Note
dell'autrice
Questa
storia nasce da un prompt di @ingestita
(se volete scrivere delle AU trovate tutte le sue geniali e
meravigliose idee sull'account @ingestitaprompt)
ed era il seguente: “Harry
gestisce un bar dove i clienti possono scrivere sui muri e Louis ha
paura di far sentire la sua voce.”
Ci tengo a
precisare che è la prima Larry "seria" che scrivo e penso
personalmente
che il risultato sia disastroso, ma lascio a voi l'ardua sentenza...
Ci vediamo di sotto per le ultime note e GRAZIE xx
From A Dot Started The Infinity
A
chi deve scrivere
dell'amore
per continuare a
crederci xx
Noi
eravamo infinito. Io ora sono solo finito.
Harry
aveva riletto quella frase almeno cinquanta volte dall'inizio di
quella giornata, una per ogni passaggio in quella parte del suo
locale in Lexington Street. L'unico motivo per cui aveva deciso che
gestire un bar non fosse un sogno di ripiego così pessimo
era stata
solo la voglia di renderlo speciale. Così aveva messo a
disposizione
dei clienti matite, pennarelli e addirittura marker, di modo che in
qualsiasi momento potessero marchiare i muri di quel posto con le
loro sensazioni, con parti della loro vita e, perché no,
della loro
anima. Solo non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. In poco
più di un anno di attività, già tre
quarti delle pareti erano
state modificate dal passaggio della gente e delle loro storie,
rendendo un anonimo bar in centro a Londra un raccoglitore di pezzi
di umanità. E Harry si era innamorato di tutto questo.
Ripassò
la mano sull'angolo vagamente tagliente a causa dell'intonaco che le
due pareti compivano prima di dare accesso all'area più
appartata
del locale: era lì che lo sconosciuto aveva deciso di
tracciare
quelle parole con un marker nero, utilizzato nella parte più
sottile. La grafia era un poco infantile, nessuna inclinazione
particolare, uno script quasi perfetto se non per una certa
difficoltà nel completare del tutto il segno delle singole
lettere,
lasciando che si accennassero appena, come se l'autore avesse paura
che potessero essere troppo visibili. L'aveva scovata per sbaglio,
mentre raccoglieva da terra una serie di tovaglioli sporchi: era
giusta all'altezza del tavolo più vicino, di modo che solo
accucciandosi si potesse notare. Ma soprattutto, Harry ne poteva
leggere unicamente la prima parte dal lato di muro in cui era lui e
solo spostandosi dall'altra parte della parete aveva scorto il resto.
Ed aveva smesso di respirare.
Ne
aveva lette parecchie di dichiarazioni di un amore che sarebbe stato
eterno o di vere e proprie invettive su un amore che era stato solo
dolore e nient'altro. Ma questa era diversa. Aveva dentro di
sé una
tale disillusione e una così potente sofferenza che gli
fecero
salire un nodo alla gola, colpendolo in tutta la loro
veridicità.
Insieme erano universi infiniti, ma ora, divisi in singole
entità
chissà quanto lontane, non erano altro che piccoli mondi
finiti,
conclusi in loro stessi. E lui o lei, si sentiva finito. Terminato.
Forse addirittura emotivamente morto.
Harry
accarezzò ancora una volta quelle parole davvero pesanti, lo
fece
con la delicatezza delle sue mani che si ostinava a descrivere come
“ossute”, potendo quasi percepire la sofferenza di
ogni lettera e
si diede dello stupido per quella sua tendenza da eterno bambino di
innamorarsi di qualsiasi cosa. Quindi si costrinse a tornare con i
piedi per terra e riprese a lavorare, gettando di tanto in tanto uno
sguardo all'angolo di quella parete.
L'aveva
visto. Louis aveva visto che un cameriere di quel bar dove si era
rifugiato quasi dieci giorni prima per non rischiare di disintegrarsi
in mille pezzi per strada, aveva letto la sua frase. Quella che aveva
scritto non sapeva bene nemmeno lui perché sul muro al suo
fianco,
lo stesso che l'aveva sorretto mentre lasciava che un esercito di
lacrime cancellasse definitivamente ciò che c'era stato di
loro.
La
vetrina del locale scomparve davanti ai suoi occhi ormai profondi
come un mare in tempesta e fu sostituita dalle immagini delle mani di
Oliver sul viso di un altro. Le loro bocche che si scontravano e si
assaggiavano senza sosta, senza lasciargli il tempo di capire che
tutto fosse davvero sul punto di finire. Quello era successo quando
il suo migliore amico di sempre, quello che l'aveva aiutato a capire
chi fosse, l'unica persona che avesse mai amato si era voltato nella
sua direzione e l'aveva squadrato da testa a piedi come fosse uno
sconosciuto. Un giocattolo rotto. Ed era così che Louis si
era
sentito mentre correva fuori dal loro appartamento, lo stesso che
avevano deciso di arredare senza nessun gusto particolare ma
lasciando che parlasse di loro come individui, che si erano
scontrati, poi incontrati ed, infine, uniti. Erano (o forse,
pensò
Louis, era meglio dire “erano stati”), un noi
davvero
meraviglioso, fatto di infiniti universi che si confrontavano e
mescolavano ogni volta, rendendo la loro relazione una qualcosa di
unico. Ma mentre era corso via da quell'appartamento ormai privo di
significato, Louis si era sentito uno stupido ed ogni pezzo del suo
corpo di giocattolo aveva cominciato ad ammaccarsi irreparabilmente.
Così era entrato al The Dot per non rischiare di sfaldarsi
del tutto
lungo le strade di una città che in quel momento faticava
anche a
riconoscere. Si era seduto su un tavolo qualsiasi e aveva ordinato un
Yorkshire tea, senza probabilmente rendersene nemmeno conto. Non
aveva guardato nemmeno la ragazza che gliel'aveva portato,
perché
tutta la sua attenzione era concentrata su un marker nero abbandonato
in mezzo al tavolino di legno su cui si era letteralmente accasciato.
Le braccia incrociate e la testa appoggiata pesantemente su di esse,
il ciuffo di capelli castani a coprirgli gli occhi, abbastanza da
nascondere al mondo le lacrime che gli scolpivano il viso, ma non a
sufficienza da proibirgli la vista di quell'oggetto abbandonato. Come
lui.
Si
sentiva inutile, forse anche un po' usato, ma soprattutto inutile.
Non era mai stato un ragazzo dotato di parecchia autostima, ma con
Oliver aveva imparato a valorizzarsi e se non proprio a piacersi, per
lo meno a non denigrarsi ogni volta che si guardava allo specchio. Ma
ora? Che cos'era rimasto di tutto quello? Nella sua vita era sempre
stato convinto che le cose sarebbero andate in una determinata
maniera e già il rendersi conto di essere gay non era mai
stato
compreso nei piani, ma ce l'aveva fatta ed aveva riscritto i suoi
programmi includendo quella parte di sé. Però
aveva la ferma
convinzione che a ragazzi come lui, che vengono da un paese come
Doncaster, dove le case sono tutte uguali e l'aspirazione massima
è
trovarsi un lavoro fisso, crearsi una famiglia e andare a vedere i
Doncaster Dovers giocare la domenica, la vita non riservasse grandi
sorprese. Per questo era rimasto sconvolto quando Oliver era entrato
a far parte della sua esistenza e gli aveva mostrato che c'erano
invece un'infinità di occasioni lì fuori, anche
per lui.
Aveva
preso in mano quel marker senza nemmeno pensarci troppo e l'aveva
stappato, rigirandoselo tra le mani. Solo allora aveva notato come
tutt'attorno i muri fossero pieni di scritte e si era chiesto se lui
avrebbe trovato ancora, anche se Oliver non sarebbe più
stato al suo
fianco, il coraggio per lasciare la sua impronta sul mondo. No, non
ce l'avrebbe più fatta, lo sapeva, eppure voleva che un
ultimo
spiraglio del vecchio Louis, quello che il suo ormai ex ragazzo aveva
appena distrutto, lasciasse un'ultima traccia della sua esistenza.
