Fanfic su artisti musicali > Mika
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Autore: Princess Leila    21/12/2015    3 recensioni
Dal testo:
"Michael si svegliò di soprassalto, la fronte madida di sudore. Si puntellò prima su un gomito poi sull’altro e stette poggiato sugli avambracci facendo schizzare gli occhi a destra e a manca annaspando. Un incubo. Ancora."
Un rapporto particolare - unico - tra due persone così estremamente diverse, almeno all'apparenza, affrontato in maniera introspettiva. Storie diverse, ma destini che erano probabilmente destinati ad incrociarsi. Fili rossi intrecciati. Qual è la loro origine? Quale percorso c'è da affrontare per trovarne il capo?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forgot my daylight, Torture my night
 
Correva. Le lunghe gambe schizzavano lungo quell’interminabile corridoio nel tentativo di portarlo lontano. Lo inseguivano. Ma chi? Questo non lo sapeva, ma doveva scappare.
Il pavimento di marmo grigio sotto i suoi piedi nudi era freddo e ad ogni falcata aveva paura che sarebbe scivolato, ma non poteva rallentare, così continuava a correre.
Una porta. Pareva fosse giunto al capolinea, era finita. O magari, dietro quelli che ora avevano iniziato ad assumere le fattezze di due grandi battenti di legno, avrebbe trovato la salvezza.
Ambo i lati del corridoio erano dotati di finestre di vetro colorato, poste ad intervalli regolari; correva ormai così veloce, che i riverberi blu, rossi e gialli delle vetrate si infrangevano sul suo volto a distanza di poche frazioni di secondo.
Quasi si schiantò contro la grande porta e, attutendo l’impatto ammortizzando con le braccia rivolte in avanti, iniziò ad armeggiare con i due grossi pomelli di ottone nel tentativo di aprirsi un varco.
Scosse i battenti più forte che poté, ma quelli non diedero cenno di volersi muovere e i cardini non avevano alcuna intenzione di cedere. Provò ancora con tutta la forza che aveva in corpo, senza ottenere però alcun risultato.
Non si era mai girato indietro per guardare al suo inseguitore. La frustrazione e la paura lo avvolsero in un caotico susseguirsi di pensieri ed, in preda al panico, si voltò.
 
Michael si svegliò di soprassalto, la fronte madida di sudore. Si puntellò prima su un gomito poi sull’altro e stette poggiato sugli avambracci facendo schizzare gli occhi a destra e a manca annaspando. Un incubo. Ancora.
Erano più di due settimane ormai che, a notti alterne, sognava di essere inseguito e di dover scappare o di dover compiere delle scelte e non riuscirci, mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei propri cari.
Giusto qualche giorno prima aveva sognato di essere costretto ad uccidere una persona innocente per evitare una serie di attentati nel proprio paese – i recenti avvenimenti verificatisi a Parigi lo avevano scosso notevolmente – e così si era ritrovato a puntare una pistola alla testa di un individuo privo di colpe. Era ormai quasi disposto a farlo, quando questo, inginocchiato davanti a lui, non iniziò ad apparirgli stranamente familiare… La pelle del collo aveva cominciato infatti a sporcarsi, tingersi, d’inchiostro, così come le braccia e fino al dorso delle mani.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso quello che credeva sarebbe stato il suo carnefice, ma questo sgranò gli occhi alla vista di quel volto così familiare, quegli occhi che tanto bene conosceva e che ora lo supplicavano in una tacita richiesta.
L’uomo in piedi era paralizzato, il suo sguardo passò velocemente dal ragazzo a terra alla pistola che teneva, il metallo freddo, nella mano sinistra.
Era stato stranamente lucido durante quel sogno e lo ricordava perfettamente. Non che avesse voluto. Aveva infatti riflettuto con velocità e aveva trovato una soluzione. Con decisione spostò l’arma sulla propria tempia – dopotutto anche lui era una persona innocente, per il momento – e, strizzando gli occhi, premette forte il grilletto.
Tutto ciò che riuscì a sentire prima del buio e del brutale risvegliò fu il proprio nome, gridato dal ragazzo.
 
