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Autore: ZoeLoveRock    19/12/2015    1 recensioni
. Poi tutto è successo in un lampo. Erano diventati amici, inseparabili. Si sentiva vuoto quando non c’era lui. Ed era sempre più certo che quello fosse l’amore di cui tutti parlano. L’amore di cui scrivono i grandi letterati, l’amore di cui suonano i grandi gruppi, l’amore di cui si ricorda il vecchio che chiede l’elemosina. Perché era una malattia, che ti prosciugava fino allo stremo delle forze, inondandoti di ricordi e costringendoti a chiudere gli occhi. Per paura che quelli accanto a te capiscano ciò che provi, e per cercare di contenere quell’istinto primordiale che ti secca la bocca e fa rabbrividire le membra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I contorni di John tendevano a confondersi, non erano nitidi, ma mischiati dal velo di lacrime che gli ricopriva gli occhi.
“Dobbiamo smetterla, Paul. Non possiamo andare avanti così, lo sai” disse in tono risoluto. Certo, ne era consapevole. Ma detestava prendere atto della realtà, quanto l’uomo che gli era accanto. Ma era John quello forte tra i due, quello che sapeva sacrificarsi. Si sentiva debole, accanto a quella quercia potente che da anni aveva accanto. Ma sapeva che senza di essa non sarebbe sopravvissuto, ma sarebbe finito nello sprofondare in un baratro, senza più nulla a cui aggrapparsi. Perché John era anche il suo appiglio sul mondo, anche se aveva la testa più in alto di lui. Erano entrambi responsabili della distruzione dell’altro, quando si graffiavano, contorcendosi dal dolore di quello che si facevano, per poi rifugiarsi tra gli artigli, terribili e forse per questo tanto rassicuranti, dell’altro. Si erano avvicinati, trovandosi attratti a vicenda, in una morsa di affetto e complicità che faceva mancare il fiato all’altro. Senza fiato per tutto. Per l’intensità dei loro sentimenti, per le corse infinite, sotto il cielo nero, con le stelle che li proteggevano maternamente. Senza fiato per una canzone esaltante, senza fiato per il troppo alcool, senza fiato per un bacio. Senza fiato per le notti che erano diventate una promessa della loro amicizia. Perché era quanto erano: amici. Nulla di più. Paul si era innamorato di John solo dai racconti di George, si era innamorato di questo ragazzo idilliaco, ribelle, senza freni e catene. Si era innamorato di un ragazzo senza volto, ma con una voce: la voce della ribellione, che aveva fatto nascere in lui un desiderio irrefrenabile di libertà, da tutto, da tutti. E l’unica che gliela donava, era la musica. Con il pianoforte, inizialmente, per poi passare al basso. Era passato del tempo prima che pensasse al fatto che suonare uno strumento potesse aiutarlo, prima si accontentava di bearsi delle note che fuoriuscivano dal giradischi, dell’eccitazione che gli dava risparmiare per una nuova punta di diamante, o per un nuovo disco.
Poi l’aveva conosciuto. Si erano presentati. Si era sentito un oggetto, all’inizio, tra le mani di quest’entità meravigliosa e dotata di una forza sovrumana. “Però, sa accordare la chitarra. Potrebbe farmi risparmiare qualcosa” aveva detto, senza calcolarlo minimamente. E a lui andava bene così, seduto su uno sgabello di quel capannone vuoto, impregnato di muffa. Poi tutto è successo in un lampo. Erano diventati amici, inseparabili. Si sentiva vuoto quando non c’era lui. Ed era sempre più certo che quello fosse l’amore di cui tutti parlano. L’amore di cui scrivono i grandi letterati, l’amore di cui suonano i grandi gruppi, l’amore di cui si ricorda il vecchio che chiede l’elemosina. Perché era una malattia, che ti prosciugava fino allo stremo delle forze, inondandoti di ricordi e costringendoti a chiudere gli occhi. Per paura che quelli accanto a te capiscano ciò che provi, e per cercare di contenere quell’istinto primordiale che ti secca la bocca e fa rabbrividire le membra.
“Non voglio che finisca, John” mormorò, con il labbro inferiore incapace di smettere di tremare. Sentiva le ciglia appesantite da piccole gocce salate. Per quanto un pianto riuscisse ad essere straziante, mai avrebbe potuto esternare ciò che si agitava nel corpo di Paul, in quel momento. Sentiva le mani incredibilmente fredde e la fronte incredibilmente calda. Il mondo vorticare in modo innaturale, lasciando lui di fronte al suo migliore amico, immobili, fissandosi. Sosteneva il suo sguardo. Si sentiva ribollire, non di rabbia. Di delusione, di follia, di frustrazione. Come se il suo ventre si stesse infiammando di tutti quei sentimenti che negli ultimi mesi non aveva esternato per non ridurre in un cumulo di macerie quell’equilibrio, precario, che li teneva ancora legati. Forse era da lì che provenivano tutte le emozioni.
“Deve. Ci distruggiamo”
“Senza di te muoio, lo sai?”
“No, non morirai” disse, ma colse un fremito nella sua voce.
