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Autore: Black White Dragon    20/12/2015    2 recensioni
Nico Di Angelo è morto dentro, come i suoi spettri.
Nico Di Angelo non riesce a vivere, per niente.
Vuole mettere fine alle sue sofferenze.
Il giorno in cui decide di farlo viene inaspettatamente salvato.
E lo stesso giorno Nico Di Angelo torna a vivere.
-
Partecipante al contest di Aturiel “The Ghost King – Un contest su Nico Di Angelo” sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Percy/Nico
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nick autore EFP/Forum: Black White Dragon
Fandom: Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo
Titolo: How the day changes
Rating: Giallo
Pairing: Pernico
Generi: Drammatico, Malinconico, Romantico
Note: Tematiche delicate
Tipo storia: One Shot
Conteggio Parole: 4.976 (titolo escluso)
Contestualizzazione: settembre, nell’anno della sconfitta di Crono (niente Romani!)
Note: Nella prima parte della storia ho usato una tecnica narrativa chiamata ‘flusso di coscienza’ nella quale vengono descritti i pensieri del personaggio così come vengono, quindi è assente completamente l’uso della punteggiatura.
 
Partecipante al contest di Aturiel “The Ghost King – Un contest su Nico Di Angelo”
 
 

 
Non ero mai stato bravo nel canottaggio. Non avevo mai avuto le spalle grosse e soprattutto la voglia di fare lo stesso movimento per infinite volte. Il canottaggio era così ripetitivo, monotono. Perché avevamo un laghetto per il canottaggio al Campo?
Forse per dar modo alle tue idee di realizzarsi. Forse.
In ogni caso, stavo facendo scivolare su quell’acqua scura una di quelle canoe che prima di allora mi erano sempre sembrate tanto inutili. E stavo facendo una fatica tremenda. Meglio, la fatica mi stava (quasi) completamente distogliendo dal pensiero di quello che stavo per fare.
Non che fossi obbligato a farlo, ma ormai ci rimuginavo da qualche mese, e se avessi aspettato ancora, mi sarebbe scoppiata la testa.
Ma torniamo al fatto che stavo portando una canoa al centro del laghetto. Mi sentivo un po’ idiota. No, in realtà sto pensando a qualsiasi cosa, purché non sia quello che sto per fare, perché alla fine non lo voglio neanche io, o no? Però voglio farlo lo stesso. Ormai ero quasi arrivato al centro del laghetto, stavo diminuendo l’andatura, non volevo arrivare. Volevo posticipare il più possibile, ma ormai ero a quel punto, tirarsi indietro è da codardi.
Sono un codardo, sto rifiutando la mia vita. E allora me ne torno a casa. Per sempre, io non appartengo al mondo dei vivi.
Mi arrestai completamente, anche se la canoa continuò a procedere lentamente, spinta da una qualche legge della fisica che ignoro. Rimasi seduto per qualche minuto a fissare un punto indefinito davanti a me, come in trance.
Sono un codardo. Cosa diranno di me? Diranno che sono morto da codardo, che non ho accettato la vita. Un momento... Cosa mi dovrebbe importare di quello che direbbero gli altri una volta morto? Quando sei morto, sei morto. Punto. Vogliono disperarsi della mia morte? Facciano pure! Ma tanto non c’è nessuno che si preoccuperebbe di me, o del perché io non abbia più voluto vivere. Meglio togliersi di torno, così faccio un favore a me e agli altri.
Mi alzai in piedi e la canoa ondeggiò leggermente, ma a me sembrò che stesse per ribaltarsi. Sentivo una strana stretta allo stomaco, mi veniva da vomitare, sicuramente non a causa dell’instabilità della canoa.  
A quel punto mi resi conto di avere paura. No, non avevo paura. Ero terrorizzato.
