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Autore: Cosimo    18/12/2015    0 recensioni
Ci sono dei momenti in cui l'unica soluzione, sembra essere quella di fuggire. Non sai cosa ti aspetterà, dove andrai.
Però, sono esperienze che ti fanno crescere, dove potrai raccogliere i frutti delle tue speranze, dei tuoi sogni, dei tuoi desideri.
Ecco la storia di Hank che si ritrova a New York ad esplorare, conoscere e vivere.
Buona lettura!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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La voglia di viaggiare, di conoscere nuovi posti, città. Lasciare la piccola terra che ti ha cresciuto per tutti questi anni, per andare in un grande paese, dove puoi fruttare tutto quello che hai sentito, osservato, creato in tutti questi anni a venire. Quella sensazione di lasciare tutto alle spalle. Seducendo la fortuna, in modo tale che t'assista, durante il percorso in progetto.

Alcuni direbbero follia, altri non vedono l'ora di partire per un bel viaggio. E altri ancora, non hanno ne letto una lettera dopo le prime quattro parole.

Dicono che i sogni diventano realtà, se coltivati credendoci fermamente.

Io ci credo, credo anche che c'è bisogno di un po' di tempo per innestare nella realtà. Quella che immaginiamo s'intende. La realtà, è già tutta qui presente. Credendoci, l'incontriamo. Noi crediamo sia stata materializzata dal nulla. Ma in realtà, stava solamente aspettando te.

Questa è una storia di un giovane ragazzo di nome Hank che si ritrova su un aereo, diretto a New York.

Era la prima volta che si trovava su uno di questi cosi, con dei motori attaccati alle ali. Non si sentiva molto al sicuro. Ma decise lo stesso di provare.

In qualche modo, si sentiva morire dove stava prima. Quindi ha ben pensato, tanto vale, me ne vado lo stesso in un posto migliore.

Suo padre non approvò molto della partenza. Sua madre mancò tre anni prima di questa decisione. Mentre suo fratello e sua sorella rimasero a casa con il padre, incoraggiarono Hank a partire, rimanendo sempre a disposizione anche da lontano.

Dal finestrino, Hank notò l'aereoporto. International Airport. Cominciò a sentire la nuova aria. Vide la pista, con mille aerei attorno attraccati come navi, attorno ad una struttura circolare.

L'aereo cominciò ad atterrare, Hank con le cinture ben allacciate che si teneva saldato al sedile, per tutta la durata dell'atterraggio.

Una volta scesi, entrò in questo maestoso porto. Così bianco, così futuristico. Aveva addosso un fremito di cominciare una nuova vita. Una sensazione molto particolare. In più aveva una notevole voglia di scopare.

Precedentemente, aveva prenotato un posto sulla ventunesima strada al Chelsea. Si fece accompagnare da una delle numerosi macchine gialle.

Arrivò in questo maestoso palazzo marrone, dove incontrò il portiere che gli affittò la camera che aveva prenotato.

Si sistemò nell'appartamento. Disfò le valigie, solo in parte, giusto quello che gli serviva per la giornata. Poi decise di andare a fare un giro nel nuovo quartiere. Hank, mentre camminava, notava la distesa fila di alberi, la gente camminare, le strade a senso unico.

Spuntò poi su una grande strada, dove viaggiavano così tante macchine da fare il solito paragone con le formiche dirette al formicaio.

Di fronte, vide una struttura maestosa, occupava tre isolati.

All'altezza della diciassettesima strada, vide il madre separare con un'altra terra non molto distante. Si fermò sulla transenna ad osservare le onde crespe. Li vicino c'era solo un albero, a fargli compagnia.

Da li finì su “Nine Ave”, e vide un bar. Un bistrot, si sedette li, in torno c'erano un paio di persone in silenzio per i fatti loro. Hank, ignaro di che posto fosse, volle vedere come era la situazione.

Si sedette al bancone e ordinò una birra.

"Capo." disse il barista, "Notato che bella giornata oggi?"

"Vero, soleggiato. Finalmente stiamo arrivando in estate." rispose Hank.

"Sei nuovo di qui vero?"

"Già."

"Non mi sfugge una faccia. Riconosco chiunque a mille miglia di distanza, Dio mi ha donato questa dote."

"Grande, vorrei anche io vedere un volto a mille miglia di distanza."

"Ahaha, Benvenuto al Chelsea. Imparerai molto presto."

Hank si sedette poi ad un tavolo guardando fuori dalla vetrata. Si stupì di quanta fauna umana ci fosse in questa città.

Poi spuntò una cameriera dalla cucina e si mise a parlare con il proprietario. Entrambi guardarono Hank, poi subito dopo, la cameriera portò un'altra birra.

"Questo l'offre la casa."

Hank la guardò meravigliato. "Grazie." poi la cameriera, ritornò alle sue mansioni.

Subito dopo entrò un signore anziano. Ordinò una birra anche lui e si sedette alle spalle di Hank; prese un giornale e cominciò a sfogliarlo.

Hank da solo, non sapeva ancora che cosa fare. E decise così di fare un giretto per la città. La notte stava sorgendo, e desiderava trovare un posticino dove passare la nottata.

Nel frattempo, si diresse a casa. Si fece una doccia e andò a mangiare qualche cosa al “Chelsea Ristorante”. Un posticino molto tranquillo, musica soft, e ambiente molto rustico con sedie di legno, cucina italiana e un muro con appese foto di noti volti famosi.

Si erano fatte le dieci di sera. La gente tutta vestita per andare a divertirsi, erano tutti per strada. C'erano molti gruppetti, molte persone da sole. Non era completamente affascinato dalle persone che popolavano, per quanto fossero vari. Ma avrebbe dovuto trovare delle persone con cui fare conoscenza prima di impazzire da solo in quelle strade. Così camminò per il posto. Fin quando si trovò in mezzo ad un concerto. Un concerto rock. Si mise li ad ascoltare, mentre beveva una birra. Ad un certo punto una ragazza sbatte contro Hank facendogli rovesciare la birra per terra.

"OH, scusami! Davvero, non l'ho fatto apposta!"

"Ci credo. Non ti preoccupare..."

"Lascia che te ne offri un'altra!"

"Non è necessario, davvero."

"Insisto! Altrimenti mi offendo."

"Beh, d'accordo allora."

"Comunque piacere, Mary. Beh, in realtà Maria. Sono italiana."

"Davvero? Comunque io mi chiamo Hank. È bella l'Italia!"

"Si, un casino! Il cibo è fantastico. Nulla in contrario a voi americani. Ma di gran lunga migliore dei vostri Cheeseburger."

"Concordo appieno. Oggi sono andato in un ristorante italiano."

"Però, ti tratti bene." nel frattempo, Mary, ordina due birre.

"Eh, a dire la verità, sono qui da oggi."

"Fantastico, un pioniere della grande mela."

"Ehehe si esatto..."

"Ecco a te la birra. Agli incontri occasionali, in una nuova città."

"Agli incontri occasionali!"

