solita banconota sotto il piattino, Louis afferrò il marker, trovò un angolino di legno vuoto e riversò in parole la tempesta che gli stava sconvolgendo l'anima.


Più vivo in un tocco che in un'intera esistenza. Louis x
-Louis...
Harry era convinto che il nome dello sconosciuto non solo fosse adatto in maniera quasi drammatica all'idea che si era fatto di lui ma che suonasse anche tremendamente bene quando usciva dalle sue labbra. Aveva sempre amato i nomi francesi ed il suo angelo non poteva che averne uno del genere per non smentire la propria aura di perfezione. Era quasi superfluo ripercorrere mentalmente tutti i sogni ad occhi aperti che gli avevano occupato la mente da quando lo sconosciuto si era presentato al caffè l'ultima volta, così come era quasi indicente il numero di volte in cui sempre lui aveva acceso le sue fantasie più nascoste nel riparo più sicuro della notte. O le melodie che quegli occhi celestiali gli avevano suggerito nelle prime ore dell'alba, quando la città non era ancora sveglia ma il cuore di Harry correva già da un pezzo su praterie del colore del ghiaccio e colline della tonalità pallida delle sue labbra.
Non sapeva come fosse arrivato a quel punto. Era vero, era sempre stato un ragazzo attratto dalla bellezza in ogni sua forma e apparizione tanto da svilupparne un certo rispetto reverenziale, ma con le persone che attiravano la sua attenzione non aveva mai esitato nel farsi avanti, perché era sicuro dell'ascendente che esercitava su chiunque fosse nel suo raggio d'azione. Eppure per lo sconosciuto, no, per Louis provava una vera e propria venerazione che lo spingeva ad osservarlo da lontano e a non poterne fare a meno. Forse aveva ragione Daphne e stava impazzendo.
Vedeva nei suoi gesti ripetitivi, nel suo modo nervoso di giocare con le mani, nella curva che la sua schiena assumeva quando si sedeva al tavolo, una sorta di impazienza per qualcosa che sembrava non tornare più e al tempo stesso una sconcertante rassegnazione per averla persa del tutto che lo spingevano ad ammirarlo ancora di più. Era certo fosse un'anima affine alla sua, sensibile fino a farsi male da solo e forse era proprio quello che era successo. Harry riusciva a rimanere a galla in tutta quella marea di sentimenti tenendosi ancorato alle storie degli altri, anche quelle che leggeva sui muri e sui tavoli del suo locale e tramite la musica, che sembrava fornirgli sempre un modo per rimettere in ordine la confusione che spesso gli si creava nel petto e nella testa.
Ma Louis? Aveva trovato la sua ancora per non lasciarsi trascinare via dalla vita?
Era un pomeriggio di metà Novembre e Harry non vedeva comparire sulla soglia del suo locale la zazzera disordinata di capelli di Louis da ormai tredici giorni. Non che li avesse contati, semplicemente gli era sembrato che il tempo si fosse improvvisamente rallentato, rendendo le giornate pesanti anche per lui che, di solito, adorava quella parte dell'anno. Quella in cui la gente cominciava a tirare fuori i cappotti pesanti e i maglioni, in cui poteva spolverare tutte le tazze con le citazioni più improbabili che usava appositamente per servire la cioccolata calda e quella in cui vedeva i legami tra le persone farsi improvvisamente più forti, come se le loro anime sentissero l'avvicinarsi dell'inverno e volessero premurarsi di avere al proprio fianco qualcuno che potesse proteggerle dal freddo. E per qualche inspiegabile motivazione, Harry si era convinto che la sua anima avesse scelto Louis per quell'inverno, ma rimaneva un solo problema: il bel sconosciuto l'avrebbe accettato come compagno?