Quella mattina tuttavia il risveglio non fu comunque dei più felici. Michael non si sentì sollevato. Al suo fianco il letto era vuoto, nessuno che con un abbraccio potesse confortarlo, nessuno disposto ad ascoltare la disconnessa narrazione di quei sogni che tormentavano le sue notti.
Il cantante si prese la testa fra le mani e provò a svuotarla completamente dei suoi pensieri caotici.
Era stato lui a lasciare Andy, ma ciò che provava ora non era rimpianto. Non voleva che fosse Andy a stringerlo tra le braccia, come non voleva che fosse una persona qualsiasi. Sapeva che non avrebbe funzionato, non sarebbe stato meglio. Tutto al momento stava nel trovare quella persona che poteva aiutarlo; non aveva idea di chi fosse, ma sapeva che fino a quando non l’avesse trovata le cose non si sarebbero aggiustate.
 
Era il giorno della seconda parte dei Bootcamp e Federico non era esattamente di buon umore.
Intrattabile, irascibile, apatico. Questi erano i tre perfetti aggettivi che lo descrivevano in quest’ultimo periodo.
La settimana era cominciata con Chewbecca che finiva dal veterinario per un’operazione d’urgenza e il rapper aveva accumulato molto stress per questo motivo.
La sera prima di quel giovedì aveva anche litigato con Giulia, la sua ragazza, ora non ricordava neanche per cosa. Oh, ecco perché. Era tornato a casa ubriaco fradicio con dei graffi sulla schiena che non aveva saputo meglio giustificare se non con un conato di vomito. Giulia non aveva resistito oltre, aveva preso le sue cose e se n’era andata.
Quel pomeriggio nella Sala Relax dei giudici, lui e Michael facevano a gara a chi fosse messo peggio. Avevano entrambi delle marcate occhiaie e il libanese se ne stava con le spalle ricurve accasciato su un divanetto di pelle.
Federico, da sotto le sue palpebre pesanti, lo osservava dalla poltrona difronte. Era sicuro di non apparire come l’altro giudice, bello anche con gli occhi cerchiati di nero, la schiena gobba e i capelli disordinati; Michael indossava una semplice T-shirt a righe e non pareva comunque trasandato. Lui invece, sebbene quel giorno indossasse una giacca nera molto più sobria e seria rispetto a quelli che erano i suoi standard, era sicuro di sembrare sciatto, benché quella mattina si fosse preoccupato anche di sistemarsi quanto meglio i capelli e anticipare parte del lavoro ai truccatori correggendosi un po’ le occhiaie.
Non c’era nulla da fare, Michael era comunque bellissimo.
Perché cazzo era sempre così bello? Federico si sorprese a rimuginare su questo più e più volte e quella non era di certo la prima. In cuor suo sapeva però anche che non era invidia quella che provava; e allora cosa? Quale altro sentimento avrebbe potuto nutrire nei confronti di un uomo così bello? Era così insopportabilmente garbato, così apparentemente innocente, quel viso così dolce che se lo avesse fissato ancora, gli occhi fissi nei suoi color nocciola, credeva gli sarebbe venuto il diabete. Quasi lo odiava.
Quel giorno non avrebbe neanche dovuto scegliere lui i suoi talenti, così preferì dedicarsi ad una lunga analisi introspettiva.
 