Così aveva scritto quella frase che rappresentava
perfettamente gli
ultimi sette anni della sua vita, nell'unico posto del muro che non
era immediatamente raggiungibile con una semplice occhiata e se ne
era andato, lasciando quel marker nero aperto, abbandonato sul
tavolo, destinato ad essiccarsi ed essere gettato via
definitivamente. Quasi aveva sorriso mentre usciva, pensando che
quella sarebbe stata anche la sua fine.
Louis
si riscosse dai ricordi di quel giorno e maledisse mentalmente e per
l'ennesima volta il destino, che l'aveva condotto proprio in
Lexington Street. Stare a casa di Niall non era il massimo della
vita, considerato il via vai di tipe e tipi che c'era (ancora gli
sfuggiva il motivo per cui aveva deciso di dare consulenze legali in
casa, invece di aprirsi uno studio), quindi si era offerto volontario
per andare a fare la spesa. Erano dieci giorni che non usciva e non
aveva la più pallida idea di che cosa stesse accadendo nel
mondo
esterno. Peccato, infatti, non avesse messo in conto che un vento
insolito per fine Settembre gli avrebbe congelato i piedi ancora
prima di arrivare al supermercato più vicino e che il suo
ombrello
si sarebbe disintegrato alla prima folata densa di pioggia. Si tolse,
dunque, con un gesto stizzito un po' di foglie dai capelli ormai
fradici ed entrò nel locale senza pensarci due volte,
dirigendosi al
tavolo più lontano possibile da quello su cui si era
lentamente
consumato dieci giorni prima.
-Buongiorno,
cosa ti porto?
Ci
volle forse una frazione di secondo prima che Louis si ricordasse di
essere in un bar e che magari fosse anche il caso di ordinare
qualcosa.
-Un
Yorkshire tea, grazie.
La
ragazza se ne andò e Louis ebbe la sensazione di averla
già vista:
magari era la stessa che l'aveva servito quella volta. Avendoci
riflettuto per dieci notti intere e avendo pianto quelle che sperava
tutte le lacrime che aveva in corpo sulla spalla di Niall, Louis
serbava un vago ricordo di quello che era successo quasi due
settimane prima. Era come se il suo istinto di sopravvivenza si fosse
risvegliato e l'avesse costretto in primis a nutrirsi (aiutato anche
da un Niall che si ostinava a preparargli tre pranzi al giorno) e poi
a rinchiudere tutto quell'episodio in un angolo remoto del suo
cervello. L'unico problema era che, assieme ad esso, aveva sepolto
anche la sua abilità di scrivere. Quando muore una musa,
muore anche
un pezzo dell'autore giusto? Almeno così gli aveva sempre
insegnato
il suo professore di scrittura creativa: era un lutto che andava
elaborato e che, il più delle volte, non era mai possibile
superare
veramente. Questo era il rischio di trovarsi una musa ispiratrice,
questo il prezzo che ora doveva pagare Louis per aver legato
praticamente tutta la sua produzione artistica ad un uomo che l'aveva
letteralmente distrutto. Con ogni probabilità non avrebbe
più
scritto, perché la sola idea di trattare qualsiasi altro
argomento
che non fosse l'amore per lui gli appariva inutile. Un po' come si
sentiva lui.
Cercò
la confezione monouso di latte che era solito mettere nel tea,
comparso non spaeva bene quando davanti a lui, ma la sua attenzione
fu catturata da un marker nero giusto affianco al porta zucchero. Un
sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra sottili e rosse per colpa
del calore della bevanda, memore di ciò che aveva scritto
l'ultima
volta che era stato in quel posto. Erano passati dieci giorni, ma a
Louis non sembrava trascorso neanche un secondo, perché, se
proprio
doveva essere sincero, si sentiva ancora una schifezza. Però
prese
lo stesso in mano quel marker, lo aprì soprappensiero e
cercò con
lo sguardo un posto nascosto su cui marchiare i propri pensieri, dato
che le emozioni non poteva nemmeno pensare di fronteggiarle,
figurarsi schematizzarle con delle parole.
La
vita è tutta una fottutissima porta che si apre e si chiude.
Alle
volte gentilmente, altre volte no.
L'aveva
osservato. Attentamente se doveva essere sincero. E l'aveva trovato
obbiettivamente attraente. Ed anche affascinante. Ma soprattutto
dannatamente sexy. Aveva l'aria un poco sbattuta, di chi non usciva
di casa da parecchi giorni, ma Harry vi aveva scorto ugualmente
qualcosa di notevole: forse erano i capelli castani abbandonati
casualmente sulla fronte o quegli occhi di un azzurro cristallino che
sembravano pervasi da una chiara nota di tristezza; oppure le mani
piccole e nervose che stavano letteralmente stritolando il pennarello
nero con cui scarabocchiava qualche frase sul lato del tavolino a cui
era seduto. Tutto in quel ragazzo lo attraeva quasi ad un livello
primordiale, come se sentisse un richiamo ancestrale provenire dal
basso ventre e diffondersi in ogni cellula del suo corpo: avrebbe
dato qualsiasi cosa per poterlo stringere tra le braccia, baciare
quelle spettacolari labbra sottili e fargli dimenticare qualunque
fosse il motivo di tanta tristezza e rabbia. Ma non ebbe il tempo
nemmeno di pensare ad una battuta ad effetto con cui avvicinarsi a
lui, perché il bel sconosciuto se ne era già
andato, lasciandosi
dietro solo lo scampanellio dello scaccia-pensieri appeso alla porta
d'ingresso.
Senza
pensarci due volte, si diresse al suo tavolo e lesse ciò che
con
tanta foga il ragazzo aveva appena finito di scrivere. Doveva davvero
aver preso una cocente delusione per essersi sfogato con quel tipo di
parole e Harry provò un'irrefrenabile curiosità
di scoprire la sua
storia. Ma l'avrebbe rivisto ancora?
Odiava
quella strada. E il tempo londinese. O almeno era così da
quando
quella voragine gli si era aperta nel petto e Louis si era ritrovato
a corto di idee su come ricucirla. Eppure continuava a passare
davanti a quel diavolo di locale strampalato, riuscendo però
ad
impedirsi di metterci piede dentro. Lui scriveva per lavoro ma da
quando era stato tradito e poi lasciato come se fosse uno straccio
qualsiasi per togliere la polvere dalle bomboniere sopra il
caminetto, non era riuscito più a scrivere una sola riga.
Intere ore
a fissare la pagina bianca di Word senza digitare neanche una parola.
Giorni passati di fronte al suo Quaderno Delle Ispirazioni senza
trovarci nulla di interessante. Nemmeno una sillaba era sgorgata
dalle sue mani se non quelle due stupidi frasi scritte di getto sui
muri di quell'assurdo caffè. Erano passati undici giorni
dall'ultima
volta che ci aveva messo un piede dentro ed ora, per qualche ragione
che nemmeno lui sapeva, ci era capitato di nuovo davanti, come se il
caso gli stesse suggerendo che in quel posto fosse contenuta la
chiave per aprire la prigione di mutismo creativo in cui era caduto.
Era
fermo fuori dalla porta da almeno due minuti buoni, intento a
contemplare l'insegna del locale, incurante del fatto che le persone
dentro lo potessero considerare altamente inquietante. Era ancora
concentrato su quella tazza fumante dal colore ormai sbiadito a causa
dello smog londinese, quando sentì uno sguardo su di lui.
Non lo
vedeva, ma lo sentiva. Era come incollato al suo
volto,
sentiva le guance che gli si coloravano vagamente di rosso non per il
freddo, ma per l'imbarazzo, per il peso di quel paio di occhi che
sembrava lo stessero scannerizzando. Così si
sentì costretto ad
abbassare lo sguardo ed eccoli lì: era forse possibile
vedere
dell'ossidiana verde in un paio di iridi sconosciute?