Non si era accorto di lui e, per una volta, Louis non si sentì male mettendo piede dentro quel posto. Avrebbe tanto voluto trovare una scusa per giustificare la sua presenza lì, ma la verità era che non ce n'erano, se non quella che la voglia di vederlo era diventata insopportabile. Ed era quasi paragonabile alla necessità di stargli lontano, quindi negli ultimi tredici giorni Louis era sopravvissuto in uno stato di perenne nervosismo che si era concluso con Niall che lo sbatteva fuori di casa alle due di quel pomeriggio per non vederselo più vegetare in giro per casa, lamentandosi della vita. Aveva vagato per le strade di Londra fino a quando i suoi piedi non si erano presi gioco di lui e lo avevano condotto proprio davanti al The Dot. Era talmente tanto perso nei suoi pensieri da non essersene nemmeno reso conto, dato che la sua mente sembrava essersi sintonizzata solo sul “canale Harry”. Si sentiva un idiota anche solo a pensare una cosa del genere, ma il fatto era che non riusciva a decodificare in alcuna maniera quello che provava per il cameriere. Quando aveva capito di essersi innamorato di Oliver era stato solo grazie a chilometri di pagine e decine di racconti scritti su di loro: ogni storia partiva con una coppia di inseparabile amici che poi gli sembrava sempre naturale far diventare una coppia per la vita. Ed era stato così anche con il suo unico grande amore. Solo che Louis non aveva mai scritto che cosa accadeva dopo, quando quella coppia non si rivelava destinata a durare tutta una vita ed ora non sapeva più che fare della sua vita. Né quella sentimentale né quella professionale. Aveva paura di far sentire la sua voce perché non sapeva nulla di quello di cui avrebbe dovuto scrivere e Louis odiava non sapere.
E poi quelle iridi lo paralizzavano letteralmente così non solo non riusciva a scrivere, ma nemmeno a parlare.
Però vederlo lì, dietro il suo bancone, l'attenzione rivolta solo alle tazze che stava asciugando con uno straccio rosso che faceva risaltare il candore delle sue mani, quegli occhi perturbanti nascosti alla sua vista, ecco: così l'avrebbe potuto contemplare per ore, giorni, mesi e, perché no, anche anni.
Il problema era quello che scorgeva nel suo sorriso, nei suoi occhi, nel tono della sua voce: erano tutto ciò che aveva sempre cercato e di cui si sarebbe potuto innamorare. E Louis non voleva innamorarsi. Mai più.


Sentì il calore di uno sguardo sulla sua pelle, ma non uno qualsiasi, il suo sguardo. Alzò la testa e lo trovò intento a guardarlo come se lo stesse facendo per la prima volta ed Harry sorrise di rimando, perché era davvero una delle visioni più spettacolari che avesse mai visto, specialmente quando quelle iridi celestiali si incresparono di imbarazzo e ansia nel momento in cui si scontrarono con le sue. La consapevolezza di essere lui a causare quella reazione gli strinse lo stomaco e rischiò di lasciarlo boccheggiare, ma riuscì a ricomporsi abbastanza per fargli un cenno di saluto con la mano.
Louis rispose con un sorriso imbarazzato, mentre con una mano si grattava la testa e risultava ai suoi occhi come circondato da un'aurea di dolcezza quasi tangibile con le dita. Poi si diresse verso il suo tavolo, vi si sedette dopo essersi tolto il giubbotto di jeans che sembrava non abbandonare mai e cominciò a giocare distrattamente con il marker che era appoggiato lì sopra. Teneva gli occhi rivolti verso la strada, come se cercasse in ogni modo di non incrociare ancora il suo sguardo e questo ad Harry dispiacque un po': era forse egoista per volerli tutti per sé quegli occhi parlanti?
Gli preparò il suo solito tea e vi aggiunse un nuovo bigliettino.
Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi... H.