Federico lo osservava. Gli arti spropositatamente lunghi, le dita affusolate da pianista, una stazza che non passava inosservata; pensava che se avesse avuto delle gambe del genere sarebbe stato tutto il tempo a cercare una posizione comoda sotto quel tavolo che già per lui era basso; si chiedeva poi come facesse a non apparire mai impacciato, sapeva ballare meglio di lui – non che ci volesse molto – e i denti non perfettamente allineati non apparivano come una nota stonata sul suo volto, ma contribuivano anzi ad aumentarne la dolcezza.
Forse Federico si aspettava che dietro quell’aspetto, oserebbe definirlo, angelico si nascondesse una persona diversa da quella che lui immaginava, quasi temeva che se avesse passato più tempo con Michael e avesse avuto l’opportunità di conoscerlo meglio, questo si sarebbe rivelato l’opposto di come lui lo aveva sognato. Pareva infatti quasi surreale ai suoi occhi, come fosse impossibile trovargli un difetto; Federico si era impegnato, ma con scarsi risultati ed era per questo che continuamente lo prendeva in giro per il suo Italiano.
La mattina prima, mentre si preparava la colazione, alla radio era passata “Staring at the Sun” e Federico l’aveva avuta in mente per tutto il giorno. Si era ritrovato ad odiare Mika e le sue canzoni dannatamente orecchiabili ed era finito poi a cercarne il video su YouTube. Ripeteva a se stesso che lo stava facendo per perdere tempo, aveva deciso di assumere un’aria disinteressata per aiutarsi nell’opera di autoconvincimento; la verità era che era curioso.
Il video partì e la canzone che lo aveva tormentato tutto il giorno passò in secondo piano. Quelle che di lì a poco vide furono infatti le immagini che lo avrebbero tormentato per i giorni a venire.
La musica era diventata soltanto un’ovattata melodia di accompagnamento a quel video così bello; Michael che si gettava in acqua e poi risaliva lungo la riva completamente bagnato e si toglieva la camicia. La camicia? No, non la camicia, il papillon. Forse stava lavorando un po’ troppo di fantasia…
Michael che saltava giù dalle rocce, che cantava così vicino alla telecamera, che correva giù dal pendio completamente vestito di bianco e la terra sembrava non poterlo sporcare, come se avesse una qualche aurea mistica ad impedirglielo.
Ma cosa gli prendeva? Era ovvio che non si sporcasse, era il video di una canzone di una star internazionale; se non fosse stato previsto in sceneggiatura, Michael non si sarebbe sporcato; piuttosto avrebbero rigirato la scena. Eppure più lo guardava e più si convinceva che non si sarebbe sporcato comunque, correndo giù su quella terra scura, e non sarebbe caduto in ogni caso saltando giù di roccia in roccia, perché lui era Mika, ed era impeccabile.
Eccolo. Di nuovo. Quel sentimento che lo aveva attanagliato precedentemente tornò a tormentarlo.
Era una sensazione strana – quasi repressa – e del tutto nuova; per questo motivo Federico preferiva non lasciarla andare e si costringeva ad evitarla e a non scrutare a fondo dentro di sé per trovarne l’origine. Ne era intimorito, ma ciò che più lo spaventava era l’idea d’indagare sul dove quell’emozione, che ormai sentiva di riuscire a domare sempre di meno, lo avrebbe portato.
Quel pomeriggio si rivelò assai costruttivo per il rapper: tra una tazza di caffè e l’altra, accoccolato sul divano con un plaid addosso, anche se non faceva particolarmente freddo, aveva ormai imparato a memoria tutti i video delle canzoni del suo collega giudice; ma probabilmente se avesse sentito una di quelle canzoni alla radio non l’avrebbe mai riconosciuta.
 