Ma io sono davvero sicuro di volermene andare da questo mondo? C’è un modo per migliorare le cose? NO. Sono solo un codardo. ...buttati Nico raggiungi il tuo vero mondo il mondo dei morti è il tuo vero mondo vattene da qui finché sei in tempo buttati vai a prua o a poppa e salta non sai nuotare vai salta salta salta non ti merita nessuno qui nel mondo dei vivi ma negli inferi sarai al sicuro buttati buttati nessuno ti vuole NON FARE IL CODARDO...
I suicidi vanno ai Campi della Pena, a parte gli eroi che si suicidano per sacrificarsi e lasciar vivere qualcun altro. Il suicidio, lo so, porta alla dannazione eterna, per il fatto di aver sprecato la vita, anche se è la più preziosa delle nostre ricchezze.
...Nico buttati fallo se rimani qui non avrai mai un posto in cui stare anche adesso la tua vera casa è negli inferi perché qui adesso hai una cabina ma è piena di teschi e di bare è come se tu fossi già morto dormi in una bara...
Non è colpa loro se dormo in una bara, non so chi l’ha deciso, comunque non sono già morto per tutti.
...tu non appartieni a questo mondo ami qualcuno che non ti può amare non ha senso vivere non ha senso la tua vita non ha senso la vita perché alla fine moriamo tutti BUTTATI

Feci un passo verso un estremo della canoa, poi un altro e infine mi alzai in punta di piedi sul bordo della nave.
Ma Percy non è l’unico che posso amare. Lui è solo una persona di tantissime in questo mondo.
...sei omosessuale nessuno ti accetterà mai per questo ami un ragazzo che non ti corrisponde quasi non sai dov’è casa tua non hai uno scopo nella tua vita BUTTATI NON HAI NIENTE DA FARE QUI

La parte negativa del mio cervello ebbe la meglio. Saltai.
 
La prima cosa di cui mi resi conto fu il freddo, un’ondata di freddo che mi investiva, che penetrava nelle mie ossa. Un freddo allucinante, disumano. Istintivamente cominciai a dimenarmi e in un primo momento riuscii e prendere una boccata d’aria in superficie, poi sprofondai di nuovo. Continuavo ad agitarmi, nonostante in freddo mi volesse imporre di racchiudermi in posizione fetale per riscaldarmi. Riemersi di nuovo, stavolta presi più aria, ma l’acqua malvagia decise per me di tornare con la testa sott’acqua.
Non sapevo nuotare, questo è certo. È per questo che volevo uccidermi annegando. Non avevo fatto però i conti col mio istinto di sopravvivenza. Non pensavo di averlo, pensavo che mi sarei lasciato semplicemente trasportare dall’acqua sul fondo del laghetto, ma non fu così.
Continuavo a dimenarmi, e ormai cominciavo a essere stanco. Riuscii a respirare un’ultima volta quando l’acqua mi avvolse completamente. Ero troppo in profondità per risalire.
Posso dire per certo che la morte per annegamento è una delle più strazianti. Sapevo che l’aria, la mia unica salvezza, era proprio lì, sopra di me. Dopo qualche secondo cominciò a farmi male la testa, mi si tapparono le orecchie, il mio corpo richiedeva ossigeno, ma non ne riceveva. Dopo massimo due minuti i polmoni cominciarono a darti fastidio, ed è in quel momento che cedetti alla tentazione di aprire la bocca e inalare aria. Solo che di aria non ce n’era. C’era solo acqua, acqua che mi entrava incessantemente dalla bocca e dal naso, come fosse ossigeno. Mentre i miei polmoni cercavano di salvarsi da soli, io annaspavo e mi dimenavo come un matto. In uno stato di incoscienza e coscienza allo stesso tempo, sentivo l’acqua arrivare in tutto il mio corpo. Sentivo quasi il cervello riempirsi d’acqua, come se una volta per tutte fossi riuscito ad annegare nei miei pensieri. Cercai addirittura di gridare, ma il mio corpo era troppo occupato a inalare acqua, e in quel momento mi resi conto di cosa fosse la vera disperazione.