Se
gli avessero detto che incontrare i suoi occhi sarebbe stato
così
destabilizzante non gli sarebbe nemmeno passato per l'anticamera del
cervello: ci teneva alla sua salute mentale e quello sguardo fatto di
calcedonio gliela stava buttando all'aria. Vi poteva leggere tutta la
sua vita e al tempo stesso gli sembrava celare un'infinità
di mondi
forse mai nemmeno raccontati da quelle labbra che furono il secondo
colpo inferto al suo precario equilibrio emotivo. Come potevano un
paio di labbra sottili e leggermente screpolate dal freddo diventare
così allettanti solo lasciando uscire leggere nuvolette di
respiro
caldo?
-Harry!
Mi serve il conto del tavolo sette!
La
voce solitamente dolce di Dapfne, gli arrivò alle orecchie
incredibilmente fastidiosa e Harry dovette concentrarsi non poco per
non risponderle male: non faceva parte del suo carattere essere
scortese.
-Arrivo,
arrivo...
A
malincuore dovette abbandonare quegli occhi che ora avevano assunto
un'espressione tra il turbato e il sconcertato, pur di raggiungere
quella dolce ragazza gallese che sembrava non aver ancora imparato a
fare uno scontrino da sola.
Louis
era letteralmente scappato. Aveva corso a perdifiato per qualcosa
come quindici minuti senza mai fermarsi, fino a quando i suoi polmoni
non avevano minacciato di fargli esplodere il petto e si era
ritrovato nel bel mezzo di uno delle centinaia di parchi dispersi per
la città, piegato su sé stesso, a sputare per
terra quella che con
ogni probabilità era acida bile.
Non
era possibile.
Dopo
un mese non poteva ancora farsi assalire da quegli attacchi di...
Sì,
quella era follia. Ogni paio di occhi verdi rischiava di fargli
ricordare quelli di lui e la reazione era sempre la stessa: si
sentiva inutile, voleva scappare e non riuscendo a trasformare tutte
quelle sensazioni in parole, non gli restava che far contorcere il
suo stomaco fino allo spasmo. Ormai era arrivato persino a perdere
qualche chilo e Niall non si era risparmiato dal farglielo notare con
un'espressione tra il preoccupato e il compassionevole che non gli si
addiceva per nulla. Louis sapeva perfettamente di dover andare
avanti, di lasciare che il suo passato con Oliver diventasse solo un
ricordo sbiadito che magari avrebbe potuto fargli male unicamente
dopo le due di notte, ma non era così facile.
-Non
è facile un cazzo qui!
Una
coppia che stava passeggiando lì vicino si voltò
nella sua
direzione quando lo sentì imprecare verso il cielo pieno di
nuvole e
Louis si sentì un perfetto idiota.
Si
strofinò più volte le mani sulla faccia, cercando
di non soccombere
alle lacrime che minacciavano di schiacciarlo con il loro peso.
Respirò a fondo e recuperò il telefono dalla
tasca del giubbotto,
mandando un messaggio di supplica a Niall perché lo andasse
a
recuperare il prima possibile: lo aspettava un'infinita nottata di
rimorsi e cucchiai di gelato.
Harry
voleva rivederlo. Non sapeva come fosse possibile, ma negli ultimi
cinque giorni non aveva fatto altro che rivedere davanti a
sé quelle
iridi terribilmente meravigliose che l'avevano conquistato in un solo
incontro. Doveva forse credere che esistesse davvero il colpo di
fulmine? Si fosse basato su quello che la gente aveva scritto nei
mesi sui muri e sui tavoli del suo locale pareva proprio di
sì, ma a
lui sembrava tanto una storiella da dodicenni inesperte, quindi si
costrinse a convincersi che fosse tutta colpa di quegli occhi che
erano troppo belli per essere reali. Chiunque avrebbe fantasticato
sullo sguardo di quello sconosciuto, così Harry non si
sentì
nemmeno un po' in colpa. Solo che quel pensiero era diventato sempre
più fisso, tanto che non si accorse minimamente della voce
di Daphne
che lo stava chiamando dall'altra parte del locale.
-Harry!
Oh che cavolo...
Un
turbinio di capelli rossi gli si parò davanti e, con le mani
premute
sui fianchi come una vecchia matrona, gli disse:
-Harry
Edward Styles torna con i piedi per terra e vai ai servire i tavoli
del TUO locale!
Harry
adorava quella ragazza ma stava cominciando a ritenerla un po' troppo
esasperante per poter continuare a lavorare con lui: aveva aperto
quel locale per poter dare un rifugio sicuro a tutte le anime in pena
di Londra, non poteva rischiare di diventarlo lui stesso.
-Va
bene mamma...
Daphne
alzò gli occhi al cielo e gli diede una leggera pacca sul
sedere,
mentre Harry si dirigeva con la sua solita camminata flemmatica verso
uno dei tavoli vicino alla vetrata.
Prese
tra le mani la penna e il blocchetto che teneva nella tasca davanti
del grembiule nero, quello che indossava sempre e che gli faceva
sembrare le gambe chilometriche ancora più lunghe e si
preparò a
prendere l'ordinazione del nuovo cliente.
-Buongiorno.
Cosa le porto?
Fu
quando questo alzò il viso per dirgli che cosa volesse, che
per poco
Harry non fece cadere tutto dalle sue mani.
Un
po' forse l'aveva fatto apposta. Un po' c'aveva pensato il destino
sotto forma delle solite voglie da donna incinta di Niall. Come al
solito aveva spedito Louis fuori di casa per andargli a prendere del
burro d'arachidi senza cui sembrava non riuscire più a
vivere e,
sempre come al solito, Louis si era fatto trovare impreparato da quel
temporale che i metereologi avevano previsto da settimane,
così si
era rifugiato proprio casualmente in quel caffè. A dire il
vero
l'ombrello l'aveva dimenticato sul serio, ma per arrivare lì
aveva
corso sotto la pioggia per più di cinquecento metri. Forse
per
verificare se il lavaggio di testa che il suo amico irlandese gli
aveva fatto qualche sera prima avesse sortito qualche effetto e gli
permettesse di incontrare delle iridi dannatamente verdi senza
desiderare di scomparire dalla faccia della terra. O forse solo per
sperare di riuscire di nuovo a scrivere qualcosa, fosse anche stata
una stupida frase senza senso su uno qualsiasi di quei tavolini.
Ma
si era sbagliato quasi su tutta la linea, perché quando
alzò la
testa per fare il suo ordine al proprietario di quella voce a dir
poco ipnotica e graffiante, Louis pensò di dare forfait. Nei
confronti del suo passato che non voleva andarsene, di quegli occhi
illegalmente belli e della sua vita in generale.
-Wow...
Non
si era nemmeno accorto di aver fatto sgusciare fuori dalle sue labbra
morbide e carnose quell'esclamazione che con ogni
probabilità lo
aveva fatto incasellare nella categoria “Gente
strana” delle
conoscenze di quel ragazzo bello da togliere il fiato. Era sempre
stato un tipo che sapeva farci con le persone, specialmente quelle
che lo attraevano come il bel sconosciuto seduto davanti a lui, le
mani leggermente strette attorno al solito marker nero che lo stesso
Harry sistemava ordinatamente sopra i tavolini ogni sera, ma con lui
era diverso. Sentì uno strano calore attraversagli lo
stomaco come
una fiammata al sol pensiero di quelle mani così piccole e
nervose
strette attorno alla sua schiena e dovette scuotere la testa per
scacciare quell'immagine che imbarazzava persino la sua fervida
immaginazione.
-Scusami...
Allora, cosa ti posso portare?
Louis
era paralizzato sul posto e la musica indie di sottofondo si
confondeva nelle sue orecchie con lo scrosciare incessante della
pioggia lungo la vetrata al suo fianco. Il caos nella sua testa non
faceva che aumentare.
Aveva
come l'impressione che quelle labbra rosse e all'apparenza
così
morbide gli si sarebbero impresse indelebilmente in testa, assieme ai
dolci boccoli abbandonati sulle spalle ampie, fasciate da una camicia
bianca a righe nere, sbottonata a tal punto da far vedere la pelle
tesa sopra le clavicole. Per un solo istante il flash della sua bocca
che vi posava sopra un bacio leggero gli riempì la testa, ma
lo
scacciò velocemente abbassando lo sguardo.