"Dimmi un po'." disse Mary, "Conosci qualcuno qui?"

"A dire la verità, no. Ancora nessuno. Beh a parte te."

"Wow. Beh non ti perdi nulla. Poca gente ne vale la pena conoscere. Di un po'. Oggi i miei amici mi hanno scaricato, cioè li ho scaricati io che loro vanno ascoltare la commerciale. Ti va di farmi compagnia prima che vada a sbattere contro qualcun altro?" disse Mary.

Hank sorrise, "Certo!"

"Fantastico! Spero che ti piaccia il rock, che non eri qui solo di passaggio."

"Si, assolutamente. Sono i “NickelBack?”"

"Si! Gli adoro!" esclamò Mary. "Vieni, ti porto più vicino al palco."

Mary prese per la mano Hank e lo trascinò quasi sotto al palco.

Mary entusiasta, si mise urlare e a cantare le loro canzoni. Hank la seguiva, anche se un po' timidamente.

Stettero li per un po' di tempo. Quando poi Mary decise di portare Hank al “Central Park”. "Taxi!" urlò Mary.

"Dove andiamo?" disse Hank.

"Al parco più grande che tu abbia visto in una città."

"Al Central Park?"

"Esatto. Non ci sei ancora stato vero?"

"No."

"Meno male. Desideravo essere la prima a portarti."

Appena arrivati, Mary pagò il taxi e trascinò Hank in mezzo agli alberi.

Lo portò in un gazebo addobbato dalle foglie. Sotto un cespuglio tirò fuori una cassa di birra.

"Ma?"

"Che c'è, bisogna essere anche un po' previdenti!" disse Mary.

"Hai ragione. E aggiungo che è stata un'ottima idea."

"Non sei un gran chiacchierone, vero?"

"Beh... non proprio."

"Mi piacciono i tipi come te. Dicono le cose nel momento giusto. E non parlano, quasi mai, a vanvera.">

"Grazie."

"Ma parlami un po' di te."

"Da dove arrivi?"

"Arrivo da un paesino dell'Europa. Poco conosciuto..."

"Non ti va proprio di raccontarmi la tua vita?"

Hank non rispose, lasciando sotto inteso la conferma alla sua domanda.

Poi le continuò, "Sai, anche io quando me ne sono andata via dall'Italia, la gente che mi chiedeva delle mie origini, non le rispondevo a cuor aperto. Non che mi vergognassi delle mie origini anzi. È un bel territorio, ricco di risorse. Anche se non proprio gestite a meraviglia. Non ne volevo parlare, per il fatto che ho sepolto tutti i miei ricordi. Poi, ho capito che devo ringraziare le mie origini, se ora sono qua. Non so, magari se fossi nata qua, me ne sarei andata in Italia. Chi lo sa. Comunque, grazie a quello che ho vissuto li. Ora sto vivendo la mia vita a pieno. Ricca di avventure, cultura. Ma devo sempre ringraziare la mia città d'origine, se ora ho degli obiettivi."

Hank ci rimase di stucco dalla prodigiosa spiegazione. Fece semplicemente un sorriso, e da li, cominciarono a parlare. A raccontarsi delle loro vicende passate, delle loro ambizioni. Passarono una lunga nottata allegra, tra sorsate di birra, in mezzo al verde e alla città.

Si fecero le tre di notte e in mezzo alla città, si trovarono davanti a casa di Mary.

"Allora, eccoci qua."

"Abiti qua?" disse Hank.

"Si. È stato un piacere conoscerti." rispose Mary, indugiando nella borsa per cercare le chiavi. Il rumore di sottofondo, accompagnava il silenzio neonato. Qualche macchina passava. I due, erano faccia a faccia, davanti a casa di Mary, sulla ottantasettesima strada.

"Mi piacerebbe rivederti." disse Hank.

Mary fece un sorriso, inclinando la testa. Hank si avvicinò lentamente a Mary, così che lei, alzò la testa guardandolo dritto negli occhi. Poi, sempre lentamente, Hank si avvicinò con le labbra. Mary, stette ferma. Quando Hank fu abbastanza vicino a lei, scoppiò un bacio appassionato. Stettero li sotto alla porta per un bel po'.

Dopo, quando si ritrovarono di nuovo a guardarsi negli occhi, si scambiarono il numero.

"Allora... ci vediamo?" disse Hank.

Mery, stette un attimo in silenzio.

"Aspetta. Tu abiti lontano da qui." disse poi Mary.

"Prenderò un taxi." rispose Hank.

Mary, si avvicinò ad Hank che si dirigeva per la strada di casa.

"Se vuoi... puoi dormire da me..."

Hank fece un sorriso, rimanendo in silenzio.

"Se ti fa piacere..."

"Certo! Che mi fa piacere. Beh, non ti conosco. Però..."

"Farebbe piacere anche a me."

Mary le saltò addosso e si indirizzarono nel suo appartamento.

"Però, c'è ne sono di scale." disse Hank.

"Ahah, qui a New York, è un modo per rimanere in forma."

"Già, hai ragione."

"Eccoci."

Mary inserì le chiavi nella serratura, ed entrarono.

"Te lo dico, ho un letto solo."

Hank sorrise, "Beh, è una buona cosa."

"Hank, sei un ospite."

"Mah?"

"Sto scherzando. Comunque, ho una tuta, o un pigiama con degli orsetti."

"Andata per il pigiama con gli orsetti." rispose Hank.

"Davvero?" disse stupita Mary.

"Sto scherzando."

"Ah, ecco..."

Così Mary preparò il letto e andò a fare una doccia. Hank si vestì con una tuta che gli stava al quanto aderente e, si mise nel letto.

Mary uscì con l'accappatoio. I capelli ancora bagnati, si prese il pigiama con gli orsetti e ritornò in bagno a vestirsi.

Dopodiché, si mise nel letto anche lei.

"Allora Hank, come è stato il tuo primo giorno nella grande mela?"

"Non c'è aggettivo per descrivere quanto sia stato il più bell'arrivo in una nuova città."

"Me lo dai ancora un bacio?"

Hank la guarda con intensità. "Non serve neanche chiederlo."

Così utilizzarono una sola piazza del letto aumentando sempre di più quella sensazione di appena arrivato. Il pigiama con gli orsetti volò via, la tuta fece compagnia al pigiama e così anche i vestiti intimi.

Non era la solita ragazza inarrivabile che ti lascia a bocca aperta. Ma aveva qualche cosa di interessante. Non era una tipa da discoteca, piuttosto, preferiva una tazza di tè e un buon libro, sdraiata sul divano. I suoi capelli neri che le arrivano sulle spalle che in dissolvenza accarezzavano la sua pelle abbronzata con le sue sinuose curve ammalianti. Un sorriso che sa farti sognare. Un sorriso che sa riaccenderti la giornata. Uno di quelli che faresti di tutto per non spegnerlo. I suoi occhi, dove ci si perde ogni volta che la si guarda in quel suo verde, che solo in poche, sanno portare. Una ragazza che non si arrabbia mai, allegra, piena d'animo. Ama la musica rock, quanto ama i suoi amici. Con tutto il cuore. Una ragazza in grado di farti sentire speciale. Per il grande cuore che conserva nel suo petto, a cui non a tutti da accesso. Solo alle persone che lei considera giusto. Solamente un passo alla volta, avendo in cambio il cuore dell'altra persona, in cui condivideva allo stesso modo.