Pian piano ero sempre meno cosciente, ma l’ultima cosa che vidi fu un ammasso di bollicine d’aria che formava una nuvola e si disperdeva verso l’alto, e in quel momento pensai che anche a me sarebbe piaciuto essere una bollicina, per poter risalire in superficie e vivere.
 
All’improvviso ero coricato supino e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era il freddo e la sensazione di vuoto che avevo dentro.
- MA SEI CRETINO? - urlò qualcuno.
Aprii gli occhi e mi si parò davanti una faccia che conoscevo fin troppo bene. Occhi verdi e penetranti, viso pulito e capelli neri: Percy Jackson. Dietro di lui c’era il sole che lo colpiva coi suoi raggi, creandogli attorno alla testa una specie di aureola che gli dava un aspetto angelico.
Chiusi subito gli occhi. Respiravo male e sentivo i polmoni bruciare come se qualcuno ci avesse messo dentro del fuoco greco. Avevo qualcosa di caldo sul petto, ma non riuscivo a capire cosa, allora mi costrinsi a riaprire gli occhi e alzai leggermente il busto usando gli addominali per vedere qual’era la fonte di quel calore. Ma non appena riuscii a vedere che era la mano di Percy, i miei polmoni esplosero e mi sentii mancare l’aria. Cominciai a respirare affannosamente.
- Stai fermo - mi ordinò Percy.
Gli obbedii.
Mi girò la testa verso il basso e sentii del liquido che risaliva il mio corpo fino ad arrivarmi in gola, senza trovare barriere, senza che io potessi fermarla. Con la continua sensazione di stare per soffocare sputai quel liquido, e mi resi conto che era solo acqua.
Feci più attenzione a quello che avevo intorno e vidi che ero disteso sull’erba e una pozzanghera d’acqua si allargava a vista d’occhio di fianco a me. Un paio di metri più in là c’era il laghetto.
- Scusami, non avevo fatto uscire tutta l’acqua dal corpo... - mi disse.
Lo guardai e gli chiesi sussurrando: - Cos... Cosa è successo? -
- Dovresti dirmelo tu cos’è successo, ti sei buttato dalla canoa e da quel che ho visto non sai neanche nuotare, ti ho dovuto riportare a galla io - mi rispose con tono severo. Sembrava arrabbiato. I suoi occhi verdi erano di un colore più intenso e aveva un’espressione dura.
- Perché mi hai salvato? -
- Deve esserci un motivo per salvare una persona? -
- Io non volevo essere salvato - ribattei.
Mi guardò dall’alto e appena vidi la sua espressione mi sentii tremendamente in colpa. I suoi occhi lasciavano trapelare preoccupazione, ma anche molta tristezza. L’avevo ferito, non so come, non so perché.
Mi continuava a guardare fisso negli occhi, quindi non riuscii più a sostenere più il suo sguardo. Decisi di guardarmi intorno, e realizzai che: eravamo soli, Percy era inginocchiato, probabilmente tutti gli altri erano a mangiare, dopo tutto era circa l’una di pomeriggio.
All’improvviso il figlio di Poseidone si alzò a testa china, senza più guardarmi negli occhi. Si incamminò verso la sua cabina, ignorandomi mentre lo chiamavo. Così mi ritrovai steso sul prato, da solo, completamente bagnato, come un perfetto idiota.
 
Dopo aver realizzato che Percy aveva messo a posto la canoa (sicuramente coi suoi poteri) e che effettivamente nessuno ci aveva visti, me ne tornai nella cabina tredici. Una volta entrato sbattei la porta con tutta la forza che avevo in corpo e il rumore del colpo si espanse per tutta la cabina, generando un’eco sinistra, rendendo ancora più terrificante l’interno della cabina. Ok che ero il figlio di Ade e ad alcune cose avrei dovuto esserci abituato, però i letti a forma di bara coi lenzuoli rossi erano troppo anche per me.