Sebbene Federico fosse stanco e un po’ spossato, decise che la sua condizione non avrebbe dovuto influire sul suo lavoro.
Era il turno di Mika e Skin nella scelta dei talenti da portare agli Home Visits, dunque non sarebbe stato teso come al solito o comunque sperava di potersi relativamente rilassare dal punto di vista psicologico. Fu però smentito non appena tutti i giudici presero posto al tavolo; Federico non si era mai reso conto di quanto la sua sedia e quella di Michael fossero vicine. Quando si sedettero le loro braccia si sfiorarono, ma al libanese questo particolare passò del tutto inosservato; il rapper invece quasi sobbalzò per quel così minimo contatto. Il cuore prese improvvisamente a battergli ad un ritmo notevolmente accelerato, come se qualcuno l’avesse spaventato sbucando fuori da dietro un angolo.
Federico sentiva su di lui gli occhi dell’altro ogni secondo ma, per quanto fosse vero che il suo sguardo correva spesso al giudice alla sua sinistra, la maggior parte delle volte la sua era solo una sensazione. Rimaneva quasi deluso quando si girava e vedeva che Michael non lo stava realmente guardando; finì col trovarsi spesso alla ricerca di un contatto visivo con lui. Ogni qual volta si rivolgesse nella sua direzione, Federico cercava il suo sguardo.
Dopo aver passato un pomeriggio a guardare i suoi video su YouTube gli pareva quasi strano averlo lì, al suo fianco, reale ed…umano. Lentamente Federico stava prendendo consapevolezza del fatto che ciò che lo turbava riguardo Michael, non era la persona che aveva paura si rivelasse essere a discapito dell’idea che lui si era fatto, ma riguardava in primo luogo se stesso.
Fino a quel momento si era preparato a ricevere una delusione che non era arrivata, poiché il Michael che lui vedeva lì in Studio era lo stesso che rivedeva in Sala Relax, e poi ancora nei video dei concerti e in quelli musicali. Quello era l’unico Michael; solo ora Federico si rendeva conto di essere partito con dei preconcetti, si aspettava da lui un atteggiamento diverso davanti alle telecamere e nella vita reale, ma si era sbagliato. Eccome se si era sbagliato.
Improvvisamente si sentì in colpa. Aveva sempre denigrato dal credere in ciò che Mika dicesse e facesse, credendolo un artista dal doppio volto, ma si era reso conto di aver cannato di brutto1.
Quella diffidenza nei confronti del collega era stata immotivata e Michael non aveva fatto nulla per meritarsela. Doveva trovare un modo per rimediare, e inavvertitamente Federico si ritrovò a fantasticare sui modi più svariati per creare un’occasione nella quale avrebbe avuto l’opportunità di conoscere fuori dal set e dal lavoro il cantante. Non voleva cadere nella banalità, ma non era bravo con questo genere di cose; giunse alla conclusione che una birra insieme sarebbe andata più che bene, del resto se Michael avesse accettato non sarebbe stata in alcun modo una cosa banale, era pressoché impossibile associare a lui la parola “banalità”.
Federico era in ansia – ma cosa gli era preso ultimamente? – e la qual cosa lo sorprese non poco. Non era mai andato così in ansia nemmeno quando aveva dovuto chiedere alla ragazzina che gli piaceva al liceo di uscire insieme.
Restava il fatto che era deciso a portare a compimento ciò che si era preposto così, finita la giornata agli Studi, tornò a casa e iniziò a riversare le centinaia di vestiti che teneva stipati nell’armadio sul letto e le poltrone alla ricerca di qualcosa da indossare quella sera.
Solo quando fu contento dell’outfit scelto – pantalone nero, camicia dello stesso colore e chiodo – si ricordò che la special guest di quella serata non era stata ancora informata di nulla. Così il rapper si decise, pese il cellulare e scrisse un messaggio:
 
CHE NE DICI DI UNA BIRRETTA
STASERA?
 
STASERA? A CHE ORA?
22:00?
DOVE?
 
Bene, e ora come faceva a spiegargli dove andare? Aveva deciso di portarlo in un pub pressoché sconosciuto al quale però lui era molto legato, dunque scrisse:
 
                        VIENI DA ME, ANDIAMO
INSIEME.
                                   GREAT, A DOPO.
 