Comunque quella sera, ci furono scintille, che diedero alla luce una conoscenza, che non capita tutti i giorni.

Il giorno dopo, si svegliarono in torno alle dieci, il sole entrava dalle fessure della finestra. Il secondo giorno era arrivato.

Fecero colazione e guardarono un po' di televisione, anche se a basso volume. Giusto per far compagnia.

"Ora dovresti trovare un lavoro." disse Mary.

"Hai ragione. Anche se non è la mia prospettiva." rispose Hank.

"Ah, vero. Tu sei uno scrittore."

"Vorrei essere ricordato per il miei libri, i miei racconti."

"Si, è una bella cosa. Ma nel frattempo, dovrai pur mantenerti in qualche modo. O sbaglio?"

"No hai ragione."

Mary andò a prendere un giornale e lo mise sul tavolo. Lo aprì alla pagina delle offerte di lavoro e guardarono quello che c'era.

"Guarda!" disse Mary, "Potresti lavorare in macelleria, sulla quarantotto gansevoort street."

"Mmm. Beh, per cominciare, magari..."

"Forza. Stampiamo un curriculum!" disse Mary aprendo il portatile.

Si misero a scriverlo, completando tutti i spazi necessari e facendogli anche una foto. Lo stamparono e andarono sulla quarantotto.

"Ma tu? Non lavori oggi?" disse Hank.

"Al bar, siccome siamo tra amici, posso fare festa ogni tanto. E siccome sono mesi interi che non faccio una pausa, me lo posso permettere. Tranquillo, gli ho telefonato questa mattina.

"Forza, Vai! Io ti aspetto lì al bar all'angolo." disse Mary dandogli un bacio di incoraggiamento.

Hank entrò dentro alla macelleria, diede un occhiata in giro. Poi appena i clienti uscirono, Hank cercò l'attenzione del commesso.

"Salve."

"Buon giorno. Desidera." rispose il commesso.

"Vorrei parlare con il proprietario." disse Hank.

"Come mai?"

"Sto cercando lavoro; avevo letto sul giornale la vostra inserzione."

"Ah, si. Certo. Lo vado subito a chiamare. Aspetti un attimo."

Hank dunque era in attesa che arrivasse il proprietario e si guardò un po' in giro. Poi dopo circa cinque minuti, arrivò di nuovo il commesso.

"Tra poco arriva a chiamarlo. Se può attendere ancora un po'. Non ci vorrà molto."

"D'accordo."

Nel frattempo entrò una cliente. Hank fece spazio. Era una signora anziana, sulla settantina.

"Grazie giovanotto."

"Prego signora, si figuri."

la signora cominciò ad ordinare. Ordinava solamente una fetta per volta di qualche cosa. Probabilmente era sola e giornalmente andava li anche per scambiare due chiacchiere.

Poi uscì il proprietario. "Signore. Prego, da questa parte."

"Hank si diresse nella stanza che aveva indicato e si sedette davanti alla scrivania.

"Ha con se il suo curriculum?"

"Si, ecco."

"Bene, bene. Vediamo... questa è la sua prima esperienza in macelleria, per quanto vedo."

"Si esatto."

"Non cerchiamo addetti con esperienza. Quindi le posso dare un'occasione, per un mese, sarà in prova. Poi vedremo, se tenerla o meno. Ha capito?"

"Si!"

"Perfetto. Lei come interagisce con i colleghi?"

"Socializzo, collaboro sopratutto. Mi adatterò."

"Qui non si socializza. Qui si lavora. Ma sul fatto di collaborazione e adattamento, sono più che sufficienti per iniziare."

"Grazie!"

"Allora. Ci vediamo qui lunedì, alle sette del mattino. Siamo intesi?"

"Certo! Sarò puntuale."

"Siamo d'accordo allora."

Si strinsero una forte stretta di mano e Hank uscì dal negozio. Incontrò ancora lì la signora anziana che intratteneva un discorso con il commesso. La signora, le fece un sorriso. Hank salutò tutti i presenti e uscì. Da li andò al bar che faceva ad angolo a pochi metri di distanza.

Mary lo vide arrivare. "Hank! Allora?"

"Hank si avvicinò facendo l'aria rattristata."

"Oh, non ti hanno preso?" disse Mary aprendo le braccia per abbracciarlo.

"SI! Lunedì qua alle sette!"

"AHH sii!! bravo Hank!" e lo abbracciava. "Dalla faccia sembrava che non ti avessero preso." continuò Mary.

"Beh, magari la faccia era perché dovrò lavorare."

"Che tipo che sei! Dai su, brindiamo. Cameriere! Due birre belle fresche!"

"Subito signora!" rispose il cameriere.

"Signorina, ancora." disse Mary a bassa voce ad Hank.

Così brindarono sotto al sole di primavera facendo tintinnare le bottiglie sudate.

La giornata continuò con il tour della città, poi Mary, verso la sera, portò Hank al suo bar, per fargli conoscere i suoi amici.

"Mary! Guarda chi si vede! Passata una bella giornata di svago? Chi è il tuo amico?"

"Ragazzi, lui si chiama Hank." disse Mary.

"Ciao amico di Mary, come ti butta la vita?"

"Bobby, trattalo bene!" disse Mary.

"Che ho detto questa volta?"

"Hank, lui è Bobby, il cassiere per eccellenza. Bobby, lui è Hank. Il nuovo arrivato."

"Piacere." disse Hank.

"Allora, dimmi un po'. Te la scopi?" disse Bobby.

"Bobby! Santo cielo!" esclamò Mary.

"Ciao, Hank. Io sono Cal."

"Piacere, io Cammy."

"Ecco la birra, nuovi arrivati! Bevi la birra, Hank?"

"Si grazie!"

"Perfetto! Questa è una delle migliori che abbiamo!" disse Bobby.

"Si, abbiamo una quantità industriale di birra." aggiunse Mary.

Passarono la serata in quel bar, a sorsate di birra e battute, quasi senza senso. Fu una bella serata. Mary si ubriacò, Hank più o meno, comunque si adattò presto al gruppo. I suoi amici lo presero in simpatia, così Hank ebbe trovato qualche amico con cui passare le giornate.

Alla sera, verso le dieci, arrivò un musicista, ancora sconosciuto, ma con grande futuro. Venne a suonare nel loro bar. Un acustico da far raddrizzare tutti peli dalla pelle d'oca. Hank e Mary ballarono accompagnati dalla sua chitarra e la sua voce che armonizzò il pubblico in calorosi applausi ad ogni pezzo suonato.

Al termine della serata, Hank salì sul furgone di Bobby con il resto della squadra e lo accompagnarono a casa.