Non
era pronto per tutto quello, no davvero.
Sapeva
che il suo silenzio stava diventando a dir poco imbarazzante,
soprattutto perché quel ragazzo dallo sguardo intrigante
continuava
a fissarlo, non sapeva se per attendere la sua ordinazione o per
altro. Eppure non riusciva ad emettere una singola parola. Era
completamente bloccato, come se il verde di quelle iridi troppo
simile a quello di un fantasma del passato gli stesse bloccando la
gola. Aveva paura.
-Va
tutto bene?
Louis
per un attimo non capì il perché di quella
domanda, fino a quando
sul legno scuro del tavolo davanti a sé non fece la sua
comparsa una
pesante lacrima, caduta senza che se ne accorgesse dal suo volto
affilato. Quando aveva cominciato a piangere? E soprattutto: da
quando si lasciava andare così improvvisamente in pubblico,
per lo
più di fronte ad un perfetto sconosciuto?
Continuava
a non parlare ed ora stava anche piangendo. Ed i suoi occhi
già di
per sé spendenti, stavano letteralmente brillando per colpa
di
quelle lacrime fastidiose che lo mettevano palesemente in imbarazzo.
Ma fu solo un attimo, perché il ragazzo abbassò
immediatamente lo
sguardo, privandolo di quello spettacolo.
Harry
dovette stringere le mani attorno al blocchetto e alla penna per non
rischiare di lanciarli al vento ed asciugare quei frammenti di
emozione con le sue dita. Da quando si sentiva così tanto
legato ad
un perfetto sconosciuto? Scosse la testa talmente forte che alcune
ciocche di capelli boccolosi gli caddero sugli occhi, coprendo quel
leggero rossore che gli aveva impreziosito le guance a causa di un
pensiero troppo sdolcinato persino per uno come lui.
-Facciamo
così: ti porto un tea, va bene?
Voleva
aiutarlo ma aveva come l'impressione che stando lì a
fissarlo stesse
solo aumentando il suo stato d'ansia, neanche fosse lui a
causarglielo. Così si allontanò a malincuore
dicendo a Daphne che
da quel momento in poi si sarebbe occupato personalmente dello
sconosciuto, suscitando nella rossa una risatina tipica di chi
già
la sapeva lunga.
Cercò
di osservarlo dal bancone senza farsi notare, mentre sceglieva con
cura quali bustine di tea portargli al tavolo: alla tenue luce del
piccolo lampione che Harry aveva scelto di posizionare giusto sopra
quel tavolo seguendo un gusto tutto suo, lo sconosciuto gli apparve
improvvisamente avvolto da un nuovo significato. Era la
personificazione della tristezza e dell'insofferenza, come se l'una
alimentasse l'altra in un eterno circolo senza via d'uscita in cui lo
sconosciuto si stava smarrendo. Ed Harry provò
l'irrefrenabile
desiderio di prenderle quelle mani piccole e nervose tra le e farlo
star bene anche solo per un secondo.
-Harry,
piantala di fissarlo! Lo stai consumando!
Doveva
davvero prendere in considerazione l'idea di licenziare Daphne,
specialmente se continuava a guardarlo come se fosse un adolescente
alle prese con la sua prima cotta. Scosse la testa e mise la
selezione di bustine di tea sopra il vassoio dove aveva già
appoggiato, senza rendersene neanche conto, sia la teiera fumante che
una tazza, entrambe di un tenue color azzurro, molto simile a quello
dei suoi occhi. Si diede dell'idiota per aver anche solo pensato una
cosa del genere e si diresse verso il suo tavolo, cercando di non
inciampare sui suoi stessi piedi come era solito fare quando era
nervoso. Il motivo per cui fosse anche solo vagamente nervoso
rimaneva un mistero, ma a quanto sembrava il bel e triste sconosciuto
gli suscitava una serie infinita di sensazioni devastanti
semplicemente a pelle. Ci avrebbe scritto qualche giro di chitarra,
ne era sicuro.
-Ecco
a te...
Appoggiò
il vassoio sul tavolo di legno, notando con un piccolo cenno di
dispiacere come il ragazzo avesse allontanato istintivamente le mani,
nascondendosele in grembo, come se avesse paura di un qualsiasi
casuale contatto con lui. Ma Harry gli sorrise lo stesso in quella
maniera che sapeva far sentire le persone accettate e al sicuro,
quella che piaceva tanto a sua madre Anne.
Non
riuscì a bloccare le sue labbra dallo schiudersi leggermente
e
formare una piccola “O” mentre scorgeva delle
adorabili fossette
incidersi nelle guance magre del cameriere che solo qualche minuto
prima l'aveva già sufficientemente sconvolto con il verde
delle sue
iridi: forse doveva smetterla di andare in quel posto. Non l'aveva
mai detto a nessuno, ma Louis aveva una letterale ossessione per le
persone che sorridendo facevano spuntare quei deliziosi solchi nelle
loro guance, tanto che praticamente tutti i suoi personaggi preferiti
ne erano provvisti. Se proprio doveva essere sincero, quel ragazzo
sembrava una straordinaria ed inspiegabile incarnazione di qualsiasi
personaggio maschile lui avesse mai creato: una sorta di mash-up
perfetto di tutto ciò che la sua mente aveva partorito in
anni e
anni di scrittura creativa. Occhi grandi e verdi in cui perdere la
concezione del finito e lasciarsi avvolgere dall'infinito; capelli a
sfiorargli le spalle in boccoli quasi angelici, in cui era sicuro che
passare le mani sarebbe stato come toccare il cielo con un dito;
labbra rosse e carnose capaci di ipnotizzare chiunque con un solo
bacio, come aveva sempre immaginato potessero fare quelle delle
divinità greche; la linea definita e virile della mascella
che
scendeva fino al collo niveo ed infantile, come se il loro proposito
fosse quello di mandare in black out il cervello di chiunque vi si
soffermasse per troppo tempo; il petto ampio in cui rifugiarsi per
farsi carezzare da quelle mani eleganti e fin troppo attraenti per
limitarsi a volere delle semplici carezze; e quelle gambe
chilometriche e dannatamente strette in un paio di jeans scuri
così
perfetti che anche solo immaginare di toglierli sembra un peccato
mortale, ma forse tutti quei pensieri lo erano già
abbastanza che
uno in più o uno in meno non avrebbero inciso sul
quantitativo di
anni che avrebbe passato all'inferno. Perché quel ragazzo
era
l'incarnazione di ogni suo sogno proibito e non, e la cosa gli
appariva più come una condanna che come una benedizione.
In
fin dei conti se non era riuscito a creare un personaggio come lui
fino a quel momento, ora che l'aveva incontrato nella realtà
sarebbe
stato letteralmente impossibile trasportalo in parole e
punteggiatura, perché nulla, Louis lo sapeva già,
gli avrebbe mai
reso davvero giustizia.
-Io...
Io non sapevo che gusto preferissi, così li ho messi un po'
tutti...
Cioè, tutti quelli che abbiamo qui perché
metterli davvero tutti
sarebbe praticamente impossibile ed io sto decisamente
straparlando... Scusa.
Si
diede dello stupido e ci mancò davvero poco che non si
battesse
anche una manata sulla fronte mentre si domandava per quale diamine
di motivazione la sua boccaccia non potesse starsene chiusa,
specialmente di fronte a quel dolore così tangibile a quella
distanza ravvicinata. Aveva mai incontrato qualcuno così
irrimediabilmente distrutto?
Eppure
l'ombra di uno spettacolare sorriso si fece largo sulle guance ancora
umide per quelle lacrime versate poco prima e Harry credette di non
aver mai assistito ad uno spettacolo più prezioso: stavo
sorridendo
per lui, nonostante fosse chiaro non avesse più motivazioni
per
farlo e si sentì immensamente fortunato. Ma non disse nulla.