Ottimo, era fatta. Ora bisognava solo aspettare le dieci… Peccato che fossero le 20:30 e Federico fosse già pronto. Qualcosa di realmente strano stava accadendo, non era mai capitato che fosse pronto prima di cinque minuti dall’orario dell’appuntamento.
Che cosa avrebbe fatto ancora un’ora e mezza? Gli sovvenne un pensiero: doveva sistemare quel mare di vestiti che sommergeva i tre quarti della mobilia della stanza da letto. Quando Michael fosse arrivato, lui l’avrebbe dovuto invitare ad entrare e vedere la casa, non poteva lasciare che quel caos imperasse ancora quando il cantante fosse giunto, così si diede da fare piegando T-shirts e appendendo camicie quanto più ordinatamente possibile.
 
Il trillo di un campanello. Federico aveva appena chiuso l’ultimo cassetto. Corse ad aprire e si ritrovò davanti Michael. Indossava una camicia bianca con una sobria giacca scura e pantaloni in tinta. Sorrise al padrone di casa e fece per stringergli la mano, con fare impacciato. Come avrebbero dovuto salutarsi due amici che escono a bere una birra? Federico pensò a quando lo faceva con altri, ma realizzò che fondamentalmente con loro non c’era un saluto standar, talvolta non c’era e basta. Ma con Michael era diverso. Alla fine si strinsero la mano entrambi abbastanza a disagio.
«Prego, accomodati»
«Grazie, non c’è la tua fidanzata? Giulia, right? Volevo salutare»
Conosceva il nome della sua ragazza – ex ragazza – quindi lui non era l’unico ad aver fatto delle ricerche.
«Oh, Giulia non è qui, e non penso sia più nemmeno la mia ragazza»
«Mi dispiace, non volevo…»
«Non deve dispiacerti – si affrettò a dire Federico – forse è meglio così»
Rimasero con gli occhi fissi in quelli dell’altro un attimo più del normale, poi Michael ruppe la tensione: «Che casa bella»
«Ti piace?» chiese sinceramente curioso
«A lot»
«Vieni, ti faccio vedere il resto»
Dopo un breve tour dell’abitazione si fermarono in cucina e si sedettero sugli alti sgabelli vicino alla penisola. Michael sedeva appollaiato in una posa molto disinvolta da un lato del tavolo, una delle due lunghe gambe distese; Federico aveva entrambi i talloni poggiati sul poggiapiedi dello sgabello perché a stento toccava terra.
«Allora andiamo?» chiese e come in risposta un lampo squarciò il cielo oltre il vetro della portafinestra e subito dopo un tuono potentissimo risuonò echeggiando in tutto l’appartamento.
«For Lord’s Sake»
Cominciò a piovere.
«Cazzo…»
«E ora Fède?»
«Se ci muoviamo ora finiamo solo col bagnarci fin dentro alle mutande»
Michael aveva un’espressione alquanto terrorizzata
«Stiamo qui. Non voglio uscire ora»
«Hai… Paura dei temporali?»
Le guance del cantante si imporporarono
«Da quando sono piccolo…»2
Un largo sorriso si aprì sul volto di Federico e lui stesso fu il primo a sorprendersene, erano giorni che non sorrideva così.
«Beh se preferisci possiamo bercela qui una birra»
«Molto meglio» disse con lo sguardo rivolto alla finestra dietro la quale l’acqua scrosciava copiosa.
Federico raggiunse il frigo, ne estrasse due birre e tornò dal suo ospite; le stappò tutte e due insieme con fare esperto e ne porse una al libanese.
«Ai temporali» brindò
«Ai temporali» ripeté con la sua melodica risata Michael.
Bevvero un paio di birre parlando di argomenti poco seri e a Federico bastò veramente pochissimo per confermare ciò su cui aveva rimuginato tutto il dì. Michael era così gioviale, gentile, disponibile. In così poco tempo era riuscito ad instaurare un clima così familiare che sembravano amici di una vita che parlavano del più e del meno; anche per questo – e forse anche grazie a qualche birra – quando chiese: «Cosa è successo con Giulia?» la sua domanda non sembrò affatto fuori luogo