Quante possibilità c'erano che il bel cameriere cogliesse una delle frasi che più lo avevano ispirato tra tutte le poesie di Pablo Neruda che conosceva quasi a memoria? Talmente minime da essere considerate irrisorie. Talmente rare da rendere quella coincidenza ancora più preziosa. Talmente impossibile da spingerlo a credere che fosse un segno. Ma questo voleva concedere speranza di un futuro a quella cosa che si stava creando tra loro senza che si fossero mai davvero parlati. Perché Louis aveva paura di tutto quello e se ne rese davvero conto solo rigirandosi quel foglietto tra le mani, mentre la calligrafia minuta e svolazzante di Harry si imprimeva dentro di lui, come un sigillo del tempo. Aveva paura di tutte quelle coincidenze, del fatto che quel ragazzo si fosse insinuato nella sua testa senza che lui gli concedesse il permesso. Era terrorizzato dall'attrazione che provava nei suoi confronti, dalla voglia quasi malsana di disegnare i contorni dei suoi tatuaggi con la punta delle dita, dal desiderio quasi doloroso di soffocare in un suo abbraccio per poi rinascere come un nuovo Louis. Perché lo sentiva che sarebbe andata così se solo si fosse dato l'occasione, ma lui non aveva mai vissuto di emozioni forti e tutto quello gli faceva una dannata paura.
Prese il marker e scrisse sull'ultimo spazio lasciato libero, con le mani che tremavano per il timore di rompersi del tutto quella volta, se solo Harry non fosse stato quello che lui credeva.

Non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’acqua che d’improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’argento che ti nasce.

Era la prima volta che capiva perché Neruda avesse scritto una tale poesia, perché anche lui, ora, sapeva che cosa significasse avere bisogno del sorriso di qualcuno per sopravvivere.


Harry lo vide afferrare il suo giubbotto al volo ed uscire di corsa dal caffè, come se si fosse scottato con qualcosa di troppo bollente, come se avesse paura di essere messo in gabbia da un momento all'altro. Si diresse al tavolo dove era stato seduto fino a qualche secondo prima il suo angelo e lesse. Lesse quelle parole e capì di aver lasciato il segno. Capì di dover andare.
Il sole stava tramontando e i clienti erano pochi, ma questo non avrebbe comunque avuto importanza perché con o senza il locale pieno di gente, con o senza il sorriso incoraggiante di Daphne, Harry sarebbe lo stesso corso fuori dal locale per rincorrerlo lungo le fredde e trafficate strade londinesi.
Doveva trovarlo e fargli dono di quel sorriso che sembrava essere fondamentale per lui. Doveva raggiungerlo e farlo suo, perché sì, voleva essere egoista una volta tanto e prendersi il suo angolo di paradiso.
Lo vide fermo dall'altra parte della strada, le mani abbandonate lungo i fianchi ed uno sguardo terrorizzato e pieno di lacrime a deturpargli il bel viso.
Gli parve così fragile e spaventato in quel momento che l'unico desiderio era quello di proteggerlo dal mondo, dalle sue stesse emozioni che sembravano volerlo inghiottire da un momento all'altro, da quella tristezza che permeava ogni suo gesto.
Così gli sorrise, come solo Harry sapeva fare. Con le fossette e quel bagliore nelle iridi verdi che le accendeva di mille altre sfumature, con quel calore che sapeva di casa, di protezione e di promesse.


Sorrise come solo un angelo tentatore avrebbe saputo fare. E Louis decise che quello non era l'Inferno come lui si era convinto fosse. Harry e il suo sorriso erano la promessa di qualcosa che lui non aveva mai conosciuto davvero, erano la rappresentazione di ciò che lui per anni aveva sporcato con milioni di parole ma che non aveva mai provato. Harry era l'amore totale. Quello che sconvolgeva ogni cellula del corpo, quello che avvolgeva tutta la mente e la assuefaceva senza via di scampo... Quello che faceva vivere davvero.
E Louis aveva ancora paura di infrangersi in un istante, solo aprendo bocca e dicendo qualsiasi cosa, ma i suoi piedi si mossero comunque ed attraversò quella strada senza rendersene neanche conto. E fu a soli due passi da lui, dal suo angelo ritrovato dotato di ali piene di promesse.


