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Autore: Ciulla    20/12/2015    2 recensioni
"Whis stava pulendo.
In fondo, pensò il gatto, non c’era nulla di strano. La casa non poteva rimanere pulita da sola, quindi era sempre stato abbastanza ovvio che se ne occupasse Whis; allora perché vederlo con una paletta in una mano, una scopa nell’altra e un grembiule malamente attorcigliato attorno alla vita gli faceva questo effetto sconcertante?"
Un giorno, improvvisamente, un Beerus adolescente si rende conto che quello che fa Whis per lui va molto oltre quello che immaginava, e sente il bisogno di ringraziarlo.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
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Era giunto il mezzogiorno di una giornata particolarmente calda quando un adolescente dalle sembianze simili a quelle di un gatto si svegliò, stiracchiandosi e leccandosi il pelo. Era soddisfatto della sua lunga dormita e si sentiva in forze, pronto a riprendere i propri allenamenti. Piantando le zampe nel materasso e facendo forza su di esse inarcò la schiena, che si sgranchì con un piacevole scricchiolio. Con varie e varie torsioni riuscì a distendere tutte le sue membra, finché non si sentì pronto ad alzarsi con uno scatto repentino.
Ricordando le petulanti raccomandazioni che gli faceva ogni volta il suo maestro, la prima cosa che fece appena sveglio fu risciacquarsi la faccia con dell’acqua fresca. Presto avrebbe dovuto farsi un bagno completo, ma non aveva la più pallida idea di dove fosse Whis; era sempre lui a preparargli l’acqua calda per lavarsi, fin da quando era un bambino, e il gatto era troppo pigro e viziato per farlo da solo. Inoltre, se c’era una cosa che Beerus odiava era proprio farsi il bagno. Detestava la sensazione di umido che gli rimaneva addosso dopo essere uscito dalla vasca; quand’era più piccolo e Whis riusciva facilmente a tenerlo in braccio ci pensava il maestro a strofinarlo dappertutto con un asciugamano finche non tornava asciutto, ma adesso era troppo grande e doveva arrangiarsi. C’erano delle parti, sulla sua schiena, che raggiungeva molto difficilmente e che rimanevano conseguentemente bagnate, almeno finché non si sdraiava a pancia in giù sotto i due soli cocenti che illuminavano il suo pianeta.
Ciononostante, suo malgrado, un bagno dopo una dormita di quattro mesi e mezzo era necessario. Si concentrò, per cercare di avvertire la presenza di Whis nel palazzo, ma non vi riuscì; sembrava quasi che il maestro non fosse a casa in quel momento. Questo pensiero intristì Beerus; cosa poteva star facendo l’alieno azzurro per farlo allontanare da lui? Allenava qualcun altro? O semplicemente si era stufato e se ne era andato per sempre? In fondo non aveva mai capito cosa lo trattenesse lì. Non riceveva pagamento né riconoscimento per il lavoro di insegnante che faceva; nemmeno il suo stesso allievo lo ringraziava mai.
Questi tristi pensieri durarono fortunatamente ben poco; il gatto si accorse infatti che, pur non riuscendo ad avvertire il suo ki, sentiva la sua voce che canticchiava un allegro motivetto nel salone. Sorridendo, si incamminò in quella direzione, sperando di poter gustare un buon pranzetto preparato dalle abili mani del maestro prima di immergersi nell’odiata acqua.
Giunto sulla soglia della sala in cui si trovava Whis, il gatto si bloccò. Si era sempre chiesto cosa facesse il maestro durante i suoi lunghi pisolini; visto che evidentemente non si era accorto che il ragazzo si era svegliato, quella poteva essere l’occasione perfetta per scoprirlo. Introdusse lentamente la testa nella stanza, e rimase allibito di fronte a quello che vide.
Whis stava pulendo.
In fondo, pensò il gatto, non c’era nulla di strano. La casa non poteva rimanere pulita da sola, quindi era sempre stato abbastanza ovvio che se ne occupasse Whis; allora perché vederlo con una paletta in una mano, una scopa nell’altra e un grembiule malamente attorcigliato attorno alla vita gli faceva questo effetto sconcertante?
Catturato com’era da questo pensiero, Beerus non si accorse subito della particolarità dell’abbigliamento del suo maestro. Non indossava la solita tunica porpora, ma dei vestiti quasi casual fasciavano il suo corpo; dei pantaloni aderenti mettevano in evidenzia le gambe lunghe e slanciate, per cui il vanitoso gatto provava una certa invidia, e una giacca leggera ne sottolineava il fisico ben definito, seppur all’apparenza esile. Anche mentre fischiettando raccoglieva la polvere, Whis non aveva un capello fuori posto, e tale era la grazia dei suoi movimenti che il suo lavoro sicuramente faticoso appariva agli occhi di un osservatore esterno come una danza leggera ed elegante.