Non una
parola. Non un sospiro. Solo lo scarabocchio di un sorriso su un
volto che era tracciato da un tale groviglio di emozioni da risultare
incomprensibile.
-Bene...
Se hai bisogno, sai dove trovarmi.
Mentre
si voltava per dirigersi verso una Daphne ormai sommersa di ordini da
preparare si diede di nuovamente del cretino perché insomma:
chi
diceva davvero ad uno sconosciuto “se hai bisogno, sai dove
trovarmi”?! Sembrava la frase di una prostituta di alto borgo
e non
era esattamente l'impressione che sperava di fargli.
Si
rimise al lavoro, cercando di non offendersi da solo per non avergli
nemmeno chiesto quale fosse il suo nome, benché avesse come
l'impressione che se anche l'avesse fatto lo sconosciuto non
gliel'avrebbe detto e questa era solo l'ennesima domanda che si
aggiungeva alle altre centinaia che gli erano sorte sulla punta della
lingua da quando aveva letto la prima frase scritta sul muro dalla
sua grafia disordinata.
Quando
rialzò lo sguardo e lo riportò su quello che era
ormai diventato il
suo tavolo preferito il suo cuore ebbe un piccolo cedimento: il bel
sconosciuto se ne era andato, lasciando al suo posto una sedia vuota
che come sfondo aveva una vetrina solcata da pesanti e lente gocce di
pioggia. Senza rifletterci due volte si diresse al tavolo e vi
trovò
la tazza vuota, una bustina di Yorkshire Tea aperta e abbandonata
vicino al piattino che sovrastava una banconota da 5 sterline. Ma non
era questo quello che interessava ad Harry (benché aver
scoperto
quale tipo di tea preferisse lo rendesse molto soddisfatto),
così
cominciò ad osservare, perlustrare ogni centimetro di legno
in cerca
di una parola, un disegno, una qualsiasi traccia del passaggio della
sua anima e non solo del suo corpo. E lo sconosciuto non lo deluse.
Louis
era fermo nel bel mezzo del marciapiede dall'altra parte della strada
rispetto al The Dot e nonostante la pioggia continuasse la sua lenta
ed indisturbata corsa lungo il suo viso, non riusciva a distogliere
lo sguardo dalla vetrata di fronte a lui. Era come se il mondo si
fosse fermato e tutti i riflettori della vita si fossero puntati su
quell'essere probabilmente sovrannaturale che, appena se ne era
andato dal locale, si era immediatamente recato al suo tavolo per
cercare qualcosa. Quello stesso qualcosa che Louis aveva lasciato
sperando che lui lo trovasse. Quel qualcosa che ora stava tramutando
il suo viso maturo in quello di un bambino all'entrata al Luna Park
il giorno del suo compleanno, con tanto di sorriso dotato di
fossette.
Scuse
che riparano danni mai fatti. Sorrisi che colorano sogni infranti.
L'aveva
scritta sotto il porta salviette quella frase e non sapeva bene
nemmeno lui come avesse trovato il modo di tradurre in parole quello
che aveva provato, dato che ormai si sentiva in apnea da più
di un
mese, eppure quella voce carezzevole e quel sorriso abbagliante
l'avevano quasi costretto a farlo.
Ed
improvvisamente sentì le guance tirarsi sotto le gocce di
pioggia
fredda e la sensazione di un sorriso farsi strada nel suo cervello.
Si toccò le labbra per esserne davvero sicuro,
perché era così
tanto che non accadeva che si era quasi convinto di non esserne
più
capace.
Poi
si rese conto che il bel cameriere stava per alzare la testa nella
sua direzione e, senza pensarci due volte, corse lontano da quel
ragazzo che non poteva essere davvero reale, perché
altrimenti
poteva significare solamente che la perfezione esisteva.
Aveva
davvero senso fare finta di non aver ormai consumato gli stipiti
della porta a furia di fissarli, nella vana speranza che lui li
varcasse? No, non aveva senso ma soprattutto sarebbe stato come
mentire a sé stesso ed Harry odiava dire le bugie: lo
facevano
sentire in difetto e sporco. E poi non ci vedeva nulla di male
nell'aver trascorso dieci giorni nella vana speranza di scorgere due
iridi tristi ma brillanti in maniera struggente nel suo locale.
-Hazza,
io lo dico per il tuo bene: dimenticati di quel tipo. Non so che
fissa ti sia presa, ma sembra che se non lo vedessi comparire da un
momento all'altro da quella porta, potresti pure morirmi qua... Ed io
sinceramente non ho alcuna intenzione di occuparmi della baracca da
sola.
Harry
la guardò per un attimo, cercando di capire fin a che punto
stesse
scherzando, ma quello chi vide nello sguardo di Daphne fu una ben
poco velata preoccupazione. Che diamine gli stava succedendo?
-Ehi!
Non chiamare baracca questo meraviglioso luogo di meditazione e
creatività!
-Vado
a fare gli ordini del caffé che è meglio... E,
giusto perché tu lo
sappia, oggi tocca a me scegliere la musica quindi dì pure
addio
alla tua lagna hipster!
E
detto questo corse letteralmente dietro la porta che portava al
magazzino, sapendo già che altrimenti si sarebbe sorbita una
solfa
infinita su quanto fossero straordinari i gusti musicali di Harry,
che però era già tornato a contemplare assorto la
strada al di là
della vetrata. Un tenue sole stava illuminando con note aranciate
l'atmosfera di fine Ottobre, come se anche il cielo volesse
partecipare agli imminenti festeggiamenti per Halloween. Sorrise di
rimando a quell'aria di trepidazione che si respirava sempre prima di
qualche festività e si chiese per l'ennesima volta
perché una
sottile malinconia si stesse insinuando dentro di lui, come aveva
cominciato a fare ogni volta da quando aveva incrociato lo sguardo
del bel sconosciuto. Era come se gli mancasse qualcosa... Ma come
poteva sentire l'assenza di qualcuno che in realtà non gli
era mai
appartenuto?
Il
trillo dello scaccia pensieri che aveva appeso alla porta in onore
dell'imminente festività lo fece trasalire ed alzare la
testa di
scatto in direzione dell'entrata. A quell'ora del pomeriggio c'era
solo qualche cliente all'interno del The Dot, ma Harry era sicuro che
anche quelle poche persone stessero trattenendo il fiato esattamente
come stava facendo lui.
Poteva
essere più bello dell'ultima volta in cui l'aveva visto?
Alcuni
raggi traditori donavano dei riflessi biondi ai suoi capelli
solitamente castani, che erano lasciati cadere casualmente sulla
fronte come se non sapesse perfettamente quanto gli donassero messi
in quella maniera. Il giubbotto di jeans chiaro era aperto su un
maglione vinaccia che faceva risaltare in maniera decisamente
illegale l'azzurro puro dei suoi occhi, mentre nemmeno il freddo
sembrava scalfire la sua mania di lasciare scoperte le caviglie con
dei risvoltini altissimi sopra le Vans consunte. Si guardava attorno,
come se fosse incerto sul reale motivo della sua presenza
lì, ma per
Harry era tutto fin troppo chiaro: stava ricominciando a respirare
senza che si fosse nemmeno reso conto di aver trattenuto il fiato
fino a quel momento.
Poi
i loro sguardi si scontrano ed Harry credette di aver raggiunto le
porte del paradiso.
Fu
quando i suoi occhi si posarono sul verde di quelle iridi maledette
che Louis pensò di aver appena varcato i cancelli
dell'Inferno.
Sapeva perfettamente che non sarebbe mai dovuto andare al The Dot, ne
era consapevole. Ma si conosceva abbastanza bene da sapere
altrettanto che se non avesse rivisto quel ragazzo almeno un'altra
volta sarebbe impazzito, perché ogni singola notte di quegli
ultimi
dieci giorni era stata una lenta agonia scandita dagli infiniti
tentativi di ricreare nella sua mente il suo sorriso.