"Ciao Hank, è stato un piacere incontrarti. Fai spesso un salto da noi, sei ben accetto." disse Bobby con il consenso anche degli altri.

Hank ringraziò e disse che il giorno dopo, sarebbe andato a trovarli nuovamente. Poi scese dal furgone, scese anche Mary.

"Grazie Hank. Sei stato fantastico."

"Grazie e a te."

E Mary baciò Hank senza esclusioni di alcun colpo di lingua. Ovviamente con il coro da stadio degli altri che si gustavano la scena.

Mary risalì sul furgone, strizzò l'occhio sorridendo e andò con il resto della squadra che l'accompagnarono a casa. Hank salì barcollando verso camera sua. E si lanciò togliendo solo le scarpe sul letto, collassando così per tutto il resto della serata e mattinata.

Arrivò lunedì, la prima giornata di lavoro. Hank si svegliò presto a malincuore. Si preparò, fece due passi a piedi, ed entrò nella macelleria.

"Buon giorno signor Teral." disse il macellaio.

"Salve."

"Venga, le faccio vedere le sue mansioni."

Hank e il proprietario andarono sul retro della zona commerciale e gli fece vedere cosa doveva fare.

"Allora, deve prendere queste carcasse e posizionarle, in questo modo sulle macchine. Così il suo collega, dall'altra parte della macchina, riceve le frattaglie da confezionare. Un lavoro semplice. Si metta il camice, il cappellino e non fumi! Sono stato chiaro?"

"Cristallino."

"Fantastico. Allora, buon lavoro."

Hank cominciò, indossando quel camice bianco sporco di rosso, ad innestare pezzi di carcasse sul nastro trasportatore. Fece così tutto il giorno, per otto ore. Hank non era molto d'accordo su lavorare così. Lo considerava una mezza prigione ad ore.

I colleghi erano molto silenziosi, a parte due, che non la smettevano mai un secondo di chiacchierare.

Quando arrivò l'ora di pranzo, Hank andò in mensa. Divideva la mensa con un mingherlino di nome John.

"Tu devi essere Hank, il nuovo arrivato."
"Girano le voci..."

"Piacere, mi chiamo John."

"Hank."

"Sei di queste parti, Hank?"
"Non proprio. Tu?"

"Io arrivo dal Connecticut."

"Non la mangi la carne?" domandò Hank guardandogli il piatto con un insalata di verdure.

"No, dopo che ci lavori per tredici anni, cambi idea sulla carne. Non che sia, vegetariano o vegano. Solo che carne, carne e sempre carne tutto il giorno, ci diventi scemo. La mangio ancora, ma cerco di mangiarla solo come sfizio. Non ti è mai capitato di fare sempre la stessa cosa per così tanto tempo, contro voglia, che hai necessità di staccare. Almeno per un po', quel quanto basta, per non far si che diventi un'ossessione."

"Si, forse..."

"Certo che sei un tipo di poche parole tu."

"Preferisco parlare il giusto."

"Cos'è hai parlato troppo che hai deciso di fare una pausa di riflessione con i dialoghi."

"No, vorrebbe dire che non parlerei più."

"Ahahah, non sei di queste parti."

"No. Te l'ho già detto."

"Si ma intendo, non sei americano."

"E tu che ne sai?"

"Hai modi di fare, non so, strani..."

"Che intendi?"

"Non lo so. Non parli molto, eppure sembra che non parli molto, poi il tuo accento..."

"E questo ti fa pensare che io sia strano?"

"Beh..."

"Certo che sei strano forte!" rispose Hank.

"Caspita. Mi hai chiuso. Davvero parli solo quando è necessario. Ahaha sembri un tipo in gamba."

"Grazie."

"Oh, si sta per fare tardi. Non perdere mai il tuo tesserino! Il capo andrebbe su tutte le furie."

"Tu lo hai già perso?"

"Si un paio di volte."

"E com'è che sei ancora qua?"

"Vorrai dire come sono qua? Comunque questa informazione è riservata. Ti posso dire, solo perché sembri un tipo a posto, tutto sommato. Si tratta di un favore che avevo fatto al capo. Nulla di più. Forza, è tempo di mettersi alle macchine!"

il turno finì, Hank tornò a casa. Il cielo era ancora chiaro. Le strade pullulavano di macchine e persone, ogni tanto sentiva un po' di musica passando per i locali. Quando arrivò a casa, si fece una doccia e poi si diresse al bar di Mary.

"Hank! Ben tornato!" disse Bobby.

"Ciao ragazzi!" disse Hank sedendosi al bancone. "Una birra grazie!"

"Subito. La solita?"

"Esatto! Quella birra mi fa impazzire."

Nel suo bar c'erano una decina di persone sconosciute a Hank. Lui rimase li, al bancone, scaricando la giornata lavorativa.

"Ho saputo che oggi è stato il tuo primo giorno di lavoro." disse Cammy.

"Esatto."

"Come è andata?"

"Estenuante. Non è la mia mansione preferita."

"E cosa vorresti fare?"

"Faccio lo scrittore."

"Wow! Sul serio?"

"Si, o almeno ci provo."

"Beh, mi sembra giusto, non tutti nascono imparati. Neanche chi ha l'attitudine a fare quello che fa per piacere."

"Vero! Hai visto Mary?"

"Tra poco è il suo turno, credo sia a casa."

"A che ora attacca?"

"Tra una mezz'ora. Cosa c'è tra di voi?" domandò Cammy.

"Beh, difficile a dirlo. Ci conosciamo da una settimana."

"Si, è vero. A lei, la vedo abbastanza presa."
"Abbastanza?"

"Beh, le hai fatto un bell'effetto. È da un po' che non la vedevo così. Vedi di trattarla bene."

"Hey, per chi mi hai preso?" disse Hank con tono ironico, per sdrammatizzare la domanda.

"Bravo! Mi sembri un tipo apposto. Non farmelo rimangiare." poi Cammy si alzò e ritornò dietro al bancone.

"Hey scoppiati. Sono arrivata." disse Mary entrando nel locale con dei jeans attillati e una maglietta nera all'altezza dell'ombelico. I capelli legati a coda con due frangette ai lati del viso che la disegnavano come una Venere scesa in terra.

"Hank! Come è andata il primo giorno di lavoro?"

"Possiamo dire bene?"

"Che vuoi dire?"

"Beh, è una fabbrica..."

"Hank! Forza, è un lavoro, mica una prigione!"

"La differenza è che sono incatenato lì per otto ore al giorno solamente." disse Hank.

Mary gli tirò una pacca sulla testa e un bacio.

"Allora bevi ancora?" disse Mary.

"Si, un'altra birra. E una per te. Offro io!"

"Oh, grazie!"

"Sono cinque dollari!"

"Ecco a lei signorina."

Così Hank, passò un'altra sera al bar. Andò avanti così per tutta la settimana lavorativa.