Voltandosi per svuotare la paletta nel cestino, Whis si accorse di due orecchie viola che al suo movimento repentino avevano cercato rifugio al di là della porta socchiusa. Pulendosi imbarazzato le mani sul grembiule, si inchinò leggermente verso la direzione in cui erano sparite. “Beerus! Non pensavo ti saresti svegliato così presto. Perdonami se il mio abbigliamento non è presentabile.”
Imbarazzato per essersi fatto scoprire così facilmente, il gatto entro nella stanza a testa bassa. “Non preoccuparti, Whis. Piuttosto, che stai facendo?”
L’alieno si lasciò andare ad una risata cristallina. “Ma come, Beerus, non è evidente? Sto pulendo!”
“Sì, sì, ma... Perché?”
Questa domanda dell’allievo lo lasciò perplesso. “Perché la casa è sporca.”
Il gatto inclinò la testa di lato. “Ogni quanto... Pulisci?”
Whis alzò le spalle. “Quando ce n’è bisogno. Quando fa caldo più spesso di quando fa freddo. Da quando si è addormentato l’ultima volta direi che ho pulito sedici... No, diciassette volte.”
“È tanto” brontolò il gatto. Ridendo felicemente, Whis gli fece notare come la casa non si pulisse certamente da sola. “Non è conveniente che il futuro dio della distruzione viva in una casa sporca, non credi?”
“Sì, sì, è vero, ma... Perché lo fai?”
Whis appoggiò ad un muro la scopa, intuendo che dietro le apparentemente sciocche domande del suo allievo doveva celarsi una preoccupazione ben più grande, un interrogativo più serio.
“Lo faccio perché è il mio lavoro.”
“No, non è vero!” Ribatté sconvolto il giovane. “Il tuo lavoro è allenarmi, prenderti cura di me...”
“E far sì che tu viva in una casa accogliente non fa parte del mio modo per prendermi cura di te?” Whis si avvicinò concitatamente al suo allievo. “Ascolta, non vi è nulla di strano in questo. Lo faccio da sempre, nessun altro può farlo. Non è conveniente che una divinità cucini per se stessa, si prepari il suo bagno o pulisca la casa in cui vive; è compito del suo assistente, ed è ora che tu capisca che sono io il tuo assistente, fintanto che rimarrò il tuo insegnante.”
Non vi è nulla di strano in questo. Erano state le sue parole, ma Beerus non ci credeva. C’era tutto di strano. C’era di strano che l’essere più potente dell’intero universo si abbassasse a servire un ragazzino; c’era di strano che la forza di Whis era ineguagliabile, ma egli preferiva allenare nuovi dei piuttosto che diventare dio egli stesso; c’era di strano tutto, in quella scena incredibile.
“Se pensi davvero che non ci sia nulla di strano, perché ti sei sempre nascosto? Non ti ho mai visto pulire prima, e ti occupi di me da oltre un decennio.”
Whis arrossì e distolse lo sguardo imbarazzato, rivelando la sua natura pura e timida che solo in certe occasioni trapelava dai suoi gesti. “Mi vergognavo di farmi vedere in tale abbigliamento, lord Beerus.”
Il gatto sussultò. Era la prima volta che il suo maestro lo chiamava con il suo titolo onorifico, e la cosa gli sembrava strana, sbagliata. “Non va bene!” Affermò.
L’alieno azzurro sorrise. “Anche per me è strano rivolgermi a lei in questo modo, ma mi ero ripromesso che l’avrei fatto non appena si fosse reso conto che io altri non sono che un suo suddito.”
“Ma tu non sei un mio suddito! Sei più forte di me e lo sarai sempre! Sei il mio maestro, sono io che devo portare rispetto a te! Perché non diventi tu stesso un dio, invece di allenare me? Dovrei essere io a servire te, sarebbe più giusto!”
Whis rise. “Sappiamo entrambi che non ho il carattere adatto per tale ruolo. I Kaio mi avevano avanzato tale proposta, ma l’ho rifiutata, preferendo occuparmi dell’allenamento dei futuri dei della distruzione. Lei è il terzo che alleno, ma è il primo che trova da ridire sul modo in cui compio il mio lavoro.”
Indicò la sua attrezzatura appoggiata al muro. “È qualcosa che è necessario fare, e che lei non può fare. Vede qualche altra soluzione?”
Sconsolato, Beerus guardò il suo maestro. “Posso aiutare. Tu fai già tanto per me, senza ottenere nulla in cambio.”