Mi accasciai per terra con la schiena alla porta, come in quei film drammatici in cui tutto va male. Appoggiai la testa alla porta e fissai il vuoto per quelle che mi sembrarono ore. Non pensavo a niente, davvero. Ero così sconvolto per quello che era successo che mi ero costretto a non permettere alla mia mente di pensare. Il danno era fatto, non c’era nessuna possibilità di tornare indietro.
Mi rialzai lentamente. Feci qualche passo pigro e mi inginocchiai davanti a quel tavolino che costituiva il “monumento” a mio padre, per cercare la sua guida con le mie preghiere. Ma mio padre era la persona giusta a cui rivolgersi? Certamente gli avevo procurato un po’ di buona fama, dopo la guerra contro Crono, ma sarebbe stato disposto ad ascoltarmi? E poi, cosa gli avrei detto? Che sono gay, che ho dei problemi esistenziali, che amo Percy Jackson (tra l’altro figlio di un suo rivale) e che ho degli istinti suicidi? Forse per questo ultimo punto avrebbe anche potuto essere favorevole, sarei stato un’anima in più nella sua collezione.
Alla fine non pregai per niente e me ne stetti inginocchiato davanti a quel misero tavolino. Mi rialzai da terra e mi stesi sul mio letto. In quel momento faci una cosa strana. Sapevo che ogni tanto Gabriele d’Annunzio andava in una certa stanza della sua dimora, una villa che si trovava sul lago di Garda ed è tuttora visitabile, e si stendeva dentro quella che sarebbe stata la sua bara, per vedere cosa si provava. Così stesi perfettamente le gambe dentro la mia bara, misi le braccia unite a formare un chiasmo sul mio petto, con le mani che mi toccavano le spalle, e, dopo aver fissato per qualche secondo il soffitto, chiusi gli occhi. Fu a quel punto che riuscii a pensare.
Complimenti, Nico, davvero complimenti. Volevi ucciderti e non l’hai fatto, e comunque mentre ti uccidevi l’unica cosa a cui pensavi era quella di riemergere e vivere, quindi sei solo un codardo, neanche tu sai cosa vuoi. Poi, continuiamo con la lista dei tuoi errori più recenti. Hai deluso Percy Jackson, unico punto di questa lista. Tanto vale scappare dal Campo e non farti più vedere. Non ti amerà mai...
Qualcuno bussò ripetutamente alla porta, ma io non avevo intenzione di alzarmi: era troppo bello fingere di essere morti e piangersi mentalmente addosso in quella posizione tombale. Mancava solo un requiem di sottofondo e l’atmosfera sarebbe stata perfetta.
...come vorresti essere amato. La delusione non perdona. Fattene una ragione, vivrai per sempre da solo da inetto, da ruota di scorta, una persona utile soltanto quando serve. Non una persona di cui fidarsi.
Sentii la porta spalancarsi, cigolando peggio di una porta in una casa infestata dai fantasmi. Di solito le porte cigolano in modo sinistro solo se aperte lentamente, ma la porta della mia cabina, per entrare meglio nell’atmosfera, doveva aver deciso di essere sempre spaventosa. Mi sembra ovvio.
- Nico... che stai facendo? - disse una voce che apparteneva sicuramente a Percy.
Aprii gli occhi e distesi le braccia lungo il mio corpo, poi sospirai.
- Cosa te ne frega? - risposi brusco.
- Ma, in realtà, non so bene se me ne frega o meno, solo che è abbastanza inusuale vedere una persona coricata dentro una bara in posizione da morto, anche se è viva, non trovi? -
Mi alzai dal letto e mi avvicinai a Percy. Mi fermai a pochi passi da lui e, guardandolo negli occhi, dissi: - Sì, Percy, è assolutamente inusuale, problemi? -
- Perché fai così? - mi chiese dolcemente.
Ma io non avevo voglia di essere dolce.
- Te n’è mai fregato? Ti è mai importato di quello che pensavo io? Perché dovresti fregartene adesso? -
- Me ne è sempre fregato, sei tu che non lo vedevi - rispose lui.
Vaffanculo Jackson, davvero vaffanculo.