«Cose che capitano, per il momento credo vada bene così»
La domanda che seguì fu un po’ più inattesa:
«Do you love her?» Federico non masticava bene l’inglese ma il quesito era chiaro.
«Oh… Beh io… Io non lo so. Credevo di amarla, credevo che ciò che provavo per lei fosse amore, ma nell’ultimo periodo le cose sono cambiate…»
«Capisco» disse Michael in tono comprensivo e solidale
«Ti è mai capitato?»
«Oh yeah…»
«Facciamo una cosa, – si impettì e cominciò con tono solenne – proibisco per questa sera qualsiasi discorso riguardante ex – si fermò appena in tempo prima di dire “fidanzate” – partner»
Mika rise.
«Mi piace questo decisimento»
Stavolta fu il turno di Federico di ridere.
«Decisione» lo corresse sorridendo.
Michael si portò una mano alla faccia e disse: «Ho bisogno di una ripe… ripe…»
«Ripetizione»
«That’s right! Ho davvero bisogno di una ripetizione di Italiano»
«Mi dispiace ma in questo non credo di poterti aiutare, non lo parlo molto meglio di te»
«Non dire stuppidaggini, secondo me saresti un ottimo maestro»
«Secondo me quelle birre ti hanno dato un po’ alla testa, Michael» Il diretto interessato alzò un sopracciglio
«I don’t think so, Federico»
Era la prima volta che i due si chiamavano con i loro veri nomi.
Lo squillare di un telefono ruppe il silenzio che era calato e fece sì che gli sguardi dei due si sganciassero, dopo qualche secondo di contemplazione mera e semplice.
Federico si alzò e raggiunse il suo cellulare poggiato sul divano; lesse il nome sul display e sbuffò: Giulia.
Da che quella sera non avrebbero dovuto parlare dei propri ex fidanzati, ora lui si trovava a parlarci al telefono.
Gli balenò in mente l’idea di non rispondere. No, avrebbe risposto. Non si sarebbe sottratto così a quella conversazione che prima o poi sarebbe stata necessaria; tuttavia questo significava lasciare il suo ospite solo e non sarebbe stato molto educato da parte sua. Si prepose dunque di chiudere quella telefonata nel minor tempo possibile.
Premette verde.
«Pronto»
«Sto venendo a casa»
«Buonasera anche a te. Aspetta, che?»
«Sto venendo a casa.» Ripeté Giulia dall’altro lato del telefono
«Non puoi. Ho ospiti»
«Beh, io devo riprendermi alcune cose se non ti dispiace»
«Vieni domani in mattinata»
Non c’erano più dubbi. Qualcosa era realmente cambiato. Se fosse stato lo stesso Federico di sempre di certo non avrebbe risposto così ad una fidanzata in procinto di riprendersi le sue cose e andarsene, probabilmente per sempre, dalla sua vita. Dopotutto era stato con Giulia per più di due anni e non si poteva dire che non avessero passato dei bei momenti insieme; ma ora questo non contava, a Federico importava solo di concludere quella telefonata al più presto.
«Ma che cazzo hai negli ultimi tempi? Hai la segatura in testa, per caso? Sai cosa direbbe
un fidanzato normale? “Ma no dai, vieni e ne parliamo. Sono stato uno stronzo, mi dispiace”. Questo mi fa supporre che a te stia bene così, che non ti cambi nulla!»
Federico intanto si era affacciato in cucina e aveva fatto cenno a Michael di aspettare un minuto e quello gli aveva sorriso comprensivo.
«Giulia senti…»
«“GIULIA SENTI” UN CORNO!»
Il ragazzo si sedette sul divano e, col gomito sinistro poggiato sul ginocchio, si sostenne la fronte con la mano, realizzando che quella conversazione sarebbe durata molto più del previsto.
 