“Chi le ha detto che non ottengo nulla in cambio, lord Beerus? Come ho già detto, lei è il terzo dio della distruzione che alleno, ma è il primo che si rende conto del lavoro che faccio e che si sente in colpa. Questo è molto importante per me, e di questo io la ringrazio. Ora, se vuole aspettarmi di là, sarò al suo servizio non appena avrò finito di pulire.”


Alla fine Beerus si preparò il bagno da solo, non del tutto convinto dalle parole del suo maestro. Dopo aver litigato per venti minuti con i rubinetti della vasca, decise di riscaldare l’acqua con un colpo di energia, facendone fuoriuscire la metà. “Fantastico” borbottò. “Dovrò ripulire il pavimento.”
Almeno ora la temperatura era accettabile. Se si fosse impegnato, sarebbe riuscito a togliere a Whis un po’ del suo lavoro. Perlomeno, era soddisfatto di essere stato definito diverso dai suoi predecessori. Era al corrente del fatto che, dopo aver adempiuto ai suoi doveri di insegnante, Whis aveva abbandonato a loro stessi i precedenti dei della distruzione; il fatto che lo ritenesse diverso forse significava che Whis teneva di più a lui che agli altri, e che non si sarebbe allontanato tanto presto. 
Come ho già detto, lei è il terzo dio della distruzione che alleno, ma è il primo che si rende conto del lavoro che faccio e che si sente in colpa. Questo è molto importante per me, e di questo io la ringrazio.
Ripensando alle parole del suo maestro, il gatto sospirò. Non era poi tanto sicuro di essere diverso dagli altri. Aveva tanto protestato nel vedere Whis così indaffarato, ma in fondo non lo aveva nemmeno ringraziato; anzi, aveva addirittura permesso che il maestro ringraziasse lui. Più ci pensava, più il pensiero lo faceva stare male. Whis, che faceva tanto per lui, abbassandosi a fare i lavori di una domestica, cucinando per lui, riscaldandogli l’acqua, lo aveva ringraziato. E per cosa? Perché aveva riconosciuto i suoi sforzi? Solo un cieco non lo avrebbe fatto, e lui era stato un cieco per tanti, troppi anni. No, pensò tristemente il gatto, non era stato affatto meglio dei suoi predecessori, anzi; persino lui aveva trattato Whis come se fosse un semplice sottoposto. Da un certo punto di vista poteva anche esserlo, ma Beerus sapeva che in realtà era molto di più. Era stato tutto per lui nei loro numerosi anni di convivenza: da un padre ad un educatore, da un maestro ad un idolo, e chissà? Adesso Beerus era solo un ragazzo, ma forse, col tempo, diventando adulto, sarebbe diventato anche un suo amico.
Ma questo non sarebbe mai successo se l’alieno azzurro l’avesse abbandonato.
Doveva assolutamente andare da lui a ringraziarlo. Finendo in fredda il bagno e non curandosi delle zone della sua pelle rimaste umide, si ricoprì di un semplice accappatoio e si incamminò verso la sua stanza. Non aveva pensato a portarsi dietro delle vesti pulite, era sempre Whis a procurargliele, ma ora non aveva tempo per pensarci. Magari il suo maestro, vedendo disilluse le sue speranze di aver trovato finalmente un allievo generoso e grato per il suo lavoro, stava già facendo le valigie.
Giunto davanti alla porta di Whis, esitò. Non era mai entrato nella sua stanza, benché fosse da sempre curioso di vederla. Voleva saperne di più sul suo maestro, scoprire come gli piaceva arredare le pareti, qual era il colore delle sue lenzuola, o verificare se la sua stanza era ordinata come aveva sempre immaginato; d’altronde sapeva per esperienza che il maestro era piuttosto riservato su certe questioni, e non voleva infastidirlo. Prese una decisione; avrebbe bussato, e sarebbe entrato solo se Whis lo avesse invitato personalmente.
Timoroso, picchiò il pugno sulla porta. “Maestro Whis? Sono... Beerus.” Omise il titolo; non gli piaceva che il maestro lo chiamasse così e sperava di incoraggiarlo a smetterla presentandosi col suo solo nome.
Tempo qualche secondo e l’alieno aprì la porta. “Lord Beerus, si accomodi. Le prendo una sedia.”
Malcelando una smorfia di sconforto al titolo, la prima cosa che fece il gatto nella stanza non fu sedersi, ma guardarsi intorno.