- Io so quello che vedo e quello che sento. Non me ne frega niente se hai provato a salvarmi (bugia), se te ne importa di me (bugia) o che cazzo hai in testa riguardo al mio conto -
- Va bene, facciamo finta che non me ne fregava niente di te fino a questo punto. Adesso però ti voglio aiutare, come posso aiutarti? -
Lo guardai sperando che la mia espressione facesse trapelare odio e risposi: - Lasciami morire -
- Perché? - mi chiese con voce insicura - Perché vuoi morire? -
A quel punto non ce la feci più e sputai fuori (quasi) tutto quello che avevo dentro.
- Perché è come se non fosse servito a niente il fatto che io abbia portato mio padre dalla parte degli dei nella battaglia contro Crono. Non è servito a niente che io abbia combattuto, tutti mi guarderanno sempre male perché sono figlio di Ade - presi fiato, poi continuai: - Io non appartengo al mondo dei vivi Percy, io passo tempo coi morti, perché sono gli unici che mi capiscono, e soprattutto io sembro giàmorto -
- Tu non... -
- Da quando Bianca è morta sento solo il vuoto dentro di me, ed è un vuoto che non riesco a colmare con nessun altro, perché anche mia madre Maria è morta e Ade non c’è mai, non che mi aspetti che ci sia -
Ormai avevo gli occhi lucidi.
Dopo aver preso fiato continuai: - Io non ho più una famiglia e sebbene io abbia provato a cercarne un’altra qui al Campo, o abbia provato solo a cercare degli amici, tutti mi hanno ignorato da quando sono venuti a sapere che sono figlio di Ade. Ma comunque la cosa per cui non riesco a vivere è la mancanza di Bianca. Morendo riuscirei a tornare da lei. Percy, io voglio solo tornare da lei! Lasciami andare da lei! -
Mi portai le mani al viso e piansi a dirotto, mentre due braccia forti mi cingevano tutto. E in quel momento non mi importò del fatto che Percy mi stava tenendo tra le sue braccia, mi appoggiai a lui con tutto il mio peso corporeo. Avevo bisogno di affetto.
- Come mai ti sei tenuto dentro tutto questo, Nico? -
In quel momento scoprii che mi piaceva molto stare tra le braccia di Percy, che non mi dispiaceva per niente stare lì a parlare con lui, mentre Percy mi accarezzava debolmente la schiena e io avevo la testa appoggiata alla sua spalla, mentre parlavamo dei miei problemi esistenziali.
- E a chi avrei dovuto dirlo? - risposi piangendo.
- Non lo so... Non lo so... -
- È come se stessi sanguinando dentro, e stessi cercando debolmente di vivere -
- Non sei l’unico, Nico. Io vivo, ma dentro sanguino -
Rimasi perplesso davanti a queste affermazioni. Come poteva Percy provare dolore? Lui era l’eroe della battaglia contro Crono. Lui era l’eroe per gli dei. Lui era l’eroe per tutti.
- In che senso? - chiesi vago.
- Nel senso che tu potresti pensare che io sia al settimo cielo. Che sono il beniamino degli dei e che niente può andare storto nella mia vita. Ma in realtà ho scoperto di avere un senso di colpa molto vasto. Non mi sento la coscienza pulita. Per niente. Sento il peso di tutti quelli che sono morti al posto mio. Sento che in alcuni casi sarebbe stato meglio che io morissi, e non gli altri - sospirò.
Non avrei mai pensato che Percy Jackson, dietro al suo sorriso, nascondesse tutto questo.
Continuò: - Nico, non passa giorno che io non mi senta in colpa per la morte di tua sorella, perché è stata un’idea mia, quella di entrare dentro quell’automa gigante. Volevo andarci io, sarei dovuto andarci io. Sarei dovuto morire io al posto di Beckendorf, al posto di tutti -
Mi diede un bacio sulla fronte. Sentii le guance andare a fuoco e ringraziai il dio degli abbracci (sempre che ce ne fosse uno) per il fatto di essere appoggiato a Percy, in modo che lui non mi potesse vedere in faccia.