Poi di sabato, Hank, si affacciò sul porto. Si mise ad ammirare il mare e le sue mille increspature provocate dal vento. Rimase affascinato, osservando la sua maestosità. Rimase li a guardare, attentamente. Non riusciva a staccare gli occhi. È un po' come guardare una donna talmente affascinante che ti ipnotizza al solo sguardo. Una medusa formato mare. Rimanere li pietrificati, sentirsi una formica in un campo da football.

Lì il cancello era aperto, Hank fece per entrare. Un passo, poi un altro; e un altro ancora. Quando si trovò a metà strada tra il mare e la strada, gli squillò il telefono.

"Hank!"

"Ciao Mary!"

"Come stai?"

"Credo bene. Tu?"

"Credi?"

"Che forza ha l'acqua?"

"Hank, se proprio vuoi farti, te la posso procurare io della roba buona." disse Mary. "Dove ti trovi? Ti passiamo a prendere."

"Sulla Hudson River greenway. All'altezza del molo cinquantaquattro."

Mary, domandò a Bobby se sapesse dove si trovava.

"Arriviamo!" aspettaci li.

"Si, va bene. Vi aspetto qui."

Dopo circa una mezz'oretta arrivarono con il clacson a tutto volume.

"Hank! Muoviti! Sali!"

"Arrivo!"

Hank salì sul furgone, e Mary lo stava guardando, o meglio analizzando.

"Tutto bene?" chiese Mary.

"Si, certo!" rispose Hank.

Poi Mary lasciò perdere e si indirizzarono tutti verso il bar dove c'erano Cal e Cammy ad aspettare. In quella serata c'era un altro avvenimento, un concerto rock, calorosamente richiesto da Mary per Hank.

Arrivarono al bar e la serata cominciò, Hank lasciò perdere i suoi precedenti momenti filosofici del mare. E si concesse totalmente al divertimento con Mary. Suonava un gruppo da garage del posto che aveva conosciuto Mary ad un loro concerto. Un gruppo davvero bravo, lì la qualità non mancava affatto. I fiumi d'alcol scorsero a dirotto dalle bottiglie, bicchieri e da un imbuto incastrato in un tubo.

La maggior parte delle persone era totalmente ubriaca, ma nonostante tutto presa bene e felice. Tutti a divertirsi ai piedi del gruppo che alzava i volumi a volumi spropositati. Le pareti tremavano, gli assoli squillavano per isolati, attirando l'attenzione di quasi tutti i passanti che si trovavano lì in quel momento.

I tavoli fuori tutti occupati. Sui marciapiedi, alcuni sboccavano per ritornare in pista. Mentre all'interno, le ballerine sul bancone a ballare, Bobby e Cal che servivano in mezzo alle loro gambe. Hank e Mary si gustavano il concerto. Poi ad una certa ora decisero di fare un giro. Camminate oscillanti come le fiamme delle candele, discorsoni pieni di tasso alcolico e sigarette fumanti soffiati all'aria aperta.

Tutti e due abbracciati reggendosi l'uno all'altra.

Percorsero circa tre miglia, arrivando al famoso ponte di Brooklyn sul ponteggio accostando il bar di Watermark.

Lì si soffermarono a vedere il mare, così infinito, per quanto chiuso circondato da pezzettini di terra, perché per il mare, sono solo dei pezzettini. Il mare, baciato dalla luna quasi tutte le sere, li riflesso sulla sua trasparenza lucida, ricoperto dal buio della notte. Così dolcemente romantico, per quanto pericoloso come l'amore stesso.

Mary ed Hank lì affacciati ad osservarlo. Due gocce in un mare di gente che popola la superficie terrestre. Abbracciati in silenzio, ascoltando le onde frangersi sulle sponde.

"Hank, era questo che stavi osservando prima?"

"Si."

"È bellissimo. Chissà quante gocce servono per riempire tutti i mari del mondo."

"Non penso sia possibile contarle."

"Hank, lo so che è solo due settimane che ci conosciamo. Ma tu, mi vuoi bene?"

Hank le sorrise, "Certo che ti voglio bene. Sei la persona più interessante che io abbia mai conosciuto."

"Anche quando non abitavi qui?"

"Si, da quando sono nato."

Mary si commosse, l'abbracciò e disse "Io ti voglio bene Hank. Sul serio. Non ho mai conosciuto una persona come te."

"Mi lusinghi."

Lì scoppiò un bacio. Un bacio interminabile. La gente man in mano, fluiva. Sino a che, non rimasero solamente loro due.

Poi si spostarono su un'altra passerella osservando il ponte di Brooklyn e di Manhattan ricoperti di luci.

Uno spettacolo indimenticabile. Poi si fece tardi e questa volta andarono a casa di Hank. Lì si replicò un'altra nottata di passione, nell'erotismo, nella sensualità, approfittando di un letto, delle coperte e dell'incenso che Mary gli aveva regalato.

I corpi nudi, sudati sperimentano posizioni calde, per una nottata di fuoco. Le labbra che si sfiorano, le mani che accarezzano il corpo, il respiro affannoso, i gemiti da farsi sentire da un sordo.

Il giorno successivo, Hank si sveglia, vede lì sdraiata, a Mary. Pensa “Wow, che meraviglia. Credo che sia una delle persone, comprendendo anche tra tutte le cose, che mi sia capitato di bello.”

Nel frattempo, appena Hank si distraeva, aveva un po' di mal di testa, sopratutto creato da pensieri in puri. Ovvio secondo le sue caratteristiche. Comunque, ogni tanto, capitava che una giornata, la passava così. Ed ecco una giornata di quelle. Comunque, in ogni modo, preparò la colazione, sia per lui, sia per lei, che stava ancora dormendo beatamente. Hank seduto a tavola, o meglio seduto coricato sulla tavola, a sorseggiare il suo caffè. Poi "Buon giorno." disse Mary stiracchiandosi. "Come stai?" continuò Mary.

"Alla grande, siamo nel fine settimana, e mi sono svegliato presto."

"Coglioni girati?" domandò Mary.

"Ma non proprio, non so se a te ti capitano quello giornate che sei, diciamo confuso, ma non è il termine adatto. È più squilibrato, che non sai cosa pensi, magari ti vengono in mente storie passate che se ne potrebbero benissimo starsene nel loro periodo in cui si sono presentate, senza ritornare senza preavviso e ne invito." disse Hank.

"Sai, ti capisco. Anche io quando abitavo in Italia, avevo degli amici un po' di merda. E mi hanno rovinato un po' la vita. E ancora ogni tanto mi tornano in mente pensieri, azioni fatte in quegli anni, che mi uccidono la testa dall'interno. Ma la cosa positiva. È che, quando ti capitano queste cose, la tua testa sta salendo di livello. Quindi fa un po' come un telefilm. Cioè ti fa vedere le vecchie storie, per affrontare le nuove che ti piaceranno, che stai cercando. Non ti abbattere mai. Resisti e vai avanti, Hank. Io credo in te. Se hai bisogno, io sono qua."

"Sei davvero speciale, lo sai? Grazie davvero. Quello che posso fare, devi solo chiedermelo."