Quello che vide lo stupì. La stanza era ordinata come aveva sempre immaginato, ma non era questo l’aspetto emozionante: le pareti della camera erano completamente ricoperte di fotografie. Fotografie che ritraevano il maestro nei vari momenti della sua vita. Beerus lo vide bambino, mano nella mano con sua madre, mentre tirava un calcio alla sorella Vados. Lo vide dolorante e disteso a terra dopo la vendetta della sorella. Lo vide circondato dai Kaio che esaminavano strabiliati le sue abilità. Lo vide da solo in moltissime foto, ciascuna differente dalle altre per qualche piccolo particolare. In ciascuna foto cresceva un po’, sempre più maturo e sempre più serio. Le foto più recenti erano tutte uguali; nei suoi occhi v’era un cipiglio triste che Beerus, fortunatamente, non ricordava di avergli mai visto in volto.
Riscuotendosi dalla sua ammirazione, Beerus si accorse che il maestro lo fissava sorridendo. Arrossendo, il gatto indicò veloce le pareti, inventando una scusa per il proprio ingiustificato interesse. “Mi chiedevo come mai le tue pareti fossero piene di foto, maestro. Pensavo che potessi vedere tutti gli eventi del passato che volevi, con il tuo bastone.”
“È vero, Lord Beerus. Queste foto mi sono utili per addormentarmi. Sdraiarmi nel letto e trovarmi circondato da tutti i momenti più importanti della mia vita mi fa riflettere su come essa sia cambiata, e tale riflessione mi aiuta a schiarirmi la mente. Guardando le foto, mi addormento sereno.”
Il gatto lo ascoltava rapito. Aveva sempre saputo che l’animo del suo maestro era puro e romantico, soprattutto considerando tutte le volte che lo aveva sentito lodare la primavera “con i suoi magnifici petali rosa che si librano nell’aria senza vento”, ma averne una conferma così tangibile era comunque emozionante.
Ricordando il motivo per cui aveva cercato il maestro, Beerus si riscosse.
“Whis... Volevo dirti... Ecco, grazie.”
L’alieno sorrise. “Era implicito anche prima, lord Beerus, non c’era bisogno che mi ringraziasse.”
“Sì, beh, volevo farlo comunque.” Borbottò quello.
“Non mi sembra però che lei abbia capito quello che le ho detto prima. I compiti che devo svolgere io, li lasci svolgere a me, per favore.”
Il gatto si grattò dietro un orecchio imbarazzato. “Mi hai visto?”
“Farti il bagno? Non proprio, ma il bastone mi avverte ogni volta che succede in casa qualcosa di strano, e mezza vasca che si rovescia fuori dalla vasca è decisamente strano.”
Beerus ridacchiò. “Ho fatto un casino, eh? Beh, migliorerò.”
“Non ce n’è bisogno, lord Beerus. Quello è compito mio. Prima di tutto, mi annoierei se mentre lei dorme io non avessi nulla da fare. Secondariamente, è evidente che se cerca di darmi una mano combina solo disastri” ridacchiò l’alieno azzurro. “Facciamo un patto: io le faccio da assistente e mi occupo di tutto, lei si allena seriamente e mi rende orgoglioso di quello che faccio. Ci sta?”
Il gatto annuì sollevato. “Però preferirei che omettessi quel lord. Sono sempre io, anche se sono un po’ meno cieco di prima. Non chiamarmi così, almeno finché non cresco un altro po’.”
“D’accordo, Beerus. Facciamo così: tu mi aspetti qui, io vado ad asciugare il tuo disastro e poi andiamo ad allenarci. Ti va?” Guardando l’accappatoio del gatto, sorrise divertito. “I vestiti puliti sono nel secondo cassetto del mio armadio. Datti un contegno.”
Beerus annuì mogio mogio. C’era ancora una cosa che voleva chiedergli, ma aveva paura che fosse troppo intima per Whis. Eppure voleva sapere, aveva bisogno di sapere.
“Maestro Whis?”
Sulla soglia della porta, Whis si girò esasperato. “Sì, Beerus?”
“Perché nelle foto più recenti sei sempre triste?”
Whis si voltò verso l’angolo di muro incriminato e liquidò la domanda dell’allievo con un gesto della mano. “Quelle non sono le più recenti. Le più recenti sono sul comodino.”
Beerus non le aveva notate. Mentre l’alieno azzurro si allontanava, egli si avvicinò al mobile e prese con delicatezza le cornici, voltandole verso di sé.
In quelle cornici vide Whis felice, con in braccio un gatto viola addormentato che non avrà avuto più di quattro anni. Lo vide felice rincorso dallo stesso gattino viola infuriato. Lo vide felice affiancato da un ragazzino orgoglioso che aveva appena fatto la sua prima onda di energia. Lo vide felice, ovunque, con lui.
Beerus sorrise. “Grazie, Whis.”
   
 
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