Era così vicino che se Harry avesse voluto lo avrebbe potuto sfiorare con le dita: ma era concesso farlo con gli angeli? Non voleva rischiare così, con lo sguardo incastrato nel suo, si avvicinò quel tanto che bastava per farli ritrovare l'uno di fronte all'altro a mischiare i respiri. Anche se il suo, di respiro, si era fermato nell'esatto istante in cui l'aveva osservato attraversare la strada. Era una spanna più piccolo di lui, tanto che Harry poteva già immaginarsi il suo naso appuntito scavare nell'incavo del suo collo alla ricerca del giusto incastro. Poteva sentire il gusto del tea uscire assieme ai respiri affannati che emetteva ed Harry credette di perdere la testa quando una piccola lacrima scese lungo la sua guancia gentilmente ricoperta di barba. Un angelo non poteva piangere. Mai.
Sollevò una mano indolenzita dal freddo e l'appoggiò al lato del viso di Louis, raccogliendo con il pollice quella piccola perla di emozione. Lo sentì rabbrividire. Lo vide chiudere gli occhi. E temette di aver rovinato tutto.


Aveva chiuso gli occhi d'istinto perché quel contatto era decisamente troppo. Lo sentiva dovunque, in ogni parte del suo corpo, su tutta la sua anima, fin dove non credeva ci fosse più nulla da risvegliare. Harry era dappertutto e Louis si beò di quella carezza come se fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto in tutta la sua vita.
La gente passava affianco a loro, alcuni li guardavano sconvolti, altri imbarazzanti dalla bolla di emozione che si era creata attorno a loro, ma per Louis il mondo era scomparso da un pezzo attorno a lui.
Il suo intero universo era concentrato su quelle dita gentili attorno al suo viso e all'improvviso Louis volle di più.
Aprì gli occhi e quello che trovò in quelli di Harry fu tutto ciò di cui aveva bisogno per lanciarsi: comprensione, affetto, ammirazione, emozione, quasi venerazione.
Allora lo fece.
Si alzò sulle punte dei piedi, afferrò la camicia floreale con le sue mani piccole e nervose e lo baciò.


Le sue labbra aprirono ad Harry le porte del paradiso e decise che non se ne sarebbe mai più andato. Lo abbracciò stretto con l'altro braccio, mentre continuava a sorreggere quel viso perfetto per averlo più vicino a sé, perché con le cose preziose bisognava fare così: tenersele il più strette possibile e trattarle con tutta la delicatezza di cui si era capaci.


E Louis capì.
Lui non era finito. Semplicemente aveva confuso un orizzonte come quello che gli aveva dato Oliver per l'infinito.
Ma finalmente, tra le braccia di Harry, con le loro labbra a scoprirsi come due universi in collisione, con la voglia di bruciare nelle fiamme che faceva nascere in lui...
Finalmente Louis sapeva come ci si sentisse ad essere davvero infinito.



Note dell'autore #2
Le due poesie citate sono di Pablo Neruda (come forse si era già capito ^^) e sono “Giochi ogni giorno” e “Il tuo sorriso”.
Il prompt forse non l'ho proprio rispettato del tutto, ecco, ma spero mi perdoniate **
E nulla, credo di dovervi ringraziare da qui fino alla fine dei giorni per essere arrivate a leggere addirittura le note dell'autore e potrei anche farvi una piccola statuetta in oro colato se aveste la pazienza di lasciarmi anche un piccolo parere (qui o su twitter @93ONED  )**
Grazie ancora a Sara per i meravigliosi prompt che anche se non scrivo mi rallegrano la giornata solo a leggerli e nulla...GRAZIE ancora **
Lots of Love xx

  
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