Per
non parlare del fatto che non fosse riuscito a buttare giù
nemmeno
una riga, facendo irritare parecchio non solo il suo editore, che
aspettava ormai da due settimane il primo racconto della prossima
raccolta che avrebbe dovuto pubblicare entro l'inizio del nuovo anno,
ma anche Niall, che sembrava non sopportare più il fatto di
sentirlo
sospirare sconsolato di fronte alla pagina intonsa di Word. Era come
se avesse un intero romanzo giusto sulla punta della lingua ma non
riuscisse a trovare la chiave per aprire la sua bocca. O forse, nel
suo subconscio sapeva quale potesse essere la chiave giusta, ma non
voleva crederci. Eppure vedere quelle mani strette attorno ad uno
strofinaccio consunto, quegli occhi persi nella contemplazione di
qualcosa che non poteva credere essere lui, quelle labbra che si
stavano aprendo in un sorriso di sollievo, come se vederlo lo facesse
star bene e che sapeva inspiegabilmente di casa... Vedere tutto
quello gli faceva prudere le mani dalla voglia di scrivere. Assurdo.
Non
poteva sopportare quello sguardo ancora per molto, quindi
optò per
andare a sedersi a quello che era diventato il
“suo” tavolo,
senza riuscire a togliergli davvero gli occhi di dosso. Si
sforzò di
concentrarsi sul listino dei tea che trovò sul tavolo,
vicino al
solito marker nero, ma la sensazione degli occhi di qualcun altro sul
suo corpo lo stavano letteralmente mandando a fuoco: quella
situazione non aveva senso.
-Harry,
hai per caso... Oh. Oh! E' tornato! Lui è...
-Sta
zitta Daph!
Harry
cercò di incenerirla con un'occhiata fiammeggiante, senza
davvero
riuscirci, tanto che la ragazza scoppiò semplicemente a
ridere e gli
si avvicinò con fare cospiratorio.
-Pensi
di chiedergli come si chiama questa volta o continuerai a fare la
figura del pesce lesso?
E
detto questo gli lasciò uno scappellotto che lo
lasciò basito:
stava facendo una figura pessima con lo sconosciuto e tutto per colpa
di quella pazza della sua collega.
Cercò
di darsi un contegno e si diresse verso il tavolo, ma dopo pochi
passi si voltò e tornò dietro al bancone: ormai
che era in ballo,
tanto valeva farlo con stile.
Preparò
una teiera con dell'acqua bollente, una tazza dello stesso colore
aranciato del cielo che si intravvedeva oltre le vetrate e una sola
bustina di Yorkshire Tea, poi posizionò il tutto sul vassoio
e prese
un foglietto di carta dal suo blocchetto.
Adoro
quello che scrivi e come lo scrivi. xx
Lo
posò giusto sotto il piattino con la tazza e si
avviò finalmente
verso il tavolo dove era seduto lo sconosciuto. Che lo stava
fissando. Letteralmente. E Harry dovette concentrarsi più
del solito
per non lasciare che i suoi piedi si trasformassero in due budini
capaci di sciogliersi da un momento all'altro. Appoggiò il
tutto
sopra il tavolo, occupato solo dal porta salviette, dal menù
abbandonato casualmente nel centro e dal marker già aperto,
dato che
le sue mani erano nascoste in grembo, come se avesse ancora paura di
un praticamente impossibile contatto con lui.
Non
disse nulla, non lo guardò nemmeno, perché
altrimenti si sarebbe
perso in una contemplazione alquanto imbarazzante che non gli avrebbe
di certo fatto fare una grande figura, posò il necessario
davanti
allo sconosciuto, gli rivolse un sorriso e se ne andò.
Percepiva
chiaramente i suoi occhi che scorrevano lungo tutta la sua figura
mentre si allontanava e la cosa non faceva che procurargli un malsano
piacere alla base dello stomaco.
Si
diresse verso un gruppo di ragazze che era appena entrato e
lasciò
che le cose andassero come sperava potessero andare.
Quello
era un biglietto. Ed era rivolto a lui, Louis non aveva alcun dubbio.
Così afferrò al volo il marker, senza badare
nemmeno l'acqua
fumante nella teiera, e rispose con un semplice:
Grazie.x
Non
credeva di riuscire più a ricordare l'ultima volta in cui
avesse
utilizzato un “x” per concludere un messaggio. Era
sicuro di
averlo fatto per anni, quando era ancora giovane , spensierato e
quello che credeva essere l'amore della sua vita non gli aveva ancora
detto che era una cosa infantile.
Chiamò
con un cenno del capo l'altra cameriera, Daphne se aveva capito bene,
e le indicò il biglietto e poi il cameriere. No: Harry.
Persino il
nome era tra i suoi preferiti, diamine. Lei gli sorrise gentile e si
diresse volentieri a fare da messaggero. Louis, invece, decise di
dedicarsi al suo tea, o meglio, al suo Yorkshire Tea: che fosse
davvero stato attento anche a tipo di tea gli piacesse?
Quando
Harry vide arrivare Daphne con un sorriso trionfante stampato in
faccia e un bigliettino tra le mani per poco non fece cadere la tazza
che aveva tra le mani: aveva davvero intenzione di comunicare tramite
messaggi scritti su foglietti di carta?
-Potrei
avere qualcosa per te, ma non te lo darò se prima non
ammetterai di
avere una cotta astronomica ed assolutamente giustificata per quel
ragazzo.
Lo
stava davvero ricattando mentre quel dannato ragazzo poggiava le sue
labbra sottili sulla tazza che lui stesso gli aveva appena portato,
rischiando di fargli esplodere tutte le sinapsi del cervello? Al
diavolo Daphne e al diavolo la razionalità.
-Daph
dammi quel foglietto...
-Harry,
Harry, Harry... Sai cosa devi fare per averlo...
L'unica
cosa che Harry era certo di sapere era la sensazione degli occhi
dello sconosciuto su di lui e su quella scena a dir poco imbarazzante
per la sua stupidità. Si avvicinò alla rossa con
un solo lungo
passo e a denti stretti fu costretto ad ammettere la sua resa.
-Va
bene, hai ragione: potrebbe anche piacermi... Ora dammi quel
foglietto.
E
fu così che si ritrovò a rigirarsi tra le mani un
biglietto con un
semplice “grazie” come risposta, che
però sembrava celare molti
più significati. O almeno Harry sperava fosse
così.
Afferrò
la penna dalla tasca del grembiule e scrisse di getto:
Comunque
io sono Harry. Tu, invece, sei?xx
Avrebbe
potuto riconsegnarlo a Daphne ma aveva come la sensazione che quel
giochino gli sarebbe costato fin troppo in termini di concessioni,
quindi si diresse lui stesso al tavolo del bel e terrorizzato
sconosciuto che, vedendolo arrivare così di gran carriere,
probabilmente temeva volesse parlargli di persona.
Louis
trasse un respiro di sollievo quando lo vide appoggiare il foglietto
vicino alle sue mani chiuse attorno alla tazza ormai quasi vuota, ma
durò un solo istante, perché nel preciso momento
in cui le sue dita
affusolate e calde sfiorarono “inavvertitamente” la
pelle delle
due nocche rischiò di avere un infarto. Gli
sembrò che tutto il
sangue che aveva in corpo fosse confluito in quel punto per renderlo
iper sensibile e dannatamente attratto da quella quelle mani che lo
avevano appena toccato involontariamente. Non era normale, non lo era
per niente. Eppure era straordinariamente fantastico.
Louis
non si accorse nemmeno di essere rimasto fermo a fissare la tazza
ancora avvolta dalle sue dita per cinque lunghissimi minuti, ma si
rese perfettamente conto della necessità impellente di
uscire da
quel locale, prendere le distanze da quel ragazzo e disintossicarsi
dall'effetto che aveva su di lui, perché non si sentiva per
nulla
lucido e le conseguenze erano potenzialmente disastrose. Ma prima di
lasciare la solita banconota sotto il piattino, Louis
afferrò il
marker, trovò un angolino di legno vuoto e
riversò in parole la
tempesta che gli stava sconvolgendo l'anima.