“Io mi sono lasciato andare da quando abbiamo cominciato a litigare, da quando comporre non ci dava gioia ma era un obbligo, da quando fare l’amore è diventato sesso e non più amicizia. Capisci quello che sto cercando di dirti?”
“Ti ho sempre capito”
“Lo dici tu, non te l’ho mai confermato. Ma è vero. Tu riesci a percepire quello che voglio dire prima che io lo pensi, John. Ed è assurdo, e mi fa incazzare, perché non è giusto che tu per me rimanga questa incognita, volubile ed irrisolta” se prima, in quel breve scambio di battute, era riuscito a scogliere il nodo che gli impediva di deglutire, ora aveva ripreso a respirare più velocemente. Non era normale provare quello, lo sapeva. “E forse è per questo che mi fai impazzire, che riesci a farmi pendere dalle tue labbra. Ed è per questo che io non mi stancherò mai di te, e di questa situazione. Ed è per questo che vorrei non averti come amico”
“Rinunceresti a tutto questo per me? Non pensavo di essere tanto importante. E non pensavo mi detestassi” disse, guardando il sole che cominciava a nascondersi dietro l’oceano.
“Ora non mi hai capito. E vorrei invece che fosse come al solito, perché è dannatamente imbarazzante da spiegare” una leggera brezza sfiorò il volto di Paul, che si protese oltre la balaustra, in cerca di aria che lo rasserenasse un po’. “Credo di essere stato innamorato follemente di te, John. E sono sicuro che tutto questo non sia ancora passato. Non so se quello che provo è meno intenso o ho imparato a convivere con tutto questo, ma… è così. So che ami Yoko, so che non è ancora normale che un uomo ami un uomo, so che questo, per quanto tu possa essere rivoluzionario, può farti rabbrividire. E so di essere sposato, cazzo. E non capisco se questo matrimonio è stato un errore, se è stato un tentativo disperato di salvarmi, o che cos’altro”
“Salvarti? Per dio, da cosa dovresti salvarti, Paul? Perché non me ne hai parlato prima?”
“Perché dovevo salvarmi da te. E l’unico che può farlo sei tu, perché senza di te sono fumo. E per quanto possa risultare disgustosamente stucchevole, John, non voglio perderti. Mai. E questo tuo desiderio di mettere fine ai Beatles, per me non è terribile dal punto di vista della musica, ma della tua lontananza”
“Paul, è meglio che tu riesca a rassegnarti. Noi due siamo delle mine vaganti, pericolose ed imprevedibili. Esplodiamo, lacerando le persone che ci stanno vicine. E siamo troppo l'uno per l'altro. Non credo nel destino, ma comunque, qualcosa ci ha fatti incontrare. E quel qualcosa incentrerà i pensieri dell'uno sull'altro, per sempre, ma non ci permetterà mai di stare insieme, uniti. Mai Paul, per quanto il fuoco che fa ardere il nostro desiderio reciproco possa essere intenso ed invulnerabile”
“Mi penserai?” domandò Paul, socchiudendo le labbra inumidite dalle lacrime e voltandosi a guardarlo.
“Sai, per quanto possa essere grande l’affetto che provo per persone fondamentali per me come Yoko, io amo te. Dicono che il primo amore duri, anche se con piccole radiazioni, per tutta la vita. Forse, è anche l’unico, il più reale. Ma non possiamo permetterci di rovinarlo, Paul. Prendiamoci una pausa, piuttosto” disse l’altro, fissandolo negli occhi.
“Non voglio una pausa, cristoddio!” urlò, infrangendo il silenzio che li avvolgeva. John gli si avvicinò cautamente, circondandolo da dietro. Le ciocche leggermente più lunghe sfiorarono la fronte del minore, che alzò lo sguardo, ferito. “Perché mi fai questo?” soffiò piano. “Perché?!” disse, più forte, girandosi furente. Alzò leggermente il mento per avvicinarsi di più all’altro, con aria di sfida “Ti detesto, Lennon, ti detesto!” continuava a singhiozzare, prima con voce sempre più acuta, poi cominciando a tirare dei pugni allo stomaco del maggiore.
“Smettila, Paul, smettila. È difficile, ma ci rovineremmo e basta, lo sai vero?” disse, riprendendo fiato e cominciando ad indietreggiare. Non sopportava vedere il suo migliore amico in quello stato, anche se era stato lui a renderlo tale.
“Non illudermi. Vattene, per favore” disse allora, chinando il capo. L’ultima cosa che John ricordò di quella serata, fu una lacrima cadere dalle sue ciglia, e il cielo ormai scuro dietro di lui. Poi, si richiuse la porta finestra alle spalle. Lo facevano da ragazzi, per poi supplicarsi a vicenda, chiedendo all'altro di entrare in casa. Ma non l’avrebbe riaperta lui, con un sorriso beffardo. 




*fascio di luce illumina l'autrice malata che si dondola ritmicamente su uno sgabello*
*autrice malata comincia a parlare fissando il vuoto*
"
Questa One Shot è in onore di John Lennon, infatti su Wattpad è stata pubblicata l'8 dicembre. Spero che si trovi bene là, dovunque si trovi, magari con Kurt Cobain che ha avuto l'occasione di incontrare il suo idolo. You're dead, but not gone.
*torna tutto buio*

 
   
 
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