"Grazie Hank... allora, è avanzato del caffè?"

"Si certo, l'ho preparato per due."

"Oh ma che gentile."

Poi, Mary, aprì il frigo, "Ecco perché hai preparato solo il caffè. Non c'è nulla qui dentro. Senti, faccio un giro qui sotto, al minimarket. Hai bisogno di qualche cosa in particolare?" disse Mary.

Hank ci pensò un attimo, "Se vuoi una birra."

"D'accordo." Mary, dunque scese sotto e andò a fare la spesa.

Hank, che stava un po' impazzendo, prese un foglio e una penna, e cominciò a scrivere. Si mise li con pazienza e voglia di fare. E composte un testo. Un racconto.

Mary, quando rientrò in casa, vide Hank che dormiva sul tavolo. Sopra un foglio, lo sfilò dalle braccia di Hank e lo lesse.

Rimase a bocca aperta. Le piacevano le descrizioni. Molto sentite, con parole non difficili da capire. Facile, se pur intorta scrittura. Naturalmente, sotto la storia, c'era un'altra storia sotto intesa. Come se fosse una morale. Ma non proprio una morale. Un concetto, un desiderio, un ringraziamento. I principi fondamentali, racchiusi in un racconto di pochi fogli. In quel modo, Hank si era liberato e, riuscì a dormire nuovamente.

Mary, dopo, mise in ordine le cose che aveva comperato. Alcune nel frigo, alcune nella dispensa.

Hank dopo circa un'oretta si svegliò, che era quasi ora di pranzo. Si svegliò con un profumino di cucinato. Salsa di pomodoro, dello speck e dei gamberetti, il tutto miscelato con due uova al termine della cottura.

Hank si avvicinò a Mary, che gli dava le spalle nell'intento di cucinare, e così l'abbracciò da dietro. Ad un primo istante Mary sussultò, poi girandosi, vide Hank e disse "Buon giorno dormiglione." mentre gli passava una pasta per vedere se era cotta. "Ti sei svegliato giusto in tempo. Allora? Com'è?"

"Ancora un po' al dente, ma è quasi pronta."

"Questa è la cucina che preparavo quando ero in chimica in Italia."

"In chimica?"

"Si.. ahaha..."

"Fattoncella."

Hank e Mary mangiarono la pietanza servita da lei. Hank le fece i più sentiti complimenti.

Poi arrivò il momento che Mary doveva andare al lavoro.

"Che fai vieni con me?"

"Mi faccio una doccia, finisco due righe che stavo scrivendo. E poi vengo subito a trovarti." rispose Hank.

"Le ho lette prima."

"Ah si?" disse Hank, un po' imbarazzato.

"Scrivi bene, non so se te l'ha mai detto nessuno. Ma hai del talento, secondo me, potresti fare lo scrittore di mestiere."

"Grazie. È quello che voglio fare."

Mary, andò a lavorare, Hank si mise a scrivere. Poi quando credette che per la giornata, o almeno per quel momento li, fossero state scritte sufficienti parole, si andò a fare una doccia per poi uscire.

Hank camminò sulla West street, e si fermò ad osservare il mare. Il tempo non era dei migliori a New York, e invece a New Jersey, la città era oscurata da una tempesta. Si poteva vedere un disco di nuvole nere come il carbone, fargli da cappello. Solo che non l'avrebbe protetto dalla pioggia... Hank osservò anche le acque agitarsi, il temporale stava venendo dalla sua parte. A New York City. Hank vide oscurarsi anche sopra la sua testa. L'aria diveniva sempre più forte. Hank rimase lì in mobile, era la giornata dei ricordi, evidentemente. Vide un porto, una città immersa nella pioggia, e un'altra città illuminata dal sole, tutto questo sotto gli occhi suoi, il mare, comunque era sempre agitato, le onde si infrangevano sulle sponde che arrivava sopra le passerelle poste sul mare, ad una elevata altezza. E poi vide un bambino correre, assomiglia ad Hank da piccolo. Però non gli riuscì a vedere il volto.

Ci fu un fulmine che squarciò il cielo cadendo sulle strade del New Jersey. Hank ritornò alla realtà. Vide che era quasi la stessa scena.

Comunque vedendo come si stava mettendo, si diresse senza soste al bar di Mary, che continuava a chiamarlo, ma le linee erano occupate, o addirittura interrotte dalla tempesta. Hank fece in tempo ad arrivare all'interno del bar, che una furia devastante, la quale forza avrebbe spazzato via le persone dandole in pasto alla sorte che il vento riteneva giusto per loro. La pioggia talmente fitta che non si poteva scorgere oltre il metro dinanzi. Hank impassibile, davanti alla finestra a guardare la forza tempestosa della natura. Mary avvinghiata attorno al suo braccio, stringeva forte, non per paura, ma per sentirsi lo stesso protetta. La fuori sembrava la fine del mondo. Ma non era neanche un ciclone, era solo una forte tempesta che avrebbe portato la calma una volta cessata la guerra.

Fecero entrare quante più persone erano lì di passaggio per metterle al sicuro. C'erano madri con i loro bambini in carrozzella, anziani terrorizzati che erano appena sfuggiti alla fine dei loro tempi, e tanta altra gente che si affogava nel whisky per superare i propri problemi. Altre persone aiutavano la squadra, Bobby ogni tanto si affacciava per vedere se c'era ancora qualche d'uno fuori, in pericolo. Hank e Mery, anche loro, portavano asciugamani e tranquillizzavano i presenti.

Una volta che le strade erano vuote, erano tutti all'interno di qualche mura. Hank e Mary bevvero delle birre in attesa che finisse la burrasca che si era abbattuta sulla città.

Una volta finita la burrasca, Hank e Mery, uscirono dal bar. La città era in completo silenzio, si sentiva solo qualche macchina passare. Le persone erano in completo silenzio a guardare gli alberi abbattuti sulle macchine. Le strade erano in totale caos. La cosa bella era che le persone si aiutavano a vicenda. I notiziari non facevano altro che parlare dell'accaduto.

Passarono circa due settimane, la città si era ormai recuperata dalla tempesta. La macelleria dove lavorava Hank, era stata inondata, dunque ci mise più tempo a recuperare l'attività. Così Hank, rimase a casa. Nel frattempo, andava in giro. Imparava a vivere per le città di New York.

Un giorno, Hank, passeggiava per le fitte strade di Central Park con Mery. "Hank. Cosa pensi?"

"Penso che la gente pensa."

"Cosa vuoi dire?"

"Guarda quelle persone, vicino a noi. Secondo te, di cosa stanno parlando?"

"Non lo so. Avviciniamoci." si avvicinarono un po' a loro per sentire cosa stavano dicendo.

"...Poi non fa altro che lamentarsi. Non lo so, è tutto a suo modo. Poi comincia a dare a tutti la colpa. Non è mai colpa sua..." le persone adiacenti a loro, poi altre persone. "...Sta sempre in silenzio. Dici che avrà un'altra?..." e altre persone ancora. "...Lo sai poi che ha fatto? Ha preso tutta la sua roba ed è andato. Ma si può? Cioè, è un cugino alla lontana, però stava con una mia amica..."