Erano passati ormai più di dieci minuti e Federico non era ancora tornato in cucina. Michael aveva capito immediatamente di chi si trattasse al telefono, dunque fu comprensivo nei confronti del ragazzo e non condannò brutalmente il gesto di averlo lasciato solo, come diversamente avrebbe fatto per chiunque altro.
Dopo un quarto d’ora però la noia lo stava logorando, così decise che forse era il caso di andar via. Si appropinquò verso il disimpegno dell’ingresso dove, appesa all’attaccapanni, aveva lasciato la sua giacca e fece per raggiungere Federico per salutarlo, ma non appena mise piede in corridoio si rese conto che i toni della conversazione erano diventati molto accesi, e che forse non era il caso di piombare in salone così, proprio in quel momento.
Dunque tornò in cucina e aprì qualche mobile per trovare qualcosa da mettere sotto i denti, ma erano tutti quasi vuoti. Michael ipotizzò che, dopo la rottura con Giulia, Federico non avesse badato molto alla sua alimentazione o a se stesso in generale. C’era da dire però che quando si era presentato il problema della pioggia, Federico aveva tirato fuori dal frigo mezza dozzina di birre.
Mika sapeva che erano cose che capitavano a seguito di un avvenimento del genere, anche lui c’era passato tempo addietro. Eccome se ci era passato. Ma proprio per questo non voleva che Federico ci passasse allo stesso modo.
Aprì il frigo e gettò nella spazzatura le altre bottiglie di birra ancora chiuse. Il giorno seguente sarebbero andati insieme al supermercato a fare la spesa e se lui avesse voluto che Michael restasse, lo avrebbe fatto, e se avesse voluto parlare, lo avrebbe ascoltato.
Il libanese prese a girovagare per la casa, fino a trovare la porta della camera da letto. La spinse leggermente guardò dentro e poi entrò.
Sul comodino c’era una piccola pila di libri, prese quello in cima.
Fahrenheit 451” recitava la copertina. Di Ray Bradubury.
Michael si sedette sul letto e iniziò a sfogliarlo.
La sua dislessia era migliorata col tempo e con tanto esercizio, ma leggere in lingua straniera gli richiedeva ovviamente un impegno ancora maggiore.
 
Era una gioia abbiccare – appiccare – il fuoco
 
L’Italiano scritto era molto più complesso di quello parlato; ovunque c’erano parole a lui sconosciute: “cenci”, “stolida”, “vespertino”.
Terminare la lettura di quella pagina gli richiese notevole sforzo e, giunto alla fine, si sentì terribilmente stanco, quella stanchezza che sai che, se anche solo ti poggiassi da qualche parte, ti addormenteresti.
Era comprensibile del resto; erano settimane che si svegliava continuamente durante la notte, per colpa di quegl’incubi.
Aveva inconsciamente posato il capo sulla spalliera imbottita del letto; le palpebre gli si fecero pesanti, e così, in quella posizione così innaturale, si addormentò.
 