Più
vivo in un tocco che in un'intera esistenza. Louis x
-Louis...
Harry
era convinto che il nome dello sconosciuto non solo fosse adatto in
maniera quasi drammatica all'idea che si era fatto di lui ma che
suonasse anche tremendamente bene quando usciva dalle sue labbra.
Aveva sempre amato i nomi francesi ed il suo angelo non poteva che
averne uno del genere per non smentire la propria aura di perfezione.
Era quasi superfluo ripercorrere mentalmente tutti i sogni ad occhi
aperti che gli avevano occupato la mente da quando lo sconosciuto si
era presentato al caffè l'ultima volta, così come
era quasi
indicente il numero di volte in cui sempre lui aveva acceso le sue
fantasie più nascoste nel riparo più sicuro della
notte. O le
melodie che quegli occhi celestiali gli avevano suggerito nelle prime
ore dell'alba, quando la città non era ancora sveglia ma il
cuore di
Harry correva già da un pezzo su praterie del colore del
ghiaccio e
colline della tonalità pallida delle sue labbra.
Non
sapeva come fosse arrivato a quel punto. Era vero, era sempre stato
un ragazzo attratto dalla bellezza in ogni sua forma e apparizione
tanto da svilupparne un certo rispetto reverenziale, ma con le
persone che attiravano la sua attenzione non aveva mai esitato nel
farsi avanti, perché era sicuro dell'ascendente che
esercitava su
chiunque fosse nel suo raggio d'azione. Eppure per lo sconosciuto,
no, per Louis provava una vera e propria
venerazione che lo
spingeva ad osservarlo da lontano e a non poterne fare a meno. Forse
aveva ragione Daphne e stava impazzendo.
Vedeva
nei suoi gesti ripetitivi, nel suo modo nervoso di giocare con le
mani, nella curva che la sua schiena assumeva quando si sedeva al
tavolo, una sorta di impazienza per qualcosa che sembrava non tornare
più e al tempo stesso una sconcertante rassegnazione per
averla
persa del tutto che lo spingevano ad ammirarlo ancora di
più. Era
certo fosse un'anima affine alla sua, sensibile fino a farsi male da
solo e forse era proprio quello che era successo. Harry riusciva a
rimanere a galla in tutta quella marea di sentimenti tenendosi
ancorato alle storie degli altri, anche quelle che leggeva sui muri e
sui tavoli del suo locale e tramite la musica, che sembrava fornirgli
sempre un modo per rimettere in ordine la confusione che spesso gli
si creava nel petto e nella testa.
Ma
Louis? Aveva trovato la sua ancora per non lasciarsi trascinare via
dalla vita?
Era
un pomeriggio di metà Novembre e Harry non vedeva comparire
sulla
soglia del suo locale la zazzera disordinata di capelli di Louis da
ormai tredici giorni. Non che li avesse contati, semplicemente gli
era sembrato che il tempo si fosse improvvisamente rallentato,
rendendo le giornate pesanti anche per lui che, di solito, adorava
quella parte dell'anno. Quella in cui la gente cominciava a tirare
fuori i cappotti pesanti e i maglioni, in cui poteva spolverare tutte
le tazze con le citazioni più improbabili che usava
appositamente
per servire la cioccolata calda e quella in cui vedeva i legami tra
le persone farsi improvvisamente più forti, come se le loro
anime
sentissero l'avvicinarsi dell'inverno e volessero premurarsi di avere
al proprio fianco qualcuno che potesse proteggerle dal freddo. E per
qualche inspiegabile motivazione, Harry si era convinto che la sua
anima avesse scelto Louis per quell'inverno, ma rimaneva un solo
problema: il bel sconosciuto l'avrebbe accettato come compagno?
Non
si era accorto di lui e, per una volta, Louis non si sentì
male
mettendo piede dentro quel posto. Avrebbe tanto voluto trovare una
scusa per giustificare la sua presenza lì, ma la
verità era che non
ce n'erano, se non quella che la voglia di vederlo era diventata
insopportabile. Ed era quasi paragonabile alla necessità di
stargli
lontano, quindi negli ultimi tredici giorni Louis era sopravvissuto
in uno stato di perenne nervosismo che si era concluso con Niall che
lo sbatteva fuori di casa alle due di quel pomeriggio per non
vederselo più vegetare in giro per casa, lamentandosi della
vita.
Aveva vagato per le strade di Londra fino a quando i suoi piedi non
si erano presi gioco di lui e lo avevano condotto proprio davanti al
The Dot. Era talmente tanto perso nei suoi pensieri da non essersene
nemmeno reso conto, dato che la sua mente sembrava essersi
sintonizzata solo sul “canale Harry”. Si sentiva un
idiota anche
solo a pensare una cosa del genere, ma il fatto era che non riusciva
a decodificare in alcuna maniera quello che provava per il cameriere.
Quando aveva capito di essersi innamorato di Oliver era stato solo
grazie a chilometri di pagine e decine di racconti scritti su di
loro: ogni storia partiva con una coppia di inseparabile amici che
poi gli sembrava sempre naturale far diventare una coppia per la
vita. Ed era stato così anche con il suo unico grande amore.
Solo
che Louis non aveva mai scritto che cosa accadeva dopo, quando quella
coppia non si rivelava destinata a durare tutta una vita ed ora non
sapeva più che fare della sua vita. Né quella
sentimentale né
quella professionale. Aveva paura di far sentire la sua voce
perché
non sapeva nulla di quello di cui avrebbe dovuto scrivere e Louis
odiava non sapere.
E
poi quelle iridi lo paralizzavano letteralmente così non
solo non
riusciva a scrivere, ma nemmeno a parlare.
Però
vederlo lì, dietro il suo bancone, l'attenzione rivolta solo
alle
tazze che stava asciugando con uno straccio rosso che faceva
risaltare il candore delle sue mani, quegli occhi perturbanti
nascosti alla sua vista, ecco: così l'avrebbe potuto
contemplare per
ore, giorni, mesi e, perché no, anche anni.
Il
problema era quello che scorgeva nel suo sorriso, nei suoi occhi, nel
tono della sua voce: erano tutto ciò che aveva sempre
cercato e di
cui si sarebbe potuto innamorare. E Louis non voleva innamorarsi. Mai
più.
Sentì
il calore di uno sguardo sulla sua pelle, ma non uno qualsiasi, il
suo sguardo. Alzò la testa e lo
trovò intento a guardarlo
come se lo stesse facendo per la prima volta ed Harry sorrise di
rimando, perché era davvero una delle visioni più
spettacolari che
avesse mai visto, specialmente quando quelle iridi celestiali si
incresparono di imbarazzo e ansia nel momento in cui si scontrarono
con le sue. La consapevolezza di essere lui a causare quella reazione
gli strinse lo stomaco e rischiò di lasciarlo boccheggiare,
ma
riuscì a ricomporsi abbastanza per fargli un cenno di saluto
con la
mano.
Louis
rispose con un sorriso imbarazzato, mentre con una mano si grattava
la testa e risultava ai suoi occhi come circondato da un'aurea di
dolcezza quasi tangibile con le dita. Poi si diresse verso il suo
tavolo, vi si sedette dopo essersi tolto il giubbotto di jeans che
sembrava non abbandonare mai e cominciò a giocare
distrattamente con
il marker che era appoggiato lì sopra. Teneva gli occhi
rivolti
verso la strada, come se cercasse in ogni modo di non incrociare
ancora il suo sguardo e questo ad Harry dispiacque un po': era forse
egoista per volerli tutti per sé quegli occhi parlanti?
Gli
preparò il suo solito tea e vi aggiunse un nuovo bigliettino.
Voglio
fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi... H.