Poi andò avanti dicendo: - Tuttavia, io cerco di vivere al meglio. Cerco di non pensarci, anche se certe volte non è per niente facile -
- E come fai a conviverci? -
- Mi sfogo combattendo -
Ora che ci pensavo, Percy si faceva vedere raramente in altri posti se non nell’arena della scherma. Era sempre lì a combattere o a insegnare.
- Come può il combattimento essere rilassante? - chiesi.
- Non è che sia rilassante, più che altro penso solo a combattere e non alle brutte cose, vuoi provare? -
- Quando? -
- Be’, adesso! Però prima ti asciughi, sei ancora bagnato da quando sei entrato nel lago -
 
- Ci sono due regole. Regola numero uno: vietato uccidere. Regola numero due: vietato ferire intenzionalmente. Chiaro? -
Annuii.
Sia io che Percy indossavamo l’armatura da guerra, anche se senza scudi. Devo dire che mi sentivo un po’ idiota con tutta quella ferraglia addosso, ma Percy aveva detto che se Chirone ci avesse trovati a combattere senza, ci avrebbe fatto il di dietro. Intanto alcuni ragazzi delle case di Afrodite e Demetra si erano messi sugli spalti a guardare. Ma non avevano nessun altro posto in cui andare, santissimo Ade?
Avevo già la mia spada di ferro dello Stige in mano, mentre Percy estrasse la sua adorata penna dalla tasca, le tolse il cappuccio e Vortice si allungò nella sua mano.
- Pronto? - mi chiese.
- Pronto -
Menai il primo fendente verso il suo fianco sinistro, ma Percy parò il colpo e mi fece sbilanciare all’indietro. Ripresi subito l’equilibrio e parai la sua stoccata che mirava al mio petto, poi cominciammo a combattere più velocemente, come in preda a una strana furia. Entrambi intercettavamo i movimenti successivi dell’altro e con mia sorpresa, scoprii che davvero pensavo solo a combattere (anche perché altrimenti Percy mi avrebbe fatto a pezzettini). Era davvero bravo a maneggiare quella spada.
Intanto vidi i figli di Afrodite e Demetra andarsene mentre esclamavano delusi: - Neanche una ferita! - oppure - Fare statue è meno noioso! -
Andammo avanti a colpi e parate per un po’ fin quando non persi la concentrazione e Percy riuscì a disarmarmi  piegando la lama della mia spada con il piatto della sua. Percy mi buttò a terra, ma io gli feci lo sgambetto a tradimento e mi ritrovai il figlio di Poseidone addosso, che si puntellava con le mani a terra per mantenere un certo equilibrio, con il suo viso a pochi centimetri dal mio. Avevamo entrambi il fiato corto ed eravamo madidi di sudore. Ci guardammo negli occhi per quelli che parvero giorni, poi non resistetti più: con gli addominali alzai il busto, misi una mano dietro il suo collo e lo baciai.
Non oppose resistenza, né rispose al bacio. Mi staccai da lui dopo pochissimi secondi e crollai di nuovo a terra, stanco, ma felice di aver fatto quello che avevo meditato di fare da anni.
Rimase a guardarmi dall’alto con un’espressione perplessa in volto.
- Jackson e Di Angelo, quest’ora è stata prenotata da noi, quindi SMAMMATE! - disse Clarisse, con una finezza che non era propriamente femminile. Trasalimmo entrambi: non l’avevamo sentita arrivare.
Percy si alzò e si diresse alle docce, senza neanche rivolgermi la parola. Ci rimasi male. Ma cos’altro avrei dovuto aspettarmi? Niente, sono solo un idiota, come al solito.
 
Aspettai che Percy uscisse dal bagno, prima di andarci io. Non volevo incontrarlo e soprattutto volevo evitare situazioni imbarazzanti, nelle docce, completamente nudi... avete capito. Così me ne stetti all’interno della mia cabina a sbirciare dalle finestre in direzione del bagno.