Hank poi fa riflettere Mery. "Di cosa parlano?"

"Non lo so. Di altre persone."

"Si, infatti."

"Non riesco a capirti." disse Mery.

"Tu mi hai chiesto, cosa pensavo io."

"Si."

"Io ti ho risposto che penso che la gente pensa."

"Quindi?"

"La gente pensa ad altra gente."

"Forse comincio a seguirti."

"Non c'è mai nessuno che si fa i cazzi suoi!" disse Hank con tono ironico.

"Ahah, è vero. Noi si..."

"Beh, in fondo, stiamo parlando delle altre persone."

"Quindi, noi, siamo altre persone, per le altre persone."

"Si."

"Ma come, siamo finiti a parlare di questo?"

"Non facendoci i fatti nostri."

"Pensi che sia un male?" disse Mary.

"No, però non ci dobbiamo lamentare, se qualcun altro parla di noi."

"Già, è proprio vero. La vita degli altri è molto più interessante della nostra."

"Non sono del tutto convinto. Credo più che siamo, timidi, egoisti, vergognosi di raccontare le nostre vicende. Perché c'è sempre qualche d'uno che sarà contrariato. Quindi per non sentirci a disagio. Parliamo di altre persone, come dovremmo raccontare di noi."

"Dovevi fare il filosofo!"

"Ahah, non credo. Sono un timidone."

"Ma piantala."

"Lì va bene?" rispose Hank indicando un piccolo pezzo di terra dove non c'era nessuna pianta.

"No, ti porto un vaso, così te la tieni in camera. Qualche pianta dovresti pur metterla."

"Già, mi servirebbe un tocco femminile in casa."

"È vuota!"

"Ho un letto..."

"Cos'è, un messaggio subliminale?"

"Ti va?"

"Si, ma siamo più vicini a casa mia."
"Andata!"

Mary ed Hank corsero a casa di lei per fare un po' di baldoria.

Del sesso, partendo dalla porta di ingresso, dove le scarpe e le magliette furono lanciate per aria. I pantaloni a bordo del letto. Con il reggiseno sulla lampada da comodino e le mutande che solo Hank aveva, sul candelabro lanciato da Mary.

Iniziarono con una missionaria, battendo il letto sul muro, poi lei, salì sopra di lui e spinse massaggiandosi la clitoride sul pube di Hank.

Una volta completata la prestazione, Hank coccola Mery delicatamente accarezzandole i capelli.

"Hank."

"Dimmi..."

"Ti va di andare a vedere un film al cinema?"

"Si può fare?"

"Che vuol dire?"

"Si, va bene..."

"Non hai voglia vero?"

"Non l'ho detto."

"Ma lo hai pensato?"

Erano passati circa dodici ore dal rapporto sessuale e stavano a casa. Entrambi, si erano stufati di fare una vita sedentaria. Quindi volevano andare a fare un giro. Mary, voleva andare al cinema. Ad Hank, non gliene fregava, basta che usciva.

Dunque nacque un piccolo dibattito su cosa fare. Lo stress della sedentarietà si mostrava senza veli. Come una vecchia nuda con la pelle che le superava le ginocchia e gli scarafaggi che le uscivano dalla passera. Una scena alquanto rivoltante, che diede l'imput di uscire ad ogni costo. Quindi cercarono un film da guardare. Ma prevalentemente c'erano musical da strapparsi i coglioni e attaccarseli sugli occhi per vedere uno spettacolo migliore. Poi c'erano film d'azione che a Mary, non andavano a genio. In pratica il cinema, era quasi da eliminare tra le opzioni, almeno finché non c'era un film migliore.

Nel frattempo stavano mangiando. E parlarono di fare un giro in una città non solita. Dove non avevano mai visto. Quindi aumentò il campo delle uscite, solo, che pur non avendo voglia di stare a casa, erano pigri come il gatto Garfield. Dunque cosa fare? Starsene a casa a poltrire e atrofizzarsi, o andare in giro a visitare anche un giardino ancora immerdato dalla pioggia? Ardua decisione quando ci sono quelle giornate che spulciare un babbuino può essere divertente, quanto estenuante.

Ad Hank venne un idea in mente. "Mary, ho un'idea..."

"Vediamo che cosa pensa la tua testolina malata."

"Noleggiamo una macchine e, c'è ne andiamo in camporella."

"Ahaha, questa si che è un'idea."

L'idea fu presa in considerazione. Dunque finirono di mangiare, si fecero una doccia e andarono a noleggiare una macchina alla sessantaquattresima strada vicino al Central park. Lì Mary conosceva un suo vecchio amico d'infanzia, che avrebbe chiuso un occhio su tutte le scartoffie burocratiche che c'erano da compilare.

Così facendo Mary ed Hank si dirigono verso le foreste di Long Island. Si fecero una quarantina di miglia in autostrada, arrivando in questa vasta boscaglia. Prima, si fecero una pausa pizza in un ristorante trovato sulla strada. Fecero per entrare, ma le porte non si aprivano. Guardano sulla porta e c'era scritto entrata con sotto una freccia che indicava a destra. Così Hank e Mary andarono a circumnavigare il locale in cerca dell'entrata. Arrivarono sul retro della pizzeria e videro una porta. Infondo c'erano delle persone che mangiavano. Quindi fecero per entrare che una signorina dai capelli scuri si avvicinò a loro e disse.

"Salve! Siete in due?"

Hank rispose "Si, io e lei."

"Prego, entrate solo dalla porta principale, che adesso vengo ad aprirvi. Dalla porta che da sulla strada." continuò la signorina.

Hank e Mary si diressero alla porta principale attendendo dieci minuti di orologio che aprissero le porte.

Si sentì la serratura scattare, le porte si aprirono e la signorina fece accomodare i due giovani al tavolo migliore. Sotto alla finestra, dove c'era più luce. Hank e Mary ordinarono due pizze che gli portò un'altra giovane ragazza dai capelli biondi.

Cominciarono a mangiare, bere. Quel locale, era infestato di mosche stupide che si facevano menare da loro. Ronzavano sulle pizze talmente assorte dall'odore, che non facevano caso alle mani che le scacciavano da prendersele da ogni cliente. Ma non fu questo a metterli in buona luce. Comunque Hank e Mary, finirono la pizza. Arrivò un cameriere che raccolse i piatti e domandò se volevano ancora qualche cosa. Hank e Mary ordinarono un Bunnet e un tiramisù. Attesero almeno una mezz'ora abbondante che la cucinassero partendo dalla scrematura del latte per creare gli ingredienti basi. Poi dopo un invecchiamento, arrivarono. Buone e decorate. In fine ritornò quel cameriere strambo. Più che strambo, frocio, a ritirare e Hank ordinò ancora un ginseng. Arrivò un altro cameriere, a questo sembrava invece che gli piaceva la passera, con un caffè semplice. Hank disse che non aveva ordinato un caffè. Il cameriere chiese scusa, Hank disse che non era grave e tornò lo strampalato a chiedere se tazza grande o normale. Hank disse normale. Il cameriere si scusò toccandolo più volte. Hank un po' disgustato, disse che non importava, basta che arrivava. E glielo portarono. Questa volta giusto. Poi andarono a pagare. Erano ventisette dollari e settanta centesimi. Hank gli rifilò cinquanta dollari e cercò i settanta centesimi per risparmiarle di fare troppi calcoli. Voleva essere gentile. Ma la cassiera, acida che non trombava dalla prima liceo, guardò Hank disgustato e disse restituendogli i centesimi. "Questi tienili, non importa." e glieli, quasi, lanciò.