Quante
possibilità c'erano che il bel cameriere cogliesse una delle
frasi
che più lo avevano ispirato tra tutte le poesie di Pablo
Neruda che
conosceva quasi a memoria? Talmente minime da essere considerate
irrisorie. Talmente rare da rendere quella coincidenza ancora
più
preziosa. Talmente impossibile da spingerlo a credere che fosse un
segno. Ma questo voleva concedere speranza di un futuro a quella cosa
che si stava creando tra loro senza che si fossero mai davvero
parlati. Perché Louis aveva paura di tutto quello e se ne
rese
davvero conto solo rigirandosi quel foglietto tra le mani, mentre la
calligrafia minuta e svolazzante di Harry si imprimeva dentro di lui,
come un sigillo del tempo. Aveva paura di tutte quelle coincidenze,
del fatto che quel ragazzo si fosse insinuato nella sua testa senza
che lui gli concedesse il permesso. Era terrorizzato dall'attrazione
che provava nei suoi confronti, dalla voglia quasi malsana di
disegnare i contorni dei suoi tatuaggi con la punta delle dita, dal
desiderio quasi doloroso di soffocare in un suo abbraccio per poi
rinascere come un nuovo Louis. Perché lo sentiva
che sarebbe
andata così se solo si fosse dato l'occasione, ma lui non
aveva mai
vissuto di emozioni forti e tutto quello gli faceva una dannata
paura.
Prese
il marker e scrisse sull'ultimo spazio lasciato libero, con le mani
che tremavano per il timore di rompersi del tutto quella volta, se
solo Harry non fosse stato quello che lui credeva.
… Non
togliermi il tuo sorriso.
Non
togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’acqua che
d’improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina
onda
d’argento che ti nasce.
Era
la prima volta che capiva perché Neruda avesse scritto una
tale
poesia, perché anche lui, ora, sapeva che cosa significasse
avere
bisogno del sorriso di qualcuno per sopravvivere.
Harry
lo vide afferrare il suo giubbotto al volo ed uscire di corsa dal
caffè, come se si fosse scottato con qualcosa di troppo
bollente,
come se avesse paura di essere messo in gabbia da un momento
all'altro. Si diresse al tavolo dove era stato seduto fino a qualche
secondo prima il suo angelo e lesse. Lesse quelle parole e
capì di
aver lasciato il segno. Capì di dover andare.
Il
sole stava tramontando e i clienti erano pochi, ma questo non avrebbe
comunque avuto importanza perché con o senza il locale pieno
di
gente, con o senza il sorriso incoraggiante di Daphne, Harry sarebbe
lo stesso corso fuori dal locale per rincorrerlo lungo le fredde e
trafficate strade londinesi.
Doveva
trovarlo e fargli dono di quel sorriso che sembrava essere
fondamentale per lui. Doveva raggiungerlo e farlo suo,
perché sì,
voleva essere egoista una volta tanto e prendersi il suo angolo di
paradiso.
Lo
vide fermo dall'altra parte della strada, le mani abbandonate lungo i
fianchi ed uno sguardo terrorizzato e pieno di lacrime a deturpargli
il bel viso.
Gli
parve così fragile e spaventato in quel momento che l'unico
desiderio era quello di proteggerlo dal mondo, dalle sue stesse
emozioni che sembravano volerlo inghiottire da un momento all'altro,
da quella tristezza che permeava ogni suo gesto.
Così
gli sorrise, come solo Harry sapeva fare. Con le fossette e quel
bagliore nelle iridi verdi che le accendeva di mille altre sfumature,
con quel calore che sapeva di casa, di protezione e di promesse.
Sorrise
come solo un angelo tentatore avrebbe saputo fare. E Louis decise che
quello non era l'Inferno come lui si era convinto fosse. Harry e il
suo sorriso erano la promessa di qualcosa che lui non aveva mai
conosciuto davvero, erano la rappresentazione di ciò che lui
per
anni aveva sporcato con milioni di parole ma che non aveva mai
provato. Harry era l'amore totale. Quello che sconvolgeva ogni
cellula del corpo, quello che avvolgeva tutta la mente e la
assuefaceva senza via di scampo... Quello che faceva vivere davvero.
E
Louis aveva ancora paura di infrangersi in un istante, solo aprendo
bocca e dicendo qualsiasi cosa, ma i suoi piedi si mossero comunque
ed attraversò quella strada senza rendersene neanche conto.
E fu a
soli due passi da lui, dal suo angelo ritrovato dotato di ali piene
di promesse.
Era
così vicino che se Harry avesse voluto lo avrebbe potuto
sfiorare
con le dita: ma era concesso farlo con gli angeli? Non voleva
rischiare così, con lo sguardo incastrato nel suo, si
avvicinò quel
tanto che bastava per farli ritrovare l'uno di fronte all'altro a
mischiare i respiri. Anche se il suo, di respiro, si era fermato
nell'esatto istante in cui l'aveva osservato attraversare la strada.
Era una spanna più piccolo di lui, tanto che Harry poteva
già
immaginarsi il suo naso appuntito scavare nell'incavo del suo collo
alla ricerca del giusto incastro. Poteva sentire il gusto del tea
uscire assieme ai respiri affannati che emetteva ed Harry credette di
perdere la testa quando una piccola lacrima scese lungo la sua
guancia gentilmente ricoperta di barba. Un angelo non poteva
piangere. Mai.
Sollevò
una mano indolenzita dal freddo e l'appoggiò al lato del
viso di
Louis, raccogliendo con il pollice quella piccola perla di emozione.
Lo sentì rabbrividire. Lo vide chiudere gli occhi. E temette
di aver
rovinato tutto.
Aveva
chiuso gli occhi d'istinto perché quel contatto era
decisamente
troppo. Lo sentiva dovunque, in ogni parte del suo corpo, su tutta la
sua anima, fin dove non credeva ci fosse più nulla da
risvegliare.
Harry era dappertutto e Louis si beò di quella carezza come
se fosse
stata l'ultima cosa che avrebbe fatto in tutta la sua vita.
La
gente passava affianco a loro, alcuni li guardavano sconvolti, altri
imbarazzanti dalla bolla di emozione che si era creata attorno a
loro, ma per Louis il mondo era scomparso da un pezzo attorno a lui.
Il
suo intero universo era concentrato su quelle dita gentili attorno al
suo viso e all'improvviso Louis volle di più.
Aprì
gli occhi e quello che trovò in quelli di Harry fu tutto
ciò di cui
aveva bisogno per lanciarsi: comprensione, affetto, ammirazione,
emozione, quasi venerazione.
Allora
lo fece.
Si
alzò sulle punte dei piedi, afferrò la camicia
floreale con le sue
mani piccole e nervose e lo baciò.
Le sue labbra aprirono ad Harry le porte del paradiso e decise che non se ne sarebbe mai più andato. Lo abbracciò stretto con l'altro braccio, mentre continuava a sorreggere quel viso perfetto per averlo più vicino a sé, perché con le cose preziose bisognava fare così: tenersele il più strette possibile e trattarle con tutta la delicatezza di cui si era capaci.
E
Louis capì.
Lui
non era finito. Semplicemente aveva confuso un orizzonte come quello
che gli aveva dato Oliver per l'infinito.
Ma
finalmente, tra le braccia di Harry, con le loro labbra a scoprirsi
come due universi in collisione, con la voglia di bruciare nelle
fiamme che faceva nascere in lui...
Finalmente
Louis sapeva come ci si sentisse ad essere davvero infinito.
Note
dell'autore #2
Le
due poesie citate sono di Pablo Neruda (come forse si era
già capito
^^) e sono “Giochi ogni giorno” e “Il tuo
sorriso”.
Il
prompt forse non l'ho proprio rispettato del tutto, ecco, ma spero mi
perdoniate **
E
nulla, credo di dovervi ringraziare da qui fino alla fine dei giorni
per essere arrivate a leggere addirittura le note dell'autore e
potrei anche farvi una piccola statuetta in oro colato se aveste la
pazienza di lasciarmi anche un piccolo parere (qui o su twitter @93ONED
)**
Grazie
ancora a Sara per i meravigliosi prompt che anche se non scrivo mi
rallegrano la giornata solo a leggerli e nulla...GRAZIE ancora **
Lots
of Love xx