Quando finalmente Percy uscì, corsi verso i bagni, entrai nella doccia e quel favoloso getto d’acqua bollente mi si riversò addosso, cominciai a rendermi conto del guaio che avevo combinato. Avevo baciato Percy Jackson. Avevo baciato la mia cotta, ma a che prezzo? Probabilmente non mi avrebbe più rivolto la parola, mai più. E come avrei potuto dargli torto? Sarei dovuto scomparire, per sempre, dal Campo Mezzosangue.
Ma il Campo era l’unica casa che avevo, anche se lì non avevo amici.
Nico sei un emerito idiota. Ti stava aiutando, stava cercando di avvicinarsi a te, e tu cosa fai? Dovevi proprio baciarlo?
Uscii dalla doccia. Mi rivestii con una voglia di vivere al di sotto dei miei stessi standard, mentre un fastidiosissimo Will Solace della casa di Apollo mi fissava. Era snervante essere fissati di continuo.
Uscii dai bagni sbattendo la porta.
 
Trovai un intruso nella mia cabina, quando vi feci ritorno.
Tutti voi, lettori cari, state pensando che trovai Percy Jackson nella mia cabina, vero?
E invece no. Era nientemeno che Annabeth Chase.
- Hey Annabeth! - la salutai.
- Ciao, Nico - mi rispose con voce triste.
- Qualcosa non va? - le chiesi.
- Vi ho visti -
- Quando? -
- Nell’arena della scherma, appena prima che arrivasse Clarisse -
- Oh... -
Probabilmente stavo arrossendo. Probabilmente adesso Annabeth, che era una delle poche persone al Campo che almeno riusciva a rivolgermi la parola, mi stava odiando. Probabilmente dovrò ritentare il suicidio, perché Annabeth è venuta a sapere che sono gay. Probabilmente la figlia di Atena è venuta ad uccidermi: vedevo come guardava Percy, e sarò anche il figlio di Ade e tutto quello che volete, ma l’amore lo riconosco.
- Credo che un giorno o l’altro ti ricambierà, Nico - mi disse - perché mi sono dichiarata, e gli ho detto che lo amavo, ma lui mi ha detto di non essere interessato alle ragazze e che mi vede solo come la sua migliore amica. Ovviamente è una cosa che mi sta spezzando il cuore, ma non posso obbligarlo. Comunque sia, abbiamo cominciato a parlare della vita amorosa di entrambi, e dopo aver insistito per mezzora buona, sono riuscita a fargli strappare un indizio sulla persona che ama -
- Be’, un indizio è veramente poco per essere sicuri che sia io - dissi. Però un po’ ci speravo.
Annabeth sospirò e cominciò a vagare avanti e indietro per la stanza. Invece io rimasi vicino alla porta e non mi mossi, la seguii solo con lo sguardo mentre parlavamo.
- Mi ha detto che era innamorato di un ragazzo che non si meritava. Di un ragazzo a cui aveva tolto tutto e con cui non avrebbe mai potuto stare insieme, perché era convinto che questo ragazzo l’avrebbe odiato per sempre - disse.
- E io cosa c’entro? Perché non mi dovrebbe meritare? Perché dovrei odiarlo? E soprattutto perché dovrei essere proprio io? -
Annabeth si fermò e mi sorrise tristemente, poi mi rispose: - Si sente tremendamente in colpa per la morte di tua sorella, in un modo al di fuori del senso di colpa comune. Quando era appena successo, non lo sentiva molto, perché c’era tutta quella faccenda sulla profezia e sul fatto che forse doveva morire e cose varie. Ma una volta finito tutto, tutte le morti delle persone che si sono sacrificate per lui gli sono piombate addosso. E quella più pesante è quella di Bianca. Per il fatto di non meritarti... lui sa che l’hai perdonato, ma secondo lui dovresti odiarlo e quindi nella sua testa ci sono tanti complessi del tipo: ma se lo deludo ancora? Se gli prometto qualcosa e non lo mantengo? Perché non mi odia? Io devo essere odiato da lui. Cose così insomma... -
Volevo crederci. Giuro che volevo crederci. Però allo stesso tempo mi sentivo in colpa. In realtà mi dispiaceva un sacco per Percy, e se Annabeth aveva ragione, dovevo assolutamente fare qualcosa.