Hank seccato da questo gesto, le disse qualsiasi insulto elaborato che gli venne in mente in quel momento da far rabbrividire alcuni che mangiavano per via delle mosche, altri che erano appena entrati, uscirono immediatamente disgustati, alcuni razzisti si alzarono senza pagare e uscirono dalla porta parlando dell'orientamento di alcuni dipendenti, e ricevendo alcuni applausi di quelli che avevano pagato prima di lui ricevendo un atteggiamento della cassiera al quanto scorbutica. Hank poi uscì con Mary sotto braccio, si accese una sigaretta e salirono in macchina. Si diressero in una boscaglia, e si sgranchirono le gambe. Solo che in quella zona, mentre Hank stava pisciando, passarono delle persone. Quindi salirono in macchina e trovarono una zona, apparentemente sprovvista di esseri umani, e li cominciarono a spogliarsi e darci dentro. Il sedile lo misero in orizzontale, Hank si sdraiò con lei sopra, e cominciarono a darci dentro appassionatamente. Le sospensioni della macchina si muovevano insistentemente accompagnando ogni loro movimento.

Ah, che meraviglia farlo nella natura con una bellezza della natura stessa. È come trovarsi a casa.

Una giornata di sole dopo la tempestosa pioggia dei giorni scorsi, aveva riacceso e ringiovanito la vecchia noia, rendendola una fantastica ragazza ventenne a cui gli ormoni affollati, danno sfogo alla magnificenza dell'essere arrapati.

Dopo aver appannato calorosamente tutti i finestrini con specchi retrovisori compresi, si fumarono, dopo essersi rivestiti, una sigaretta. Dopodiché, riaccesero il motore. Ma sorse un piccolo contrattempo. La macchina si era impantanata nel fango circostante.

"Hank. E ora che facciamo?"

"Dovremmo immerdarci un po'. Io faccio per spingere la macchina. Tu, accelera delicatamente e cerca di uscirne."

"D'accordo."

Hank uscì dalla macchina, si mise davanti e cominciò a spingere più che poteva. Mary, ovviamente, diede a tutto gas il motore, scavando una fossa per le ruote motrici. Hank, immerdato di fango risalì sulla macchina dicendo. "Sbaglio o ti avevo detto di accelerare delicatamente?"

"Ehh," Mary comincia a ridere cercando di sdrammatizzare l'accaduto, "E adesso?"

"Adesso... cerchiamo dei bastoni per cercare di fare una rampa alla macchina."

"Sei esperto!"

"Mi era già successo in passato."

"E come è andata?"

"Em... il giorno dopo, un trattore è venuto a recuperare la macchina."

"OH..."

"Già. Ma questa volta, vediamo di riuscirci!"

"Forza."

"Accelera delicatamente! Ok?"

"Ok! Farò del mio meglio."

"So che puoi farcela."

Hank andò a prendere dei rami per fare leva e, far aggrappare le ruote motrici facendo così uscire la macchina dal pantano.

Cercò di inserirle nel miglior modo possibile. Mary, questa volta cercò, pur spegnendo il motore una volta, di accelerare più delicatamente possibile. La luce del sole era in esaurimento. Hank spingeva più che poteva la macchina per farla uscire. La macchina si poteva vedere che si stava sollevando dal pantano, cosi Hank mise tutta la forza che aveva in corpo per spingere la macchina, facendo in modo che Mary con i suoi colpetti di acceleratore, fece uscire la macchina. Così Hank, ancora più infangato di prima, salì sulla macchine e uscirono dal quell'inferno fangoso. Entrambi urlarono vittoria, poi ritornarono alla casa base.

La giornata prese una bella svolta, anche se ci fu un attimo di acciacchi nel tirar fuori la macchina, ma ritornarono vittoriosi. Il giorno dopo, riportarono indietro la macchina, dopo una lavata all'autolavaggio e, aver pulito gli interni, per non pagare una sovra tassa.

I giorni passavano, Hank era ritornato a lavorare in macelleria. Quando un giorno fu licenziato per il taglio al personale. La ditta aveva bisogno di fondi. Quindi Hank, consolato da Mary, si mise in cerca di un altro lavoro. Nel frattempo, si trovava al bar a scolare birre. Quando stava parlando con Cal e Bobby, spuntò l'argomento scrittura. Hank in tutto quel tempo, aveva scritto così tante cose. E le fece leggere a loro. Che decisero, siccome conoscevano una persona che lavorava in un giornale underground, di presentargli questa persona e convincerlo a pubblicare i suoi racconti. Charly, un rappresentante, prese in considerazione i suoi racconti e cominciò a pubblicarne alcuni.

Hank era ancora in prova. E ogni mese, siccome che era mensile la sua rubrica, portava un racconto sopra le righe e fu di grande successo.

Dopo otto mesi, la rivista underground, spopolò nelle strade di New York. Hank cominciò a farsi un nome come scrittore. E dopo altri dieci mesi cominciò a pubblicare il suo primo romanzo dal titolo “Crazy Woman”. E dopo altri diciotto mesi, pubblicò una raccolta delle sue storie pubblicate sul giornale e alcune mai pubblicate, il tutto al titolo “Reload Regolare”.

Hank si era adattato allo stile di vita della sua nuova città di adozione. Non dovette più lavorare prigioniero di un'azienda o fabbrica.

Si svegliava quando voleva, ogni sera scriveva delle pagine e faceva incontri con il pubblico che aveva coltivato con pazienza. Si trovò anche a scrivere scenografie dei film. Comunque, aveva trovato la sua vocazione. Scrivere, scrivere e scrivere. Con Mary, la storia continuava, poco più avanti nacque una bambina stupenda, fisicità della madre e intelligenza del padre. Non che la madre non lo fosse, ma crescendo ebbe i suoi modi di fare, le sue attitudini, già spianate dal padre. Infatti cresceva a vista d'occhio, sopratutto intellettualmente.

Una nuova vita può dare frutti davvero buoni. Un po' come mangiare i frutti dello stesso albero per molti anni. Quando lo si coltivava poco più in la, poteva far nascere frutti migliori. E così che ha fatto Hank. Con la sua vocazione. Ha piantato il suo frutto nella terra giusta e ha cresciuto il suo modo di vivere, di crescere, di dare vita alla vita.

 

   
 
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