«Credi di essere tanto intelligente, ma non dici un cazzo, i tuoi discorsi non hanno senso, mi tratti come un ragazzino viziato3. Mi sono rotto i coglioni»
«Benvenuto nel club! Sai che ti dico?! Io domani non ci vengo lì, non ci metto più piede in quella casa. Mandami un corriere con le mie cose e poi va a farti fottere».
Dall’altro lato Giulia aveva attaccato. Federico guardò il display del cellulare. La chiamata era durata quasi mezz’ora. La rabbia lo accecava e per un attimo ebbe l’impulso di scagliare il telefono contro il muro per la gioia di vederlo andare in mille pezzi, ma non lo fece; aveva qualcosa – qualcuno – di più importante di cui premurarsi.
Entrò in cucina, ma lo sgabello su cui Federico aveva lasciato Michael era vuoto. Che fosse andato via una volta capito come stavano le cose? Al solo pensiero una morsa gli strinse lo stomaco. Già i sensi di colpa lo stavano assalendo quando spalancò la porta della sua camera da letto.
Mika era steso su un fianco, – si era girato nel sonno – le gambe piegate verso il petto e le mani giunte, come in preghiera, sotto la testa. “Fahrenheit 451” ancora aperto al suo fianco.
Federico si fermò di botto sulla soglia. Michael si era addormentato sul suo letto e dal suo lato. Odiava quando Giulia dormiva, o anche solo si stendeva, sul suo lato; non solo perché, per qualche oscura ragione, non riusciva a prendere sonno sulla metà sinistra del letto, ma anche perché trovava quello spazio profondamente personale e lo sentiva violato quando qualcuno, diverso da lui, ne faceva uso.
Quella volta però fu diverso. La visione di Michael steso lì, al suo posto, gli ispirava quiete, tranquillità; quel volto angelico ora così rilassato. Non era arrabbiato perché stava dormendo sul suo lato del letto, non era stranito dal fatto che si fosse addormentato in casa sua; voleva solo che continuasse a dormire lì, e che la mattina dopo restasse per la colazione, sempreché avesse trovato qualcosa con cui preparala. Ma non importava. L’unica cosa importante in quel momento, per Federico, era che Michael rimanesse lì. Cosa sarebbe mai successo? Era soltanto una cortesia.
Non l’avrebbe svegliato.
Prese una coperta e gliela posò delicatamente addosso. Fece un passo indietro e si fermò a contemplarlo: le lunghe e sinuose gambe uscivano dal plaid blu notte e i ricci castani risaltavano in contrasto col bianco del cuscino.
Federico si avvicinò di nuovo, e gli spostò un ricciolo che gli solleticava la fronte dietro l’orecchio; gettò un occhiata fugace al lato vuoto del letto, poi si diresse verso la porta.
Sulla soglia si voltò un’ultima volta a guardarlo e si diresse in salone.
Si accoccolò sul divano e si addormento. Non ebbe bisogno di bere nulla per facilitarsi il sonno; non seppe infatti, prima della mattina dopo, che la sua scorta di Tennent’s era stata brutalmente cestinata.
Michael, dal canto suo, dormì indisturbato dagl’incubi per la prima volta dopo tempo.
 
 
 
 
NOTE: 

1 aveva cannato di brutto”: Non sono Milanese, ma ho sentito spesso utilizzare il verbo “cannare” a Fedez e recentemente ho sentito spiegane il significato alla radio. Traducibile con “sbagliare”, ma essendo una OS introspettiva ho voluto utilizzare un termine che probabilmente Fedez avrebbe utilizzato. Ditemi poi se invece ho “cannato” e non ho colto il vero senso della parla ;P.
2 «Da quando sono piccolo…»: Volevo semplicemente dire che non me lo sono inventata o meglio, ero convinta di averlo inventato, ma ieri mia mamma si presenta a casa con la biografia non ufficiale di Mika e io inizio a leggerla… Leggo dunque che ha sempre avuto paura dei rumori forti, presumibilmente a cause dei bombardamenti che, seppur impossibili per lui da ricordare, lo hanno segnato.
3 “Credi di essere tanto intelligente, ma non dici un cazzo, i tuoi discorsi non hanno senso, mi tratti come un ragazzino viziato”: Semi-cit. alla traduzione di una canzone di Mika (Ring Ring).
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:

Macciao, se siete arrivati fin qui significa che siete sopravvissuti alla lettura di questa FF. Sono veramente felice di averla scritta, e fiera di me stessa; fiera di me stessa per un semplice motivo: sono finalmente riuscita a ritagliarmi un momento per me e a dedicarmi ad un’attività che amo, ovvero la scrittura. Non scrivevo per pubblicare da un bel po’ di tempo e tornare a farlo mi riempie di gioia.
Credo proprio che questa sarà una raccolta di OS che varieranno per genere e rating.
Un doveroso ringraziamento va a tutte le ragazze del gruppo “Midez – X-Factor Italia” di Facebook e in particolare alla mia Parabatai, Lucrezia, che è sempre disposta a leggere ciò che scrivo in anteprima e a darmi il suo parere (per me importantissimo <3), non te lo dico abbastanza spesso, ma ti voglio bene.
 
   
 
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