- Sei sicura che sia io? -
- Be’ sì... -
- E allora perché se n’è andato quando l’ho baciato? -
Annabeth sospirò, poi disse: - Aveva paura, probabilmente... -
- Annabeth, senti, non me ne faccio niente dei ‘probabilmente’, sono io sì o no? -
- Dove hai preso tutta questa sicurezza Di Angelo? - rispose ridendo.
- SI’ O NO? - ormai stavo quasi urlando.
- Sì, secondo me sei tu -
Sospirai. Poi mi venne in mente una cosa...
- Ma se a te piace Percy, perché mi stai dicendo queste cose? -
- Perché non posso farci niente. Perché non posso dire a Percy di diventare etero per me, quindi, finché posso cerco di renderlo felice, anche se significa essere solo sua amica -
- Sei saggia, Annabeth -
- Hey, per chi mi hai presa, per una figlia di Ares? Certo che sono saggia, cretino! -
E detto questo camminò dritto verso di me, come se volesse attaccarmi, ma all’ultimo mi scansò da davanti alla porta e uscì come una Furia, letteralmente.
Che avevo detto di male?
 
Dovevo trovare Percy, subito.
Non volevo più suicidarmi, non volevo più morire, avevo una vitalità in corpo che non mi era mai appartenuta. Sentivo di poter anche sorridere, avevo solo bisogno di qualcuno che mi desse l’input. E tutti voi sapete di chi sto parlando.
Cercai Percy nell’arena della scherma, nella Casa Grande, in mensa, vicino all’albero di Talia, alla parete per l’arrampicata. Ovunque, tranne che nella cabina tre. Chissà perché, avevo dato per scontato che fosse fuori ad allenarsi da qualche parte.
Non bussai neanche. Entrai e me lo trovai di spalle, che cercava qualcosa in un armadio. Problema: lo trovai di spalle, che cercava qualcosa in un armadio, ed era senza maglietta.
Si girò verso di me con un’espressione sorpresa in volto e quello che vidi mi piacque molto, già... gli addominali.
- Nico... -
- Ciao, Percy -
Ecco, avevo trovato Percy, e adesso?
Con mio grande sconforto si mise la maglietta che, come supponevo, aveva appena trovato nell’armadio.
- Ehm - cominciai - volevo dirti che... -
- Mi dispiace, Nico, di essermene andato così, prima, nell’arena -
Lo guardai negli occhi, ma lui non sostenne il mio sguardo e chinò la testa. In quel momento capii che Percy Jackson era una persona normale, nel senso che aveva paure, timori, emozioni e che non era solo un eroe, una macchina da combattimento.
Mi avvicinai a lui con una sicurezza che sorprese anche me, gli presi il viso tra le mani e lo baciai.
Questa volta ricambiò subito. Mi cinse dolcemente i fianchi e approfondì il bacio dischiudendo la bocca.
Baciare Percy era come assaggiare il mare. Assaporai il gusto della sua bocca salata e capii che non avrei mai più voluto staccarmi da lui. Allacciai le braccia attorno al suo collo e affondai le mani tra i suoi capelli.
Dopo molto tempo ci staccammo, ma rimanemmo sempre nella stessa posizione, boccheggiando.
Ci guardammo negli occhi per un tempo indeterminato, poi dissi: - Io non ti odierò mai. Perché i sentimenti che provo per te, sono l’esatto contrario dell’odio -
- Amore? - chiese sorridendo.
- Amore -
 
Spero che questa One Shot vi sia piaciuta :)
Le recensioni sono ben accette!
Black White Dragon
   
 
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